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Autore: Fiamma Erin Gaunt    23/08/2013    1 recensioni
Nuove squadre, nuove esperienze in Europa e nuovi amori; tutto questo durante la stagione di preparazione al Mondiale di calcio.
****
Julian e Rob sono approdati all'Inter; Mark e Danny si sono sistemati in casa Juve non senza qualche difficoltà; Holly ha trovato il suo posto nel Barcellona a fianco di Rivaul e del messicano Espadas; Benji ha accettato la proposta del Bayern al fianco di Kaltz, Levin, Sho e il Kaiser; Tom ha trovato posto nel Paris Saint Germain insieme a Luis Napoleon e Pierre Le Blanc; Ed è stato preso dal Real Madrid insieme a Santana... E poi ci sono le ragazze: calciatrici, manager e massaggiatrici che complicheranno non poco le cose.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap 1

 

 

Rico aveva appena messo piede alla Pinetina e già era stato assalito dal vociare dei tifosi che, in vista dell’inizio della stagione, affollavano gli spalti per assistere agli ultimi allenamenti a porte aperte. Rivolse un sorriso abbagliante in direzione della folla, alzando una mano in un breve saluto, e ridacchiò quando la folla per tutta risposta prese ad acclamarlo con ancora più vigore accompagnando la sua avanzata verso gli spogliatoi sulle note dell’ormai consueto coro: “Un Capitano, c’è solo un Capitano!”.

La sua manager, MJ, non faceva altro che ripeterglielo: lui era uno showman d’eccezione e la prova era il fatto che nel giro di appena un anno fosse riuscito a conquistare l’affetto e la stima dei suoi tifosi. Del resto non c’era molto di cui vantarsi, il suo essere carismatico e il fascino che irradiava, unito a un aspetto che faceva letteralmente sciogliere il cuore delle ragazzine, era qualcosa che gli aveva donato madre natura, il suo modo di giocare a calcio invece era un’altra storia: quello era tutto merito suo, non c’era stato nessun intervento divino anche se i suoi tifosi affermavano senza timore di essere smentiti di non aver mai visto un talento del genere in Italia dai tempi del celeberrimo “Pibe de oro”.

Si chiuse la porta dello spogliatoio alle spalle e finalmente le sue orecchie trovarono pace. Amava il tifo dei suoi tifosi e adorava essere al centro dell’attenzione ma tutte quelle urla avevano il potere di procuragli un mal di testa di proporzioni epocali.

- Capitano, ci sono grandi novità. – esordì Denton, centrocampista e giocatore della nazionale giapponese. Era un ragazzo in gamba, forse ancora un po’ acerbo, e Rico aveva deciso di prenderlo sotto la sua ala protettiva per farlo crescere nel migliore dei modi possibili, non solo sul campo da calcio ma anche per quanto riguardava tutto ciò che c’era fuori di lì.

- Di che si tratta, Rob? – domandò, sorridendo istintivamente davanti all’eccitazione del compagno di squadra che sembrava essere fuori di sé.

- Calmati ragazzino, o finirai per farti venire un infarto. – scherzò il veterano della squadra, lo spagnolo Manuel Campos.

- L’infarto lo farà venire lei. – ridacchiò Cesar, mentre il resto della squadra mormorava il suo assenso.

Ok, ora si che era confuso. Di chi accidenti stavano parlando?

- Qualcuno si degna di spiegarmi di che si tratta? –

- La nuova massaggiatrice della squadra, è un vero e proprio pezzo di… -

Manuel s’interruppe nel momento in cui la porta dello spogliatoio veniva nuovamente aperta, mostrando Julian Ross e il loro fenomenale portiere, Ice Turner, in compagnia di una ragazza che doveva avere all’incirca la loro età o forse un anno in meno, lunghi e lisci capelli neri e gli occhi più verdi che Rico avesse mai visto. Cesar gli lanciò un’occhiata di sottecchi, come a voler dire che sapeva benissimo cosa gli stesse passando per la testa. Quella ragazza era di una bellezza celestiale e si muoveva con un portamento aggraziato ed elegante che sarebbe stato più adatto ad una di stirpe reale.

- Capitano, ecco la nostra nuova massaggiatrice: Hailey Price. – li presentò cerimoniosamente Julian, che sembrava essere l’unico immune al suo fascino.

Price. Un volto gli balenò davanti agli occhi: un ragazzo alto, dal fisico guizzante di muscoli e flessuoso come un giunco, gli occhi neri come le ciocche che spuntavano al di sotto del suo immancabile cappello.

