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Autore: Ita rb    23/08/2013    2 recensioni
[Pairing: 3x5]
Le sensazioni sono fatte di deboli sussulti e dubbi inconsistenti che non sanno far altro che turbare chi ne è affatto, al pari di un virus annegano l’animo umano in un mare di concezioni contorte, forse istillate dalla globalità del mondo, o forse solo dal contesto in cui si è nati per colpa della propria coscienza che, dopo tutto, tenta di preservare il proprietario in tutti i modi ad essa coincidenti.
Dal testo: Non sapeva se fossero stati davvero quelli o gli sguardi provocatori che gli venivano spesso lanciati prima della morte del suo maestro, non sapeva neppure se fossero stati quelli seguenti, più subdoli, ai quali detestava quasi rispondere con scherno per mettere a tacere le provocazioni: fatto sta che aveva iniziato a desiderare qualcosa che non avrebbe mai potuto avere a causa della sua ligia condotta .
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cho Hakkai, Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio, Son Goku
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, inizierò quasi a tediarvi con tutte queste nuove fan fictions che scrivo, ma non posso farci niente, mi escono di getto nei momenti meno pensabili od opportuni, lol.
Si tratta dell’ennesima 3x5, dal momento che si capisce chiaramente anche dall’introduzione della fan fiction non mi dilungherò molto in merito alla spiegazione della stessa, posso dirvi che questa volta non si tratta di un rating rosso, come avrete notato, perché non ho sentito la necessità di spingerla così in fondo, lasciandola forse incompleta o inconclusa (?) a voi spetta il giudizio, dopo tutto, perché io sono una mera scrittrice di sogni (?) e non faccio altro che riportarli per iscritto.
Posso solo dire che la prima parte è più introspettiva delle ultime fan fictions che ho pubblicato, semplicemente per il fatto che mi è nata dal cuore e spero possa piacere anche a voi lettori ~
Xoxo

 
Ita rb

 
Quel sentimento incomprensibile, fatto di una moltitudine di sfaccettature, aveva preso ad annegargli l’esistenza, giorno dopo giorno, in un mare di silenzi indissolubili dai quali non sarebbe potuto fuggire.
Sapeva solo osservare i gesti disinibiti di quell’uomo cocciuto tanto quanto lui, mentre a stento rientrava nella locanda sulle sue stesse gambe. Non era fatto solo d’inguaribile malinconia, tutt’altro, ma questa sprizzava sempre oltre il suo sguardo torvo e al contempo malizioso, mentre si spingeva oltre la soglia di una stanza come un’altra nella bella compagnia di qualche fanciulla un po’ brilla – non che avesse bisogno di far bere le donne per conquistarne i favori, affatto, ma queste sembravano stranamente propense ad aprire le sue gambe per lui quando, dopo qualche bicchiere di Martini, protendevano i loro seni prosperosi nella direzione delle sue iridi scarlatte.
L’aveva sempre saputo, o per lo meno pensava di saperlo: Sha Gojyo amava le donne più di quanto amasse la sua stessa reputazione di conquistatore incallito; per questo non faceva che lamentarsi del nomignolo che gli affibbiavano in quella strana combriccola con la quale procedeva verso ovest.
Ogni qual volta i suoi occhi si posavano su di lui, uno strano peso si attanagliava nelle sue viscere e quasi le torceva in una terribile morsa dalla quale non sarebbe stato in grado di fuggire neppure volendo: le sue labbra si serravano, minacciose, attorno al filtro della Marlboro che vi posava contro per aspirare un po’ di fumo e lo sguardo si assottigliava velocemente, mentre lanciava un’occhiata fugace alla sua nuova conquista di letto – una di quelle donne che sarebbe stata utile solo per una nottata di sesso e nient’altro. Dissimile dalla comune accezione di gelosia, quella sensazione pareva eroderlo dentro con una costanza insaziabile, e mentre il vociare leggero di Goku si faceva più opprimente nelle sue orecchie, qualcosa scattava in lui, come una molla, istigandolo quasi a colpirlo con il fedele harisen che portava sempre con sé. Di tanto in tanto cedeva a quell’impulso e pur non dando una motivazione tangibile alla saru, questo si accontentava di scioccare la lingua con una sorta di fastidio, mentre lo sguardo silente di Hakkai lasciava ben intendere quanto avesse compreso la situazione; eppure il venerabile Genjo Sanzo Hoshi ne era più che convinto: il demone non poteva minimamente immaginare cosa gli passasse per la testa – probabilmente lo riteneva semplicemente seccato da quell’atteggiamento ambiguo di libido sfrenata, ma non osava neppure giungere al vero e proprio problema, perché accostare un monaco come lui a qualcosa di così grande e inconsueto era, per l’appunto, una follia.
Non aveva mostrato mai interesse per il gentil sesso e l’unico ad essersi realmente accorto di ciò era stato proprio il mezzosangue quando, all’inizio del loro strampalato viaggio verso il castello di Hoto, aveva lasciato che la sua battuta fluisse via con naturale semplicità dalle labbra fin troppo schiette, insinuando che la sessualità del bonzo fosse tanto discutibile quanto le sue scelte di vita. Un uomo che, nonostante avesse seguito la via del Buddha, continuasse a fumare come una ciminiera, bevendo birra e sakè a volontà, di sicuro non gl’ispirava un modello degno di fiducia; ma non era neppure quello il punto, perché forse questo si era accorto troppo presto della sua intensità nello sguardo, di quella scintilla spasmodica che l’aveva colpito quando, dopo aver bloccato il suo polso con la Smith&Wesson nel giorno lontano del loro primo incontro, aveva notato una sorta di attrazione. Doveva essere così, Sanzo non aveva più alcun dubbio in merito, e proprio per questo continuava a tenerlo alla larga da sé, cercando con tutto il suo ego di annichilirlo come possibile, punzecchiandolo per provocarne una reazione diversa; eppure era lì, con la sua bella conquista stretta tra le braccia, che si avvicinava alla porta della sua stanza con nonchalance – la stessa che gli faceva saltare i nervi, che lo annientava inesorabilmente, perché sapeva bene che quella notte non avrebbe chiuso occhio e che il suo malumore sarebbe peggiorato l’indomani.
