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Autore: _hayato    22/08/2013    1 recensioni
Il ragazzo aveva decisamente una scarsissima conoscenza dell'inconscio femminile, i cui comportamenti gli risultavano estranei come avrebbero potuto esserlo quelli di qualche strana specie animale nella parte più sperduta del Sudafrica. Nonostante questo, però, era abbastanza sicuro che una ragazza qualsiasi non avrebbe richiuso e messo da parte con una calma febbrile il libro che stava leggendo, per poi iniziare a lanciargli addosso con una forza a dir poco brutale tutti i libri che erano finiti per terra. Probabilmente, una reazione simile, non se la sarebbe aspettata proprio da nessuno.
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Doveva essere abituata ad essere trattata alla stregua di una schiava, si disse, perché le sue domande sembravano quasi preghiere.
- Smettila di comportarti come una bestia ferita – disse seccato. Fu solo allora che rivide davvero la ragazza che stava rintanata in mezzo ai libri di quel tugurio. Leah infatti accennò un sorriso e si arrampicò sul letto, per poi piazzarsi tranquillamente sotto le coperte accanto a lui. Decise di interrompere quel fastidioso silenzio per riportare la situazione alla normalità. Come se poi ci fosse qualcosa di normale nello stare in un letto con una prostituta a parlare.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Titolo: My getaway

Genere: Romance, ma credo che verso la fine ci piazzerò un po' di gore

Avvertimenti e note dell'autore: Il titolo è brutto, e lo saranno anche i titoli di tutti i capitoli, quindi abituatevi. Se non lo avete capito, la donna in questione è Leo. Il mio stile è cambiato all'improvviso. Wow. Non so se essere felice o cosa, comunque mi fa strano. Scusate se il capitolo è un po' lungo, gli altri probabilmente non lo saranno. Il resto lo scrivo sotto kay-

 

 

Elliot si calò meglio sulla fronte il berretto grigio, cercando quasi di infilarci dentro tutto il viso.

Doveva risultare totalmente irriconoscibile. Se solo un conoscente, magari qualche duca che si trovava a passeggiare per quelle strade affollate per puro caso, avesse scoperto la sua identità, ci avrebbe rimesso l'onore, la faccia e la dignità. Sarebbe stata una vergogna per la sua famiglia se si fosse scoperto che il promettente figlio minore di una casata ducale importante come lo era quella dei Nightray girovagava per i sobborghi di Londra vestito come un ragazzaccio di strada. Per non parlare della ramanzina aggiuntiva che gli avrebbe fatto suo padre se fosse venuto a sapere che, oltretutto, si trovava in compagnia di Oz Vessalius. Che poi, che diavolo ci faceva, lui, con Oz? Non lo aveva mai sopportato e, in più, la sua famiglia nutriva per i Vessalius la stessa simpatia che un qualsiasi essere umano sano di mente provava per l'arsenico. Peccato che, nonostante tutta quella palese avversione, il ragazzo provasse per lui una sorta di ostinata simpatia e non facesse altro che cercare la sua amicizia (tutto se, per amicizia, si intendesse l'acconsentire alla perenne e più stressante persecuzione). Quello era, principalmente, il motivo per cui il Nightray era costretto a passare buona parte del suo tempo con lui, oltre al fatto che, nonostante non lo avrebbe mai e poi mai ammesso, preferiva decisamente la presenza di quel beota fastidioso ma sincero rispetto allo stuolo di ragazzi senza la minima personalità che elemosinavano la sua amicizia pur di veder salire il proprio stato sociale o rendere noto il proprio nome. Quel genere di persone sì che gli faceva saltare i nervi. Non che Oz avesse chissà quale spiccata personalità, ma almeno era nei limiti dell'accettabile. E poi, a modo suo, riusciva a rendere quelle giornate – che a Elliot, nei suoi diciott'anni compiuti tra poco, sembravano interminabili – sempre diverse e stranamente piacevoli. Certo, tutto questo quando non se ne usciva fuori con pensate assurde. Come il farsi prestare i vestiti del paggio e girare allegramente per vicoli puzzolenti e sconosciuti senza un effettivo movente aggiunse mentalmente, lisciando il grezzo tessuto della giacca che aveva indosso. Il servo che glie l'aveva prestata aveva la sua stessa età, ma un fisico un po' troppo minuto rispetto al suo, per cui gli calzava abbastanza stretta, facendolo sembrare più imponente di quanto già fosse. Non che a Elliot dispiacesse, certo, ma essendo abituato ad abiti cuciti su misura, quella piccola differenza di taglia lo soffocava un po'. Oz, accanto a lui, trotterellava allegro, guardandosi intorno con uno stupore tale da far dedurre che in quel suo piccolo cervellino si trovasse in chissà quale nuovo mondo fantastico.

