Cap
1
Rico aveva
appena messo piede alla Pinetina e già era stato assalito
dal vociare dei
tifosi che, in vista dell’inizio della stagione, affollavano
gli spalti per
assistere agli ultimi allenamenti a porte aperte. Rivolse un sorriso
abbagliante in direzione della folla, alzando una mano in un breve
saluto, e
ridacchiò quando la folla per tutta risposta prese ad
acclamarlo con ancora più
vigore accompagnando la sua avanzata verso gli spogliatoi sulle note
dell’ormai
consueto coro: “Un Capitano, c’è solo un
Capitano!”.
La sua
manager, MJ, non faceva altro che ripeterglielo: lui era uno showman
d’eccezione e la prova era il fatto che nel giro di appena un
anno fosse
riuscito a conquistare l’affetto e la stima dei suoi tifosi.
Del resto non
c’era molto di cui vantarsi, il suo essere carismatico e il
fascino che
irradiava, unito a un aspetto che faceva letteralmente sciogliere il
cuore
delle ragazzine, era qualcosa che gli aveva donato madre natura, il suo
modo di
giocare a calcio invece era un’altra storia: quello era tutto
merito suo, non
c’era stato nessun intervento divino anche se i suoi tifosi
affermavano senza
timore di essere smentiti di non aver mai visto un talento del genere
in Italia
dai tempi del celeberrimo “Pibe de oro”.
Si chiuse
la porta dello spogliatoio alle spalle e finalmente le sue orecchie
trovarono
pace. Amava il tifo dei suoi tifosi e adorava essere al centro
dell’attenzione
ma tutte quelle urla avevano il potere di procuragli un mal di testa di
proporzioni epocali.
- Capitano,
ci sono grandi novità. – esordì Denton,
centrocampista e giocatore della
nazionale giapponese. Era un ragazzo in gamba, forse ancora un
po’ acerbo, e
Rico aveva deciso di prenderlo sotto la sua ala protettiva per farlo
crescere
nel migliore dei modi possibili, non solo sul campo da calcio ma anche
per
quanto riguardava tutto ciò che c’era fuori di
lì.
- Di che si
tratta, Rob? – domandò, sorridendo istintivamente
davanti all’eccitazione del
compagno di squadra che sembrava essere fuori di sé.
- Calmati
ragazzino, o finirai per farti venire un infarto. –
scherzò il veterano della
squadra, lo spagnolo Manuel Campos.
-
L’infarto
lo farà venire lei. – ridacchiò Cesar,
mentre il resto della squadra mormorava
il suo assenso.
Ok, ora si
che era confuso. Di chi accidenti stavano parlando?
- Qualcuno
si degna di spiegarmi di che si tratta? –
- La nuova
massaggiatrice
della squadra, è un vero e proprio pezzo di… -
Manuel
s’interruppe nel momento in cui la porta dello spogliatoio
veniva nuovamente
aperta, mostrando Julian Ross e il loro fenomenale portiere, Ice
Turner, in
compagnia di una ragazza che doveva avere all’incirca la loro
età o forse un
anno in meno, lunghi e lisci capelli neri e gli occhi più
verdi che Rico avesse
mai visto. Cesar gli lanciò un’occhiata di
sottecchi, come a voler dire che
sapeva benissimo cosa gli stesse passando per la testa. Quella ragazza
era di
una bellezza celestiale e si muoveva con un portamento aggraziato ed
elegante
che sarebbe stato più adatto ad una di stirpe reale.
- Capitano,
ecco la nostra nuova massaggiatrice: Hailey Price. – li
presentò
cerimoniosamente Julian, che sembrava essere l’unico immune
al suo fascino.
Price. Un
volto gli balenò davanti agli occhi: un ragazzo alto, dal
fisico guizzante di
muscoli e flessuoso come un giunco, gli occhi neri come le ciocche che
spuntavano al di sotto del suo immancabile cappello.
Le
lanciò
un’altra occhiata, cercando di sovrapporre i loro volti e
trovare eventuali
similitudini. Sì, il profilo della mandibola era lo stesso,
deciso ma non
troppo spigoloso, e anche il sorriso amichevole che gli stava
rivolgendo
ricordava quello del portiere. E poi c’era quel luccichio
nello sguardo, non
sapeva bene cosa fosse ma fin dal primo momento in cui aveva incontrato
Benjy
Price aveva stabilito che doveva essere una specie di marchio di
fabbrica.
- Sei
imparentata con Benjamin Price? –
La vide
sgranare appena gli occhi, probabilmente colta di sorpresa da quella
domanda
che, conoscendo il resto dei suoi compagni, nessun altro doveva averle
rivolto.
Voleva bene ai suoi ragazzi, ma doveva riconoscere che in quanto a
spirito di
osservazione non erano esattamente quello che si diceva dei
“falchi”.