Tendeva sempre a voler prendere una stanza per sé, desideroso del silenzio, lontano dagli altri il più possibile, ma spesso Hakkai lo rimproverava, chiedendogli di rimanere vicini per essere pronti a rispondere a un eventuale attacco di un’orda di demoni. Non era pigrizia la sua, non proprio, perché sebbene lasciasse che fossero gli altri a occuparsi di gran parte del lavoro, lui aveva quantomeno il ruolo di osservare da dietro per prevenire eventuali gesti inconsulti da parte del suddetto gruppo che, di tanto in tanto, si lanciava in attacchi a sorpresa che venivano sempre sventati da qualche sparo della fidata pistola.
«Cos’hai?» Chiese la voce fievole del demone, inducendolo a battere appena le palpebre socchiuse, mentre allontanava la sigaretta dalla propria bocca con un grugnito infastidito, notando come questa si fosse consumata e considerando l’idea di spegnerla per accendersene subito un’altra.
«Nulla,» rispose subito, senza lasciargli tempo di aggiungere o insinuare altro con il suo solito modo di fare pacato «assolutamente nulla.»
Ci teneva a sottolineare che la sua irritazione fosse dovuta dalla normale routine, ma quella risposta non fece altro che far sbraitare la saru che, ripetutamente, si sentiva attaccata ingiustamente dal bonzo, perché questo, proprio in un impeto d’ira, gli aveva tirato uno scappellotto in piena regola, forse un po’ troppo forte, più del previsto, dal momento che l’eretico si era lamentato in tono stridulo, portando entrambe le mani alla nuca dolorante dopo aver sollevato la testa dal piatto in cui era finito rovinosamente con il viso, sporcandosi di salsa agrodolce e sembrando piuttosto infastidito: «Sanzo, che diamine ho fatto questa volta?»
La sua domanda era più che legittima, dal momento che non aveva dato fastidio a una mosca, ma il sol fatto di essere seduto accanto a un bonzo di cattivo umore come Sanzo, probabilmente sarebbe stata la sufficiente risposta per metterlo a tacere, la stessa che avrebbe poi ricevuto da Hakkai in un secondo momento, quando sarebbe stato tanto masochista da chiedergli delucidazioni sul comportamento altrui. «Sei rumoroso,» esordì questo, scuotendo il naso con un fare crucciato tipico di certi momenti «mangia in modo decente», sbuffò poi, alzandosi dalla sedia senza aggiungere altro, dopo aver posato le bacchette al centro del piatto, indicando così che il pasto era concluso per lui, nonostante avesse mangiato solamente la metà di quello che si trovava nel suo primo piatto. Non aveva fame ed era raro che mangiasse di gusto, soprattutto quando non presenziava dinanzi a lui la somma e adorata maionese cui era eccessivamente ghiotto.
«Chissà cosa gli sarà preso così all’improvviso», sussurrò la saru, guardandolo mentre si allontanava con passo lento e calcolato verso le scale della locanda, quelle stesse che portavano al piano superiore e quindi alla sua stanza: ciò avrebbe voluto significare una sola cosa: niente e nessuno avrebbe saputo nulla di lui o del suo umore fino all’indomani mattina.
«Non ne ho idea,» fece il demone, con un sorriso gentile e affabile, lasciando che l’altro lo guardasse appena, prima di concentrarsi nuovamente sulla direzione intrapresa dal bonzo «ma dovresti essere abituato ai suoi repentini cambi d’umore», aggiunse poi, sorridendo tranquillo e lasciando che sciamasse la strana inquietudine di base che aveva adottato in un primo momento.
 
Era asfissiante lo sguardo che sentiva su di sé, mentre saliva le scale della locanda, percorrendo gli stessi gradini che la suola delle scarpe di Gojyo avevano già sorpassato da qualche minuto; sapeva che lo stavano osservando, così come era conscio del fato che ogni sua parola sarebbe servita solo ad alimentare chissà quali e quanti strani sospetti, se solo ne avesse data una per spiegare la situazione al meglio – ma in fondo a lui non interessava farlo, non gl’importava nulla che non fosse parte del piccolo e illusorio mondo che si era creato col passare degli anni, perché sapeva perfettamente che mettere mano a dei discorsi del genere avrebbe suscitato solo clamore e scompiglio nel gruppo. Non aveva la benché minima voglia di descrivere la sensazione che provava nel passare dinanzi alla porta chiusa della stanza del rosso, meno che mai ciò che gli si agitava dentro nell’immaginarlo da solo in compagnia della sua nuova conquista, mentre la bile gli saliva allo stomaco, spronando la gastrite che tutti i giorni lo tormentava dal primo mattino.
Avevano abitudini simili loro due: entrambi si alzavano a fatica dal letto, dopo il risveglio di Hakkai e Goku; si sistemavano a fatica nel bagno per risultare presentabili e dinanzi a una tazza di caffè potevano solo rimuginare sulle ore di sonno perdute per motivi diversi, mentre il fumo delle sigarette si mischiava tra loro, creando una piccola cappa nell’ambiente chiuso delle locande o, di rado, tutt’attorno a loro nell’esterno – sempre se non gli veniva accordato il consenso di farlo all’interno della sala comune, ma accadeva di rado.
