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Autore: Defective Queen    20/08/2013    2 recensioni
Diversamente idioti.
[POV: Mako&Haru&Rin]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ecco cosa faccio invece di studiare o scrivere cose più produttive: fantastico sulle dinamiche dei ragazzi di Free! e il mondo purtroppo deve subirne le conseguenze.

Punto di vista: Makoto&Haruka&Rin. Non molto più gay dell’anime, sorry! (anche perchè in questa fic hanno solo 13 anni :) )

Lievissimi spoilers per il sesto episodio.
La fic è ambientata durante l’estate immediatamente successiva alla gara di Rin e Haru nei flashback del secondo episodio, un anno dopo il trasferimento di Rin in Australia.




Different like you?


Makoto contempla il mare che si estende oltre i suoi occhi.

Haru, al suo fianco, ha il solito luccichio negli occhi riservato a qualsiasi distesa d’acqua in cui può immergersi.

Giugno è appena iniziato, le maniche corte hanno da poco sostituito giacche e maglioncini nella loro uniforme. L’estate è alle porte, seppur non sia scoppiata del tutto, ma qualche bagnante più temerario si getta già nell’acqua tra qualche brivido.

Makoto guarda Haru liberarsi rapidamente dell’uniforme sulla sabbia.

Con un sospiro bonario omette le proteste d’obbligo. Haru ha aspettato questo momento da molti mesi, dopotutto.

Senza più il loro vecchio club di nuoto delle elementari, e dopo aver abbandonato anche il nuoto competitivo a livello scolastico, Makoto non può biasimare la frenesia del suo amico nell’essere nuovamente congiunto con l’acqua.

Dopo essersi disfatto di tutti i vestiti, Haru, però, non si getta alla rincorsa delle onde spumose che si riversano lentamente contro bagnasciuga - come farebbe di solito - bensì rivolge gli occhi azzurro intenso verso Makoto e gli domanda: «Non vieni?»

Makoto esita per qualche istante, prima di sorridere al suo migliore amico: «No, l’acqua è ancora troppo fredda per me.»

Haru lo scruta per qualche altro secondo e Makoto si sente stramente a disagio, sotto quegli occhi impenetrabili.

Sanno bene entrambi che Makoto sta mentendo.

Quello sguardo fisso sembra voler ricordare a Makoto l’ammissione delle sue paure, paure che Makoto è abituato a nascondere sempre dietro un sorriso facile. Un sorriso che aveva smesso di usare anche con Haru, almeno fino a quel momento.

Makoto abbassa la testa, causando l’interruzione di quello scambio silenzioso.

Ha sbagliato a comportarsi così anche con lui, perché Haru non è come il resto delle persone.
Sarà pur freddo e scostante, ma Makoto non ha mai sentito la necessità di essere diverso da se stesso in sua compagnia. Mai.

È solo che sin dall’inverno del primo anno delle medie, più precisamente da quando Haru ha abbandonato per sempre il nuoto senza alcuna spiegazione o giustificazione, Makoto non ha più alcun’idea di cosa gli passi per la testa.

Sebbene Haru sia espressivo quanto un muro di marmo, Makoto ha dalla sua parte anni osservazioni su cui basarsi per interpretare nel miglior modo possibile i suoi pensieri. La maggior parte delle volte, è sicuro di riuscire a scrutare a fondo nell’animo di Haru più di chiunque altro, e come mai nessun altro si prenderà la briga di fare.

Se c’è una cosa che Makoto conosce benissimo è l’inimitabile sintonia che Haru riesce a creare con l’acqua, sia in una piscina, che nuotando liberamente nel mare.

Allora perché?

Haru è una persona abitudinaria. È fermo ed esplicito nei suoi gusti e nelle sue idee, anche se raramente li condivide con il mondo esterno.

Mangia pesce grigliato anche a colazione, cita le parole di sua nonna come unica fonte di saggezza esistente al mondo, indossa il costume da bagno sotto l’uniforme scolastica, percorre la sua strada senza aspettare che qualcuno lo segua, scosta gli occhi se la conversazione non gli interessa, nuota soltanto per se stesso e sempre in stile free.

