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Autore: Portman98    22/08/2013    0 recensioni
Cosa succederebbe se la realtà in cui viviamo fosse completamente capovolta? La riusciremmo ad accettare oppure impazziremmo? Ma se in gioco ci fosse un bene più grande...
Stavolta per sconfiggere il loro nemico le guerriere Sailor dovranno oltrepassare non solo il tempo e lo spazio, ma la loro stessa realtà!
Riusciranno a superare e conoscere i loro lati "oscuri"? Sopravvivranno gli amori, le amicizie, oppure tutto si perderà nella pioggia?
Questa è la prima fanfiction che scrivo, per cui abbiate pietà... nasce da un'idea comica, ispirata ovviamente da Heles, però spero che questa storia mantenga almeno un po' di quella suspance, di quel romanticismo e di quell'avventura che rendono il manga insuperabile.
Spero vi piaccia...
P. S. Le recensioni sono ben accette, aiutatemi a migliorare.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Un po' tutti, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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Ciao, ecco un nuovo capitolo di questa fanfiction, spero vi piaccia!! Vi ringrazio per avermi seguito fino a questo punto, forse fino ad ora la storia non ha avuto un gran che di trama verticale, infatti i capitoli precedenti sono stati improntati per di più sulla presentazione dei personaggi nel mondo parallelo, ma da questo capitolo si prepara una svolta decisiva, che finalmente farà continuare più velocemente la storia!!
Fatemi sapere la vostra opinione su questo capitolo, per me è molto importante:)
Detto ciò, non mi resta che augurarvi buona lettura!!

Capitolo VI. Le verità nascoste
Mondo reale
2 giorni dopo
pomeriggio
Aveva smesso di piovere da qualche ora e solo un leggero vento smuoveva gli alberi dal loro riposo immoto, le foglie imperlate, abbandonavano ancora qualche piccola gocciolina al terreno, che beveva avido di quell’acqua purificatrice. Il cielo era senza stelle, ormai non si riusciva a distinguere più nemmeno il grigiore delle nubi, inabissate nell’oscurità. L’unica cosa che scandiva il tempo in quella notte irreale era il moto regolare della porta della sala d’attesa, si apriva e si richiudeva in continuazione ed, ogni volta, un pezzetto di quell’aria satura di attese s’infiltrava nella mente di Rea. Ogni vita che usciva o entrava, trascinava dietro di se il suo greve carico d’emozioni, che investiva la ragazza, come una sorta di anticipazione del destino.
Non era mai stata il tipo che aveva paura degli ospedali, nemmeno da bambina si era mai lasciata intimorire da aghi o infermiere, mentre adesso si scopriva ad avere paura delle persone.
Ripensò alla chiamata di Marzio, pochi giorni prima, la sua voce colma d’ansia l’aveva chiamata, aveva cercato il suo aiuto e lei non l’aveva tradito. Non avrebbe potuto, così come non avrebbe potuto tradire Bunny.
Per molto tempo erano state solo loro tre, lei, Bunny ed Amy, la loro amicizia portava i segni indissolubili di tante battaglie combattute insieme. Era in quel modo, tra risate e battibecchi, che lentamente si erano avvicinate alle persone che erano ora. Poi, si erano aggiunte le altre, come i pezzi mancanti di un mosaico, avevano trovato il loro posto nel gruppo, ciascuna di loro aveva levigato i propri spigoli per comporre quell’armonia, tanto precaria, ma allo stesso tempo solida, come l’amicizia che le legava. Tuttavia, non si potevano cancellare il suono di innumerevoli giornate trascorse nello stesso luogo, con le stesse idee per la testa, a combattere contro gli stessi nemici.
Così Rea aveva corso, l’unico pensiero la linea bianca del marciapiede che scorreva accanto ai suoi passi. Si era concentrata unicamente sulla strada, non aveva distolto l’attenzione neanche per un istante, sarebbe stato fatale. Ogni svolta, ogni semaforo, un ricordo, un frammento di quella felicità che stava per perdersi nel passato. Meglio chiudere gli occhi, ignorare, badare solo alla strada. Così era sopravvissuta sino all’ingresso del Tokyo Hospital, scacciando i sentimenti che poi, erano esondati a fiotti dal suo cuore, sommergendola. Nei visi della gente, nei loro gesti, rivedeva le sue speranze, le sue paure, ogni cosa in quel posto emanava un insopportabile riverbero di dolore, persino l’aria ne era satura. Non avrebbe potuto reggere ancora quel miscuglio di emozioni che penetrava da ogni spiraglio che la porta apriva sull’ospedale.
