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Autore: Schwarze Licht    21/08/2013    1 recensioni
'Bella merda' , pensò. 'Con tutte le belle città di 'sto pianeta, proprio in un misero paese di campagna dovevo venire ad abitare, solo perché mamma ha deciso da un momento all'altro di trasferirsi, senza tanti perché e per come. Quanto mi manchi già, Seb.'. Sbuffò, emettendo un lieve mugolio di tristezza, senza essersi ancora accorta di quel 'poc poc poc' impertinente, proveniente dal basso. La vista dava sul cortile. Sul muro sopra ai garage era stato appeso un canestro e un ragazzo stava giocando. La palla rimbalzava sotto la sua mano magra e affusolata. Il polso fasciato da un polsino nero si muoveva ritmicamente e i pantaloni larghi frusciavano nella corsa. Raggiunse il canestro e piegando le ginocchia spiccò un salto centrando la retina col pallone rosso. Riafferrò il pallone e riprese la sua corsa verso l'altro lato del campo. I dread biondi raccolti nella coda, rimbalzavano sulle spalle. Nanna lo osservò con attenzione, facendo sporgere il bacino all'indietro. Sembrava carino.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter one.

Era più o meno la cinquantesima volta in un'ora che Lory ripeteva la stessa domanda: 'Quanto manca?' ed era la cinquantesima volta che sua madre rispondeva: 'Manca poco, tesoro.' mentre il tono si faceva poco a poco sempre più esasperato a causa della ripetuta domanda del figlio. Lory aveva cinque anni. Era un bambino dal corpo minuto e mingherlino, con un a ammasso di capelli biondi e sempre arruffati e un paio di smeraldi incastonati in quel visino a fare un paio di occhi vispi. Una spolverata di lentiggini ricopriva il nasino a patata. Le labbra sembravano dipinte con l'inchiostro rosso. Spiccavano come due fuochi su quel viso pallido. In pratica era l'antitesi vivente di sua sorella. 
Nanna se ne stava seduta sul proprio sedile, quello del passeggero. Il viso diafano rivolto verso il finestrino e gli occhi castani che scrutavano il paesaggio grigio e piovoso del Sachsen Anhalt. Nanna aveva 16anni e suo padre era morto quando lei ne aveva 11, subito dopo la nascita di Lory. Lei somigliava in tutto e per tutto a suo padre: i capelli neri e liscissimi, gli occhi castani e profondi, il naso sottile e dritto e le labbra carnose e bene in vista, come quelle di suo fratello. Il cappuccio nero della felpa le copriva la testa come suo solito e le cuffiette bianche dell'iPod riproducevano per l'ennisima volta Sometimes you can't make it on your own degli U2. Quella canzone la riconduceva sempre a suo padre. Nanna e Richard non avevano mai avuto un gran rapporto. Spesso litigavano ed erano in contrasto, ma una figlia non può non amare il proprio padre e quando lui se ne andò lei si sentì sprofondare.
Bono Vox aveva scritto quella stessa canzone per suo padre e Nanna si ritrovava in tutte quelle parole non dette ad un uomo che credevano entrambi di detestare quando invece era solo frustrazione nel non essere apprezzati.
Un sospiro rimase incastrato tra le sue labbra non appena Lory cantilenò, esausto:
 'Mammaaa... quanto manca?'.
Nanna sbuffò, si girò di scatto ed esclamò: 'Lory, vuoi finirla? E' la millesima volta che lo chiedi! Basta!'
'Ma sono stanco...'- mormorò col suo vocino squillante ormai lagnoso.
'Manca mezz'ora, ora smettila e stai buono.- rispose Nanna, ammonendolo. Il piccolo si rimise seduto sul sedile, imbronciato, tenendo le braccina conserte all'altezza del petto mentre con gli occhi inceneriva la sorella che tornava a guardare fuori dal finestrino, riprendendo il sospiro interrotto pochi istanti prima.

Le gocce continuavano a scivolare sul vetro della vettura. Alcune si fermavano e tremavano come piccole foglie ad ogni movimento, anche il più leggero, dell'auto, altre scivolavano lungo la superficie liscia e bagnata, rincorrendosi finché non si congiungevano fino ad diventare una goccia più grossa coagulando. Le vite delle persone sono gocce. Le persone si rincorrono, in un certo senso. E' il destino che le fa rincorrere e pian piano gli individui si immettono nelle scie degli altri e quando si raggiungono formano una goccia più grande. Coagulano in un unico elemento. E' il miscuglio di due vite che cambiano e si ingrossano incontrandosi. La vita è una goccia.  Erano questi i pensieri che correvano nella mente di Nanna mentre il paesaggio mutava: campi verdi erano punteggiati da gruppi ristretti di case e qualche capanno sparso qua e là. Loitsche era sempre più vicina.

