Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
A Shame
For Us To Part
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Per assicurarsi del corretto
funzionamento di qualcosa, è necessaria una prova pratica sul campo.
Allo S.H.I.E.L.D. non è solo un
consiglio spassionato da zitella, né una qualche frasuccia da biscotti della
fortuna: è una regola non scritta, un comandamento disceso non dal Monte Sinai,
bensì direttamente dagli uffici del Direttore Fury –Il valore sacrale,
quantomeno, è lo stesso.
Lo schermo di quella stanzetta
lontana da ogni cosa, infossata nei meandri più nascosti della base, è stato
programmato per trasmettere chiaramente dalle profondità del regno di Namor, ma
Coulson non si scompone più di tanto di fronte alla nitidezza dell’immagine.
Forse dovrebbe, in realtà.
Forse dovrebbe lasciare che un
sorriso soddisfatto emerga ad addolcirgli l’espressione tesa –In fondo, a gran
parte del progetto ha partecipato lui stesso-, forse dovrebbe dire qualcosa, ma
c’è così tanto silenzio nella stanza oltre i cristalli liquidi da sentirlo
riverberare dentro di sé come l’eco d’un boato, una deflagrazione muta, dirompente,
capace di far tremare le costole e far crollare le fondamenta del cuore.
Lo sguardo di Phil scivola a
contemplare la fronte del corpo appoggiato sul lettino asettico, la piega della
bocca indurita dal rigor mortis; c’è
una crosta di sangue secco a graffiare il labbro inferiore e cerchi lividi
sotto le orbite, rigonfiamenti bombati contro la pelle sottile, incartapecorita,
addirittura trasparente.
Lo hanno vestito con la divisa
d’ordinanza e così infagottato fa quasi
impressione: hanno tolto la trasmittente, ovvio, e le mani sono intrecciate
poco al di sotto del torace; lo hanno pulito dalla testa ai piedi, tanto che
sembra brillare d’un bagliore liquido, inanimato, plastico al morso candido dei neon -È tutto così perfettamente
naturale che Coulson avverte il sapore metallico della nausea macchiargli
crudele la lingua: perché nessuno si accorge della linea errata delle
sopracciglia? Della piega storta della mascella? Della mandibola fin troppo
molle, del mento fin troppo sfuggente, degli occhi fin troppo infossati? Non c’è
traccia di rughe, su quel volto. Dove la fossetta della guancia sinistra e
quella sotto le narici? Dove la fede? Perché, perché nessuno si è accorto che
manca la fede? Non se ne sarebbe mai separato, allo S.H.I.E.L.D. sanno il
valore intrinseco di quell’anellino. Eppure…Eppure.
Il
piano ha funzionato,
s’impone di pensare, E’ questo l’importante.
Fury non ha mai nutrito dubbi in merito –Lui, invece, ha continuato sperare il
contrario, in uno stucchevole moto di egoismo che non credeva potesse essergli
proprio. Così tante cose non funzionano, di quel corpo. Tasselli sbeccati,
angolazioni imperfette, bieca e fallace imitazione…Non può funzionare. Non può.
Non deve.
Ma quando, dietro lo schermo,
l’Agente Barton crolla in ginocchio sulle piastrelle grigio-verdi della camera
mortuaria e copre le mani della salma con le proprie e appoggia la fronte sulle
nocche e le spalle hanno un unico, straziante singulto, quando vede la
disperazione irrorargli la schiena curva e sbiancargli le tempie, Phil Coulson è
costretto ad ammettere con gelida, oggettiva e apatica professionalità che il
Life Model Decoy non avrebbe potuto funzionare meglio di così.
Note
Finali