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Autore: Zovia    26/08/2013    0 recensioni
Ispirato da "Sotto la Pistola": la storia riguarda la relazione di Kate con il suo partner Mike Royce, appena arrivata al distretto. SNAFU: military acronym, Situation Normal: All F***** Up; a badly confused or muddled situation
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Ehilà! :D
Be si, questa è una storia su Kate e Royce... so che molti non approvano la coppia o, probabilmente non hanno mai neanche pensato a loro due come coppia xD, ma io credo che Kate abbia avuto almeno una bella cotta per il suo primo partner, anche se probabilmente tra loro non è mai successo nulla.
In realtà la storia tradotta doveva essere solo per Fede, un mezzo scherzo, visto che non li sopporta... ma visto che le è piaciuta (e la cosa mi ha sconvolta) ho deciso di pubblicarla u.u (http://www.fanfiction.net/s/9591963/1/Snafu)
Hope you'll enjoy ;)
Zovia

PS. Grazie mille a chi ha recensito le altre storie che ho pubblicato... la verità è che sono troppo pigra per rispondere, ma vi leggo e mi fate venire voglia di tradurre ancora :) grazie grazie grazie!!!





Si studiò nello specchio; spostava la testa da un lato all’altro per vedere ogni riflesso.

L’uniforme blu scuro era stropicciata e le stava scomoda sulla schiena; le pizzicava le spalle. Era la taglia più piccola che avevano, ma aveva comunque le maniche troppo lunghe ed era troppo larga davanti. Il nuovo distintivo della polizia di New York fissato sopra al cuore brillava nella luce del mattino che entrava tra le tende dell’appartamento. UFFICIALE BECKETT, c’era scritto sulla targhetta d’argento; stampata solo il giorno prima.

Si concentrò sui capelli raccolti in uno chignon basso alla base del collo. Erano castano chiaro, ma quando raccolti sembravano biondi. Qualche ciocca scappata le solleticava il collo e cercò di fermarle con la lacca. Soddisfatta si mise il cappello in modo che restasse sopra lo chignon e basso sulla fronte, per coprirle gli occhi. Non era proprio il caso di lasciar vedere le occhiaie.

Si fermò su come truccarsi, passandosi il lucidalabbra dorato tra le mani. Sapeva che il 98% dei suoi colleghi sarebbero stati uomini. Voleva essere trattata come loro eguale, ma non voleva nemmeno essere lasciata in disparte sembrando appena uscita dal cast di “The Walking Dead”.

Per tutta la sua vita, le era stato detto che era carina. Supponeva di esserlo, in qualche modo. Pensava di avere degli zigomi belli e grandi occhi color nocciola per cui doveva ringraziare suo padre. Oltre quello, però, non era più bella della ragazza accanto. “Sei carina” e “Sei alta” erano la maggior parte dei complimenti che sentiva dai ragazzi in palestra o mentre faceva la spesa. Come se non sapesse di essere alta. Non andava più a ballare come le donne della sua età. Aveva cose migliore da fare che strusciarsi in una folla di sconosciuti sudati e ubriacarsi.

Decise di usare un po’ di mascara per togliere l’attenzione dalle occhiaie. Dopo tutto, sua madre diceva sempre che per truccarsi bisognava sembrare di non esserlo.

Qualcosa le fece male alla bocca dello stomaco pensando a sua madre. Ebbe un veloce flashback della notte che avrebbe per sempre occupato la sua memoria.

“Signor Beckett? Sono il detective Raglan. Riguarda sua moglie…”

Richiuse immediatamente il pensiero nel cassette della memoria. Aveva già abbastanza cose di cui preoccuparsi.

Si controllò per l’ultima volta allo specchio prima di andarsene; si assicurò che la camicia fosse ben abbottonata e nei calzoni. Toccò l’anello di fidanzamento che aveva al collo per darsi coraggio.
 



Mentre stava in piedi in mezzo al dodicesimo distretto si sentiva come una bambina al primo giorno di scuola. Ufficiali e detective le passavano intorno; parlavano davanti a tazze di caffè e te. Si spostò per far passare un poliziotto che portava dentro un sospettato.

Controllò l’orologio, di nuovo. Erano passati almeno dieci minuti da quando avrebbe dovuto incontrare il suo partner e lui doveva ancora arrivare.