Le lanciò un’altra occhiata, cercando di sovrapporre i loro volti e trovare eventuali similitudini. Sì, il profilo della mandibola era lo stesso, deciso ma non troppo spigoloso, e anche il sorriso amichevole che gli stava rivolgendo ricordava quello del portiere. E poi c’era quel luccichio nello sguardo, non sapeva bene cosa fosse ma fin dal primo momento in cui aveva incontrato Benjy Price aveva stabilito che doveva essere una specie di marchio di fabbrica.

- Sei imparentata con Benjamin Price? –

La vide sgranare appena gli occhi, probabilmente colta di sorpresa da quella domanda che, conoscendo il resto dei suoi compagni, nessun altro doveva averle rivolto. Voleva bene ai suoi ragazzi, ma doveva riconoscere che in quanto a spirito di osservazione non erano esattamente quello che si diceva dei “falchi”.

- Sì, sono sua sorella minore. – ammise, mentre un mormorio si levava al suono delle sue parole.

- Lo sapevo, avete lo stesso sguardo. – mormorò, a voce talmente bassa che per un attimo si chiese se l’avesse davvero detto o si fosse solo limitato a pensarlo.

- Price non ha gli occhi verdi. – obiettò Manuel, corrugando la fronte in una chiara manifestazione della sua incomprensione.

- E tu non hai il cervello. Ha detto che hanno lo stesso sguardo, non gli stessi occhi. – sbottò Cesar, facendo ridacchiare Rob ed Ice.

- Perché non vieni a dirmelo qui vicino, Catalano? – lo rimbeccò, rivolgendogli un’occhiataccia e flettendo le braccia con aria minacciosa.

- Woh, ragazzi, piantatela. – intervenne Ice, mettendosi tra loro e facendo sfoggio del suo metro e novantacinque che gli permetteva di sovrastarli entrambi di una spanna. Se fosse stato solo un po’ più grosso sarebbe potuto tranquillamente passare per una montagna in miniatura.

- Sì, dateci un taglio, abbiamo un allenamento da cominciare e siamo già in ritardo. – concordò Rico, chinandosi ad aprire la sacca e tirando fuori la sua divisa.

- Beh, io vi lascio cambiare in tranquillità, vado a sedermi in panchina. – annunciò Hailey, arrossendo davanti al torace nudo e muscoloso del Capitano e ritirandosi in buon ordine.

Tre ore più tardi la squadra aveva finito di allenarsi e si trascinava stancamente verso lo spogliatoio.

- Sono completamente distrutto. – gemette Cesar, lasciandosi cadere su una panchina e sbuffando come a sottolineare il concetto.

- A chi lo dici, non mi sento più le gambe. – concordò Manuel, schiaffeggiandosi delicatamente i polpacci nella speranza di farsi passare i crampi. Il loro mister, Jose Mourinho, era quanto di meglio si potesse chiedere, ma non era il tipo da farsi intenerire e pretendeva il massimo dai suoi giocatori. Dovevano competere in campionato e in Europa, non c’era spazio per le femminucce e chi aveva difficoltà a tenere il passo poteva tranquillamente prendere posto in panchina e rimanerci fino alla fine della stagione.

Rico ascoltò i lamenti dei compagni in silenzio, piegando il collo da una parte e dall’altra nella speranza di riuscire a sciogliere la tensione. Storse il naso con aria contrariata quando passò alle spalle e avvertì con chiarezza  lo scrocchio delle scapole. Magnifico, adesso era diventato anche croccante, pensò ironicamente, gettando via la maglia sudata e infilandosi nella prima doccia libera.

Accanto a lui c’era Julian, intento ad insaponarsi cercando di nascondere la stanchezza dietro a un’espressione serena.

- Tutto bene? –

Il Principe del calcio annuì con un sorriso rassicurante: - Sopravvivrò. –

- Se l’allenamento è troppo pesante puoi parlarne con il mister, sono certo che capirà. –

Ross gli era simpatico. Malgrado la famiglia agiata e apprensiva da cui proveniva aveva messo su un bel carattere, forte e determinato, e non era affatto uno di quei bambocci viziati come aveva temuto all’inizio.

- Ce la farò, non voglio trattamenti di favore. –

Annuì con aria seria, lasciando che dai suoi occhi trapelasse cosa pensava di lui: lo rispettava, sia dentro che fuori il campo.

- D’accordo, ma cerca di non esagerare, ci servi per tutta la stagione. Mi hai capito, Principino? – aggiunse, fingendosi minaccioso e strappandogli una risata.

- Agli ordini, Capitano. –

 

 

****************

Aurore aveva appena parcheggiato la sua Audi quando vide un ragazzo dall’aria spaesata, stava vicino a una Golf e fissava con attenzione ogni dettaglio del centro, quasi volesse imprimerlo nella memoria. Era un tipo carino, considerò, soffermandosi sul volto fanciullesco e i profondi e dolci occhi castani.