In quel momento, quando Sanzo si trovò a fissare con la coda dell’occhio l’uscio socchiuso di quella camera, pensò proprio al silenzio di quella mattina, quando si trovava seduto al tavolo dinanzi al mezzosangue che, con aria quasi spavalda, aveva chiesto alla cameriera un’altra tazza di caffè senza considerare il suo debole intestino e ciò che ne sarebbe convenuto a causa dell’inconsulta scelta. Gli sovvenne, semplicemente, perché quegli istanti parvero quasi eterni a suo avviso, mentre si spingeva un po’ più in là con la coscienza, tanto da dover quasi trattenere l’estro di afferrarlo per la chioma scarlatta e avvicinarlo a sé con foga – non sapeva da quando aveva iniziato ad avere quella strana voglia, ma l’idea di sentire le sue labbra sulle proprie lo mandava in fibrillazione; dovevano sapere di tabacco e caffè, forse anche un po’ del suo naturale quanto acidulo essere, ma nulla sarebbe stato più velenoso delle parole che il bonzo era solito regalare con tanta premura ai membri del gruppo, pertanto gl’interessava provare quella strana esperienza che non solo non avrebbe mai palesato, ma non avrebbe neppure accettato di buon grado, grugnendo infastidito anche solo per averla considerata e causando schiamazzi e battutine sconfortanti in merito al suo solito atteggiamento schivo.
«Idiota», sbuffò d’un tratto, muovendo velocemente dei passi verso la sua stanza e ignorando la porta socchiusa che tanto gli aveva dato da pensare – nonostante ciò, però, era perfettamente conscio del fatto che ci avrebbe rimuginato sopra tutta la notte, domandandosi per quale oscura ragione l’avesse tenuta accostata e non chiusa, limitandosi dunque a mostrarsi con egocentrismo nella sua arte di amatore attraverso i flebili ansimi della sua conquista serale. «Maledetto idiota», sibilò, aprendo la porta della sua stanza e chiudendola con uno scatto alle sue spalle, sicuro del fatto che nell’uno l’avrebbe sentito; allora grugni: «Ero kappa.»
 
Il mattino guizzava al di là delle persiane accostate, tanto che da questa parve quasi scindersi un raggio fino a raggiungere la fronte corrucciata del monaco che, nonostante tutte le buone premesse della sera antecedente, non aveva comunque chiuso occhio a causa dei pensieri turbolenti e delle immagini che, repentine, si susseguivano contro la retina interiore al pari di ricordi soffusi e soffici, ma terribilmente insistenti.
Avrebbe preferito di gran lunga non uscire da quella stanza di prima mattina, sicuro del fatto che al buongiorno collettivo avrebbe risposto in tono austero con un’esclamazione degna di nota che avrebbe di sicuro suscitato una certa apprensione da parte delle insinuazioni altrui. A ogni modo sapeva bene che non avrebbe potuto fare altrimenti, così, tirandosi fuori a fatica dalle lenzuola, grugnì sommessamente, indirizzandosi verso il bagno con aria sbattuta, la stessa che non mancò di mirare nel suo riflesso quando lo incontrò casualmente nello specchio ampio del mobile ligneo. L’unica cosa che lo rallegrava stava nel fatto che, malgrado le premesse esterne dell’edificio quasi fatiscente, questo fosse ben organizzato da un punto di vista dei servizi – odiava i bagni pubblici, sebbene ne avesse sempre fatto uso sin da piccolo, quando era costretto tra le mura del Kinzanji e successivamente a Keiun; almeno nel tempio cui faceva riferimento dopo il conseguimento del titolo di Sanzo, aveva avuto la buona creanza di far spostare tutti i bonzi nelle ore cui desiderava occuparlo per sé. Vuoi per pudore, vuoi per semplice fastidio, il venerabile Genjo Sanzo Hoshi detestava la compagnia altrui in momenti d’intimità come quello, soprattutto se successivi agli spiacevoli incontri della sua adolescenza.
Non sapeva se fossero stati davvero quelli o gli sguardi provocatori che gli venivano spesso lanciati prima della morte del suo maestro, non sapeva neppure se fossero stati quelli seguenti, più subdoli, ai quali detestava quasi rispondere con scherno per mettere a tacere le provocazioni: fatto sta che aveva iniziato a desiderare qualcosa che non avrebbe mai potuto avere a causa della sua ligia condotta – che poi non era così incorruttibile come pensava, dato anche il vizioso modo di agire tra alcol e sigarette che gli annebbiavano la coscienza, condite dal gioco d’azzardo che aveva apprezzato maggiormente in viaggio con quei tre strani individui affidati a lui dalla Bosatsu.
Pensare a Gojyo di prima mattina era quasi snervante, doveva ammetterlo, e non poteva certo rifiutarsi di farlo, perché sarebbe stato incoerente con la nottata in bianco passata a immaginare il sapore delle sue labbra che, probabilmente, non avrebbe mai assaggiato. Quell’uomo non solo faceva parte della stretta cerchia di persone che lo accompagnavano verso ovest, ma era perennemente in bilico tra la vita e la morte; pertanto, il detto insegnato dal suo maestro non poteva che risuonargli nelle orecchie, convincendolo del fatto che anche solo legarsi illusoriamente a qualcuno fosse errato; ciò che davvero gli sfuggiva, però, era la contraddizione effettiva dei fatti, perché Komyo Sanzo aveva avuto per lui un attaccamento tanto forte da risultare al limite del reale – se poi si consideravano anche le malignità dette sul suo conto al tempio di Kinzan, allora chiunque sarebbe stato certo del fatto che il bonzo aveva male interpretato l’insegnamento. Lui no, ne era propriamente convinto, e senza contare il fatto che Gojyo fosse un essere vivente del suo stesso sesso, cosa che in fin dei conti gl’interessava ben poco apparentemente, era più l’assetto emotivo a turbarlo – perché quello l’avrebbe disdegnato di certo, considerate le convinzioni cui faceva riferimento da anni.
