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Autore: Desperate_    23/08/2013    1 recensioni
"Già, Dorothy era tutt’altro che una ragazza che poteva essere definita oggettivamente bella; ella, difatti, era caratterizzata da tante piccole imperfezioni che non raramente l’avevano fatta diventare oggetto di scherno durante gli anni scolastici. Tuttavia, i suoi modi di fare spontanei e talvolta bambineschi, l’aria innocente che aveva sempre stampata sul viso, il suo senso dell’humor e la sua intelligenza la rendevano una ragazza estremamente interessante agli occhi di molti ragazzi. E anche io non ero del tutto immune al suo fascino alternativo."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye kiss

Anche quel giorno, come i sette della settimana appena trascorsa, il cielo non presagiva nulla di buono: l’azzurro acceso aveva ceduto quasi totalmente il posto a dei voluminosi nuvoloni color grigio fumo, le foglie erano totalmente in balia del vento, sembrava quasi danzassero una rapidissima e macabra danza. In lontananza, un lampo illuminò per un istante la distesa grigia che mi sormontava.
Sarebbe stato un viaggio tutt’altro che piacevole. Speravo solo che il mio volo non sarebbe stato cancellato a causa del cattivo tempo.
Non appena scorsi le prime fredde gocce di pioggia autunnale, presi la mia fedelissima Les Paul in spalla, il borsone da viaggio nella mano destra e mi incamminai al riparo al di sotto della pensilina, in attesa dell’autobus che mi avrebbe portato all’aeroporto.
Mi poggiai delicatamente con la schiena al muro, feci scivolare la chitarra e borsone a terra, dinanzi a me, e con un’incredibile lentezza portai una sigaretta alle mie labbra e l’accesi. Mentre inspiravo la prima boccata, il mio sguardo si posò sulla custodia rigida della mia chitarra; percorsi con lo sguardo i vari adesivi su cui erano stampati i logo dei miei gruppi preferiti e tra i vari e famosi disegnini che erano diventati i protagonisti delle scene musicali di molti anni addietro, notai qualcosa di strano, qualcosa che stonava fortemente con i colori e gli adesivi che lo circondavano. Si trattava di un foglio di carta rosa pastello, su cui era scritta con dei glitter fucsia la lettera “D” affiancata da un cuore. Le varie grinze e i vari grumi che si percepivano al tatto, dimostravano che quel foglietto era stato attaccato con della super colla spalmata lì a caso e in modo estremamente frettoloso, quasi come se l’autore di quel foglio l’avesse attaccato lì approfittando di un momento di distrazione del proprietario di quella custodia.
Feci un altro rapido tiro di sigaretta e sorrisi nel ricordare quella scena; rividi me stesso che approfittando di una pausa tra una prova e l’altra mi allontanavo dalla sala prove per prendere un caffè, lasciando la mia attrezzatura incustodita. Rividi una ragazzina della mia età, dai capelli dorati e boccolosi, entrare quatta quatta in sala prove per attaccare alla custodia della mia chitarra  quel foglietto da me tanto disprezzato quella stessa mattina, a scuola. Il mio sorriso, dapprima nostalgico, divenne amaro non appena riportai alla memoria il suo viso e, soprattutto, il modo vigliacco in cui l’avevo salutata quella stessa notte, prima di partire.
Guardai l’orario: le 8:30. A quell’ora era sicuramente sveglia da un pezzo, aveva sicuramente letto il mio SMS, probabilmente non mi aveva ancora chiamato per riempirmi di insulti in quanto era intenta a vestirsi, in modo da uscire di casa e trovarmi in tempo, prima che partissi, e lanciarmi offese direttamente sul muso. Perché, in fondo, era questo ciò che volevo. Se da una parte le avevo mandato un freddo messaggio nel cuore della notte, con la speranza che lo leggesse troppo tardi, quando ero già in volo, dall’altra nel medesimo messaggio le avevo accuratamente detto l’ora in cui sarebbe partito l’aereo e quella in cui avrei preso il bus alla fermata a due isolati da casa sua. Si trattava di una sorta di appuntamento, speravo solo che lei capisse il mio linguaggio criptico; come quando a scuola capiva che non avevo aperto libro e mi passava l’intero compito, quando l’ennesimo manager mi appioppava il cosiddetto “Le faremo sapere” e lei mi offriva una birra per “berci su”, quando Lysandre, il mio migliore amico, era stato coinvolto in un incidente stradale mortale e lei era sempre lì, pronta ad offrirmi la sua spalla.