- Ti serve aiuto? –

Il ragazzo si voltò verso di lei, abbagliandola con un sorriso sincero e solare.

Dio, che bel sorriso che aveva.

- Magari, non ho la minima idea di dove si trovi il tunnel che porta allo spogliatoio. – ammise, passandosi una mano tra i capelli con aria imbarazzata.

Il suo francese non aveva alcuna inflessione, malgrado le sue origini nipponiche fossero più che evidenti.

- Ah, quindi sei tu il nuovo acquisto della squadra. –

Ora che ci pensava, suo padre le aveva accennato qualcosa la sera prima, ma lei aveva fatto finta di ascoltarlo come faceva sempre quando si trattava di calcio.

- In persona, sono Tom Becker, piacere di conoscerti. –

Ecco l’ennesimo sorriso. Possibile che quel ragazzo non si rendesse conto di quanto sconvolgesse le persone con quel gesto?

- Aurore Dumont. Allora, in che ruolo giochi? – gli chiese, incamminandosi verso lo spogliatoio e facendogli segno di seguirla.

- Di solito gioco come ala destra… Te ne intendi di calcio? – le chiese Tom. Dall’espressione della ragazza dedusse di aver fatto la domanda sbagliata.

- Veramente non mi ha mai interessati molto, l’esperto è mio padre. –

Dannazione, possibile che le sue stupide guance avessero scelto proprio quel momento per colorirsi di un imbarazzante, e quasi sicuramente a dir poco sgradevole, rosso fuoco?

- Sì, il Presidente, gli sono molto riconoscente per quest’opportunità. –

- Posso farti una domanda? –

Tom annuì: - Certamente. –

Aurore soffocò la prima cosa che le era venuta in mente. Insomma, non poteva certo dirgli: “Scusami, ma ce l’hai già una ragazza? Perché, sai, non posso fare a meno di pensare a quanto tu sia incredibilmente adorabile”.

- Ehm, vieni dal Giappone, giusto, eppure il tuo francese è perfetto e privo d’inflessioni. –

- Questa non è una domanda. – le fece notare con una risata.

- Comunque il motivo è semplice, ho vissuto in Francia per due periodi della mia vita e non sono mai stato abbastanza a lungo in un posto per poterne prendere l’accento. Mio padre fa il pittore e ho passato la mia infanzia seguendolo in ogni parte del mondo. – le spiegò.

- Deve essere stato fantastico. Il mio sogno è quello di riuscire a girare tutto il mondo. – si lasciò sfuggire. Non sapeva perché ma parlare con Tom le riusciva incredibilmente naturale.

- È un bel sogno. –

Riecco quel sorriso spaventosamente sincero. Oh cielo, doveva smetterla di fissarlo così apertamente.

- Ehy, Becker, stiamo aspettando solo te. –

La voce leggermente strascicata di Luis Napoleon interruppe la loro conversazione. Aurore trasalì come se fosse stata colta in flagrante.

Luis era abbastanza bello da poter essere definito quasi perfetto, ma purtroppo il suo carattere non era esattamente quello che si poteva definire come “amabile”. Stavano insieme praticamente da sempre, forse anche troppo, e lei aveva ormai imparato a non prendersela più di tanto per quei suoi atteggiamenti dispotici e a tratti arroganti.

- Ah, ma petit*, non ti avevo vista. – aggiunse, raggiungendola e stringendola brevemente a sé. Ricambiò il gesto con una freddezza quasi meccanica, sperando che non lo notasse; ma ovviamente  Luis Napoleon era troppo concentrato su di sé per poter notare una bazzecola come il fatto che la sua ragazza fosse fin troppo interessata al nuovo arrivato.

Le scoccò un lieve bacio a fior di labbra e poi, rapido così com’era arrivato, si separò.

- Ci vediamo dopo l’allenamento. Je t’aime**. – le sussurrò, accarezzandole delicatamente le labbra e tornando verso lo spogliatoio.

- Sì, anche io. – mormorò, lanciando un’occhiata con la coda dell’occhio a Tom. Il ragazzo aveva indossato un’espressione imperscrutabile che contrastava incredibilmente con quella allegra e solare che aveva avuto fin a un attimo prima. Possibile che fosse infastidito da quella scena? Oh, insomma, doveva smetterla di farsi film mentali su di lui. Lei era fidanzata, stava con Luis, e poi conosceva Tom Becker da meno di venti minuti, non poteva essersi già presa una cotta per lui.

- Buon allenamento, è stato un piacere conoscerti Tom. – mormorò, arrossendo ancora una volta sotto il peso di quello sguardo disarmante e affrettandosi ad allontanarsi.