-
Sì, sono
sua sorella minore. – ammise, mentre un mormorio si levava al
suono delle sue
parole.
- Lo
sapevo, avete lo stesso sguardo. – mormorò, a voce
talmente bassa che per un
attimo si chiese se l’avesse davvero detto o si fosse solo
limitato a pensarlo.
- Price non
ha gli occhi verdi. – obiettò Manuel, corrugando
la fronte in una chiara
manifestazione della sua incomprensione.
- E tu non
hai il cervello. Ha detto che hanno lo stesso sguardo, non gli stessi
occhi. –
sbottò Cesar, facendo ridacchiare Rob ed Ice.
-
Perché
non vieni a dirmelo qui vicino, Catalano? – lo
rimbeccò, rivolgendogli
un’occhiataccia e flettendo le braccia con aria minacciosa.
- Woh,
ragazzi, piantatela. – intervenne Ice, mettendosi tra loro e
facendo sfoggio
del suo metro e novantacinque che gli permetteva di sovrastarli
entrambi di una
spanna. Se fosse stato solo un po’ più grosso
sarebbe potuto tranquillamente
passare per una montagna in miniatura.
-
Sì,
dateci un taglio, abbiamo un allenamento da cominciare e siamo
già in ritardo.
– concordò Rico, chinandosi ad aprire la sacca e
tirando fuori la sua divisa.
- Beh, io
vi lascio cambiare in tranquillità, vado a sedermi in
panchina. – annunciò
Hailey, arrossendo davanti al torace nudo e muscoloso del Capitano e
ritirandosi in buon ordine.
Tre ore
più
tardi la squadra aveva finito di allenarsi e si trascinava stancamente
verso lo
spogliatoio.
- Sono
completamente distrutto. – gemette Cesar, lasciandosi cadere
su una panchina e
sbuffando come a sottolineare il concetto.
- A chi lo
dici, non mi sento più le gambe. –
concordò Manuel, schiaffeggiandosi
delicatamente i polpacci nella speranza di farsi passare i crampi. Il
loro
mister, Jose Mourinho, era quanto di meglio si potesse chiedere, ma non
era il
tipo da farsi intenerire e pretendeva il massimo dai suoi giocatori.
Dovevano
competere in campionato e in Europa, non c’era spazio per le
femminucce e chi
aveva difficoltà a tenere il passo poteva tranquillamente
prendere posto in
panchina e rimanerci fino alla fine della stagione.
Rico
ascoltò i lamenti dei compagni in silenzio, piegando il
collo da una parte e
dall’altra nella speranza di riuscire a sciogliere la
tensione. Storse il naso
con aria contrariata quando passò alle spalle e
avvertì con chiarezza lo
scrocchio delle scapole. Magnifico, adesso
era diventato anche croccante, pensò ironicamente, gettando
via la maglia
sudata e infilandosi nella prima doccia libera.
Accanto a
lui c’era Julian, intento ad insaponarsi cercando di
nascondere la stanchezza
dietro a un’espressione serena.
- Tutto
bene? –
Il Principe
del calcio annuì con un sorriso rassicurante: -
Sopravvivrò. –
- Se
l’allenamento è troppo pesante puoi parlarne con
il mister, sono certo che
capirà. –
Ross gli
era simpatico. Malgrado la famiglia agiata e apprensiva da cui
proveniva aveva
messo su un bel carattere, forte e determinato, e non era affatto uno
di quei
bambocci viziati come aveva temuto all’inizio.
- Ce la
farò, non voglio trattamenti di favore. –
Annuì
con
aria seria, lasciando che dai suoi occhi trapelasse cosa pensava di
lui: lo
rispettava, sia dentro che fuori il campo.
-
D’accordo, ma cerca di non esagerare, ci servi per tutta la
stagione. Mi hai
capito, Principino? – aggiunse, fingendosi minaccioso e
strappandogli una
risata.
- Agli
ordini, Capitano. –
****************
Aurore
aveva appena parcheggiato la sua Audi quando vide un ragazzo
dall’aria
spaesata, stava vicino a una Golf e fissava con attenzione ogni
dettaglio del
centro, quasi volesse imprimerlo nella memoria. Era un tipo carino,
considerò,
soffermandosi sul volto fanciullesco e i profondi e dolci occhi castani.
- Ti serve
aiuto? –
Il ragazzo
si voltò verso di lei, abbagliandola con un sorriso sincero
e solare.
Dio, che
bel sorriso che aveva.
- Magari,
non ho la minima idea di dove si trovi il tunnel che porta allo
spogliatoio. –
ammise, passandosi una mano tra i capelli con aria imbarazzata.
Il suo
francese non aveva alcuna inflessione, malgrado le sue origini
nipponiche
fossero più che evidenti.