Stava pensando di presentarsi a qualcuno al posto di rimanere lì come una ragazzina presuntuosa quando qualcuno per sbaglio-di proposito le andò addosso.

Si girò e si trovò davanti un giovane detective con la pelle color crema e grandi occhi castani. Sembrava della sua età e, a giudicare dai bicipiti, doveva essere un ex militare. Le sorrise.

“Scusami,” disse, senza sembrare per nulla dispiaciuto. Tenne la mano sul suo avambraccio per un secondo di troppo. La guardò dall’alto al basso e lei incrociò le braccia come per difendersi. “Devi essere nuova qui.”

Si irrigidì e sperò di non sembrare così spaventata come si sentiva. “Come fai a saperlo?” Passò le mani sudate sulle cosce ma peggiorò solo la situazione.

Il detective alzò la mano e le tolse il cappello. “Questo non ti serve,” disse porgendoglielo.

Notò di aver esagerato coi vestiti. Tutti gli altri erano vestiti in maniera semplice o con un completo.

Le stava troppo vicino e cerò di guadagnare discretamente qualche centimetro mentre metteva il cappello sotto il braccio. “Grazie” mormorò. Per istinto cercò una ciocca di capelli con cui giocare, un riflesso che aveva da quando era bambina, prima di ricordarsi che erano raccolti.

La guardò di traverso, ma sembrava colpito perché subito dopo le chiese “Possiamo andare a pranzo insieme?”

Aprì la bocca per dirgli “No, grazie” quando una mano strinse la spalla del detective.

“Ti servirà una frase da rimorchio più creativa con questa, Esposito.” Disse il proprietario della mano; un uomo alto quasi sui quaranta con un mascella squadrata e un mezzo sorriso. Aveva capelli biondi cenere che iniziavano ad ingrigirsi e teneva una posa da corridore; gambe divaricate, un piede più avanti dell’altro, mani sui fianchi, piegato leggermente su un lato.

Il ragazzo chiamato Esposito se ne andò; aveva uno sguardo sconfitto e l’uomo più anziano lo guardò finchè non sparì. “Scusa per quello,” disse con una risatina. “Te ne troverai molti così qua.” Le offrì la mano. “Mike Royce, devi essere la mia nuova partner.”

Gli strinse la mano; si assicurò di stringergliela abbastanza forte per sembrare sicura di sé. Le sue mani erano dure e callose. Controllò se avesse la fede. Non ce l’aveva. “Kate… ehm, Beckett. Sono Beckett. Kate?” balbettò. Non sapeva perché non riuscisse a parlare. Royce aveva il fascino di un insegnante e le ricordava uno degli amici di suo padre. Aveva più o meno la stessa età di Jim e poteva vederli mentre uscivano insieme; prendersi una birra e fare scommesse.

Le tirò una pacca sulla spalla e le sorrise. “Hey, ragazzina. Sei pronta a divertirti un po’?”
 



I successivi tre mesi con Royce furono i migliori della sua vita. passavano il tempo a fare appostamenti o catturare criminali. La migliore soddisfazione era vedere un sospettato dietro le sbarre. Non c’era niente di meglio che sapere che la città era più sicura grazie a lei. Le dava un senso nella vita.

Lei e Royce divennero amici, per quanto si possa definire amicizia quella strana relazione tra mentore e allievo. Era l’unico che la capiva veramente e si trovò a confidarsi con lui. Era la prima persona con cui poteva parlare e che credeva di conoscere davvero da quando… da quando aveva diciannove anni. Non era davvero vicina a nessuno; non suo padre, non i suoi “amici”. Non la capivano ed era difficile rimanere in mezzo a loro. Impediva a suo padre di avvicinarsi troppo nel caso in cui fosse ricaduto per la bottiglia. Era sobrio da abbastanza tempo ormai, ma non riusciva a fidarsi. Royce era l’unico che aveva.

Le raccontava di quando inseguiva i criminali da solo. Non poteva credere a che razza di persone aveva incontrato sulla sua strada. E lei in cambia condivideva le sue storie personali.

Le ci volle un po’ di tempo per imparare a fidarsi, ma riuscì a smontarla pezzo per pezzo. Intorno al quinto mese in cui lavoravano insieme, gli confessò il motivo per cui voleva diventare a tutti i costi una detective.

Erano stati assegnati a un appostamento per tutta la notte e il sole stava tramontando. Faceva freddo fuori e Royce aveva l’aria calda accesa per lei, anche se gli piaceva l’inverno. Stava bevendo una tazza di caffè nero quando glielo disse.