Sollevai la testa e lanciai uno sguardo rapido e speranzoso verso destra, in direzione di casa sua. Accennai nuovamente un sorriso; lei era lì. Sì, Dorothy era lì e correva più veloce che poteva lungo la strada. Anche quella volta non mi aveva deluso, aveva capito. Raggiunse la pensilina dopo pochi minuti, si fermò sotto la pioggia, a pochi passi da me, e si piegò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia in modo da riprendersi da quella veloce corsa.  Dopo una manciata di secondi alzò lentamente la testa e piantò, severa, i suoi occhi blu nei miei. Potevo distintamente scorgere i tratti del suo viso; isuoi capelli color grano, quelli che erano fuoriusciti dal cappuccio della sua felpona blu, erano fradici e le si erano incollati ai lati del visino tondo e leggermente paffuto, perdendo la loro caratteristica forma ondulata. Le gocce di pioggia si scontravano contro la parte alta della sua fronte, alcune, poi, scendevano lungo le sue guance tonde ed alte per poi finire sulla mascella su cui svettava ancora qualche brufoletto o qualche vecchia cicatrice dovuta all’acne.  Delle gocce  scivolavano, poi, lungo il naso a patatina, altre ancora, le più fortunate, lungo la sua bocca leggermente carnosa e su cui si potevano ancora scorgere tracce di rossetto del giorno prima. Già, Dorothy era tutt’altro che una ragazza che poteva essere definita oggettivamente bella; ella, difatti, era caratterizzata da tante piccole imperfezioni che non raramente l’avevano fatta diventare oggetto di scherno durante gli anni scolastici. Tuttavia, i suoi modi di fare spontanei e talvolta bambineschi, l’aria innocente che aveva sempre stampata sul viso, il suo senso dell’humor e la sua intelligenza la rendevano una ragazza estremamente interessante agli occhi di molti ragazzi. E anche io non ero del tutto immune al suo fascino alternativo.
“Castiel, io merito di più di un misero messaggio!” urlò, infuriata, lanciandomi il suo cellulare contro. Questa era una mossa che avevo già previsto, perciò riuscii a schivare prontamente quell’oggetto rosa confetto che andò a schiantarsi contro il muro su cui ero poggiato.
“Lo so.” Mormorai, chinandomi per raccogliere il cellulare rosa che, miracolosamente, era ancora intatto. “Cerca di capire, Dorothy.”
“E invece non capisco!” strillò, sbattendo il piede destro a terra, quasi fosse una bimbetta di 5 anni a cui era stata rubata la bambolina preferita. “Avevi detto che se ci fossero state novità io sarei stata la prima persona a cui le avresti dette! Avevi promesso che mi avresti portata con te! E invece cerchi di sparire all’improvviso come un ladro! Sei un vigliacco, Castiel!” Si passò rapidamente la manica della felpa sugli occhi, quasi come se volesse asciugarsi delle lacrime spuntate a tradimento. Gesto totalmente inutile in quanto queste ultime si confondevano totalmente con le gocce di pioggia autunnale. Scorgerle sarebbe stato impossibile.
Buttai la sigaretta a terra, la schiacciai con il piede destro e mi avvicinai lentamente a lei. La pensilina aveva smesso di proteggermi, la pioggia aveva iniziato ad inzuppare, delicatamente, anche i miei capelli rossi ed i miei vestiti.