- Almeno hai la minima idea di dove stiamo andando? - gli chiese innervosito. Quell'idea non gli piaceva affatto. Il Vessalius gli rispose con un gesto noncurante della mano, come a dirgli di non preoccuparsi. Il che significava che, no, non aveva la minima idea di dove stessero andando e si sarebbero trovati a chiedere informazione a qualche barbone. Sospirò esasperato e continuò a camminare, scrutando ogni tanto i passanti con la nevrotica angoscia di incrociare gli sguardi di qualche conoscente. O magari di qualche malvivente che li avrebbe riconosciuti e derubati, che effettivamente sarebbe stato anche peggio. Istintivamente la mano corse ai soldi che aveva in tasca. Non erano molti, giusto qualche sterlina in caso di emergenza, ma il semplice fatto di avere del denaro con sé gli dava l'impressione di camminare urlando “derubatemi”. No, quella era decisamente un'esperienza da non ripetere.

Quando passarono davanti alla polverosa vetrina di un negozio d'antiquariato, Oz sembrò improvvisamente ridestarsi... o sprofondare ancora di più nella sua allegra ed infantile visione del mondo, dato che incollò il viso al vetro lercio per sbirciare la merce esposta in negozio, per poi costringerlo ad entrarvi. Elliot storse impulsivamente il naso nel sentire il lieve odore di marciume che aleggiava nel negozio, così come il vedere il totale stato di decadenza del locale.

- Mi spieghi cosa dovremmo fare in un luogo come questo? - chiese infastidito. Come sempre, Oz non rispose e trotterellò verso un angolo del negozio, dove erano esposti dei vecchi e impolverati orologi da taschino. Sospirò e si limitò a guardarsi attorno, studiando meglio la merce esposta nel negozio, che sembrava più decadente ogni secondo che lo guardava. Il locale era abbastanza piccolo e dal soffitto fin troppo basso, la vernice – ingrigita al punto di rendere impossibile capirne il colore originale – era scrostata dal muro in vari punti, e si staccava a pezzi dal soffitto lì dove vi erano macchie dovute all'umidità. Le assi del pavimento scricchiolavano sotto i piedi in un modo decisamente poco rassicurante ed in alcuni punti avevano addirittura ceduto, come si poteva vedere dalle varie voragini nel pavimento. Persino il proprietario, un uomo anziano vestito con abiti scoloriti che sonnecchiava appoggiato al bancone, ispirava uno strano senso di decadenza. La merce in vendita consisteva in qualche vecchio quadro scurito dall'umidità e cianfrusaglie inutili come paia di occhiali usati, argenteria rovinata e qualche gioiello, il tutto ricoperto da strati di polvere e sporcizia. Gran parte del negozio era tappezzata di libri, sistemati senza criterio su scaffali impolverati o impilati un po' ovunque.

Fu allora che Elliot si accorse che lui ed Oz non erano gli unici clienti. Guardando bene infatti, riuscì a scorgere in un angolo una figura con un cespuglio di capelli corvini in testa praticamente seppellita in mezzo a pile e pile di libri. Curioso riguardo al tipo di mentecatto che potesse frequentare un posto come quello, gli si avvicinò, mentre il Vessalius rovistava ancora tra la robaccia. Guardandolo meglio, capì che si trattava di un ragazzo della sua età, magro come se ne vedevano tanti in giro, con addosso i soliti vestiti logori ed un paio di grandi occhiali a coprirgli il viso, lì dove non ci riusciva la lunga frangia spettinata. Stringeva tra le mani un grosso libro dalla copertura logora e le pagine ingiallite che scricchiolavano ogni volta che venivano voltate da quelle dita sottili. Il biondo non riuscì a fare a meno di provare ulteriore interesse nei suoi confronti, arrivando persino a sederglisi accanto. Tentò di fargli notare la sua presenza con un colpo di tosse, ma il ragazzo non diede segno di essersene accorto e continuò a leggere in tutta tranquillità senza emettere suono. Provò quindi a dare una sbirciata al libro che stava leggendo, chiedendosi di quale grande storia potesse trattarsi se assorbiva a tal punto quell'insolito lettore, ma il ragazzo chiuse di scatto il libro e si voltò verso di lui, facendo svolazzare anche i capelli che gli crescevano sul viso che, a causa della vicinanza, colpirono gli occhi di Elliot come una frustata.

- Sta' attento! - sbottò, trattenendo a stento un'imprecazione. Il moro, di tutta risposta, sfoggiò un sorrisetto soddisfatto.

- La prossima volta ci penserai sopra, prima di metterti a fare il guardone – replicò con una voce forse troppo acuta – che quasi gli fece venire un colpo, anche se, nonostante i vestiti maschili, i lineamenti erano decisamente troppo delicati per essere quelli di un ragazzo – per poi riaprire il libro.

- A chi stai dando del guardone? - chiese, avvampando appena per il nervoso. Normalmente per un comportamento del genere avrebbe scatenato il finimondo, ma quella ragazza non apparteneva al suo ceto sociale ed effettivamente non sapeva nemmeno che ne facesse parte lui, quindi doveva essersi comportata come era suo solito.