Quindi se ne stava là, immobile a fissare la porta, l’ombrello scarlatto ancora stretto nella mano tremante. Così il dolore era sopportabile, a piccole dosi, niente di esplicito, di definitivo, navigava nell’ignoranza cosicché nessuna verità le avesse potuto strappare il suo mondo.
Dei passi alle sue spalle, chiuse gli occhi, si concentrò sulla calma di quei passi, cercò di estrarvi il coraggio, la forza, qualsiasi cosa che l’avesse aiutata a entrare.
Una mano smaltata di verde si posò sulla sua spalla, un tocco lieve, quasi timido, l’eco di un contatto inusuale.
- Rea – nel tono di Sidjia s’intuiva una nota d’incertezza che non aveva mai avvertito. L’insicurezza era insolita per la guerriera di Plutone, gli eventi degli ultimi giorni erano riusciti ad intaccare persino lei…
- Rea – ripeté ancora con minore cautela. La ragazza si girò lentamente, gli occhi scuri delle due s’incontrarono per qualche secondo. Ecco un segno, il coraggio che cercava! Strano che le pervenisse proprio dalla misteriosa regina degli inferi, loro due non si erano mai conosciute veramente, i binari delle loro vite non si erano mai incontrati, solo qualche sporadica parola, qualche sguardo, niente di memorabile. Sapevano l’una dell’altra solo ciò che riguardava il loro lavoro, ma per il resto era esclusa ogni sorta di personalismi, e il fatto che fossero entrambe partecipi dello stesso grande segreto non bastava a fare di loro due amiche, tuttavia spesso i giochi del fato, ci legano proprio a chi proprio non ci aspetteremmo, e questo era il caso di Rea e Sidjia.
- Entriamo – propose la donna con un sorriso forzato, i capelli verdi, lucidi di pioggia mandavano bagliori fuggenti sotto la luce dei lampioni.
- Si, entriamo – assentì Rea con una decisione che non sentiva.
Si avventurarono in silenzio per un dedalo di corridoi illuminati da fredde lampadine al neon, sino a raggiungere la stanza di Bunny. Le accolse la figura allampanata di Marzio, le spalle curve, la testa poggiata contro la finestra esterna, i suoi occhi infossati frugavano la camera in cerca di qualche traccia di un passato lontano.
- Marzio – lo riscosse cautamente Rea. Alla loro vista, sul viso del ragazzo baluginò un sorriso fioco, la barba, solitamente rasata, cresceva incolta, aveva gli occhi arrossati di chi non ha dormito e, dal suo viso traspariva un’età che non aveva.
- Come sta? – domandò Sidjia, la sua voce era moderata e impassibile, ma il suo sguardo tradiva la sua preoccupazione.
- Fisicamente bene, ma è ancora disorientata. I medici non vogliono che nessuno la veda, dicono che la confonda, ma tanto ormai… - il sorriso di Marzio si fece amaro, come quello di chi, svegliatosi da un brutto sogno, scopre che la verità è ben diversa – Non so cosa sia successo su quell’incrocio, so solo che Bunny non è più la stessa – concluse poi con un sospiro di risentimento.
- Vedrai starà meglio – tentò di rassicurarlo Sidjia, ma le sue parole caddero nel vuoto dell’ovvietà.
Rea non gli ascoltava, continuava a rimuginare su quell’unica domanda che da due giorni non la abbandonava la sua mente.
- E se… - azzardò d’un tratto interrompendo quella cortesia atona che si protraeva ormai da troppi minuti.
– E se quello che è successo a Bunny non fosse stato un banale incidente? – terminò poi più decisa. I due si girarono stupefatti verso di lei. - Stai dicendo che sono stati i nostri nemici a ridurla così? – chiese Marzio incredulo – No, questo non potrei sopportarlo, sarebbe il colmo – il ragazzo scoppiò in una risata isterica, del tutto priva di gusto.