Dopo tutto, però, aveva ben poco da preoccuparsi, perché se anche Gojyo avesse improvvisamente perso il senno, indirizzandosi verso un uomo come lui e abbandonando i piaceri della carne femminile, probabilmente anche quella sarebbe stata solo una nottata di sesso, una da ricordare, annotata sul suo taccuino – se mai ne avesse avuto uno. La considerazione che Sanzo aveva di lui era pressappoco al di là di ogni percezione, perché questo non faceva che basarsi sull’apparenza, senza volersi calare approfonditamente nel discorso per comprendere a pieno ciò che concerneva un atteggiamento simile; meno che mai il rosso avrebbe potuto annotare le sue conquiste da qualche parte, eccetto che per rari casi in cui segnava i numeri di telefono delle fanciulle più accattivanti: di certo, però, non avrebbe mai fatto un resoconto o una classifica come invece credeva il biondo, perché ogni fanciulla che sostava nel suo letto aveva qualcosa di speciale per cui essere ricordata, al di là del semplice rapporto sessuale cui si dedicava per superare i traumi infantili in una sorta di risposta all’indole istrionica mal celata.
«Buongiorno», disse una voce, fastidiosamente opprimente tanto quanto il ricordo della stessa che, probabilmente, aveva aleggiato tra le quattro mura della sua stanza per i piaceri più dissoluti; era ironica, forse più del solito, e quel sorrisetto beffardo che mostrava con noncuranza oltre l’Hi-Lite che posava tra i due petali fini, lo irritava profondamente tanto quanto lo stesso fatto di averlo incontrato di prima mattina dopo essere uscito dalla sua stanza senza che se ne rendesse conto.
Aggrottò le sopracciglia con fare contrito, prima di sollevarne uno con fare retorico, rispondendo all’evidente provocazione: «Buongiorno un cazzo!1»
«Come siamo fini di prima mattina, venerabile Sanzo», ghignò divertito, spostando la sigaretta dalle labbra solo per fissare le sue iridi scarlatte sulla figura dell’altro, allungando una mano nella sua direzione solo per poi scostargli una ciocca scompigliata che, evidentemente, non era riuscito a sistemare a dovere in bagno, ancora assonnato a causa del fatto che non avesse dormito minimamente come buona creanza suggeriva.
«Sentirti di prima mattina mi fa salire la nausea», sbuffò l’interpellato, senza cogliere l’ironia, o semplicemente mantenendo intatta la sua facciata in risposta all’atteggiamento dell’altro. Era un’evidente bugia, ma nessuno, eccetto il monaco stesso, avrebbe saputo interpretarla come tale; ma allo stesso tempo questo si sentì in difetto, quasi imbarazzato e sott’osservazione a causa del modo di fare che, nonostante fosse affine agli altri giorni, pareva quasi brillare di luce propria, quanto quella che aveva scorto appena oltre la porta socchiusa del mezzosangue.
L’irritazione del bonzo non poté far altro che irritare di rimando anche il rosso, lo stesso che storse il naso con profondo fastidio, mentre ciccava in terra con una terribile nonchalance dinanzi a lui, lasciando che questo si chiedesse tutto ciò che più desiderasse senza esprimerlo a gran voce – probabilmente, tra i tanti interrogativi c’era anche quello di dove avesse nascosto la tipa della sera prima, come tutte quelle che aveva rimorchiato nei giorni precedenti dandosi alla caccia grossa, cosa che non capitava spesso durante il loro viaggio; era come se Gojyo fosse animato da una sorta di voglia spasmodica che non veniva saziata in alcun modo da alcuna fanciulla. «Figuriamoci, non era certo mia intensione salutarti così di buon grado,» disse con tono acido, portando nuovamente la sigaretta alle labbra con fare da sbruffone «è semplicemente capitato: tutto qui.»
«Ovvio», convenne ironico l’interpellato, posando una mano sulla maniglia per tenerla ferma mentre chiudeva la porta a chiave, intenzionato a dirigersi al piano inferiore senza ulteriori scocciature che, però, sembrarono attecchire a lui con una terribile influenza negativa sul suo essere.
«Non ci credi?» Domandò il rosso, osservandolo corrucciato tanto quanto il biondo, insinuando il tarlo del dubbio anche dentro se stesso, di rimando all’atteggiamento che il monaco aveva tenuto nei suoi confronti con un modo di fare terribilmente sostenuto: sembrava quasi che l’avesse minacciato in qualche modo o irritato profondamente, dicendo la parola sbagliata al momento sbagliato, quando in realtà si era spinto soltanto a salutarlo.
Sanzo si voltò solo per vederlo vicino a sé, sentendosi fremere di rabbia e indignazione a causa di quello sguardo tagliente e malizioso che, nonostante tutto, non aveva nulla a che vedere con quello che rilasciava tutto attorno a lui quando era in compagnia di una donna – ma questo avrebbe dovuto immaginarlo sin dal principio. «Dovrei metterlo in dubbio per qualche ragione?»
«Affatto», sussurrò questo, fissandolo dritto negli occhi violetti, con una sorta di malia oltre l’apparente guizzo di diffidenza che mostrò in preavviso nei suoi confronti. Era chiaro come il sole che tra di loro fosse scattato qualcosa, ma entrambi parevano accecati da quella strana scintilla, tanto da risultarne estranei al massimo, e sebbene l’accoglienza del mezzosangue fosse tanto ironica quanto quella dedicata al monaco nel loro primo incontro, questo non si accorse del parallelismo, lasciando che tutto fluisse secondo il meccanismo di difesa che si era creato con maestria.
«Bene», sibilò, scostandosi da lui e scivolando verso sinistra giusto in tempo per sentire una voce stridula chiamarlo in lontananza con lo stesso augurio del mezzo demone; allora si voltò per notare l’espressione quasi raggiante dell’eretico, il quale stava percorrendo a piccoli passi il corridoio della locanda con lo stesso intento dei due.