- Al vecchio addormentato... tu che dici, genio? - rispose ironica. Elliot sbuffò infastidito.

- Io non sono un guardone, volevo solo sapere cosa stessi leggendo. - disse schiettamente.

- E perché?

- Perché mi interessa forse? - cercò di imitare il tono ironico che aveva usato la ragazza poco prima, ma non fu certo di aver raggiunto il risultato sperato. La ragazza comunque sbuffò e riprese a leggere, come se il dialogo non fosse mai avvenuto.

- Io comunque sono Elliot. - incalzò, sentendosi uno di quei tanti ragazzi che tentano disperatamente di conquistare le altezzose lady che popolano l'alta società.

- Buon per te. - rispose impossibile, senza nemmeno staccare lo sguardo dal libro. Il Nightray rimase un tantino deluso a quella risposa fredda, senza però rinunciare ella sua impresa.

- Tu invece? - insistette, determinato a scoprire almeno un dettaglio su quella strana ragazza rintanata in quello che probabilmente era il peggior tugurio che aveva mai visto in tutta la città. Lei però ignorò la sua domanda, continuando a leggere come se non lo avesse nemmeno sentito. Stava per formulare un'altra domanda, quando lei lo bloccò.

- Senti, non ti conosco ma non mi sembri un tipo stupido, per cui te lo dirò una sola volta, nonostante dovresti già averlo capito: non mi interessa chi sei, come ti chiami, perché sei venuto qui o cosa vuoi da me. Non ho intenzione di conoscerti né tanto meno di parlarti, quindi faresti meglio a girare i tacchi e tornartene a casa. Intesi? - Elliot impiegò una ventina di secondi per assorbire ciò che aveva appena detto la ragazza e pensare ad un modo di rispondere a tono, ma non gli venne in mente nulla. Quella ragazza non voleva avere niente a che fare con lui, ed era una situazione a cui non era abituato. Purtroppo per la ragazza, però, non era abituato nemmeno a gettare la spugna così facilmente. Per cui, sebbene senza parlare, rimase seduto accanto a lei come se niente fosse. Per un attimo gli parve di vedere, attraverso le frange, un paio d'iridi scure che guizzavano verso di lui colme d'ira, ma doveva essere solo una sua impressione, dato che la ragazza sembrò non accorgersi nemmeno della sua presenza. Rimasero immersi in quello strano silenzio per una decina di minuti, finché, come si accorse Elliot, Oz scelse finalmente uno tra i tanti vecchi orologi rotti e corse da lui, agitando contento il suo premio in aria. Era un orologio da taschino dorato come se ne vedevano tanti, con delle strane incisioni sul coperchio e la cassa lievemente più grande del normale. Nella sua corsa, il Vessalius trascinò con sé una delle pile di libri accanto al Nightray, che crollò, precipitando sul pavimento. Elliot però, nel tentativo di scansarsi, fece cadere a sua volta un'altra pila di libri, che si riversò interamente sulle spalle della ragazza. Senza nemmeno sapere come giustificarsi, iniziò a spostarle di dosso tutti i libri caduti, scusandosi in tutti i modi conosciuti. Ora, il giovane Nightray non era molto esperto in materia di donne, anzi, si poteva dire che lui non fosse affatto il tipo che andava a caccia di conquiste. Per lui l'amore si limitava a quei dozzinali ed irritanti romanzi d'amore che vedeva esposti ogni tanto nelle librerie, oppure alle ragazze che giravano per le strade aggrappate al braccio del fidanzato e un sorriso tra la felicità e la soddisfazione stampato sul volto. Era qualche anno ormai che rifiutava nel modo meno brusco possibile le attenzioni delle nobili fanciulle che gli capitava di incontrare alle feste o in altre occasioni. Il ragazzo, quindi, aveva decisamente una scarsissima conoscenza dell'inconscio femminile, i cui comportamenti gli risultavano estranei come avrebbero potuto esserlo quelli di qualche strana specie animale nella parte più sperduta del Sudafrica. Nonostante questo, però, era abbastanza sicuro che una ragazza qualsiasi, trovandosi nella stessa situazione di quella che aveva accanto, non avrebbe richiuso e messo da parte con una calma febbrile il libro che stava leggendo, per poi iniziare a lanciargli addosso con una forza a dir poco brutale tutti i libri che erano finiti per terra. Probabilmente, una reazione simile, non se la sarebbe aspettata proprio da nessuno. Restò immobile a fissare la ragazza che, finiti i libri da lanciare, rimase immobile, ansimando. Quando le mani le smisero di tremare – probabilmente, per la rabbia – si scostò la giacca consumata e sbottonò i primi due bottoni della camicia, controllandosi febbrilmente le spalle nude, su cui iniziavano già a comparire i primi lividi. Elliot notò che le labbra le stavano tremando. Imbarazzato dalla situazione, si scusò ancora, ma lei non gli prestò nemmeno attenzione. Prese da terra la giacca e il libro che stava leggendo e corse via, lanciando delle monete sul bancone. Il biondo fissò il bancone interrogativo, cercando di rielaborare invano l'accaduto, poi scosse la testa ed aspettò che Oz pagasse, per poi lasciare il negozio assieme a lui. Continuò ad interrogarsi per tutta la strada verso casa e buona parte del giorno successivo – per di più, quello del suo diciottesimo compleanno – finché i festeggiamenti di quella sera non gli occuparono il cervello fino a fargliene dimenticare.

