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Autore: LittleWriter98    22/08/2013    3 recensioni
Lei aveva alzato lo sguardo, sorpresa.
«Te l’hanno mai detto perché esiste l’amore?»
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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L’amore, più dell’odio

 
 

A Giulia, perché anche lei possa essere ritrovata dal suo Roberto

 
 
Erano seduti su una panchina, lui e lei, in silenzio. Non c’era nessuno, a quell’ora. Gli studenti erano ormai tutti andati via, gli ultimi ritardatari – perlopiù, bambini delle elementari che giocavano a rincorrersi – erano rientrati a casa, attirati dalle leccornie della mamma, e spinti dai richiami del papà. Appoggiati ai palazzi c’erano le biciclette consumate dei ragazzi più grandi, che sarebbero usciti di nuovo di lì a poco, con le labbra ancora sporche di sugo e la maglia cosparsa di briciole.
Simona e Roberto, però, erano lì, su quella panchina, noncuranti della fame, della stanchezza e del fatto che probabilmente il prossimo autobus per tornare a casa ci sarebbe stato solo quella sera.
 
Erano seduti su una panchina, lui e lei, agli estremi. Non parlavano, neanche si guardavano, ma ognuno pensava a ciò che avrebbe voluto dire all’altro. Si sarebbe potuto udire il ronzio dei cervelli, per quanto vorticavano di pensieri. Dalle finestre aperte si udivano i rumori tipici dell’ora di pranzo: stralci di conversazione, forchette cadute per terra, bambini che schioccavano la lingua contro il palato, contenti di quell’ottimo pranzo che la loro mammina, o a volta la cara nonna, aveva preparato con tanto, tanto amore.
Simona e Roberto, però, erano lì, su quella panchina, a domandarsi se sarebbe mai arrivato il loro momento, se sarebbero riusciti o no a dar voce ai loro pensieri, ai loro desideri.
 
Erano seduti su una panchina, lui e lei, come sconosciuti. In realtà si conoscevano bene, ma tu non l’avresti mai detto, guardandoli. Lei si arricciava una ciocca, rendendola ancora più riccia di quanto non fosse già, lui sfilava e inforcava gli occhiali, quasi fossero una cosa superflua. L’aria portava il profumo del pomodoro fresco, l’odore forte del parmigiano stagionato, la sensazione calda e accogliente di una famiglia che ti vuole bene, di qualcuno che ti ama.
Simona e Roberto, però, erano lì, su quella panchina, e non sapevano se avrebbero mai trovato l’amore.
 
«Una volta anche io portavo gli occhiali», azzardò lei.
Silenzio.
Si rintanò nel suo angolino di panchina, a maledirsi per ciò che aveva fatto, per ciò che aveva osato.
Era stata una stupida, solo quello.
 
«Una volta anche io portavo gli occhiali». Era questo che le aveva detto, con la voce tremante di chi teme di disturbare.
Lui era rimasto zitto, folgorato da quella voce, da quella melodia.
Lei doveva aver interpretato male il suo silenzio, si era nascosta ancora di più di quanto non fosse già. Non era questo, ciò che Roberto desiderava.
 
Passarono i secondi, i minuti, e fino ad allora lui non aveva aperto bocca. Avrebbe fatto meglio ad andarsene? Questo si domandava, ansiosa, Simona.
“Ma lui mi fermerà, se andrò via? Si volterà a guardarmi, mi afferrerà il polso, come fanno nei film?”. Desiderava scoprirlo, ma non si azzardava a muoversi.
 
Lui invece pensava, mentre imperterrito muoveva le labbra, velocissimo, come se stesse pregando. Simona lo guardò sottecchi, e la curiosità le dipinse il volto, quando lo vide muovere le labbra a quel modo.
«Sto contando», rispose Roberto alla sua tacita domanda.
 
«Sto contando», le aveva detto lui. Le era sembrata la cosa più banale e meravigliosa del mondo. Banale, perché era infantile. Meravigliosa, perché la stava facendo lui. E tutto ciò che faceva lui era perfetto e meraviglioso.
«Cosa conti?»
«Conto tutti gli errori che ho fatto con te».
Lei era mortificata.
 
«Conto tutti gli errori che ho fatto con te», le aveva detto. E aveva ottenuto il suo scopo, aveva ottenuto l’effetto che voleva: l’aveva fatta sentire in colpa.
Era arrabbiato, Roberto, era arrabbiato come non mai. Aveva sofferto tanto, lui, e ora anche lei avrebbe dovuto soffrire.
Si odiò un secondo dopo che questo pensiero si formò nel suo cervello. Non avrebbe potuto mai odiarla, no. Perché lui l’amava.
«Mi odi, vero?»
Lui si era limitato a sorridere, stanco. Dopo un po’ rispose:
«Il confine tra l’odio e l’amore è così sottile».
 
«Il confine tra l’odio e l’amore è così sottile». È così che le aveva risposto. Spiazzandola.
Se prima aveva una remota idea di cosa pensare, ora non ce l’aveva neanche più.
“E ora cosa gli rispondo?”.
«Mi dispiace, Rob, sono una persona orribile», gli aveva detto, quasi piangendo. Aveva avuto la sua occasione, l’aveva sprecata. E questo bruciava tutto, bruciava il cuore, bruciava l’anima, bruciava gli occhi e bruciava le guance. Era una lacrima, una sola e unica lacrima, che cadeva bollente sul suo viso, irrigando la pelle secca e mostrando al mondo tutto il suo dolore.
 
«Mi dispiace, Rob, sono una persona orribile», gli aveva chiesto. E aveva pianto subito dopo. Un’unica goccia di cristallo era stillata dai suoi occhi, e lui ne aveva seguito il percorso con gli occhi, bloccandola prima che le bagnasse il collo.
Lei aveva alzato lo sguardo, sorpresa.
«Te l’hanno mai detto perché esiste l’amore?»
 
«Te l’hanno mai detto perché esiste l’amore?», le aveva detto. Il punto dove il suo dito l’aveva toccata bruciava ancora, come se fosse stato bollente; bruciava più di quanto non avesse bruciato mai. E ora Simona era sicura di amarlo davvero.
«No», fu l’unica parola che pronunciò.
«L’amore esiste perché dobbiamo vedere che in realtà siamo migliori di quanto pensiamo», ebbe come risposta.
 
«L’amore esiste perché dobbiamo vedere che in realtà siamo migliori di quanto pensiamo», le aveva sussurrato all’orecchio, dopo essersi avvicinato a lei «E io non mi stancherò mai di farti vedere quanto tu sei meravigliosa».
Lei era rimasta stupita di nuovo, poi, timidamente, gli aveva preso la mano.
«Promettimi che non la staccherai mai dalla mia», l’aveva implorato.
Lui, sorridendo, l’aveva stretta ancora più forte. Lei aveva rabbrividito.
«Ora che ti ho ritrovata, non ti lascio più andare via».
   
 
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