«Buongiorno!» Squillò allegro, notando subito dopo che quella felicità apparentemente immotivata non fosse ricambiata dal suo tutore che, dopo aver serrato le palpebre con un’espressione infastidita, disse:
«Perfetto, la mia mattinata è iniziata per il verso giusto, vedo.»
A quel punto lo videro allontanarsi con passo svelto dopo aver dato le spalle a entrambi e Gojyo sospirò, gettando fuori dai polmoni il fumo che vi si era condensato dentro. «Acido, davvero acido», commentò in tono sommesso, sentendo poi sbuffare la saru alla sua sinistra che, come lui, stava fissando le spalle del monaco cocciuto e insensibile con fare corrucciato.
«È da ieri sera che si comporta a quel modo, credo di non poterne più ormai…» disse in tono sommesso il più piccolo, catturando totalmente l’attenzione del rosso che, voltandosi verso di lui con un sopracciglio alzato, attese il termine del suo discorso «… pensavo che con una bella dormita sarebbe rinsavito, invece temo che sia successo esattamente il contrario.»
Scosse lievemente il capo a quel punto, notando come l’eretico avesse appena cambiato espressione, come contagiato dall’atteggiamento di Sanzo che sembrava noncurante perfino dei suoi sentimenti in quei giorni, malgrado li avesse tenuto in considerazione per anni. «Sentirmi di prima mattina gli fa venire la nausea», spiegò semplicemente, senza giri di parole inutili, suscitando solo un suono interrogativo da parte dell’altro:
«Eh?»
«Niente, lascia stare», sospirò, portandosi la mano libera dalla sigaretta alla testa, grattando appena la cute per poi posare la sigaretta tra le labbra strette e dirigersi nella stessa direzione di quel bonzo perennemente irritato, seguito prontamente dalla saru.
 
La giornata procedette senza ulteriori indugi, seguendo la normale routine di quella strana accozzaglia di caratteri controproducenti che venivano messi a tacere dalla presenza del demone dagli occhi di giada; null’altro poteva calmarli, perché se Gojyo e Goku litigavano tra loro, Sanzo non faceva che alimentare i dissidi interni e a Hakkai toccava l’incombenza di sterminare tutto con una semplice risata malevola, la quale non presagiva nulla di buono ed era addirittura in grado di placare il monaco a causa della sua pericolosità latente – dopo tutto, un demone come lui che perdeva il controllo non era certo un bel vedere e il bonzo lo sapeva più che perfettamente, sapendo ritrarsi al suo posto senza aggiungere nulla in merito a qualsivoglia discorso.
Al momento era calata la sera, o per lo meno sembrava che fosse già arrivata a causa del riverbero bluastro che si poteva osservare al di là del tramonto guizzante che irrompeva nel cielo come un focolare acceso; ma non era certo quella sosta prolungata a turbarlo, bensì qualcosa di diverso che si sentiva nelle viscere al pari di un verme solitario in grado di eroderlo dall’interno fino a consumarlo. Quella voglia che aveva di baciare il suo compagno di viaggio si era fatta ancora più dirompente nel corso della giornata, tanto più la sua vicinanza e le allusioni lo colpivano nel profondo, malgrado fosse solo una reazione inconscia dello stesso più che la realtà fatta a persona.
«Ti faccio veramente salire la nausea?»
Quella voce era la sua, non c’era alcun dubbio in merito, perché sebbene avrebbe potuto benissimo ignorarla come il resto dei suoni cittadini, aveva bucato la sua membrana impenetrabile, giungendo dritta all’attenzione del biondo con una sorta d’invadenza. «Cosa?» Chiese in tono sommesso, spostando la Marlboro dalle labbra per poi voltarsi verso di lui con un sopracciglio alzato, trovandosi ad affrontare il discorso di quella mattina che sembrava aver turbato non poco il rosso – non poteva essere altrimenti, sennò perché l’aveva ripreso a quel modo, cercandolo per il villaggio come se nulla fosse solo per trovarlo poco distante dalla locanda, fermo in un vicolo con l’aria assorta.
«Sai a cosa mi riferisco», marcò bene, avvicinandosi a lui e fermandosi a pochi passi dallo stesso per evitare che gli puntasse contro la Smith&Wesson, minacciandolo come solo lui sapeva fare quando si trovava con le spalle al muro; allora lo senti grugnire sommessamente e si disse che aveva colto nel segno: lui ricordava bene le sue parole di quel giorno, pertanto erano state ben calcolate, o forse istintive, ma comunque indelebili e forse veritiere.
«E tu sai bene che sto cercando di evitare la tua domanda inutile», lo rimbeccò subito, sperando che a quel punto desistesse in qualche modo, accecato all’orgoglio, ma sembrava che fosse lui quello più avvezzo a certi preconcetti, perché il mezzosangue non si mosse di un millimetro, gettando in terra il mozzicone della sigaretta per poi calpestarlo con la suola rigida degli stivali scuri che fuoriuscivano dai pantaloni in pelle.
«Evitandola non avrai alcun risultato, però», lo contraddisse, facendo spallucce e lasciando che  la sua mano libera finisse dritta nella tasca della giacca marrone, mentre il suo sguardo si concentrava meglio su quello del bonzo.
«Quale risultato potrei avere se rispondessi?»
Il tono piccato che adottò sembrò quasi suggerire una sorta di malia di sfondo, mentre si prodigava a cercarne un altro meno allusivo che fosse in grado di scacciare la fonte dei suoi pensieri più scabrosi in men che non si dica. «Non so, dipende da quale ti aspetti di ricevere», commentò Gojyo in tono sommesso, avvicinandosi alla stessa parete cui si trovava il monaco per posarvi contro le spalle ed emettere un sospiro leggero che fece distogliere lo sguardo al biondo.