 

In armonia con la sobrietà spartana dei Nightray, la festa non fu troppo eccentrica o sfarzosa e non finì nemmeno molto tardi, ma tutto sommato fu piacevole e permise a tutti i presenti, Elliot compreso, di divertirsi. Al biondo infatti la festa piacque davvero molto e non gli sarebbe affatto dispiaciuto, una volta congedati gli ultimi invitati, ritirarsi in camera sua e, con l'aiuto del piacevole sfasamento dovuto all'alcool, addormentarsi placidamente. Ma a quanto pare suo fratello Ernest aveva altri piani per quella notte. Per questo gli disse di riprendersi nel tempo che avrebbe usato per elemosinare una certa quantità di soldi dal padre e sbarazzarsi di Vanessa, che di sicuro avrebbe fatto di tutto pur di impedire al suo fratellino adorato di mettersi in pericolo uscendo a un'ora così tarda. A quella richiesta il festeggiato scrollò le spalle e andò nel bagno di camera sua, dove si sciacquò il viso e si sistemò gli abiti: probabilmente suo fratello lo avrebbe portato in qualche locanda ad ammazzarsi il fegato con liquori vari come faceva ogni anno, ma in ogni caso ci teneva ad essere sempre impeccabile. Si osservò allo specchio per qualche decina di secondi e poi raggiunse l'ingresso, dove lo aspettava un Ernest allegro più che mai. Lo prese sottobraccio e lo portò alla carrozza, senza smettere nemmeno per un secondo di mostrargli il sorriso smagliante. Sebbene avesse preso, come lui, i colori chiari della madre, suo fratello somigliava molto più al loro padre rispetto a lui e, sebbene non fosse propriamente bello, era dotato di un fascino indiscutibile, come si poteva distinguere dal continuo viavai di ragazze nella magione – con relativa disperazione del padre e della sorella, che ritenevano il tutto disdicevole.

Elliot era stanco, per cui entrò in carrozza con una lentezza disarmante, sperando di poter tornare a casa il prima possibile. Nel vedere il fratello fresco e pimpante accanto a lui, non riuscì a fare a meno di notare per l'ennesima volta l'insolita allegria di quest'ultimo, chiedendosi da quando bere fino a vederci doppio lo eccitava a tal punto. Dopo dieci minuti buoni immersi in quello strano silenzio, interrotto solo dagli sbadigli del fratello minore, l'altro sembrò destarsi dal suo fantasticare sognare fissando il vuoto.

- Sai dove stiamo andando, vero Elly? - chiese senza smettere di sorridere.

- Hm? - il ragazzo ci mise qualche secondo a riprendersi dallo stato di dormiveglia in cui era sprofondato beatamente – Oh, alla locanda di sempre, quella col nome dozzinale, no?

Il sorriso di Ernest si ingrandì ulteriormente, apparendogli, alla luce dei lampioni, quasi sinistro.

- Ormai sei abbastanza grande per festeggiare in altri modi, fratellino, - rispose enigmatico – quello in cui stiamo andando è un locale tantino diverso.

- Diverso in che senso? - da qualche parte, nella sua mente, la frase del fratello aveva fatto suonare un campanello, ma al momento era troppo stanco per dargli ascolto. L'uomo non rispose, ma ritornò a guardare avanti, ridacchiando.