Allora perché abbandonare da un giorno all’altro uno dei veicoli della sua più grande passione? Perché privarsi di ogni possibilità di contatto con l’acqua che non sia nella sua vasca da bagno?
Cos’è veramente successo ad Haru per spingerlo a prendere una simile decisione?

In realtà, Makoto è consapevole di ciò che questi suoi dubbi celano veramente; la sua paura più profonda.

Se Haru è capace di abbandonare il nuoto, chi può dire che un giorno non sia anche capace di stancarsi persino della compagnia di Makoto?

Makoto si pente immediatamente del suo sciocco pensiero. Haru è diverso dal resto della gente; non penserebbe mai una cosa simile.

Non accetterebbe mai di passare i suoi giorni accanto a qualcuno che non sopporta. Makoto questo lo sa bene. Lo sa.

Idiota. Gli avrebbe detto Haru se solo avesse saputo quello a cui stava pensando.

Sta per aprir bocca e giustificarsi in qualche modo, quando Haru inizia ad allontanarsi.

«Fa come vuoi», dice a Makoto e percorre a grandi falcate la costiera di sabbia che lo separa dal margine dell’acqua.

Un tonfo risuona nel cuore di Makoto, più limpido e chiaro di qualsiasi suono udibile.

Haru è irritato, irritato dalle maschere che Makoto continua ad usare in sua compagnia, maschere inutili che non possono nascondere nulla che Haru non conosca già.

Eppure Makoto ha bisogno di queste, perché se Haru dovesse portarle via, Makoto sarebbe completamente esposto di fronte al muro di dettagli che Haru, invece, ancora non gli confessa.
Dettagli che neanche Makoto, con i suoi incredibili poteri di osservazione metodica ed interpretazione dettata dall’affetto e dalla costante vicinanza, riesce ad estrarre.

Makoto lo osserva immergersi a tratti, finchè giunto in un punto più profondo, Haru stende le braccia e si spinge in avanti in un fluido movimento.

Un sorriso gli sorge spontaneo vedendolo rimettersi in piedi e rabbrividire, per poi cocciutamente immergersi di nuovo.

Va tutto bene. Non è cambiato niente.

La risposta scostante di Haru non era niente di nuovo; avrebbe dovuto aspettarsela in qualsiasi caso.
Makoto spera di non aver complicato inutilmente le cose con la sua stupida insicurezza, per-

Un momento.

“Nuota soltanto per se stesso e sempre in stile free”.

Haru non è mai stato una persona con cui si può scendere a compromessi, ma all’improvviso Makoto si rende conto che questo è già successo in precedenza.

Ha già visto Haru perdere il suo stoicismo e accettare qualcosa che prima si era categoricamente rifiutato di fare.

Nei suoi ricordi la scena è stampata a fuoco vivo, assieme a tutti gli altri momenti più scioccanti della sua vita.

La scena ritrae Rin sotto un albero di ciliegio, intento ad informare lui ed Haru che quella sarebbe la loro ultima occasione per nuotare insieme nella staffetta.
Haru allora aveva insistito che nuotava solo in stile libero, ma Rin non si era fatto dissuadere.
Aveva poi promesso ad Haru che gli avrebbe fatto vedere qualcosa di mai visto prima, e Haru alla fine aveva tacitamente accettato.

Haruka si era presentato il giorno della gara e aveva nuotato insieme a Makoto, Nagisa e Rin e loro quattro avevano vinto.

Insieme.

Una brezza salina scuote i capelli di Makoto e lui decide di sedersi lì sulla sabbia, accanto all’uniforme abbandonata di Haru.

Il suo migliore amico è ormai un puntino all’orizzonte, a cui è arrivato grazie a potenti bracciate.

Makoto si sforza di pensare ad un altro evento capace di cambiare il comportamento di Haru, ma non arriva a niente.

Era successo solo a causa di Rin. Che fosse stato Rin il colpevole anche quella volta? Che fosse stato Rin a causare l’allontanamento di Haru dal nuoto competitivo?

Makoto ricorda loro quattro intenti a sotterrare il loro trofeo, ancora esultanti per la gara, colmi di sorrisi e pacche reciproche sulle spalle. Rin aveva certamente promesso che sarebbe ritornato e avrebbero recuperato il trofeo insieme un giorno.

