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Autore: CluClu    24/08/2013    2 recensioni
Eravamo una ragazza e un ragazzo. E un treno.
Tutti siamo destinati a inciampare, a starnutire, a sognare ad occhi aperti, a poltrire, a frequentare persone totalmente noiose, a nuotare, a cercare gli occhi del proprio innamorato, ma non ci avrei mai creduto se qualcuno mi avesse detto che il mio destino sarebbe inciampato in un treno e mi avrebbe fatto cadere rovinosamente il cuore sul petto con due o tre capriole di troppo.
Genere: Commedia, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Il treno

PROLOGO

Eravamo una ragazza e un ragazzo. E un treno.
Tutti siamo destinati a inciampare, a starnutire, a sognare ad occhi aperti, a poltrire, a frequentare persone totalmente noiose, a nuotare, a cercare gli occhi del proprio innamorato, ma non ci avrei mai creduto se qualcuno mi avesse detto che il mio destino sarebbe inciampato in un treno e mi avrebbe fatto cadere rovinosamente il cuore sul petto con due o tre capriole di troppo.

1° CAPITOLO

Il treno, che magnifico mezzo di trasporto, non credete? Ho sempre amato viaggiare lì perché mi portava sempre un’ispirazione improvvisa e dovevo scrivere, ma puntualmente non avevo carta o penna. Mi ritrovavo sempre a boccheggiare un cortese «Mi scusi, ha una penna? Può prestarmela qualche minuto?». Così, oltre le figuracce dietro molte facce scortesi che mi guardavano, nella mia borsa a tracolla molto vecchia di pelle marrone, mi trovavo di tutto: dai post-it, ai fazzolettini macchiati di caffè, ai bordi di fogli strappati qua e là pieni, strapieni di frasi. Mi vengono così, ogni volta che salgo su un treno. E ci salgo spesso per muovermi, davvero. Semplicemente "SBAM" un'idea mi colpisce violentemente in faccia e devo scrivere per non dimenticare nulla, anche a costo di sembrare una pazza -cosa che probabilmente appaio a quei poveri malcapitati che viaggiano con me in quei momenti- e allora scrivo, scrivo freneticamente prima che quel pensiero evapori. Sono convinta che una di queste possa essere davvero una buona idea per un libro, per questo devo scrivere tutto. Chissà.

Soprattutto, io su quei treni leggo, leggo spasmodicamente. Entro in mondi diversi, paralleli, mi ci immergono talmente tanto da dover correre ogni volta, per non perdere la fermata e scendere.
Eppure, quella volta mentre leggevo, avevo alzato il viso fuori dal finestrino attratta dal passaggio parallelo e opposto di un altro treno. Era come se il mondo si muovesse a rallentatore. E lo vidi: un ragazzo dai capelli scuri e ribelli, schizzavano ricci ovunque, dovunque, chino con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Involontariamente il mio sguardo cadde in basso sulle sue mani: reggevano un libro. Non so, forse inconsciamente avevo capito che c'era un particolare importante che non potevo perdermi, forse il destino mi prendeva in giro e magari era per questo che alzai il volto dal mio libro quel pomeriggio spezzato dal tramonto. Forse riconoscevo un altro amante di libri, magari era il mio potere speciale perché quel ragazzo leggeva il mio stesso libro. Oh Dio sa solo quanto a me quel momento sembrava tanto dannatamente romantico. Sinceramente, non vorrei inventarvi delle idiozie, tipo che aveva degli occhi bellissimi e delle spalle larghe e forti. Non notai altro che dei capelli scuri e quel libro. Che io sia dannata, quel frammento lo ripassai nella mente per tutto il resto del viaggio, fregandomene altamente del libro e del punto che persi perché non avevo ricordato di mettere il segnalibro. Tutto per colpa sua. Non notai nemmeno come le porte della mia fermata si erano aperte, solo grazie a una gomitata di una signora anziana che cercava di alzarsi al mio fianco, mi fece uscire dal mio stato di trance.
Non potevo ingannare il tempo e cercare di rimandarlo indietro, non potevo saltare da un treno all'altro solo per chiederli «Il capitolo 14 l'hai già letto? Io l'ho divorato!». Ma quanto avrei voluto!