Scesero in un vicolo buio non proprio rassicurante, come quelli che aveva attraversato solo il giorno prima assieme ad Oz, dove Ernest lo prese sottobraccio come aveva fatto prima e lo condusse a passo veloce fino all'ingresso seminascosto del “Glen's”, all'apparenza una comune locanda. Una volta entrati, li accolse una giovane donna dai capelli di un rosa eccentrico e un seno prosperoso, che li salutò forse un po' troppo calorosamente e li invitò a seguirla dal “padrone”. Nel guardarsi attorno, Elliot notò che, effettivamente, il locale somigliava molto ad una locanda, ma dallo sfarzo dell'arredamento si intuiva che lo scopo del posto fosse ben diverso. Nell'enorme salone, illuminato da un pregiato lampadario che pendeva dal soffitto, erano sistemati attorno a tavolini bassi, poltrone e divani su cui erano accomodati gentiluomini di età disparata circondati da donne belle ed appariscenti come quella che li aveva accolti all'ingresso ed anche qualche ragazzo altrettanto affascinante. Alcuni camerieri si muovevano rapidamente attraverso la sala portando alcolici, destinati a riempire i bicchieri dei clienti, facendone fruttare ulteriormente il conto da pagare a fine serata. Insomma, nonostante la stanchezza non gli ci volle molto a capire di trovarsi in un bordello. Lanciò ad Ernest un'occhiata fulminante, ma quello non se ne curò e seguì la donna, continuando a trascinarselo dietro. Se era quello il modo in cui avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno, per suo fratello, stava sbagliando. Il solo pensiero di trovarsi in un posto del genere lo disgustava: i bordelli, secondo lui, erano solo covi di maniaci e falliti che non badavano a spese pur di sfogare le proprie frustrazioni tra gambe che non fossero quelle di una moglie o una fidanzata, comprando donne per una notte alla stregua dei mercanti di schiavi. Frequentare posti come quello era una vergogna per Elliot, per cui alla prima occasione avrebbe salutato suo fratello e sarebbe corso a casa, dimenticando l'accaduto. Quando furono al cospetto del proprietario, però, sentì scemare tutta quella fretta di andar via. Si trattava di un uomo sulla trentina, dalla corporatura esile e slanciata e la carnagione chiarissima. I capelli, completamente bianchi, scendevano lunghi oltre le spalle ed erano intrecciati in parte e contornavano alla perfezione un viso dai lineamenti delicati e quasi femminili, coprendo ogni tanto i penetranti occhi viola. Era l'uomo più bello che avesse mai visto ed era dotato di una strana persuasione percepibile quasi a pelle, non aveva niente a che vedere con la classica immagine del viscido pappone. Stava seduto comodamente su uno dei divani, affiancato da una donna bellissima dai lunghi capelli corvini che però, forse dal modo in cui la stringeva teneramente a sé, gli sembrò la sua consorte più che una delle tante prostitute. Anche se gli sembrava abbastanza strano portarsi dietro la moglie in un posto del genere. La ragazza parve riconoscere Ernest, perché gli rivolse un sorriso gentile e tirò con molta poca grazia una gomitata all'uomo seduto accanto a lei, rivolse subito la sua attenzione ai Nightray. Evidentemente conosceva bene suo fratello, dato che si alzò in piedi e lo salutò come un vecchio amico. La naturalezza con cui il tutto si stava svolgendo, nonostante fossero in un posto non molto ordinario, lo lasciò spiazzato. Ernest sembrò ricordarsi improvvisamente di lui, dato che interruppe la presentazione per presentarlo.

- Levi, non ti ho mai parlato di Elliot, vero? Siamo qui per festeggiare i suoi diciotto anni. - disse allegro, spingendolo tra loro. L'uomo lo salutò con un sorriso simile a quello sfoggiato poco prima dalla moglie.

- Non me ne hai mai parlato, hai ragione. - rispose, guardandolo con un'espressione curiosa sul viso. Il biondo si sentì quasi avvampare, al cospetto di quelle penetranti iridi viola, come se potessero attraversarlo fino ad esaminare i suoi pensieri - I diciotto anni sono una tappa importante. - disse guardandolo ancora negli occhi, come se fosse il verdetto che aveva ricavato dalla sua accurata analisi.

- Io comunque sono Levi, e quella bellissima ragazza seduta lì, se te lo stavi chiedendo, è mia moglie, l'unica donna qui che non potrai nemmeno sfiorare – aggiunse con tono che doveva essere scherzoso, ma che non lo fece ridere affatto. Quando l'uomo se ne accorse la sua espressione mutò minacciosamente, ma per sua fortuna – o sfortuna, vista la situazione in cui l'aveva trascinato la cosa era abbastanza relativa – c'era con lui anche Ernest, che intervenne immediatamente.

- Il ragazzo è un po' teso, sai com'è la nostra famiglia. Perché non ci fai portare qualcosa da bere, per farlo sciogliere un po'? - disse ridendo per poi dargli qualche pacca sulla schiena. L'albino dovette calmarsi, perché tornò a sorridere e chiamò una cameriera affinché portasse da bere per tutti i presenti. La ragazza tornò un paio di minuti dopo con tre bicchieri che riempì attingendo da una bottiglia di liquore dall'aspetto costoso. Suo fratello prese due bicchieri, uno dei quali piazzò tra le mani di Elliot, che bevve minacciato dallo sguardo del maggiore. L'alcool evidentemente fece effetto, perché il biondo si sentì subito più sveglio e rilassato. Gli sarebbe bastato seguire gli ordini del fratello e, al momento di scegliere la donna con cui passare la notte, mostrarsi disinteressato nei confronti di tutte le “pretendenti”, così Ernest avrebbe fatto i suoi comodi mentre lui avrebbe aspettato sonnecchiando tranquillamente in carrozza. Aveva appena finito i suoi ragionamenti quando i due uomini, finito il liquido nei loro bicchieri, lo fecero sedere su uno dei divani rimasto vuoto, dove lo seguì anche suo fratello, mentre Levi li salutò e tornò a sedersi accanto a Lacie. Si erano accomodati da poco, quando una ragazzina li raggiunse, sedendosi tranquillamente in braccio a suo fratello. Elliot rimase pietrificato nel vederla. Doveva avere più o meno la sua età, aveva un fisico minuto, i lineamenti delicati e dei lunghi capelli neri, lasciati sciolti, di cui parte le ricadevano selvaggiamente sulla fronte. Sta volta, senza coprirle gli occhi pensò. Ed effettivamente erano gli occhi la caratteristica che colpivano di più chi la guardava: adornate dalle ciglia lunghe, spiccavano sulla carnagione lattea due iridi nero pece, pozzi infiniti in cui ci si perdeva al primo sguardo. Ne rimase incantato. Ma, ancora di più, rimase incantato nel realizzare che quella che vedeva spalmata addosso a suo fratello era la stessa ragazza che lo aveva preso a librate il giorno prima, come le diedero conferma i lividi violacei che il vestito troppo scollato non riusciva a coprire completamente. Anche Ernest li notò e non perse tempo per sfiorarli con la punta delle dita, guardando la ragazza con quella che doveva essere sincera preoccupazione. Dovevano conoscersi molto bene, a giudicare da quanto erano intimi.