Il loro addio non era stato drammatico. Haru, dopo aver assecondato i desideri di Rin, che voleva un team solido che lavorasse insieme, era ritornato al suo stile libero solitario, scivolando nell’acqua come se vi appartenesse, e continuando automaticamente a battere tutti quelli della sua età.

Makoto di tanto in tanto sentiva qualcuno degli istruttori bisbigliare progetti ambiziosi alle loro spalle, ma gli bastava un’occhiata allo sguardo disinteressato di Haru verso quelle chiacchiere per sentirsi subito meglio e respirare senza l’ansia di esser lasciato indietro.
Haru non nuotava per ricevere complimenti, né per sentirsi migliore di qualcun altro.

Allora perché nuotava? Perché aveva smesso di farlo all’improvviso?

Anni di osservazioni non erano ancora sufficienti a dirlo.

Makoto si lascia cadere sulla sabbia, che si sta riscaldando al sole del pomeriggio. Si scherma gli occhi dal sole e fissa l’espansione del cielo blu sulla sua testa. Da qualche parte ha letto che il colore del mare, non è altro che il blu dell’atmosfera rispecchiato sull’acqua.

Era questo che Haru provava nuotando nelle acque blu senza timore? Era questa la libertà che cercava? Voleva librarsi nel riflesso del cielo?

Tanta immensità lo affascinava e lo intimoriva allo stesso tempo.

Makoto amava nuotare con il dorso perché gli permetteva di non staccare mai gli occhi dal soffitto quand’erano in piscina, quasi a ricordargli che si trattava di un luogo chiuso, sicuro, dentro al quale nulla di sconosciuto poteva entrare a sua insaputa.

E amava nuotare di dorso anche al mare - nelle rare volte in cui l’oceano era calmo e si lasciava convincere da Haru a nuotare insieme a lui - fissando il cielo su di sé e rimanendo ipnotizzato da quel colore limpido quasi quanto le iridi di Haru. Un blu che a differenza delle acque sotto di sé non nascondeva segreti o pericoli.

Blu. Calma. Placidità. Pomeriggi pigri a casa sua o di Haru. Sicurezza. Contentezza.

I suoi occhi verdi si socchiudono e via via scivolano chiusi sotto il tepore pomeridiano, il rumore delle onde la giusta ninnananna per spingerlo ad addormentarsi.

Haru avrebbe finito presto, l’avrebbe raggiunto a riva e dopo essersi asciugato e rivestito, entrambi sarebbero tornati a casa.

Come ogni giorno, niente di nuovo.

Niente di diverso.

***


Haru ferma le bracciate quando si rende conto di essersi abbastanza allontanato dalla riva. Si aggiusta gli occhialini e dopo un respiro profondo si immerge nell’acqua.

La gioia di sentirsi di nuovo connesso con l’acqua è tale che, se non stesse trattenendo il respiro, Haru sorriderebbe rilasciando tutta l’aria accumulata nelle guance.

I suoi occhi, oltre le lenti degli occhialini, sono spalancati per scorgere meglio il fondale. Haru scende di più e scorge un fitto banco di pesce che gli passa accanto, appena ad metro di distanza, sfiorando i coralli rossi illuminati dalla sempre più fioca luce del sole.

Haru guarda verso l’altro, verso la bolla di luce sopra la sua testa, e sente la carezza dell’acqua su ogni centimetro del proprio corpo.

Un abbraccio tenero, accogliente, ma mai soffocante.

Se anche gli esseri umani fossero capaci di un tale rispetto per i limiti personali, forse Haru non cercherebbe di tenersi così alla larga dalle dimostrazioni di affetto.

Allarga le braccia e le gambe e mantiene un moto appena percettibile che lo mantiene sospeso, impedendogli di salire di nuovo in superficie, ma al tempo stesso di evitare di affondare su uno degli scogli appuntiti del fondale.

Tutto è così pacifico.

Nessuno qui può disturbarlo o prendersi la sua attenzione con la forza, come Nagisa.
Nessuno può scrutarlo con gli occhi di Makoto che sanno tutto di lui, senza nemmeno chiedere.
Nessuno qui può entrare all’improvviso nella sua vita e stravolgerla come Rin, per poi andarsene di nuovo come se niente fosse.