Scesa da quel treno alle 19:00 spaccate, m’incamminai per uscire dalla stazione verso casa mia. Ero così immersa nei miei pensieri di "storie romantiche tra persone che non avranno mai inizio" che non notai come degli occhi color castano acido mi osservavano. Ero stata totalmente colta di sorpresa quando cercò la mia attenzione, toccandomi il gomito. Mi voltai, spazientita. Era il mio amicod'infanzia-vecchiovicinodicasa-exragazzo. Il primo errore era stato quello di girarmi sbattendo le palpebre e non notare che era lui. Il secondo errore era stato quello di non indietreggiare subito alla sua vista. Il terzo errore, ahimè fatale, era stato quello di non scrollarmelo di dosso immediatamente. Rimasi interdetta quando le sue labbra colpirono le mie con disperata ostinazione. Sapeva di tequila. Cazzo, si era ubriacato. Di nuovo.
Ero stanca di lui e delle sue idiozie, non mi arrabbiavo nemmeno più. Era già passato un anno e mezzo da quando l'ho visto tradirmi con la ragazza di mio fratello -con cui conviveva, anzi direi più che altro che si approfittava dei suoi soldi, del suo cibo e della casa- che, beh, ha ben 6 anni più di me. Potete immaginarvi la scena di come mio fratello lo prese a calci nel sedere, per non parlare di quell'occhio nero e della mascella slogata. Non vidi più quella ragazza entrare a casa sua, esattamente in quel periodo cominciai il primo anno all’università di lettere e mi trasferii da mio fratello. Ed era quella la direzione che cercavo di prendere, provando a svincolarmi da Scott.
«Emily, ti ricordi quando mi chiamavi Scotty-Scotty? Mi faceva sempre rid..ma dove stai andando?»
Cercai di ignorarlo, ero così abituata a sentire il suo passo pesante seguirmi che avrei potuto riconoscerlo a occhi chiusi. Ed io non volevo essere seguita.
«Senti, scusa se ti ho baciata..» biascicava poco convinto delle sue stesse parole «ma ti pensavo da tutto il giorno, così ho cominciato a bere..e sapevo di trovarti qui..» inciampò su se stesso prima di poter proseguire, io non mi voltai nemmeno, «non sapevo quando saresti arrivata..ti aspetto da più di due ore.. ehi! Almeno quando ti parlo girati!»
Mi strattonava per un braccio, finché le mie imprecazioni non arrivarono alle orecchie di qualche passante incuriosito e anche indispettito da come Scott li colpiva al suo passaggio.
«Ehi, amico bevi un po' di meno la prossima volta!» proseguiti da un «Sta bene, signorina?» ed io mormoravo, guardando le mie mani, un «Sì» esasperato. E, dio, se mi prudevano le mani. Avrei voluto colpire qualcosa, colpire il volto di Scott e fargli dimenticare la nostra storia. Io lo avevo fatto, perché lui no? Ero io quella che era stata ferita, no?
Si stava formando un piccolo gruppo di persone intorno a noi ed io non potevo più stare lì, al centro dell'attenzione senza non diventare rossa, così mi defilai il più agilmente possibile.
In pratica quando arrivai davanti al cancello della casa di mio fratello, non avevo più fiato nei polmoni e dovetti chinarmi sulle ginocchia per prendere fiato, altrimenti sarei caduta rovinosamente a terra. Cinque minuti dopo, suonavo alla sua porta. Quando Edric vide la mia espressione esausta e madida di sudore, mi trascinò subito dentro, uscendo a sua volta per controllare che Scott non fosse nei paraggi. Ogni volta che arrivavo a casa conciata in quel modo, era solo per colpa del mio ex.
«Per fortuna sua, non c'è. Che pezzo di m..» il suo cellulare cominciò a squillare. Io, mentre lui correva a rispondere, entrai nell’ampio salone. Essendo fratelli, dovrebbero esserci molte cose che ci accomunano, ma più ci penso e più credo che siano molte le cose che ci distinguono. Io abito da lui, lui ha un grande loft acquistato con i suoi soldi; io ho la camera stipata da libri, lui da macchine fotografiche e fotografie -fa il fotografo per lavoro-. Io ho gli occhi verde chiaro e lui, invece, ha due pozzi neri che non puoi distinguere, nemmeno se ti ci impegni, dalle pupille; io ho un fisico nella media con la mia terza di seno media e altezza media, invece lui è alto, muscoloso e largo come due ante di un armadio.
