Il treno
PROLOGO
Eravamo una ragazza e un ragazzo. E un treno.
Tutti siamo destinati a inciampare, a starnutire, a
sognare ad occhi aperti, a poltrire, a frequentare persone totalmente
noiose, a
nuotare, a cercare gli occhi del proprio innamorato, ma non ci avrei
mai
creduto se qualcuno mi avesse detto che il mio destino sarebbe
inciampato in un
treno e mi avrebbe fatto cadere rovinosamente il cuore sul petto con
due o tre
capriole di troppo.
1°
CAPITOLO
Il treno, che magnifico mezzo di trasporto, non credete? Ho sempre amato viaggiare lì perché mi portava sempre un’ispirazione improvvisa e dovevo scrivere, ma puntualmente non avevo carta o penna. Mi ritrovavo sempre a boccheggiare un cortese «Mi scusi, ha una penna? Può prestarmela qualche minuto?». Così, oltre le figuracce dietro molte facce scortesi che mi guardavano, nella mia borsa a tracolla molto vecchia di pelle marrone, mi trovavo di tutto: dai post-it, ai fazzolettini macchiati di caffè, ai bordi di fogli strappati qua e là pieni, strapieni di frasi. Mi vengono così, ogni volta che salgo su un treno. E ci salgo spesso per muovermi, davvero. Semplicemente "SBAM" un'idea mi colpisce violentemente in faccia e devo scrivere per non dimenticare nulla, anche a costo di sembrare una pazza -cosa che probabilmente appaio a quei poveri malcapitati che viaggiano con me in quei momenti- e allora scrivo, scrivo freneticamente prima che quel pensiero evapori. Sono convinta che una di queste possa essere davvero una buona idea per un libro, per questo devo scrivere tutto. Chissà.
Soprattutto, io su quei treni
leggo, leggo
spasmodicamente. Entro in mondi diversi, paralleli, mi ci immergono
talmente
tanto da dover correre ogni volta, per non perdere la fermata e
scendere.
Eppure, quella volta mentre leggevo, avevo alzato il viso
fuori dal finestrino attratta dal passaggio parallelo e opposto di un
altro
treno. Era come se il mondo si muovesse a rallentatore. E lo vidi: un
ragazzo
dai capelli scuri e ribelli, schizzavano ricci ovunque, dovunque, chino
con i
gomiti poggiati sulle ginocchia. Involontariamente il mio sguardo cadde
in
basso sulle sue mani: reggevano un libro. Non so, forse inconsciamente
avevo
capito che c'era un particolare importante che non potevo perdermi,
forse il
destino mi prendeva in giro e magari era per questo che alzai il volto
dal mio
libro quel pomeriggio spezzato dal tramonto. Forse riconoscevo un altro
amante
di libri, magari era il mio potere speciale perché quel
ragazzo leggeva il mio
stesso libro. Oh Dio sa solo quanto a me quel momento sembrava tanto
dannatamente romantico. Sinceramente, non vorrei inventarvi delle
idiozie, tipo
che aveva degli occhi bellissimi e delle spalle larghe e forti. Non
notai altro
che dei capelli scuri e quel libro. Che io sia dannata, quel frammento
lo
ripassai nella mente per tutto il resto del viaggio, fregandomene
altamente del
libro e del punto che persi perché non avevo ricordato di
mettere il
segnalibro. Tutto per colpa sua. Non notai nemmeno come le porte della
mia
fermata si erano aperte, solo grazie a una gomitata di una signora
anziana che
cercava di alzarsi al mio fianco, mi fece uscire dal mio stato di
trance.
Non potevo ingannare il tempo e cercare di rimandarlo
indietro, non potevo saltare da un treno all'altro solo per chiederli
«Il
capitolo 14 l'hai già letto? Io l'ho divorato!».
Ma quanto avrei voluto!
Scesa da quel treno alle 19:00
spaccate, m’incamminai per
uscire dalla stazione verso casa mia. Ero così immersa nei
miei pensieri di
"storie romantiche tra persone che non avranno mai inizio" che non
notai come degli occhi color castano acido mi osservavano. Ero stata
totalmente
colta di sorpresa quando cercò la mia attenzione, toccandomi
il gomito. Mi
voltai, spazientita. Era il mio
amicod'infanzia-vecchiovicinodicasa-exragazzo.