Nanna sbuffò. Le era scocciato da morire dover lasciare Innsbruck solo per finire in quel posto schifoso. O meglio, che lei aveva catalogato come schifoso, sapendo che non avrebbe rivisto i suoi amici per un pezzo. Innsbruck era la sua città natale e nonostante non l'adorasse proprio, era la sua quotidianità e le sue abitudini erano incentrate in quel luogo. I cambiamenti non le erano mai piaciuti. Si chiese se avrebbe mai potuto fare amicizia con qualcuno in quel paesello di campagna di 679 anime. Si arrese e con un sospiro cacciò via i suoi pensieri, rinchiudendoli un cassetto della propria mente. Ci avrebbe fatto l'abitudine, sì.

Dopo circa otto ore di viaggio, uscirono dall'autostrada e percorso la statale. Poco dopo, il cartello di entrata a Loitsche si prostrò ai loro occhi. Era stato un viaggio stancante. Si erano dovuti fermare circa ogni ora e mezza a causa del mal d'auto di Lory e Petra non aveva dormito quella notte, per via dell'agitazione nel dover preparare le valigie e tutto il resto. Percorsero il paese in lungo e in largo alla ricerca della via giusta. Dopo una decina di minuti giunsero di fronte a un palazzo. Era uno di quei vecchi edifici tutti scrostati e fatiscenti con la vernice delle ringhiere sulle terrazze consumata, tanto che al di sotto si poteva notare il ferro arrugginito. Petra parcheggiò di fronte all'edificio. Spense il motore della Wolkswagen, sfilò la chiave dal cruscotto e scese dall'auto seguita dai due figli.  Pioveva ancora e infatti presto si ritrovarono zuppi d'acqua piovana.
-'Nan, aiutami a portare le valigie. Lory, tu prendi lo zainetto e questa scatola.' - Passò a Lory il suo zaino rosso e una scatola di cartone non tanto pesante dove all'interno erano contenuti i suoi giocattoli e i suoi libri. Il piccolo obbedì e iniziò ad avviarsi verso il palazzo con le braccine che sorreggevano a stento quella scatola. La linguetta rossa appoggiata al labbro inferiore, nello sforzo di trasportare il peso e a rallentarlo ci si mettevano pure i vestiti bagnati. Si fermò di fronte alla porta principale e posò a terra lo scatolone con uno sbuffo, borbottando: -'Com'è pesante...'- poi sistemò lo zainetto sulle spalle, armeggiando con le bretelle. 
Nanna si avvicinò alla madre che stava cercando di estrarre le valigie colme di vestiti e oggetti personali dal baule. Petra le passò la sua valigia e quella del fratello, poi mise in spalla il proprio zaino assieme ad una borsa a tracolla che pesava fin troppo anche per lei. Si diresse verso la porta barcollando a  causa di tutto quel peso da portare. Si fermò accanto al fratello e posò le due valigie a terra con un tonfo mentre aspettava che sua madre li raggiungesse. Petra giunse qualche minuto dopo con una valigia e uno scatolone piuttosto grande sotto braccio. Posò a terra la scatola con un sospiro poi si chinò verso il vaso della pianta che si trovava accanto all'ingresso ed estrasse un mazzetto di chiavi. Il padrone del loro appartamento aveva assegnato a Petra le istruzioni in una lettera qualche settimana prima. Gli avrebbe fatto trovare le chiavi all'ingresso e l'appartamento semi-arredato. La più piccola apriva la porta di ingresso. Petra inserì la chiave nella toppa, girò quattro volte verso destra e aprì la porta. L'interno del palazzo era in penombra. Le cinque finestre, una per ogni piano, proiettavano uno sprazzo di luce su ogni piano, dove i granelli di polvere fluttuavano nell'aria fredda. La tromba delle scale era in marmo e il corrimano era nero e di plastica, piuttosto squallido. Il pavimento era bianco e scivoloso e nel mezzo della tromba delle scale avevano costruito un ascensore.
Nanna e Lory si avviarono all'interno dell'atrio semibuio. Si guardarono attorno per cinque minuti buoni; l'odore della muffa pervadeva le loro narici. Arricciarono entrambi il naso e Lory starnutì più volte.
'Mi sa che ti sei preso un bel raffreddore.'- mormorò Petra, non appena sentì il figlio starnutire. 'Seguitemi, ragazzi.'- aggiunse mentre si avvicinava all'ascensore. Somigliava molto a un montacarichi. Il che rendeva tutto ancora più lugubre in quel palazzo.
Nanna rabbrividì non appena gli ingranaggi dell'ascensore cigolarono stridendo tra di loro, dopo che sua madre aveva premuto il pulsante per il piano terra. A Lory entusiasmava l'idea di utilizzare un ascensore come quello.  Poche volte nella sua vita aveva utilizzato un ascensore e l'idea di salire su uno di quei 'cosi' lo eccitava. La cabina raggiunse il pianoterra con un lieve tonfo che la fece rimbalzare.
Petra aprì la grata di metallo e poi spinse la porta di legno lucido con un vetro al centro. Entrarono tutti e tre, uno dopo l'altro, trasportando i vari bagagli. Lori andò ad appoggiarsi con la schiena contro la parete fredda a specchio, rimbalzando contro lo zainetto rosso. Nanna si appoggiò alla parete opposta, osservando il fratellino preso a ciondolare e Petra, caricando a fatica lo scatolone dentro la cabina, premette il pulsante per il quinto piano. Gli ingranaggi stridettero di nuovo, facendo fischiare le orecchie di Nanna, a quanto pare serviva una passata d'olio. In pochi istanti raggiunsero il quinto piano. Tutti e tre assieme scaricarono le valigie e gli scatoloni sul pianerottolo, poi Petra condusse i due figli verso la porta dell'appartamento.