Qui non arrivano le chiacchiere della gente. Le parole di coloro che lo chiamano “genio”, “prodigio”, “fenomeno”, che pensano che il suo “dono”, però, lo renda “un po’ strano”, “irraggiungibile”, “un mistero”.

Nessuno qui può puntare il dito su di lui o osservare i suoi movimenti come un topo di laboratorio, commentando sulla sua tecnica, la sua fluidità, tutto ciò che lo distingue dalle persone comuni.

Altri sette anni e anche lui sarà uno di loro.

Allora di sicuro la smetteranno di parlare, di guardarlo con ammirazione o con frustrazione. Smetteranno di guardarlo e basta.

Ma soprattutto, smetterà di ferire gli altri essendo semplicemente se stesso.

Ed è a questo pensiero che appaiono alla sua mente un paio di occhi feriti che evitano il suo sguardo, labbra premute in una linea dura, lacrime versate nello spazio tra di loro, accentuando l’inesorabile distanza che si moltiplica ad ogni suo passo, sempre di più, fino a raggiungere un altro continente.

L’aria inizia a mancargli.
Forse questo sarebbe il momento migliore di tornare su.

Ma tornare in superficie vorrebbe dire affrontare tutto quello che nelle profondità del mare non gli appartiene.

Qui potrebbe far finta di essere semplicemente uno dei pesci del banco e seguire il loro tortuoso percorso tra le correnti. Nessuno potrebbe contraddirlo. Nessuno potrebbe chiamarlo diverso.

Haru sbatte le palpebre dietro gli occhialini e la bolla luminosa sulla sua testa si fa sempre più opaca, le sue membra si irrigidiscono sempre di più, e le bolle d’aria, precedentemente intrappolate dalla sua bocca, iniziano ad ascendere in un moto opposto a quello del suo corpo.

L’acqua gli invade la gola e le narici e Haru rivede il volto preoccupato di Makoto e i suoi “Haru!” gli rimbombano nelle tempie pulsanti e l’ultimo pensiero nella sua testa via via più vuota è: perché quelle loro espressioni tristi sono sempre a causa mia?

«Haru, sei davvero uno stupido.»

Haru spalanca gli occhi e la sorpresa nel sentire la voce di Rin lo fa trasalire così tanto che in uno scatto di adrenalina, le sue gambe scalciano verso l’alto e Haru riemerge senza fiato, tossendo violentemente l’acqua appena bevuta e liberando le vie respiratorie intasate di sale.

Affannato, si volta a destra e a manca per cercare Rin, ma da ogni lato il suo corpo è solo circondato solo da acqua.

Solitamente questo è quello che Haru desidera ogni momento della giornata, ma in quel momento la sola consapevolezza della grandezza del mare e la facilità in cui stava per perdervisi dentro lo fa tremare.

Guarda verso la spiaggia e vede Makoto salutarlo con grandi bracciate. Haru non sa esattamente quanto tempo sia passato, ma i suoi polpastrelli raggrinziti gli suggeriscono che sia arrivato il momento di tornare.

Si prende qualche altro minuto per regolarizzare il respiro. Makoto non avrebbe smesso più di chiedergli: “Stai bene? Stai bene?”se avesse saputo quello che era appena successo.

Una volta ripreso abbastanza fiato, Haru focalizza la riva e con bracciate in equilibrio tra la grazia e la potenza si dirige verso la terra ferma.

Makoto lo sta già aspettando sul bagnasciuga e gli porge un asciugamano, che chissà perché - visto che si era rifiutato di bagnarsi - aveva portato con sè in borsa quella mattina.

«Grazie», dice Haru, sfregandosi i capelli e il resto del corpo con decisione e Makoto gli sorride. Il brevissimo screzio di prima sembra essere stato del tutto accantonato.

Haru lo guarda per qualche secondo, tentando di capire dalla sua faccia se qualcosa di nuovo fosse successo.

Makoto non vede Rin da più di un anno. È convinto che lui non sia tornato mai dall’Australia, nemmeno per le vacanze, quindi mostrerebbe un minimo di sorpresa se lui apparisse così dal nulla solo per dare ad Haru dell’idiota?

