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Autore: _Butterfly    25/08/2013    0 recensioni
Lei, aveva dentro tutto l'amore del mondo, ma nessuno a cui darlo.
Lui, non aveva niente, ma avrebbe dato tutto l'amore del mondo alla sua donna.
Entrambi avevano sofferto tanto.
Lei, a causa di un amore finito nel vuoto, come quello dei suoi genitori.
Lui, a causa del padre, della droga.
Entrambi avrebbero sofferto ancora.
Entrambi cercavano da tempo un motivo per essere felici.
Entrambi salirono su quell'autobus, e senza accorgersene lo trovarono.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1.

 

I pomeriggi di dicembre a Roma sono sempre stati tra i preferiti di Marlen, adorava l'atmosfera così calda e piena di persone mischiata con l'aria gelida e le sciarpe di lana, con i capotti e gli stivali imbottiti. Era il ventitre dicembre, e le luci coloravano la città, facevano sembrare belli anche i luoghi di periferia un po' rovinati, le luci nascondevano ogni difetto, ogni crepa dei muri, ogni cartaccia buttata in terra. A volte le sembravano così potenti da riuscire a nascondere anche quello che gli passava per la testa, anche solo per qualche minuto, e quando accadeva se accadeva in quei minuti riusciva a sentirsi davvero bene. Nulla la faceva sentire meglio. Marlen si era andata a tingere i capelli quel giorno, si svegliò con la convinzione che qualcosa doveva cambiare e iniziò seduta su una poltrona di un parrucchiere della sua zona, era soltanto uno di quei tanti momenti che le prendevano a lei, un paio di mesi fa si svegliò con la stessa convinzione e si rifece il guardaroba, spese cinquecento euro e dopo che mise tutti i nuovi vestiti nell'armadio si sentì ugualmente vuota, se non di più. Forse se li tinse per avere un po' di sollievo dalla monotona quotidianità che piano piano la stava distruggendo, la madre glielo lasciò fare. Si tinse di rosso, diceva che era un colore diverso dal solito, che attirava l'attenzione, che non potevi non guardarla una con i capelli rossi. Ci stava bene, ma lei anche con i capelli verdi sarebbe stata bene, anche con una brutta piega, le bastava sorridere per stare bene, a lei.

Le luci del corso accecavano Christian. Gli facevano venire mal di testa dopo un po', distese di pallini gialli e rossi sospesi in una via, mille luci colorate su alberi giganti, esagerati per i suoi gusti. Il natale non lo ricordava così, anzi, il natale non lo ricordava affatto. Ricordava suo padre con gli occhi lucidi, con le braccia bucate, con il viso consumato da quella merda. Ricordava l'alberello che facevano a casa dei nonni, piccolo ma speciale, le risate della madre, quando rideva ancora. Tutto quell'ingigantire una festa così pura a scopi commerciali gli faceva venire la nausea.Non voleva nemmeno uscire quel giorno, odiava il freddo, avrebbe preferito starsene un po' a casa sotto le coperte, sentire la musica, ma gli amici insistettero così tanto, uscì soltanto per azzittirli, per non farli continuare. Per non dover dare spiegazioni. Lui non parlava mai di se e le volte che lo faceva se lo faceva bisognava ritenersi speciali, perchè non era uno di quei ragazzi che vanno a dire tutto in giro, per farsi vedere, per far pena alla gente ed essere accettato. Christian non raccontava a nessuno dei suoi problemi, aveva alle spalle diciassette anni di drammi che si teneva dentro, non riteneva nessuno all'altezza delle sue storie, era pienamente convinto che non esistesse nessuno al mondo in grado di capirlo. E come dargli torto.

L'autobus si fermò al capolinea, più o meno all'ora che c'era scritta sul tabellone, erano le diciotto e trenta, o e quaranta, ma questo era relativamente importante. La gente saliva e scendeva, si sedeva o restava in piedi a guardare fuori dal finestrino le goccioline che scendevano lente. Cominciò a piovere.

Christian era già salito, si era seduto al posto in fondo, vicino al finestrino, non voleva guardare tutto il caos che c'era sull'autobus, si mise le cuffiette e la testa tra le mani, visto da fuori sembrava un disperato. Ma da dentro era semplicemente triste. Si voltava solo a qualche fermata, per vedere la gente che saliva, per vedere se c'era qualcuno che conosceva e in tal caso per nascondersi.

Marlen salì alla fermata Urbano II, due dopo il capolinea. Aveva la faccia bagnata, e anche le punte dei capelli, che avevano sporcato di rosso la sciarpa di lana bianca.

Christian la notò, spalanco gli occhi e la fissò per un paio di minuti, con la bocca spalancata.

Marlen lo vide, si girò dall'altra parte.

“Quel maniaco mi fissa.” - disse all'amica, Benedetta
“Chi? Quel pelato?”
“Si.”
“Ma c'avrà dodici anni, se ti guarda un'altra volta dimmelo. Gliene dico quattro.”

Christian stava morendo dentro. Aveva paura che sarebbe scesa, che non le avrebbe detto neanche il suo nome.

Benedetta scese. Anche gli amici di Christian.

L'autobus si svuotò quasi completamente.

Christian saltò la fermata di casa sua.

“Hai dei bei capelli!”
Si avvicinò. Tremava. Marlen si girò, lo guardò con un'aria schifata, come se stesse guardando della merda.
“Dimmi almeno come ti chiami.”
“Mi chiamo Marlen ok? Ora lasciami in pace.”
“Io sono Christian. Non ti ho mai visto su quest'autobus, non lo prendi spesso vero?”
“Lo prendo quando vado da mio padre... Ma perchè lo dico a te, io non ti conosco, basta lasciami stare!”
“Com'è si sono separati i tuoi?”
“Lui era uno stronzo. E lei senza palle.”
“E tu come sei?”
“Io sono arrivata. Ci si vede se ci si dovrà vedere!”
“No no aspetta, devi darmi il tuo numero!”
Le prese un braccio, con una forza maggiore di quanta voleva esercitarne. Ma non poteva lasciarla andare, lo capì appena la vide che lei non era una di quelle troiette stupide, lo capì appena la vide, fu il suo spiraglio di luce nel buio pesto dopo anni.
“E per quale motivo 'devo' darti il mio numero?”
“Perchè da quando l'ho vista non riesco a levargli gli occhi di dosso, signorina. E ho notato che sorride sotto la grande sciarpa, signorina. E si nasconde mentre sorride ma l'ho visto il suo sorriso e di così belli ne ho visti proprio pochi, signorina. Poi ha dei capelli proprio belli, signorina, non lo dico per farle qualche complimento così, per avere qualcosa da lei, lo penso. La osservo da dieci minuti e ancora non sono riuscito a trovarle un difetto, straordinario, non crede?.”
“Sei pazzo.”
Rise.  E gli lasciò cadere tra le mani un bigliettino con su scritto il suo numero di telefono, teneva sempre in borsa dei bigliettini con il suo numero, nessuno capiva perchè. Neanche lei fino a quel giorno l'aveva mai capito.

  
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