Dopo pochi istanti si ricompose – Lo credi davvero? – domandò serio. Rea si sentiva in soggezione davanti a quegli occhi così apprensivi, sapeva che le sue affermazioni non erano leggere, tuttavia si fece forza e parlò: - Prima che tu mi chiamassi, stavo meditando e… e ho avuto una rivelazione, dal fuoco. Parlava di un muro, un muro tra le Sailor, all’inizio ho creduto che fosse… – di colpo s’interruppe, mentre i dubbi su Marta ritornavano pressanti ad infiltrarsi tra i suoi pensieri – Ho creduto… non fa niente… – Ora ho capito che potrebbe essere questo il muro: lo stato in cui è ridotta Bunny, la mancanza della principessa – concluse esitante, il suo cuore fremeva d’agitazione mentre spiava le reazioni di Marzio. Mutismo, nient’altro. L’unico rumore che turbava la quiete del corridoio, era il tamburellare delle dita di Sidjia contro il muro.
- Solo una persona può dircelo! – proruppe la donna, interrompendo il movimento all’improvviso  – Galaxia! -
Mondo parallelo
1 giorno dopo
mattina
Il trillo di un telefono fendeva l’aria indisturbato, nessuna mano accorreva alla cornetta per fermarlo. La stanza era avvolta da un gradevole profumo di limoni e lungo tutto il perimetro, accanto ad ogni sedia, erano posizionati dei graziosi tavolini di cristallo, sormontati da vasi di orchidee bianche. Incorniciate sulle pareti, giacevano immortalate le caratteristiche viuzze di Venezia, affiancate dall’imponenza del Golden Gate e della Statua della libertà, sotto ogni foto risplendeva lo slogan “ Galaxia Trip, i tuoi orizzonti oltre le stelle!”, una proposta un tantino ambiziosa per un’agenzia di viaggi, ma tuttavia efficace, quello di Galaxia infatti era uno dei marchi qualità più richiesti del Giappone.
Sidjia sospirò, gettando uno sguardo rassegnato alle foto davanti a lei, amava l’avventura e, una volta lasciata la polizia, si riprometteva di girare l’Europa intera, ma sapeva che quello sarebbe rimasto un vago sogno, per lei, infatti, il suo lavoro era tutto, e non l’avrebbe mai abbandonato per uno stupido viaggio. Tuttavia le piaceva crogiolarsi in quella piacevole idea, chissà… un giorno magari, dopotutto non si poteva mai dire mai nella vita.
Ma non era l’Europa il motivo che l’aveva portata in quella sala d’aspetto, seduta, con il cuore grave di sentimenti a toglierle il respiro, non erano nemmeno le indagini, anche se Sidjia avrebbe preferito, semplicemente motivi personali.
Aveva visto lacrime e rabbia succedersi sui volti di imputati e parenti, dalle sue labbra, migliaia di scomode verità avevano raggiunto vite inconsapevoli, aveva imparato a proteggersi, a rimanere imperturbabile di fronte a qualunque emozione e, ormai, era convinta di riuscire a sopportare tutto. Tuttavia, con gli amici era diverso, non c’era quel muro di freddezza, innalzato dalla mancata conoscenza, quella distinzione netta tra i ruoli, divise e distintivi non contavano niente, e per di più subentravano i pregiudizi e la delusione, nemici non indifferenti che si scatenavano spesso contro i messaggeri e non nei confronti dei diretti interessati. Insomma, sbagliava chi s’illudeva che agli amici si potesse raccontare tutto, o almeno così la pensava Sidjia.
Il viso di Seya sbucò da dietro una porta di legno scuro, le sue labbra si aprirono in un grosso sorriso mentre le andava incontro a braccia spalancate – Però! il commissario di polizia si degna di passare per una visita – disse ridendo mentre la stringeva in un caloroso abbraccio.
Si conoscevano sin da bambini, Sidjia ricordava poco del loro primo incontro, solo un ragazzino smilzo che avanzava timidamente verso di lei, nascosta dietro la schiena di suo nonno. Doveva essere stato il giorno dell’apertura dell’orfanotrofio, fasti, luci, colori, suo nonno aveva dedicato la sua vita a quel progetto, e pensare che ora la struttura giaceva abbandonata ai margini della città, offrendo rifugio solamente ai topi.
Quel giorno c’era anche Milena, Sidjia aveva un’immagine abbastanza vivida di quella bambina ribelle costretta in un abitino a quadrettini rosa, sorrise lievemente a quel ricordo, che tuttavia la riporto all’infelice motivo della sua visita.
- Seya, ti posso parlare? – esordì il commissario – in privato – disse poi con qualche esitazione.