“Ascolta” iniziai, infilandole il cellulare in tasca e posandole le mani sulle spalle. La guardai intensamente negli occhi per diversi secondi prima di continuare il mio discorso “Hai ragione, ti ho promesso tutto questo: ma, Dorothy, tu, restando qui, grazie alla borsa di studio del liceo, hai l’opportunità di frequentare una delle più importanti università del paese. Se ti avessi detto che quel famoso manager mi aveva notato e che mi aveva proposto di incidere un disco nel suo paese, sicuramente mi avresti seguito e avresti mandato all’aria tutte le tue ambizioni. Tu sei intelligente, Dorothy. Meriti tanto. Butteresti all’aria una simile occasione per cosa?”
“Per seguire l’unica persona che mi è rimasta!” l’ultima parola le venne coperta da un singhiozzo.
Sbuffai. Tra i tanti difetti di Dorothy, ahimè, spuntava anche il vittimismo. Era vero che gli anni scolastici per lei erano stati difficili e che non aveva avuto nessun altro amico eccetto me. Era vero che spesso i ragazzi le chiedevano di uscire solo perché la ritenevano una tipa facile, una da una notte e via, causandole infinite pene. Dorothy, in realtà, non era nulla del genere, non faceva sesso con altri per il puro piacere di farlo, ella era solo un’inguaribile romantica e un’ingenuotta che credeva profondamente nell’amore e a tutto ciò che le diceva il ragazzo di turno. Sì, la sua vita, sotto certi aspetti, non era stata il massimo e aveva avuto svariate delusioni; ella, tuttavia aveva alle spalle una famiglia molto unita che l’amava profondamente e che avrebbe fatto qualunque cosa per darle il meglio.
“Dimentichi i tuoi” le dissi severo.
Arrossì, abbassando lo sguardo.
“Loro sarebbero felici se cambiassi un po’ aria” rispose torturando, nervosa, il bordo della sua felpa.
Ero sul punto di riprenderla nuovamente per i suoi discorsi assurdi quando scorsi il bus in lontananza. Mi si strinse il cuore, il momento dei saluti stava arrivando.  Feci scivolare le mie mani lontano dalle sue spalle, facendole percorrere l’intera lunghezza delle sue braccia fino ad arrivare alla punta delle dita e mi voltai, pronto per recuperare i miei bagagli.
“No!” Dorothy mi venne incontro e mi abbraccio da dietro “Non ti lascio partire!”
“Vuoi farmi perdere l’occasione della mia vita per un tuo capriccio? Bene, Dorothy: scegli tu. Il mio destino è totalmente nelle tue mani. Fanne ciò che vuoi” le dissi restando immobile, in modo da permettere alle sue braccia esili di stringermi il torace. Ero sicuro che mi avrebbe lasciato andare. Lei per me, ormai, era un libro aperto.
Come previsto, dopo pochi secondi sentii le sue braccia allentare la presa e permettermi di mettermi su di spalla la chitarra e sull’altra il borsone da viaggio. Mi avvicinai, poi, al bordo del marciapiede, ancora incurante della pioggia che batteva più violentemente, senza guardarla negli occhi.
“In realtà non ho assolutamente intenzione di non farti partire per un misero capriccio, come dici tu” sussurrò tutto d’un fiato, continuando a torturare il bordo della sua felpona “Semplicemente volevo impedirti di partire finché non mi avessi salutata come si deve” concluse avvicinandosi a me e tenendo lo sguardo basso. Mi voltai verso di lei, inclinando leggermente la testa e abbozzando un sorriso compiaciuto. Gioivo del fatto che fosse venuta all’appuntamento, del fatto che mi avesse fatto una ramanzina ma, soprattutto, del fatto che avesse cercato di fermarmi solo per essere salutata a modo. Perché, in fondo, il rapporto instauratosi tra me e lei non era amicizia, era qualcos’altro, qualcosa di più, qualcosa che nemmeno io sapevo come definire. Godevo soprattutto del fatto che tale idea non fosse solo mia ma che fosse maturata lentamente anche nella testolina di Dorothy.
Mi avvicinai lentamente a lei e le posai una mano dietro la nuca, l’altra, dopo aver sollevato il suo viso quel tanto che bastava per specchiarmi nei suoi occhi,  la feci scivolare lentamente sulla sua guancia.