All'esterno, il palazzo non prospettava niente di lussuoso ed entusiasmante e nemmeno la porta blindata di legno scuro con la maniglia di ottone arrugginita, ma Nanna cercava di essere positiva, nonostante schifasse tutto quanto con aria di superiorità. Innsbruck le mancava già troppo. Sebastian le mancava ancora di più. Era il suo migliore amico, quella parte di lei che le mancava e che in un certo senso la completava. Era il suo supporto morale e non le permetteva mai di crollare.  Adorava i suoi capelli biondi e le lentiggini che ricoprivano il suo viso.  Fu anche l'ultima persona che salutò prima di partire. Non aveva assolutamente voglia di lasciarlo, si abbracciarono per cinque minuti buoni, forse addirittura dieci, come se dovessero diventare uno parte dell'altra. Due appendici. Un click risvegliò Nanna dai suoi pensieri. Petra aveva inserito le chiavi dell'appartamento nella toppa e facendo scattare la serratura.
L'interno dell'appartamento era buio. Le tapparelle erano abbassate, così Nanna cercò a tastoni un interruttore scorrendo con la mano destra lungo il muro freddo e ruvido finchè le dita non fecero scattare una levetta e l'appartamento fu illuminato dalla luce soffusa e giallognola del lampadario moderno appeso al soffitto. Era un appartamento ampio, nonostante il salotto e la cucina fossero comunicanti; le pareti erano bianche e il pavimento era di marmo chiaro con le venature rosate. Nell'appartamento si congelava, per fortuna un camino era stato costruito sulla parete sinistra.
'Allora, vi piace?'- mormorò ad un tratto Petra, mentre Nanna si avvicinava al piano cottura di acciaio. 'Non male', pensò mentre Lory, esclamava: 'Fa freddo qui!'
'Accenderemo il camino appena riusciremo a procurarci della legna, ma il riscaldamento dovrebbe funzionare.'- si avvicinò al termostato e osservò la temperatura. In casa c'erano soltanto 17°. Petra regolò la temperatura e il termostato raggiunse i 22°.