Sollevò la mano che aveva liberato poco prima dalla Marlboro per poi riavvicinarla alla stessa, intrecciando il filtro tra l’indice e il medio prima di allontanarla con nonchalance dal suo volto e sbuffare una nuvoletta grigiastra nell’aria. «Credo che tu abbia perso qualche rotella nel frattempo, tra una scopata e l’altra», borbottò vagamente irritato, inconsciamente affine al concetto che, dopo tutto, questo non avesse dovuto esporsi a tal punto, perché il sol sentirlo vicino a sé gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Gojyo ridacchiò tra sé e sé, allontanandosi dal muro con un’espressione corrucciata, mentre fissava l’altro di sottecchi, quasi divertito e affascinato al contempo dal senso di quelle parole uscite per puro caso dalle sue labbra contratte. «È questo il problema?» Domandò, insistendo ancora con una nuova insinuazione: «Ti da fastidio se scopo con qualcuno?»
Sanzo schioccò la lingua, piccato, mentre gli dava le spalle frettolosamente, prendendo a camminare lungo il vicolo col mero intento di lasciarlo lì a marciare nel suo auto compiacimento che aveva ben poco di cui vantarsi dal momento che non aveva risposto positivamente alla suddetta domanda impertinente. «Non essere ridicolo,» disse, alzando di poco il tono della voce «sai che me ne importa di chi entra nel tuo letto?»
Il rosso ghignò, divertito ancor più di prima, mentre si avvicinava a lui, sussurrando delle parole in grado di congelarlo seduta stante: «Non sembra così», sibilò appena, lasciando che l’altro intendesse bene a cosa si stesse riferendo; eppure, tra di loro, non c’era nessuna strana relazione di sorta, il che avrebbe altrimenti spiegato l’atteggiamento cocciuto del bonzo.
«Sembra male, allora», fece schiettamente il biondo, voltandosi verso l’interlocutore dopo aver posato una mano sull’impugnatura della fida pistola, serrando le labbra attorno al filtro ovalizzato della Marlboro che pendeva appena tra i petali tumidi e candidi.
«Non credo», lo contraddisse il mezzo demone, afferrando quel polso che, maldestramente, si era fatto scoprire più che altro per la prevedibilità del gesto che per il suo repentino movimento; allora Sanzo dovette reprimere a forza un’imprecazione, mentre affinava lo sguardo corrucciato, aggrottando le sopracciglia e mostrando una sorta di astio nei suoi riguardi, pur non lasciando la presa sull’arma.
«Cosa vorresti dimostrare con quest’atteggiamento infantile?» Domandò, osservando come l’altro stesse scuotendo la testa in risposta, forse senza degnarlo sufficientemente idoneo per una spiegazione logica.
«Soltanto che sotto le vesti di un monaco Sanzo si nascondono delle pulsazioni più umane di quanto lui stesso possa immaginare», disse, avvicinandosi a lui e vedendolo retrocedere fino a urtare con le spalle la parete retrostante; allora questo arricciò il naso infastidito, molto più convinto di quella mattina sul fatto che la sua vicinanza lo mettesse di cattivo umore dal momento che non avrebbe potuto agire di conseguenza alle sue pulsazioni, nonostante i continui accenni alla stessa che l’altro gli lanciava di sbieco.
«Allora ti sbagli di grosso, ancora una volta», fece in tutta risposta, distogliendo lo sguardo nella speranza che per lo meno i bollori interni si placassero quanto la sua eccitazione di sfondo; se fosse stato per lui, probabilmente, l’avrebbe costretto a urtare contro l’altro lato del vicolo dopo averlo pestato a sangue, prendendosi per giunta la soddisfazione di accennare a un bacio leggero sulle sue labbra invitanti.
«No, non posso sbagliarmi», disse questo, mentre inclinava appena la testa da un lato, lasciando che i capelli scarlatti scivolassero sulla giacca di pelle marrone in un contrasto lieve. «Io non mi sbaglio mai», ghignò soddisfatto, notando come la mandibola altrui fosse contratta, segno evidente che avesse pienamente ragione e che Sanzo si stesse trattenendo dall’esplodere da un momento all’altro.
«Bastardo», ringhiò poi il biondo, fissandolo malamente, quando questo si avvicinò al suo volto con fare provocatorio, come a voler cedere a quel desiderio non espresso solo per il mero gusto di vederlo ritrarsi ancora una volta, negando le sue evidenti attrazioni sessuali che, dopo tutto, non avrebbe potuto tenere a freno tanto a lungo se non castigate oltre a un comportamento algido simile.
Gojyo non riuscì a trattenere la curiosità, sollevando una gamba con fare malizioso e battendo la coscia contro l’intimità altrui, trovandola stranamente tesa e vibrante al contatto. «Frena con le parole, non è colpa mia se ti ecciti con un uomo, bonzo pervertito», sbottò il rosso quando udì quell’offesa, senza riuscire a trattenere la propria che fluì via, semplicemente, battendo contro di lui con una forza tale da infuriarlo istantaneamente; così Sanzo riuscì a trovare il modo per spingerlo via con uno sbuffo scocciato, fronteggiandolo a viso aperto.
«E sarei io il pervertito?» Ringhiò nella sua direzione, fissandolo malamente, con totale indignazione per il suo gesto, nonché per le parole che gli aveva dedicato con tanto scherno. «Ti ha mai parlato nessuno di reazioni fisiologiche?» Sibilò irritato, cercando di risultare esterno il più possibile a tali affermazioni che andavano a ledergli in qualsivoglia direzione, perché fin troppo affini con quella che realmente era la realtà dei fatti. «Non colpiscono solo gli uomini comuni, ma anche i monaci, perché lo sono a loro volta», aggiunse con un sibilo, osservando ancora l’espressione divertita del rosso che, nonostante le sue parole, non era cambiata di una virgola.