- Ah,
quindi sei tu il nuovo acquisto della squadra. –
Ora che ci
pensava, suo padre le aveva accennato qualcosa la sera prima, ma lei
aveva
fatto finta di ascoltarlo come faceva sempre quando si trattava di
calcio.
- In
persona, sono Tom Becker, piacere di conoscerti. –
Ecco
l’ennesimo sorriso. Possibile che quel ragazzo non si
rendesse conto di quanto
sconvolgesse le persone con quel gesto?
- Aurore
Dumont. Allora, in che ruolo giochi? – gli chiese,
incamminandosi verso lo
spogliatoio e facendogli segno di seguirla.
- Di solito
gioco come ala destra… Te ne intendi di calcio? –
le chiese Tom.
Dall’espressione della ragazza dedusse di aver fatto la
domanda sbagliata.
- Veramente
non mi ha mai interessati molto, l’esperto è mio
padre. –
Dannazione,
possibile che le sue stupide guance avessero scelto proprio quel
momento per
colorirsi di un imbarazzante, e quasi sicuramente a dir poco
sgradevole, rosso
fuoco?
-
Sì, il
Presidente, gli sono molto riconoscente per
quest’opportunità. –
- Posso
farti una domanda? –
Tom
annuì:
- Certamente. –
Aurore
soffocò la prima cosa che le era venuta in mente. Insomma,
non poteva certo
dirgli: “Scusami, ma ce l’hai già una
ragazza? Perché, sai, non posso fare a
meno di pensare a quanto tu sia incredibilmente adorabile”.
- Ehm,
vieni dal Giappone, giusto, eppure il tuo francese è
perfetto e privo
d’inflessioni. –
- Questa
non è una domanda. – le fece notare con una risata.
- Comunque
il motivo è semplice, ho vissuto in Francia per due periodi
della mia vita e
non sono mai stato abbastanza a lungo in un posto per poterne prendere
l’accento. Mio padre fa il pittore e ho passato la mia
infanzia seguendolo in ogni
parte del mondo. – le spiegò.
- Deve
essere stato fantastico. Il mio sogno è quello di riuscire a
girare tutto il
mondo. – si lasciò sfuggire. Non sapeva
perché ma parlare con Tom le riusciva
incredibilmente naturale.
- È
un bel
sogno. –
Riecco quel
sorriso spaventosamente sincero. Oh cielo, doveva smetterla di fissarlo
così
apertamente.
- Ehy,
Becker, stiamo aspettando solo te. –
La voce
leggermente strascicata di Luis Napoleon interruppe la loro
conversazione.
Aurore trasalì come se fosse stata colta in flagrante.
Luis era
abbastanza bello da poter essere definito quasi perfetto, ma purtroppo
il suo
carattere non era esattamente quello che si poteva definire come
“amabile”. Stavano
insieme praticamente da sempre, forse anche troppo, e lei aveva ormai
imparato
a non prendersela più di tanto per quei suoi atteggiamenti
dispotici e a tratti
arroganti.
- Ah, ma
petit*, non ti avevo vista. – aggiunse, raggiungendola e
stringendola brevemente
a sé. Ricambiò il gesto con una freddezza quasi
meccanica, sperando che non lo
notasse; ma ovviamente Luis
Napoleon era
troppo concentrato su di sé per poter notare una bazzecola
come il fatto che la
sua ragazza fosse fin troppo interessata al nuovo arrivato.
Le
scoccò
un lieve bacio a fior di labbra e poi, rapido così
com’era arrivato, si separò.
- Ci
vediamo dopo l’allenamento. Je t’aime**.
– le sussurrò, accarezzandole
delicatamente le labbra e tornando verso lo spogliatoio.
-
Sì, anche
io. – mormorò, lanciando un’occhiata con
la coda dell’occhio a Tom. Il ragazzo
aveva indossato un’espressione imperscrutabile che
contrastava incredibilmente
con quella allegra e solare che aveva avuto fin a un attimo prima.
Possibile
che fosse infastidito da quella scena? Oh, insomma, doveva smetterla di
farsi
film mentali su di lui. Lei era fidanzata, stava con Luis, e poi
conosceva Tom
Becker da meno di venti minuti, non poteva essersi già presa
una cotta per lui.
- Buon
allenamento, è stato un piacere conoscerti Tom. –
mormorò, arrossendo ancora
una volta sotto il peso di quello sguardo disarmante e affrettandosi ad
allontanarsi.
Udì
la
replica del ragazzo quando era ormai a metà strada: - Anche
per me lo è stato,
Aurore. –
Allungò
ancora di più il passo e fu solo quando si chiuse alle
spalle la porta
dell’ufficio di suo padre che si permise di fermarsi e di
tornare alla calma.