- Questi da dove saltano fuori? - chiese rabbuiandosi, ma la ragazza si apprestò a tranquillizzarlo con una risatina frivola.

- Non sono nulla di grave, un incidente mentre spostavamo i mobili. - rispose con un gesto noncurante della mano. Elliot non riuscì a fare a meno di notare come il suo comportamento fosse totalmente diverso rispetto al giorno prima. Suo fratello sospirò rassegnato e tornò a rivolgere le sue attenzioni a lui.

- Elliot, questa è Leah, la mia preferita. – disse con un sorriso, accarezzandole i capelli, poi si rivolse a lei – Lui è il mio fratello minore, Elliot – la ragazza dovette riconoscerlo a sua volta, perché raggelò improvvisamente nell'incrociare il suo sguardo. Ci mise un po' a recuperare la sua maschera frivola e civettuola, ma appena ne fu capace gli rivolse un – finto – sorriso gentile.

- È un piacere conoscerti. - disse in tono allegro. Quello spettacolo lo lasciò interdetto, facendo crescere dentro di lui la curiosità nei confronti di quella ragazzina praticamente sconosciuta che gli aveva tirato addosso una libreria intera. Ma adesso, grazie ad una serie di coincidenze stranamente favorevoli, avrebbe potuto chiarire tutto.

- Il piacere è tutto mio – disse serio, per poi rivolgersi ad Ernest – Voglio lei. - suo fratello rimase un po' interdetto da quella repentina richiesta.

- Elly, questa è la tua prima volta e ci sono molte altre donne qui, più esperta di Leah che è qui da...

- Ho detto che voglio lei, - disse in tono brusco, per poi aggiungere – è il mio compleanno, decido io.

All'uomo dovette piacere quella sua improvvisa presa di posizione, soprattutto se si prendeva in considerazione il fatto che Elliot, nonostante fosse il tanto coccolato figlio più piccolo, aveva sempre seguito ciecamente le indicazioni dei fratelli, mettendoli sempre al primo posto. Probabilmente aveva preso quel suo “capriccio” come una tappa verso il mondo degli adulti o qualcosa di simile. In ogni caso, gli “prenotò” Leah per tutta la notte e, mentre si allontanavano, le disse in tono scherzoso di trattarlo bene. La ragazza rispose con una risatina tirata e avanzò il passo, trascinandolo per la sala fino a raggiungere, tramite una scalinata, il piano superiore, dove lo condusse rapidamente fino ad una delle ultime porte, dietro la quale si celava una stanza abbastanza piccola, occupata quasi tutta da uno sfarzoso letto matrimoniale. Dedusse che in quello doveva anche essere il luogo in cui lei viveva, dato che vi si trovava anche un grande armadio, una cassapanca ed un cassettone, su cui era poggiato qualche gioiello ed un paio di libri, che la ragazza si affrettò a mettere a posto scusandosi subito dopo aver chiuso a chiave. Sistemato tutto, tornò di fronte ad Elliot, che intanto si era comodamente seduto sul letto, e, senza che lui dicesse nulla, iniziò a spogliarsi lentamente, guardandolo negli occhi. Non ci volle molto perché le sue guance raggiungessero il color porpora, inesperto com'era in quel campo. Quando trovò il coraggio di fermarla, la ragazza aveva già abbandonato vestito e sottane per terra, e stava scostando le spalline della sottoveste.