Il primo errore era stato quello di girarmi sbattendo le palpebre e non
notare
che era lui. Il secondo errore era stato quello di non indietreggiare
subito
alla sua vista. Il terzo errore, ahimè fatale, era stato
quello di non
scrollarmelo di dosso immediatamente. Rimasi interdetta quando le sue
labbra
colpirono le mie con disperata ostinazione. Sapeva di tequila. Cazzo,
si era
ubriacato. Di nuovo.
Ero stanca di lui e delle sue idiozie, non mi arrabbiavo
nemmeno più. Era già passato un anno e mezzo da
quando l'ho visto tradirmi con
la ragazza di mio fratello -con cui conviveva, anzi direi
più che altro che si
approfittava dei suoi soldi, del suo cibo e della casa- che, beh, ha
ben 6 anni
più di me. Potete immaginarvi la scena di come mio fratello
lo prese a calci
nel sedere, per non parlare di quell'occhio nero e della mascella
slogata. Non
vidi più quella ragazza entrare a casa sua, esattamente in
quel periodo
cominciai il primo anno all’università di lettere e mi
trasferii da mio fratello. Ed era
quella la direzione che cercavo di prendere, provando a svincolarmi da
Scott.
«Emily, ti ricordi quando mi chiamavi Scotty-Scotty? Mi
faceva sempre rid..ma dove stai andando?»
Cercai di ignorarlo, ero così abituata a sentire il suo
passo pesante seguirmi che avrei potuto riconoscerlo a occhi chiusi. Ed
io non
volevo essere seguita.
«Senti, scusa se ti ho baciata..» biascicava poco
convinto delle sue stesse parole «ma ti pensavo da tutto il
giorno, così ho
cominciato a bere..e sapevo di trovarti qui..»
inciampò su se stesso prima di
poter proseguire, io non mi voltai nemmeno, «non sapevo
quando saresti
arrivata..ti aspetto da più di due ore.. ehi! Almeno quando
ti parlo girati!»
Mi strattonava per un braccio, finché le mie imprecazioni
non arrivarono alle orecchie di qualche passante incuriosito e anche
indispettito da come Scott li colpiva al suo passaggio.
«Ehi, amico bevi un po' di meno la prossima volta!»
proseguiti da un «Sta bene, signorina?» ed io
mormoravo, guardando le mie mani,
un «Sì» esasperato. E, dio, se mi
prudevano le mani. Avrei voluto colpire
qualcosa, colpire il volto di Scott e fargli dimenticare la nostra
storia. Io
lo avevo fatto, perché lui no? Ero io quella che era stata
ferita, no?
Si stava formando un piccolo gruppo di persone intorno a
noi ed io non potevo più stare lì, al centro
dell'attenzione senza non
diventare rossa, così mi defilai il più agilmente
possibile.
In pratica quando arrivai davanti al cancello della casa
di mio fratello, non avevo più fiato nei polmoni e dovetti
chinarmi sulle
ginocchia per prendere fiato, altrimenti sarei caduta rovinosamente a
terra.
Cinque minuti dopo, suonavo alla sua porta. Quando Edric vide la mia
espressione esausta e madida di sudore, mi trascinò subito
dentro, uscendo a
sua volta per controllare che Scott non fosse nei paraggi. Ogni volta
che
arrivavo a casa conciata in quel modo, era solo per colpa del mio ex.
«Per fortuna sua, non c'è. Che pezzo di
m..» il suo
cellulare cominciò a squillare. Io, mentre lui correva a
rispondere, entrai
nell’ampio salone. Essendo fratelli, dovrebbero esserci molte
cose che ci
accomunano, ma più ci penso e più credo che siano
molte le cose che ci distinguono.
Io abito da lui, lui ha un grande loft acquistato con i suoi soldi; io
ho la
camera stipata da libri, lui da macchine fotografiche e fotografie -fa
il
fotografo per lavoro-. Io ho gli occhi verde chiaro e lui, invece, ha
due pozzi
neri che non puoi distinguere, nemmeno se ti ci impegni, dalle pupille;
io ho
un fisico nella media con la mia terza di seno media e altezza media,
invece
lui è alto, muscoloso e largo come due ante di un armadio.