Nanna afferrò la cintura della tapparella e tirò più volte, finchè la luce soffusa del sole, che iniziava a trasparire dalle nubi diradate, entrò nella stanza. Aprì la finestra e si affacciò al terrazzo dalla vernice scrostata. Appoggio i gomiti alla ringhiera consumata e si prese il mento tra le mani. Campi. Campi e ancora campi, si estendevano fino all'orizzonte e poteva notare. Nelle strade del paese aveva visto solo qualche vecchietto trascinarsi dietro il proprio bastone, camminando con passo lento e barcollante, e soliti quattro negozietti del fruttivendolo, del macellaio, la birreria e il supermercato. Wow, un supermercato in un buco di posto come quello.. 'Bella merda' , pensò. 'Con tutte le belle città di 'sto pianeta, proprio in un misero paese di campagna dovevo venire ad abitare, solo perché mamma ha deciso da un momento all'altro di trasferirsi, senza tanti perché e per come. Quanto mi manchi già, Seb.'. Sbuffò, emettendo un lieve mugolio di tristezza, senza essersi ancora accorta di quel 'poc poc poc' impertinente, proveniente dal basso. La vista dava sul cortile. Sul muro sopra ai garage era stato appeso un canestro e un ragazzo stava giocando. La palla rimbalzava sotto la sua mano magra e affusolata. Il polso fasciato da un polsino nero si muoveva ritmicamente e i pantaloni larghi frusciavano nella corsa. Raggiunse il canestro e piegando le ginocchia spiccò un salto centrando la retina col pallone rosso. Riafferrò il pallone e riprese la sua corsa verso l'altro lato del campo. I dread biondi raccolti nella coda, rimbalzavano sulle spalle. Nanna lo osservò con attenzione, facendo sporgere il bacino all'indietro. Sembrava carino. Il fisico asciutto e magro e il viso pulito. Probabilmente si sentì osservato perché il ragazzo portò lo sguardo verso l'alto, notando la figura snella di Nanna, poi riafferrò la palla sotto al palmo della mano, percorrendo nuovamente il campo. Prese la rincorsa palleggiando, allungò nuovamente il braccio sottile e piegò il polso, facendo di nuovo centro. La palla cadde a terra, rimbalzando in modo scostante, poi il ragazzo, sistemandosi il cappuccio, dopo essersi scrollato le mani dallo sporco del terreno bagnato, si girò in direzione del terrazzo della ragazza, guardando però dritto davanti a sè. Qualcuno doveva averlo chiamato, infatti rispose: 'Sì, Bill, arrivo.'. Lanciò un'ultima occhiata verso l'alto, prima di rientrare. La ragazza non c'era più.

                                                                          _____________

-Che c'è?- domandò il rasta al fratello, mentre rientrava dalla porta posteriore del palazzo. Bill lo aspettava sulla soglia. Era l'opposto di Tom. I capelli corvini con delle meches bionde ricadevano sulle spalle magre e un trucco pesante contornava i suoi occhi color nocciola, identici a quelli del gemello. Le unghie erano smaltate spesso e volentieri di nero. Era un concentrato di emozioni e malinconia cronica. La pelle era diafana, simile a porcellana. Indossava una maglietta aderente dei Green Day, come suo solito. I bracciali di pelle gli circondavano i polsi e tre collane vistose, d'argento, cadevano sul suo petto.
-Sai quel baule che abbiamo trovato in cantina?.. - mormorò, assottigliando lo sguardo con aria furba, gesticolando con le mani affusolate.
-Sì..- rispose il fratello, assottigliando lo sguardo a sua volta e annuendo col capo, poi mormorò, avendo già intuito le intenzioni del gemello. -No, non ti aiuterò ad aprirlo. Mamma ha detto che ci sono solo un sacco di cianfrusaglie al suo interno, sinceramente non sono interessato a impolverarmi i vestiti e poi in cantina ci sono i ragni e sai quanto io odi i ragni.-
Bill alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente, gonfiando le guance e poi esclamò, esasperato: -Dai, Tomi! C'è solo qualche ragnetto qua e là, ma non ti faranno niente.. Daaaai, ti prego..- e sfarfallò le ciglia in un modo che solo lui sapeva fare, mettendo le mani conserte accanto al viso come faceva quand'era piccolo per convincere i suoi  a comprargli qualcosa che desiderava con tutto se stesso.
Tom lo guardò scettico, poi si schiaffò una mano sulla fronte e assottigliando lo sguardo con aria minacciosa rispose:
-Io. In. Cantina. Non. Ci. Entro. Fine della storia.- disse irremovibile.
Bill ghignò e disse, alzando un sopracciglio: -Se entri in cantina con me, ti faccio conoscere la tua tanto desiderata Anja. Sai, l'ho conosciuta durante l'ora di arte. Si è messa vicino a me. Dice che le sto simpatico, il che è strano visto che mezza scuola mi odia. Mi ha chiesto se siamo gemelli.-
Tom assottigliò maggiormente lo sguardo e incenerì il fratello, mormorando tra i denti:
-Stronzetto che non sei altro. -
-Lo so, Tomi, lo so.-

  
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