- Non c'è bisogno che si spogli, - disse voltandosi – non sono qui per fare quello che credi. - si affrettò a giustificarsi. La ragazza lo guardò preoccupata e gli si avvicinò ulteriormente, abbassando la testa. In quella posizione, con solo la sottoveste leggera addosso, i lividi si potevano vedere quasi totalmente. Si accorse che erano più scuri ed estesi di quello che immaginava, arrivando persino dove i libri non l'avevano nemmeno toccata. La fece voltare e finì di spoglia, per avere una visione completa dell'ombra violacea che le invadeva la schiena. Nello sfiorarla, si accorse che Leah stava tremando. Era assurdo trovarsi in quella situazione: solo un giorno prima, quella ragazza gli veva tirato addosso – lasciando anche a lui una buona dose di lividi – una trentina di libri e adesso invece era di fronte a lui, nuda e vulnerabile, dandogli occasione di fare tutto quello che voleva, magari anche vendicarsi. Non ci sarebbe nessun problema nel farlo, lo sapevano benissimo entrambi: Ernest l'aveva comprata per tutta la notte, quindi, al di fuori di ucciderla, poteva fare di tutto. Inoltre, quel livido comportava una specie di “difetto nella merce” e non erano pochi i clienti che riscattavano le prostitute ferite peggiorando le ammaccature. Ma Elliot non era una di quelle persone. Si tolse la giacca e glie la mise sulle spalle.

- Se fossi in te, non mi metterei di nuovo tutta quella roba addosso, o finiranno per peggiorare. - disse, togliendosi le scarpe e, dopo aver controllato che fossero pulite, si infilò sotto le coperte. La ragazza, dopo essersi abbottonata la giacca, si girò verso di lui e lo guardò stupita. Con ogni probabilità, doveva essere il cliente più assurdo che avesse mai avuto. Si chiese quante volte, quella ragazzina della sua stessa età, doveva essere stata picchiata e maltrattata come invece lui non aveva fatto. Doveva essere quello il motivo della sua reazione, il giorno prima. Le ci volle un po' per trovare il coraggio di parlare.

- Se non vuoi il mio corpo, né vendicarti per quello che ho fatto ieri, posso esserti utile in qualche modo? - chiese, ancora intimorita. Doveva essere abituata ad essere trattata alla stregua di una schiava, si disse, perché le sue domande sembravano quasi preghiere.

- Smettila di comportarti come una bestia ferita – disse seccato. Fu solo allora che rivide davvero la ragazza che stava rintanata in mezzo ai libri di quel tugurio. Leah infatti accennò un sorriso e si arrampicò sul letto, per poi piazzarsi tranquillamente sotto le coperte accanto a lui. Elliot arrossì a quel contatto inaspettato, costringendosi a restare calmo e non allontanarsi. Decise di interrompere quel fastidioso silenzio per riportare la situazione alla normalità. Come se poi ci fosse qualcosa di normale nello stare in un letto con una prostituta mezza nuda a parlare.

- Alla fine ho scoperto il tuo nome – disse, senza tentare di nascondere un sorrisetto soddisfatto.

- Ed io che credevo che, col cervellino minuscolo che ti ritrovi, te ne fossi già dimenticato – rispose lei con un'espressione di finta sorpresa. Il biondo, innervosito, fece per allontanarsi, ma la ragazza si avvinghiò a lui per bloccarlo, intensificando il rossore sulle sue guance nel sentire la pressione del suo corpo contro di lui. Lei dovette accorgersene, perché ridacchiò divertita.

- Che carino, arrossisce – lo schernì pizzicandogli una guancia. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma le parole gli si fermarono in gola quando si accorse che, nel prenderlo in giro, anche in modo abbastanza infantile, stava sorridendo. Elliot non era un tipo romantico o particolarmente sentimentale, non si era mai innamorato o affezionato particolarmente a nessuno e non era incline a smancerie o contatti di alcun tipo, ma nel vedere quella ragazzina sorridere, nonostante la situazione degradante in cui si trovava, gli sbloccò qualcosa dentro. Quel tipo di cose che ti partono dal petto e bla bla bla, o come si dice, quel calore irradiante che lascia sempre un residuo, nelle viscere, che ti porta a sorridere inconsciamente e che, in quel momento, guidò la sua mano nella prima, spontanea, carezza di tutta la sua vita. Leah probabilmente non capiva l'importanza di quel gesto e si limitò a sorridere, ma lui non se ne fece troppi problemi.

- Comunque, voglio ancora sapere cosa stavi leggendo ieri. - incalzò aggrottando appena la fronte in un'espressione, forse, un po' troppo seria.

- Davvero? Non ti interessa quindi sapere cosa ci fa un fiorellino come me in un postaccio del genere? - sospirò drammaticamente. Il biondo tirò su un sorrisetto spavaldo.

- No, direi proprio di no – rispose con finto disinteresse – ma se ti va, posso fare questo sacrificio.

- Non vorrei arrecarle disturbo – disse sbattendo teatralmente le ciglia.

- Il disturbo me lo arrechi così – sbottò imbarazzato, allontanando la mano della ragazza che era silenziosamente scivolata sul cavallo dei suoi pantaloni.