Doveva darsi una regolata, non poteva comportarsi in quel modo tutte le
volte
che l’avesse incontrato. Oh, dannazione, perché la
sua vita doveva essere
sempre così maledettamente complicata?
********
Ed venne
strappato dal suo pisolino pomeridiano da una specie di furia dai
capelli
rossicci che si era abbattuta su di lui. Si stropicciò gli
occhi, cercando di
mettere a fuoco la sagoma del suo assalitore. Anzi, della sua
assalitrice.
- Shelley?!
–
- Certo che
sono io, chi altri sennò? – replicò
sorridendo serafica, passandosi una mano
tra i ricci capelli biondo rossicci.
Un momento.
Capelli ricci?
- Che hai
fatto in testa? –
La ragazza
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Complimenti,
Ed, tu si che sai cosa
significhi la parola delicatezza. Mi ero stufata di quella specie di
spaghetti,
quindi ho fatto una permanente. Mi piacciono molto di più
ora, ho un’aria
decisamente più selvaggia. Tu che ne pensi, non è
forse vero, ti piacciono? –
Ed
alzò una
mano a invocare il silenzio. Shelley aveva sempre avuto la
capacità di sparare
parole a raffica e sembrava che nel corso dell’anno in cui
non si erano visti
questa sua dote fosse cresciuta a livelli esponenziali.
-
Sì, ti
stanno bene. – commentò con tono incerto. Tutto
purchè fosse felice ed evitasse
di assalirlo con l’ennesimo fiume di parole.
- Ed.
–
Il tono
contrariato della ragazza non prometteva bene.
- Che
c’è,
ho detto che ti stanno bene. –
- So sempre
quando menti, non dimenticartelo. – replicò,
puntandogli minacciosamente un
dito contro.
-
Piuttosto, si può sapere chi è che ti ha fatto
entrare qui dentro, sottospecie
di Attila in miniatura? –
- Il tuo
coinquilino. Tra parentesi è un gran bel ragazzo…
Com’è che si chiama? Ah, sì,
Carlos. –
- Shel, ti
prego, ce la fai a non mettere il turbo quando mi parli dopo due minuti
che
sono sveglio? –
Shelley si
battè un dito sul labbro inferiore con aria pensierosa.
-
D’accordo, per questa volta esaudirò la tua
richiesta, ma non farci
l’abitudine. –
Magnifico,
non chiedeva di meglio. Anche se… che intendeva con
“non farci l’abitudine”?
- Shel,
esattamente, quanto tempo hai intenzione di rimanere a Madrid?
– indagò
cautamente. Magari si trattava solo di una sua inspiegabile e
improponibile
teoria, ma aveva come la sensazione che quella non fosse affatto una
breve
visita di cortesia.
- Veramente
ancora non lo so, fino a quando non avrò trovato un
appartamento suppongo. –
Ecco fatto,
ci aveva visto giusto, aveva deciso di trasferirsi a Madrid. Non
c’era niente
da fare, la conosceva troppo bene.
- Come mai
la Spagna? – indagò.
-
Perché
non la Spagna? – replicò, mentre gli occhi azzurri
scintillavano divertiti.
Alzò
gli
occhi al cielo, ci rinunciava.
- Tuo padre
lo sa che sei qui? –
Shelley
scosse la testa, mentre un’espressione ribelle si dipingeva
sul visetto a forma
di cuore.
- Non ne ha
la minima idea, per quanto ne sa io sono ancora a Londra a studiare
economia. –
Ed emise
l’ennesimo sospirò.
- Allora,
mi ospiti? A Carlos sta bene. – aggiunse, forte
dell’aver già convinto uno dei
proprietari dell’appartamentino.
Doveva
proprio averlo esaurito per bene se Carlos Santana aveva deciso di sua
volontà
di accettare un’altra persona dentro casa, per di
più una completa estranea,
lui che amava la solitudine e non era incline alla condivisione del
proprio
spazio vitale.
Ancora un
sospiro. Sapeva già che se ne sarebbe pentito, ma era la sua
migliore amica da
quando il primo giorno del primo anno d’asilo aveva avuto la
sventurata idea di
sederle accanto, non poteva rifiutarle nulla.
-
D’accordo, ma devi giurarmi che non combinerai casini.
–
-
Assolutamente, sarò un vero e proprio angelo, non vi
accorgerete neanche di me.
– assicurò, rivolgendogli il migliore dei suoi
sorrisi innocenti.
Le ultime
parole famose. Sarà un anno da pazzi, profetizzò
Ed, tornando al suo pisolino e
lasciandola a sistemare i suoi bagagli.
Spazio autrice:
Eccomi con la mia prima storia su questa spettacolare opera. Spero che vi piaccia, ogni suggerimento è ben accetto non essendo molto pratica del fandom. Al prossimo capitolo.
Baci baci,
Fiamma Erin Gaunt