Mi accoccolai su quella poltrona color panna che
prediligevo tanto, anche se inizialmente sedevo lì solo
perché sapevo che era
la poltrona preferita di mio fratello, ma ora era diventata il mio
posto, il
mio rifugio. E poi, fuori faceva freddo e quella poltrona era sempre
calda.
Prevedibilmente, come succedeva sempre ogni volta che
Scott mi tirava uno di questi scherzi, mio fratello mi offrì
un po’ di the
nella mia tazza preferita blu. Io mi ci tuffai dentro, mentre sussurrai
svelta
un «Grazie». Rise di me e della mia
voracità.
«Ho sempre pensato che tu morirai con una tazza di the in
una mano e con un libro nell'altra»
Non risposi prima di aver bevuto metà tazza di quel the
caldo tanto confortante.
«Ed io che ho sempre pensato di morire sepolta dai troppi
libri, ma grazie fratello per immaginare la mia morte!»
continuai ripensando
all’accaduto «Scott lo odio!»
E ritrovai quel sorriso confortante di mio fratello,
sempre così silenzioso e gentile.
«È un'idiota, lascia perdere. Alla fine si
stancherà o
gli romperò qualche dente, sta a lui scegliere»
«Preferirei entrambe le opzioni, grazie!» non
potevo far
altro che sorriderli di rimando. Chiunque rimarrebbe stupito alla vista
di
Edric, così grande e grosso, ma solo conoscendolo si
potrebbe capire quanto in
realtà tanto è robusto quanto gentile. Quella
stronza della sua ex non ha
capito che si perde, credetemi!
Il mattino seguente il sole mi svegliò alla buona ora.
Dimenticai totalmente l’accaduto del treno. Mi affacciai
dalla finestra e notai
come delle nuvole riempivano il cielo. Mi ricordai subito che avevo una
lezione
in facoltà quella mattina! Rubai una felpa a mio fratello
– colpa sua se li
lasciava sparse per casa! - e rindossai i miei jeans stretti, presi le
scarpe e
la borsa.
Subito dopo camminavo in corridoio a piedi scalzi per non
svegliare mio fratello, proprio come facevo una volta quando di
nascosto uscivo
dalla casa dei miei per andare a baciarmi con un ragazzo. Risi al
ricordo e
purtroppo non vidi il mobile davanti all’ingresso,
né io, né il mio mignolo del
mio piede che urtò violentemente – quante
imprecazioni! – . Fregai l’ombrello a
mio fratello e un quaderno, mentre m’infilavo le scarpe,
notai come il cielo si
tingeva sempre più di grigio. Evviva! Scusate
l’esultanza, ma amo troppo la
pioggia per non esserne felice.
Tornai verso la stazione. Potevo rubare a Edric oltre il
quaderno, anche una penna. Come avrei potuto prendere appunti alla
lezione?
Dannazione! Dovevo rifornirmi di quaderni e penne al più
presto.
Arrivò il mio treno, lo presi al volo. Scivolai su un
posto e mentre aspettavo che le porte si chiudevano, implorai
– credo sia la
parola giusta per come lo chiesi- una penna a una passante.
Quest’ultima
vedendomi così sconsolata, me ne prestò una nera
e aggiunse che potevo tenerla.
Scrissi, felice, una frase veloce sul quaderno. Ripresi il libro,
cercando
disperatamente il punto che avevo perso ieri e poi, mi ricordai di quei
ricci
scuri. Ripensandoci, erano davvero sexy. Ma come possono essere sexy
dei
capelli?
Stavo esaurendo lentamente, meglio dimenticare leggendo,
ma più leggevo e più mi balenava in mente quel
frammento di ricordo. Che sia
chiaro, non passai tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino
sperando di
rivederlo, ma solo il 75%, lo ammetto. Ok, facciamo il 90%. Volevo
vedere che
faccia aveva, soprattutto la sua espressione mentre leggeva quel libro.
Mi
affascina guardare come il volto delle persone cambia quando sono
immerse nella
lettura, come se diventassero vulnerabili e facili da leggere agli
occhi di chi
gli osservava. Ed io avevo quest’abitudine.
Non vi dico come, deludentemente, non lo vidi, né i suoi
ricci, né il suo libro.