- Oh, mi dispiace tanto – cinguettò, divertita – deformazione professionale. - Elliot sospirò rassegnato.

- Allora, parla. - disse mettendosi comodo.

- Certo, perché io mi metto a raccontare la mia vita al primo che mi passa davanti – ghignò – devi essere ingenuo forte per pensarlo.

- E allora trova un altro modo per far passare la notte – disse, infastidito dal fatto di non poter dar sfogo alle sue curiosità – se continuiamo così mi addormento.

- Quindi davvero non hai intenzione di fare niente? - disse sorpresa, facendolo sentire ancora più in imbarazzo di quanto non fosse.

- Non vedo dove sarebbe il problema – rispose calmo – non ne sento il bisogno, soprattutto se si tratta di una completa sconosciuta.

- Oh, tu sei quel tipo di ragazzo – disse lei annuendo, con l'espressione di chi ha risolto un qualche complesso arcano. Poi si alzò e iniziò a rovistare in una delle due cassapanche, per poi tirarne fuori un libro abbastanza consumato tornare accanto a lui.

- E quello? - chiese indicando l'oggetto con un cenno del capo. Lei scrollò le spalle.

- Hai detto che dobbiamo trovare un modo per passare la notte – spiegò aprendo il libro alla prima pagina – leggiamo.

Ad Elliot non parve una cattiva idea, per cui si tese il collo ed iniziò a leggere, mentre Leah sfogliava gradualmente le pagine. La storia era abbastanza interessante, una ragazza che si travestiva da uomo per imbarcarsi su una nave e cercare uno scopo diverso nella vita, il classico tipo di libri che non si trova nelle librerie con una reputazione da mantenere. Con l'avanzare del tempo, la posizione si rivelò terribilmente scomoda, per cui fu costretto ad avvicinarsi alla ragazza fino a far toccare le loro spalle. Finirono di leggere che era quasi l'alba. Solo allora il Nightray si rese conto che la ragazza non aveva dato la minima importanza al fatto che il giorno prima si fosse vestito da poveraccio o che fosse il figlio di un nobile, senza farsi troppi problemi a condividere con lui quella situazione di intimità che non aveva nulla a che fare col lavoro di tutti i giorni. Forse, gli suggerì il cervello, era tutto semplicemente dettato dal fatto che fosse abituata a fare quello che le dicevano i clienti indipendentemente da chi fossero, ma da qualche parte, dentro di lui, sentì forte la convinzione – o meglio, speranza – che Leah fosse una ragazza diversa dalle altre. Forse fu quello, forse la curiosità di rompere il muro che lo separava da tutto quello che la ragazza teneva nascosto, a fargli sentire forte più che mai, nel momento esatto in cui la salutò e lasciò la stanza, il desiderio di rivederla. Oppure, ma si astenne anche solo dal pensarlo, il ricordo di quel calore che conservava ancora nelle viscere.

Il viaggio di ritorno fu silenzioso, un po' per la stanchezza un po' perché entrambi non avevano idea di cosa si potesse dire in un'occasione simile ed Elliot provò il forte desiderio di ringraziare con tutto il cuore Ernest per non aver chiesto i dettagli dell'incontro, dato che inventare qualcosa gli avrebbe richiesto uno sforzo spaventoso, stanco e piacevolmente confuso com'era.

 

 

TrallalLeo trallalà. Niente, non so cosa pensare di questa storia. Il primo capitolo non mi soddisfa appieno, per questioni di OOC e tutto, ma non mi fa troppo schifo quindi ho deciso di postarlo lo stesso, anche perché credo sia la prima storia che pubblico con descrizioni, introspezioni e ambientazioni decenti, quindi sono abbastanza contenta dello stile generale, paragonandolo al solito, essenziale al punto di essere fastidioso. Peccato che adesso abbia l'impressione di star scrivendo qualcosa di terribilmente noioso e pesante. Evviva. Avrei pubblicato prima se non mi fossi trovata in un buco dove internet non prende con l'influenza, senza parlare del fatto che ci ho messo due santissime ore solo per decidere il titolo e mi fa anche schifo. Dio. Santo. Btw, ringrazio __Bad Apple__ che è una donna amorevole e mi beta tutte le storie e mi da tanti consigli, probabilmente senza di lei avrei riscritto il primo pezzo una ventina di volte prima di andare avanti. E poi boh, smetto di scrivere adesso perché questo capitolo mi sta particolarmente sul culo e voglio pubblicarlo il prima possibile. Comunque, tornerò presto con l'ennesima AU o se gli astri si allineano con il nuovo capitolo dell'altra AU pandorosa sul bordello. Ma chi cazzo mi fa scrivere tutte 'ste AU sui bordelli poi, ormai ne so talmente tanto che potrei scriverci un libro. Nella mia testa c'è qualcosa di seriamente sbagliato, me lo sento.

Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, grazie per l'assurda pazienza che vi ci è voluta a leggerlo, che le pizze fritte siano sempre con voi.

A presto,

_Doll

   
 
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