“Non ti sopporto, Dorothy” sussurrai al suo orecchio, scherzando.
Avvicinai, poi, il mio viso al suo e la baciai teneramente, così come piaceva a lei. Come quella sera che corsi al parchetto dietro casa sua dopo che mi aveva telefonato in lacrime. Mi disse che Peter, il belloccio della nostra scuola, dopo il loro primo appuntamento, le aveva detto che non aveva intenzione di continuare a frequentarla in quanto il suo busto non era abbastanza sviluppato e che, quindi, non l’avrebbe trovata gradevole in situazioni più “intime”.
“Non è tanto il fatto che mi abbia scaricata a farmi stare male” mi spiegò, tra i singhiozzi, dopo che ci accomodammo su di una panchina poco illuminata “Ma il fatto che mi trovi talmente orrenda da non sfiorarmi nemmeno un po’! Non mi ha dato nemmeno il bacio della buonanotte!” concluse, portandosi entrambe le mani sugli occhi.  D’istinto mi sporsi verso di lei e le sfiorai delicatamente le labbra. In un primo momento, la vidi irrigidirsi  e credei di aver buttato al vento anni ed anni di una bellissima amicizia; invece, passato lo stupore iniziale, Dorothy schiuse le sue labbra, permettendomi di approfondire quel bacio così inaspettato. Quando ci staccammo non ci fu alcun momento di imbarazzo o dichiarazione d’amore strappalacrime, lei poggiò semplicemente la testa sulla mia spalla e sussurrò un flebile “Grazie”.  Quella fu la prima e non l’unica volta in cui le mie labbra toccarono quelle di Dorothy; l’evento, infatti, si ripresentò molte, anzi, moltissime altre volte ma noi continuammo ad essere sempre e solo amici in quanto sia io che lei cercammo di stroncare sul nascere ciò che stava nascendo, temendo di compromettere irrimediabilmente la nostra amicizia. Eravamo dei semplici amici che di tanto in tanto si scambiavano baci, tutto qui. Sì, il nostro rapporto era di certo uno dei più strani venuti ad instaurarsi sull’intera Terra.

Ci staccammo da quel bacio quasi subito. Non appena il bus arrivò alla fermata e spalancò le porte dinanzi a me, Dorothy si spostò al riparo, sotto la pensilina, quasi come se si fosse accorta solo allora della pioggia che cadeva insistente. Il suo viso era sollevato, i suoi occhi erano fissi su di me. Salii i tre gradini che svettavano dietro la porta del bus e mi voltai verso di lei un’ultima volta, facendole un cenno di saluto con la mano.
“Fatti sentire di tanto in tanto, non fare l’egoista come tuo solito!” mi urlò, stringendosi nella sua felpa, nel vano tentativo di scaldarsi.
“Il mio primo album avrà il tuo nome, promesso!” le risposi, sorridendole.
Mi sedetti ad un posto accanto al finestrino e il bus partì, verso l’aeroporto, dando inizio ad un viaggio che avrebbe influenzato profondamente il mio futuro.
La mia testa era voltata in direzione del finestrino, il mio sguardo posato sull’esile figura femminile che continuava a fissarmi insistente man mano che il bus si allontanava. Restai in quella posizione finché Dorothy non fu così lontana da sembrare quasi un piccolo puntino blu che si mescolava con il paesaggio circostante.


                                                                 




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Salve a tutti! Spero che la one-shoot sia stata di vostro gradimento! So bene che dovrei pensare al prossimo capitolo di “Rebecca” ma, come disse il buon Wilde, “L’unico modo per resistere alle tentazioni è cedervi”; ebbene, io avevo questa idea in testa da un po’, non ho potuto fare a meno di assecondare la mia mente malata! xD Come al solito, critiche e commenti sono ben accetti, ogni occasione è buon per migliorarsi.:)
Alla prossima!
                                                                                                                                                                                        Desperate_
  
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