- Certo, andiamo nel mio ufficio – assentì lui, apparentemente non turbato dall’espressione improvvisamente seria della sua interlocutrice – Vieni, è da questa parte – le spiegò aprendo la porta su un lungo corridoio, dove si affacciavano una fila di porte in vetro – Ultimamente ho ottenuto un ufficio più grande, Galaxia pensava che il mio vecchio non fosse abbastanza spazioso, dice che sarei soffocato – continuò con una risata entusiasta – Sai, è il capo migliore che ci sia, cortese, generosa, alcuni colleghi le hanno chiesto una settimana di ferie e pensa, lei gliene ha concesse addirittura due e, nonostante tutto, la sua agenzia è una delle prime del paese! –
- Fantastico – interloquì il commissario senza convinzione.
Entrarono in un ampia stanza e Seya si sedette dietro ad una scrivania ingombra di fogli di prenotazioni.
- Alcuni pensano il suo successo sia dovuto a poteri magici, ma io non ci credo, dopotutto la gente ama le agenzie dove i dipendenti sono felici – le raccontò ancora, facendola accomodare su una comoda poltroncina di pelle. Sidjia annuiva distratta, i suoi occhi erravano tra le varie cifre delle offerte sul muro, cercando di ritardare il più possibile il momento della verità.
- Sei tornato a casa ieri sera? – lo interruppe di colpo.
Seya aggrottò la fronte, allarmato dal tono grave della vecchia amica – Ho avuto da fare qui ultimamente con le scartoffie, ma sono riuscito a tornare, anche se tardi – rispose titubante – Perché? C’è qualcosa che dovrei sapere? – mentre piccole rughe di preoccupazione si facevano strada sul suo volto solare.
Sidjia si fece scura in volto, ancora una volta una scomoda verità sarebbe uscita dalle sue labbra – Ieri ho conosciuto la tua ragazza – iniziò, la voce che si aggrappava disperatamente alla calma del suo addestramento.
- Oh, Heles – assentì Seya rammaricato – Ultimamente non le sto dedicando molta attenzione –
- Proprio a questo proposito… – ricominciò il commissario.
- Ti ha per caso detto qualcosa? – domandò Seya spaventato.
- No, no, non sapeva nemmeno che io e te ci conoscessimo – lo tranquillizzò lei.
- Oh, meno male, non sopporterei di renderla infelice – sospirò sollevato.
- Certo – acconsentì la donna, in quel momento si sentiva un verme, perché doveva essere lei a rovinare la felicità di un amico?
Il profumo di limoni si era fatto assuefante, distolse lo sguardo dal suo interlocutore, non poteva affrontare direttamente la gioia inconsapevole che gli illuminava gli occhi.
- Seya, ieri ho incontrato Heles in periferia, mi ha chiesto di accompagnarla al carcere – riprese Sidjia con la voce incrinata.
- Al carcere? – domandò il ragazzo confuso.
- Doveva vedere una persona, doveva vedere Milena – fece una pausa, saggiando le reazioni di Seya, sbalordimento per lo più.
- Ma loro non si conoscono, non hanno mai avuto niente a che fare, appartengono a due mondi diversi – provò a ribattere Seya incredulo.
Sidjia chiuse gli occhi e prese coraggio - A quanto pare si conoscevano abbastanza bene – continuò odiandosi profondamente, forse stava per distruggere una coppia serena, ma qualcuno doveva avvertire Seya!
– Le ho viste in atteggiamento abbastanza… -  si fermò per cercare la parola adatta – intimo– concluse alla fine. Quelle parole piombarono nell’aria come macigni, aleggiando attorno a loro come presagi di un’imminente rottura.
- Cosa mi stai dicendo, Sidjia? Cosa mi stai dicendo? – la sua domanda aveva il suono di una supplica, ma Sidjia non la poteva accogliere, non se questo significava negare ciò che aveva visto – Mi spiace Seya – ribatté alzandosi dalla sedia. Le gambe le tremavano, ma le permisero ugualmente di raggiungere la porta, di fuggire da quel bacio, dal dolore del suo vecchio amico, da quel tradimento che aleggiava implacabile su tutto.
Finalmente uscì all’aria aperta, si sentiva soffocare. Si chinò sul marciapiede, le mani sul petto, la stanchezza di una vita che le crollava addosso, sulle labbra ancora il sapore della delusione del suo amico.
- Basta – implorò tra le lacrime – Basta! -
  
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