Udì la replica del ragazzo quando era ormai a metà strada: - Anche per me lo è stato, Aurore. –

Allungò ancora di più il passo e fu solo quando si chiuse alle spalle la porta dell’ufficio di suo padre che si permise di fermarsi e di tornare alla calma. Doveva darsi una regolata, non poteva comportarsi in quel modo tutte le volte che l’avesse incontrato. Oh, dannazione, perché la sua vita doveva essere sempre così maledettamente complicata?

 

********

Ed venne strappato dal suo pisolino pomeridiano da una specie di furia dai capelli rossicci che si era abbattuta su di lui. Si stropicciò gli occhi, cercando di mettere a fuoco la sagoma del suo assalitore. Anzi, della sua assalitrice.

- Shelley?! –

- Certo che sono io, chi altri sennò? – replicò sorridendo serafica, passandosi una mano tra i ricci capelli biondo rossicci.

Un momento. Capelli ricci?

- Che hai fatto in testa? –

La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Complimenti, Ed, tu si che sai cosa significhi la parola delicatezza. Mi ero stufata di quella specie di spaghetti, quindi ho fatto una permanente. Mi piacciono molto di più ora, ho un’aria decisamente più selvaggia. Tu che ne pensi, non è forse vero, ti piacciono? –

Ed alzò una mano a invocare il silenzio. Shelley aveva sempre avuto la capacità di sparare parole a raffica e sembrava che nel corso dell’anno in cui non si erano visti questa sua dote fosse cresciuta a livelli esponenziali.

- Sì, ti stanno bene. – commentò con tono incerto. Tutto purchè fosse felice ed evitasse di assalirlo con l’ennesimo fiume di parole.

- Ed. –

Il tono contrariato della ragazza non prometteva bene.

- Che c’è, ho detto che ti stanno bene. –

- So sempre quando menti, non dimenticartelo. – replicò, puntandogli minacciosamente un dito contro.

- Piuttosto, si può sapere chi è che ti ha fatto entrare qui dentro, sottospecie di Attila in miniatura? –

- Il tuo coinquilino. Tra parentesi è un gran bel ragazzo… Com’è che si chiama? Ah, sì, Carlos. –

- Shel, ti prego, ce la fai a non mettere il turbo quando mi parli dopo due minuti che sono sveglio? –

Shelley si battè un dito sul labbro inferiore con aria pensierosa.

- D’accordo, per questa volta esaudirò la tua richiesta, ma non farci l’abitudine. –

Magnifico, non chiedeva di meglio. Anche se… che intendeva con “non farci l’abitudine”?

- Shel, esattamente, quanto tempo hai intenzione di rimanere a Madrid? – indagò cautamente. Magari si trattava solo di una sua inspiegabile e improponibile teoria, ma aveva come la sensazione che quella non fosse affatto una breve visita di cortesia.

- Veramente ancora non lo so, fino a quando non avrò trovato un appartamento suppongo. –

Ecco fatto, ci aveva visto giusto, aveva deciso di trasferirsi a Madrid. Non c’era niente da fare, la conosceva troppo bene.

- Come mai la Spagna? – indagò.

- Perché non la Spagna? – replicò, mentre gli occhi azzurri scintillavano divertiti.

Alzò gli occhi al cielo, ci rinunciava.

- Tuo padre lo sa che sei qui? –

Shelley scosse la testa, mentre un’espressione ribelle si dipingeva sul visetto a forma di cuore.

- Non ne ha la minima idea, per quanto ne sa io sono ancora a Londra a studiare economia. –

Ed emise l’ennesimo sospirò.

- Allora, mi ospiti? A Carlos sta bene. – aggiunse, forte dell’aver già convinto uno dei proprietari dell’appartamentino.

Doveva proprio averlo esaurito per bene se Carlos Santana aveva deciso di sua volontà di accettare un’altra persona dentro casa, per di più una completa estranea, lui che amava la solitudine e non era incline alla condivisione del proprio spazio vitale.

Ancora un sospiro. Sapeva già che se ne sarebbe pentito, ma era la sua migliore amica da quando il primo giorno del primo anno d’asilo aveva avuto la sventurata idea di sederle accanto, non poteva rifiutarle nulla.

- D’accordo, ma devi giurarmi che non combinerai casini. –

- Assolutamente, sarò un vero e proprio angelo, non vi accorgerete neanche di me. – assicurò, rivolgendogli il migliore dei suoi sorrisi innocenti.

Le ultime parole famose. Sarà un anno da pazzi, profetizzò Ed, tornando al suo pisolino e lasciandola a sistemare i suoi bagagli.

 

 

 

 

 

 

 
































Spazio autrice:

Eccomi con la mia prima storia su questa spettacolare opera. Spero che vi piaccia, ogni suggerimento è ben accetto non essendo molto pratica del fandom. Al prossimo capitolo.
Baci baci,
               Fiamma Erin Gaunt

  
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