«Quindi si tratta di una reazione fisiologica legata agli uomini?» Chiese questo, annuendo in risposta alla sua stessa domanda per ottenere presto una confessione inequivocabile sulle tendenze del monaco che, dal canto suo, ci tenne a precisare con astio:
«Una reazione fisiologica e basta.»
Gojyo si scostò dalla parete, osservandolo dritto negli occhi con fare spavaldo, sicuro di ciò che stava per dire, poiché vi aveva meditato su per lungo tempo. «Interessante, perché anche io ho una certa reazione fisiologica, ultimamente, e non riesco in nessun modo a sanarla…» disse appena, quasi in un sussurro, muovendo le labbra quel tanto che bastava per ingigantire l’oppressione del bonzo al centro del suo petto «… il venerabile Sanzo ha qualche idea per sanare il continuo e fastidioso incalzare della stessa?»
Era proprio come si era immaginato: detestabile. Sha Gojyo, oltre la sfrontatezza che mostrava alle donne non era affatto una bella persona, nonostante si sforzasse di mostrarsi affabile e gentile con il prossimo, altrimenti non avrebbe potuto spiegare affatto il suo atteggiamento. «Affatto», negò subito, evidentemente corrucciato, mentre sibilava quelle lettere, scandendole quasi con furia omicida e sfoderando la pistola dalla cintola la puntò contro di lui, dando un’ennesima conferma del fatto che nessuna insinuazione fosse dettata dal caso, seppur detestata nel profondo.
«Io credo di sì, invece», fece il rosso, ammiccando nella sua direzione con un sorriso affabile, perché dopo tutto Sanzo si era sbagliato nei suoi confronti: non era una persona cattiva, ma amava divertirsi a discapito degli altri e a discapito di se stesso, spesso e volentieri, mandando giù litri e litri di birra per poi concedersi un sonno colmo di riposo inconsueto e turbolento che l’indomani si sarebbe trasformato in tutto fuorché reale relax.
«Smettila subito, idiota», sbuffò il biondo, distogliendo appena lo sguardo da quello rosso del mezzosangue che sembrava infiammargli le viscere senza che se ne rendesse conto; allora si rallegrò del fatto che sotto alla veste indossasse dei jeans, perché in caso contrario, così come all’inizio del suo viaggio verso ovest, sarebbe risultato facilmente preda delle prese in giro altrui.
«Smettila tu, piuttosto», fece in risposta l’altro, avvicinandosi di un passo a lui solo per vedere la canna della pistola puntarsi sotto il suo mento; allora deglutì appena, cercando di prendere un po’ d’aria in quell’ansia perenne che il bonzo sapeva mettergli in dosso in ogni caso.
«Di fare cosa, esattamente?»
«Di fissarmi», rispose l’interpellato, umettandosi le labbra per la loro secchezza, senza immettere nulla di malizioso in quel gesto istintivo che, però, gli costò parte della sua calma quando la Smith&Wesson parve rinserrare la sua presa sotto alla mandibola. «Mi fissi in continuazione», aggiunse in fine, socchiudendo un occhio, sicuro che prima o poi gli avrebbe sparato in preda a un raptus d’ira che Hakkai non avrebbe potuto fermare per la sua mancata presenza; ma dopo tutto era stata colpa sua, perché quella discussione era iniziata a causa delle insinuazioni che aveva lanciato verso di lui col mero scopo di divertirsi come se nulla fosse.
«È solo una tua malata impressione», sbuffò, serrando le palpebre fino a trasformarle in due fessure ametista pronte a mirare dritto alle sue cervella per mandarle in mille pezzi come se fossero parti integranti di uno specchio contorto.
«Non credo», fece subito, sentendo ancora il ferro premere contro la sua gola con una certa insistenza; allora decise di giocarsi il tutto per tutto, continuando su quella linea che gli sembrava quantomeno affine a se stesso. «Per esempio, ieri sera, ti sei irritato molto dopo che sono tornato alla locanda», insinuò appena, mentre lasciava che il suo gorgoglio irritato raggiungesse le sue orecchie oltre le parole che avrebbe voluto dirgli e che, dopo tutto, continuavano a fluire dalle sue labbra come se nulla fosse. Se avesse voluto, infatti, avrebbe potuto rivolgere altrove quella pistola giusto per il tempo sufficiente a scostare il capo; ma non era da lui un simile atteggiamento, così come sapeva che Sanzo osava sparare a lui e a Goku solo senza mirarli realmente, inducendoli a fare meno baccano per un motivo qualsiasi – dal semplice mal di testa all’arrivo imminente di un nemico mortale. «Cosa t’infastidiva tanto?»
Sentendo quella domanda, il monaco scosse il capo, caricando il grilletto e lasciando che il rosso deglutisse a fatica, spaventato più che altro dalle intenzioni che mostrava con testardaggine il biondo. «Si tratta di un caso, non mi ero neppure accorto di quando fossi rientrato», mentì spudoratamente, mentre sollevava il mento per far spazio alle sue parole, arricciando il naso con irritazione crescente, quasi disgustato dalle parole che gli venivano rivolte: in realtà aveva solo il timore di essere scoperto.
Gojyo ghignò, non divertito, ma malizioso, mentre posava la sua mano destra su quella del biondo che si serrava attorno al calco della Smith&Wesson con una rabbia dirompente; volle imprimere così la sua presenza, assicurandosi del fatto che se mai avesse osato premere il grilletto, questo non sarebbe riuscito comunque a ucciderlo per qualcosa di tanto sciocco.«Strano, sentivo i tuoi occhi addosso con una tale insistenza che ho voluto accertarmene», mormorò, fissandolo intensamente e sentendo quasi il suo braccio tentennare; allora continuò con un tono più mellifluo e provocatorio: «Non eri forse tu quello fermo fuori dalla mia porta?»