«Sei arrivato davvero molto lontano oggi, Haru. Era perché ti mancava nuotare?»

Haru fa un grugnito d’assenso (la gola è ancora incrostata di sale e quindi risuona più rauco del previsto), cercando di camuffare le sue speranze deluse raccattando l’uniforme abbandonata sulla spiaggia e iniziando ad infilarsi i pantaloni sopra al costume da bagno.

«Mi sono addormentato un po’ e quando ho riaperto gli occhi non ti ho visto più…hai provato ad immergerti per guardare il fondale?»

Un altro mugugno basso. Haru fa finta di ascoltare le chiacchiere di Makoto mentre si riveste.

Immagina un Makoto a cui non si spezzerebbe il cuore, se solo sapesse ciò che Haru ha appena provato. Un Makoto incapace di riprodurre quell’espressione fatta da un misto di compassione, simpatia e affetto.

Un Makoto a cui poter raccontare: sai, ho visto Rin all’inizio dell’anno. Abbiamo gareggiato e l’ho ferito. Non tornerà più da noi, come ci aveva promesso. E la colpa è solo mia.

Un Makoto diverso da quello al suo fianco.

Il pensiero, però, lo fa rabbrividire. Un Makoto diverso? Diverso come? Diverso nel modo in cui gli altri usano per definire Haru?

«Visto?», dice Makoto, colpendolo leggermente con una spalla e interpretando il suo brivido in maniera del tutto sbagliata, «È ancora troppo presto per fare il bagno. Ti prenderai un raffreddore.»

«Non tirare i piedi», borbotta Haru e Makoto ride, seguendo Haru in direzione delle loro case.

L’immagine di Rin, in lacrime, che si allontana da lui lampeggia ancora nelle sue orbite.

Non ha idea di cosa Rin stia facendo in quel momento, né gli interessa in realtà. Le probabilità che stesse facendo l’idiota, comunque, erano piuttosto alte in qualsiasi caso.

“Sei proprio un idiota, Rin”, Haru lancia quel pensiero nell’aria.

Spera che dovunque Rin sia, anche nella lontana Australia, la sua voce in qualche modo lo raggiunga e possa aiutarlo allo stesso modo.

***


«Matsuoka!», il forte accento australiano del suo coach distorce completamente la pronuncia del suo cognome, ma dopo più di un anno Rin c’è ormai abituato ed evita di prendersela troppo.

«Sì!», risponde Rin, saltando sull’attenti per quanto può, visto che è immerso nell’acqua.

«Il tuo tempo sta peggiorando. Sei rimasto ad allenarti più di quanto ti avevo consigliato di fare?», il tono del coach è piuttosto severo. Il fatto che l’abbia richiamato di fronte ad un’intera classe di impiccioni, non aiuta molto l’inevitabile umiliazione che sta per arrivare.

Rin si stringe nelle spalle: «Sì, ma non sono andato oltre le mie possibilità.»

«E chi determina quali siano le tue possibilità? Io che studio la vostra tecnica e preparo il miglior regime di allenamento o tu che sei solo un ragazzino convinto di avere la stoffa per diventare un campione Olimpionico?», domanda il coach.

I suoi compagni iniziano a parlottare tra di loro e Rin li sente ridacchiare sui suoi sogni di gloria. Carter non ha nemmeno il tatto di abbassare la voce per dire: “È impossibile che quelle gambette striminzite lo portino alle Olimpiadi”.

«Lei, signore», risponde Rin, tentando di camuffare la sua irritazione con estrema cordialità, «mi scusi, non mi allenerò più fuori tempo massimo.»

Il coach si strofina la barba sul mento e annuisce con un grugnito. Non è un uomo raffinato, perciò Rin non dovrebbe aspettarsi molto di più da lui.
Quando l’attenzione dell’uomo e del resto dei suoi compagni viene finalmente catturata da qualcos’altro, Rin rilascia un po’ della sua frustrazione roteando gli occhi alle loro spalle.

Tutti nel suo gruppo stanno cercando di portarsi avanti rispetto agli altri, non c’è ragione perché sia l’unico ad essere richiamato!

