giunto è il tempo di cacciare.
Senza indugiare fuggo dal Levante
la cui luce non mi fa riposare.
Inseguo la preda col fiato sospeso,
mentre, su un filo, il mio destino mormora appeso.
Come unico compagno non mi resta che l'arco
che alimenta il sogno nascosto in fondo alla via;
su di lui incocco frecce che conducono al varco:
infallibili bussole dell'anima mia.
Nessun rumore, qui, tra le antiche fronde,
nessun odio tra cacciato e cacciatore,
solo la libertà che col bisogno si fonde
di ritrovare del ricordo l'antico sapore.
Rinnovato è lo spirito che mi protende in avanti,
restaurata è la speranza di guardarmi indietro;
caccio quello che non so, quello che mi spinge a farlo
e sento l'impulso che sente il legno morso dal tarlo.
Ondivago ondeggio tra onde antiche e future
e non provo dolori, e non sento paure.