Mi accoccolai su quella poltrona color panna che prediligevo tanto, anche se inizialmente sedevo lì solo perché sapevo che era la poltrona preferita di mio fratello, ma ora era diventata il mio posto, il mio rifugio. E poi, fuori faceva freddo e quella poltrona era sempre calda.
Prevedibilmente, come succedeva sempre ogni volta che Scott mi tirava uno di questi scherzi, mio fratello mi offrì un po’ di the nella mia tazza preferita blu. Io mi ci tuffai dentro, mentre sussurrai svelta un «Grazie». Rise di me e della mia voracità.
«Ho sempre pensato che tu morirai con una tazza di the in una mano e con un libro nell'altra»
Non risposi prima di aver bevuto metà tazza di quel the caldo tanto confortante.
«Ed io che ho sempre pensato di morire sepolta dai troppi libri, ma grazie fratello per immaginare la mia morte!» continuai ripensando all’accaduto «Scott lo odio!»
E ritrovai quel sorriso confortante di mio fratello, sempre così silenzioso e gentile.
«È un'idiota, lascia perdere. Alla fine si stancherà o gli romperò qualche dente, sta a lui scegliere»
«Preferirei entrambe le opzioni, grazie!» non potevo far altro che sorriderli di rimando. Chiunque rimarrebbe stupito alla vista di Edric, così grande e grosso, ma solo conoscendolo si potrebbe capire quanto in realtà tanto è robusto quanto gentile. Quella stronza della sua ex non ha capito che si perde, credetemi!
Il mattino seguente il sole mi svegliò alla buona ora. Dimenticai totalmente l’accaduto del treno. Mi affacciai dalla finestra e notai come delle nuvole riempivano il cielo. Mi ricordai subito che avevo una lezione in facoltà quella mattina! Rubai una felpa a mio fratello – colpa sua se li lasciava sparse per casa! - e rindossai i miei jeans stretti, presi le scarpe e la borsa.
Subito dopo camminavo in corridoio a piedi scalzi per non svegliare mio fratello, proprio come facevo una volta quando di nascosto uscivo dalla casa dei miei per andare a baciarmi con un ragazzo. Risi al ricordo e purtroppo non vidi il mobile davanti all’ingresso, né io, né il mio mignolo del mio piede che urtò violentemente – quante imprecazioni! – . Fregai l’ombrello a mio fratello e un quaderno, mentre m’infilavo le scarpe, notai come il cielo si tingeva sempre più di grigio. Evviva! Scusate l’esultanza, ma amo troppo la pioggia per non esserne felice.
Tornai verso la stazione. Potevo rubare a Edric oltre il quaderno, anche una penna. Come avrei potuto prendere appunti alla lezione? Dannazione! Dovevo rifornirmi di quaderni e penne al più presto.
Arrivò il mio treno, lo presi al volo. Scivolai su un posto e mentre aspettavo che le porte si chiudevano, implorai – credo sia la parola giusta per come lo chiesi- una penna a una passante. Quest’ultima vedendomi così sconsolata, me ne prestò una nera e aggiunse che potevo tenerla. Scrissi, felice, una frase veloce sul quaderno. Ripresi il libro, cercando disperatamente il punto che avevo perso ieri e poi, mi ricordai di quei ricci scuri. Ripensandoci, erano davvero sexy. Ma come possono essere sexy dei capelli?
Stavo esaurendo lentamente, meglio dimenticare leggendo, ma più leggevo e più mi balenava in mente quel frammento di ricordo. Che sia chiaro, non passai tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino sperando di rivederlo, ma solo il 75%, lo ammetto. Ok, facciamo il 90%. Volevo vedere che faccia aveva, soprattutto la sua espressione mentre leggeva quel libro. Mi affascina guardare come il volto delle persone cambia quando sono immerse nella lettura, come se diventassero vulnerabili e facili da leggere agli occhi di chi gli osservava. Ed io avevo quest’abitudine.
Non vi dico come, deludentemente, non lo vidi, né i suoi ricci, né il suo libro.

  
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