C’è chi passa le ore extra in palestra, chi ha modificato la propria dieta, chi sta perfezionando segretamente l’angolo di entrata e chi come Rin, oltre a correre intorno al cortile dell’accademia, quando è possibile, si intrufola nella piscina fuori orario e nuota circa 30 vasche prima di andare a dormire.

La stanchezza si fa sentire - anche i suoi tempi a quanto pare ne risentono - ma Rin è certo che così facendo riuscirà più velocemente ad ottenere la forma fisica perfetta necessaria per la carriera olimpica. Avrà pure solo tredici anni, ma è determinato e ambizioso e pronto a dedicarsi al 100% ai suoi sogni per il futuro, come nessun altro nel suo gruppo è disposto a fare.

Tanto sacrificio lo porterà pure a qualcosa, no?

L’immagine di Haru, che senza sforzo o vincoli scivola velocissimo nell’acqua come una creatura marina che ritorna alla propria casa, non invade la sua mente neppure per un secondo. Assolutamente no.

Quella sera Rin riesce di nuovo a sgattaiolare fuori dal dormitorio. Il ragazzo che condivide la stanza con lui e la parte superiore del letto a castello si addormenta ascoltando il suo i-pod, quindi è difficile che si accorga dell’uscita di Rin, fuori dal suo campo visivo ed uditivo.

La piscina naturalmente è chiusa, ma la porta di emergenza in cima alle scale esterne potrebbe essere aperta. Tutti sembrano dimenticarsi della sua esistenza la maggior parte delle volte.

Salire quelle scale esterne scricchiolanti e fatiscenti, spaventa Rin molto più di tutta la missione segreta che compie di notte, quindi sta bene attento ad appoggiarsi alla ringhiera.

La porta di emergenza, per fortuna, si apre sul blocco più alto degli spalti laterali della piscina e Rin salta da un livello all’altro, fino a raggiungere l’entrata per gli spettatori. Girando a destra, trova lo spogliatoio, dove lascia i vestiti e le scarpe, recandosi costume, ciabatte, cuffia e occhialini ai blocchi di partenza.

Si aggiusta gli occhialini e salta nell’acqua con un arco invidiabile, spingendo con i piedi il più possibile, prima di dover risalire per esigenze d’aria.

Le prime quindici vasche passano tranquille. Rin ha degli scoppi di energia, subito prima di andare a dormire, che ama bruciare in questo modo. Verso le diciotto vasche, però, Rin avverte una spossatezza sempre più forte.
A venti vasche, Rin decide di fermarsi dopo aver completato l’ultimo giro, ma a metà corsia, avverte un forte dolore al piede destro che lo costringe a bloccarsi.

Un crampo, dannazione.

Rin cerca di muovere il più possibile le braccia e la gamba sinistra per continuare a restare a galla, ma è troppo sbilanciato e la gamba destra bloccata gli fa davvero molto male. Se solo riuscisse a poggiarla sul fondo, potrebbe appianare il crampo!

Rin prende un respiro profondo e si lascia affondare. Deve solo mettere un piede sul fondo e sistemerà tutto. Però è tutto troppo scivoloso per farlo e ben presto l’aria torna a mancargli e Rin deve decidere il da farsi. Il piede gli fa sempre più male e il dolore sta ormai occupando la maggior parte della sua concentrazione.

Potrebbe morire qui e nessuno se ne accorgerebbe, perché ha fatto tutto di nascosto e in segreto. Dannazione!

«Sei proprio un’idiota», la voce di Haru lo fa sussultare.

Non Haru. Non pensare ad Haru!

Con un guizzo di irritazione che la sola idea del suo rivale ispira, Rin riesce a ritornare in superficie e afferra i galleggianti dei separatori di corsie. Non sono abbastanza per supportare il suo peso, ma almeno gli consentono di restare a galla quanto basta per chiamare aiuto.

Attratto dalle sue grida, il custode lo trova così, affannato, con un crampo al piede e consapevole delle punizioni che lo aspettano.

Da quel giorno in poi, la porta di emergenza viene sempre chiusa a chiave di notte. Rin viene assegnato ad un’altra ala del dormitorio, dove il portiere e gli altri ragazzi tengono sempre sotto controllo i suoi movimenti.