«Cosa stai insinuando?» Sibilò subito il monaco, serrando i denti, mentre fissava il rosso a sua volta, cercando di mantenerlo a debita distanza per evitare rogne inutili. Non aveva intenzione di sparargli, proprio come Gojyo aveva precedentemente intuito, ma doveva ammettere che la tentazione era davvero forte, perché con un semplice bang avrebbe risolto tutti i suoi attuali problemi, mettendo a tacere anche l’orgoglio che scalpitava furente nel suo stomaco, quasi come se avesse preso possesso di un organo a caso, piuttosto che rimanere inconsistente.
«Nulla, piuttosto, tu vorresti dirmi qualcosa?»
Gojyo sembrava aver capito bene la situazione, molto più di quanto Sanzo avrebbe desiderato, ma nel momento in cui la sua secca risposta uscì dalle labbra quasi si sorprese di tanta falsità; dopo tutto, spesso e volentieri gli era capitato di dire in faccia la nuda e cruda realtà dei fatti, pur in maniera brutale, ma non in una circostanza come quella, dove era in ballo la sua dignità. «No,» sibilò «non ho niente da dirti.»
«E cosa vorresti fare adesso?» Domandò ancora, mentre premeva un poco la sua presa contro la mano altrui, inducendolo a sostare la canna della pistola dal suo collo solo per rassicurarsi del fatto che non avrebbe sparato in nessun caso dal momento che non rientrava più nel suo obbiettivo.
Il monaco schioccò la lingua infastidito, respirando pesantemente quasi come fosse un toro inferocito, allora si premurò di usare un tono più sommesso e minaccioso del precedente che sembrava solo preannunciare tanto fumo e null’altro. «A parte spaccarti la faccia?» Domando con scherno, lanciando uno sguardo fugace alla Smith&Wesson, allentando la forzatura del suo avambraccio solo per far sì che anche l’altro facesse altrettanto. «Niente», disse poi, facendo spallucce con un modo ben poco rassicurante, mentre il sangue gli saliva alle tempie, pulsando veloce e rendendolo inquieto, mentre immaginava di avvicinarsi alle sue labbra taglienti e maliziose per assaporarle irrimediabilmente come se non avesse avuto alcuna conseguenza quell’atteggiamento ambiguo.
«Simpatico come sempre», sussurrò schiettamente, prima di vederlo scivolare via dalla sua presa, puntandogli la pistola alla tempia, minacciandolo di nuovo, velocemente, con uno scatto quasi felino, mentre avvinghiava con una presa ferrea la sua canottiera chiara per avvicinarlo a sé.
«Mai quanto te», disse, aspro, mentre si avvicinava a lui, irrimediabilmente, senza riuscire a contenere più la sua attrazione, sospirando quasi sulle sue labbra quando queste parvero muoversi, avvicinandosi a lui con una sorta di trasporto; poi si riscosse, allontanandolo di getto e sperando che potesse essere tutto dimenticato, giacché non consumato – eppure sentiva ancora la testa andargli in fiamme, mentre l’odore dell’Hi-Lite che aveva terminato da qualche minuto gli’incombeva nelle narici con dissolutezza esagerata.
«E questo cosa sarebbe?»
La domanda del rosso poté solo farlo imbarazzare, così si preoccupò di coprire il tutto con una moltitudine di parole incoerenti tra loro, forse intricate, che erano volte solo a nascondere la sua attrazione terribilmente evidente. «Quello che volevo fare in quel momento, ma adesso è passato, perciò puoi anche dire addio a ogni risposta plausibile alla moltitudine di domande che ti starai sicuramente facendo», disse, dirigendosi verso la direzione opposta dopo averlo lasciato impietrito qualche istante; eppure, nonostante tutto, il mezzosangue provò l’impulso di fermarlo e afferrando un lembo della sua veste lo indusse a voltarsi per strappargliela di mano.
«In realtà te ne ho fatta soltanto una», gli disse, osservandolo mentre cercava di allontanarsi da lui velocemente «e la risposta mi basta», aggiunse poi, afferrandolo parte per una spalla e strattonandolo contro il muro solo per sentirlo gemere sommessamente al contatto con la stessa; solo allora, dopo averlo fissato per un istante negli occhi, premette le sue labbra sulle sue, assecondando il desiderio inespresso che gli era stato rivelato tra le righe, e dopo aver schiuso i petali del bonzo che, restii, parevano quasi ribellarsi, mentre sembravano soffici come neve, s’insinuò tra gli stessi cercando la lingua che scovò oltre l’arcata di denti chiari e forti: solo allora si preoccupò di carezzarla con fare umido, assaporando il gusto della Marlboro in potenza, mentre questa riposava in terra come un mozzicone da fin troppi secondi che, indissolubilmente, si erano persi nel silenzio di quel vicolo, mentre Gojyo si spingeva verso il monaco con una sorta di frenesia, saggiandone il gusto proibito con la punta del suo umido organo indecentemente curioso.
Quando lo lasciò andare a fatica, fissandolo contrito quanto lui, mentre un leggero colore rosso imporporava le sue gote per l’affanno, Sanzo chiese sommessamente: «E questo cosa sarebbe?»
Facendo eco alla sua stessa domanda, anche il mezzo demone diede la medesima risposta: «Quello che volevo fare in quel momento, ma adesso è passato.»

 

 
1 Spesso è anche il mio saluto mattutino a chi non si fa gli affari propri aspettando che la natura faccia il suo decorso sulle mie membra stanche (?) e Nahash ne è testimone, seppur in potenza, perché spesso me lo rimprovera con toni amichevoli, facendoci sopra delle battute inerenti a Sanzo; potevo, quindi, non prendere la palla al balzo?
   
 
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