Come se non bastasse, il coach gli proibisce di rientrare in acqua per più di tre mesi (cosa che distrugge totalmente il livello di forma fisica a cui Rin era arrivato) e gli assegna le pulizie della piscina e degli spogliatoi con i ragazzini del primo anno.

«Guarda in che modo è stata punita la tua spericolatezza e sfrontatezza», continua a ripetergli il coach davanti a tutti gli altri, usando Rin come cattivo esempio da non seguire, «Ti sia di lezione!»

Rin annuisce mestamente, ma dentro di sé il suo spirito non si è affatto placato.

Non è il primo colpo al suo orgoglio e probabilmente non sarà nemmeno l’ultimo, fino al giorno in cui riuscirà a battere Haru.

La ferita dell’inizio dell’anno è ancora fresca nella sua mente.

Non era servito a niente.

Un anno di sacrifici all’estero, circondato da un ambiente tutto nuovo, una nuova lingua, una nuova cultura, una diversa mentalità. Un anno intero senza gli incoraggiamenti di Gou e sua madre, che prima lo imbarazzavano più di qualsiasi altra cosa, ma che adesso non facevano altro che accentuare la sua nostalgia.
Un anno separato da tutti i suoi amici, dal suo team, dall’entusiasmo irrefrenabile di Nagisa, dalle bonarie provocazioni di Makoto, dalla familiare aura d’energia che circondava Haru.

Eppure niente di tutto questo era servito a batterlo.

Haru aveva tutto dalla sua parte: talento, predisposizione, ammirazione degli altri. Aveva tutto quello a cui Rin aspirava, eppure non lo voleva.

L’espressione noncurante e la freddezza di Haru non facevano altro che deridere i sogni di Rin, li degradavano e li ritenevano inutili.

Lo sguardo di Haru aveva lo stessissimo effetto su Rin: lo faceva sentire inadatto, stupido nel cercare costantemente l’attenzione di una persona a cui tutto questo non fregava assolutamente niente.

Rin esita con la pastiglia di cloro in mano e scruta il suo riflesso nell’acqua della piscina.

È Rin: capelli rossi selvaggi che non stanno mai al loro posto, denti aguzzi quanto uno squalo e altrettanta aggressività, determinazione e voglia di fare.

Lui non è Haru. Deve smetterla di paragonarsi a lui.

Perché allora aveva immaginato proprio la sua voce in quel momento di difficoltà? Perché proprio Haru era stato l’unico in grado di farlo reagire e salvarsi?

Forse, se non avesse mai incontrato Haru, Rin adesso sarebbe ancora in Giappone, crogiolandosi in una pseudo mediocrità, soddisfatto dei suoi modesti risultati e dei complimenti di parte della sua famiglia e dei suoi amici.

Si sarebbe accontentato e forse non avrebbe mai lottato per realizzare il suo sogno.

Rin si rialza dal bordo piscina, gettando il braccio all’indietro e caricando il lancio della pastiglia di cloro, creando onde concentriche sulla superficie dell’acqua.

Haru forse non avrebbe avuto bisogno di tanti sforzi per raggiungere gli stessi risultati, ma tali sforzi avevano reso Rin migliore.

Forse non era diventato più veloce, ma sentiva la sua personalità rafforzarsi, le sue ambizioni farsi più lungimiranti, la sua enorme sensibilità diventare un tantino più celata agli occhi esterni.

Tra tanti forse, solo una cosa era certa.
Un giorno, tra qualche anno, avrebbe incontrato di nuovo Haru.

Sarebbero stati alla pari, su due identici blocchi di partenza. Avrebbero iniziato a gareggiare dopo lo stesso segnale, nella stessa acqua che rubava i loro respiri e in cambio donava loro velocità; sempre più veloci, fino ai limiti della distensione muscolare, delle leggi fisiche e della concentrazione mentale.

Ti mostrerò la differenza tra me e te, Haru.

Sarebbero stati due sagome speculari, ma asimmetriche allo specchio. Un’immagine riflessa nata dal passato, eppure così distorta da diventare del tutto nuova.

Diversa.



Rin sarebbe vissuto solo per quel momento.
   
 
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