“Mia madre è stata uccisa quando ero una ragazzina,” disse piano. Non aveva mai detto queste parole ad alta voce prima ed era come essere di nuovo a quella notte. Continuò. “E’ stata accoltellata in un vicolo. L’hanno lasciata lì a morire dissanguata. Da sola in una montagna di spazzatura, come se non valesse nulla.”

Si aspettava che le dicesse di farsi forza, ma la sorprese. “E immagino che non abbiano mai trovato l’assassino.”

Deglutì, sentiva le lacrime che stavano per scendere. “No.”

Royce appoggiò il caffè con attenzione. “Quindi vuoi usare le tue risorse per risolvere il suo omicidio.” Lo disse come un’affermazione, quindi rispose con una domanda.

“Pensi che sia una pazzia?” disse, giocando con la fine della sciarpa che aveva intorno al collo.

Sospirò. Per tutto il tempo Royce aveva fissato la casa del sospettato. Si girò verso di lei, “No. Non lo penso. Ragazzina… credo che il tuo cuore sia dalla parte giusta.”

Annuì cercando di evitare di guardarlo negli occhi. Una sola lacrima le cadde e la guardò allargarsi sul giubbotto. Si tolse i capelli dagli occhi e si girò a guardare fuori dal finestrino.

Quando pensava ormai che la discussione fosse finita, Royce la sorprese. “Ma sono preoccupato…” disse piano mentre le stringeva una mano,” … che tu non lo stia facendo per te. Chi avrai quando tutto sarà finito?”

Ci pensò guardando le loro mani. Prima che morisse sua madre voleva fare giurisprudenza e sposarsi con un uomo carino. Magari era il destino che aveva voluto che tutto andasse così, perché adesso non riusciva a vedersi fare nient’altro. Quindi per chi lo stava facendo?

Royce le strinse ancora una volta la mano e poi si mise di nuovo al suo posto; soddisfatto per averle almeno fatto venire un dubbio. Tornò a guardare la casa e, giusto per fare qualcosa, tirò fuori il suo coltellino svizzero e iniziò a farselo girare tra le dita. Lo faceva spesso ed era piuttosto bravo. Lo teneva occupato quando non c’era nulla da dire. Sbagliò e il coltellino cadde vicino ai suoi piedi.

Si piegarono contemporaneamente per prenderlo e si scontrarono. Lei alzò gli occhi e i loro sguardi si incrociarono. I loro volti erano a qualche millimetro di distanza e prima che potesse cambiare idea, si chinò in avanti e lo baciò.

Uno strano calore la riempì, dalla bocca, per il collo, e poi nelle dita. Era come elettricità e voleva di più.

Royce si irrigidì sorpreso, ma non si spostò.

Mise una mano decisa sul suo petto e lo fece sedere di nuovo, senza dividere le loro bocche. si sedette a cavalcioni su di lui, le gambe intorno al suo bacino, e si sollevò sulle ginocchia per poter sporgersi su di lui. Il suo viso era coperto da una barba sfatta e poteva sentire la colonia dietro le orecchie. Sapeva che era sbagliato – aveva quasi il doppio della sua età – ma si sentiva troppo bene, di nuovo così vicina a qualcuno. Era passato troppo tempo e voleva soltanto qualcosa di veloce, senza significato.

Si sporse verso di lui e aprì la bocca alla sua lingua. Passò le mani tra i suoi capelli; acquistò un ritmo sicuro mentre si strusciava contro di lui. Lo sentì sotto di lei e lo voleva come niente al mondo. Approfondì ancora di più il bacio. Sapeva di caffè e liquore e voleva ancora di più.

Lui respirava pesantemente, cercava dell’aria. Spostò le labbra sul suo collo così poteva respirare. Iniziò a sbottonargli l'uniforme, voleva disperatamente sbarazzarsi di tutti i vestiti il prima possibile.

Le sue mani erano ferme sulla schiena, ma voleva che la esplorassero. Voleva sentire le sue dita sulla pelle nuda. Scommetteva che erano dure e gentile allo stesso tempo. Sfortunatamente non l’avrebbe mai saputo, perché appena riuscì a togliere il primo bottone, la allontanò da sé. La schiena le sbattè contro il volante e si ritrovò seduta sulle sue ginocchia.

Cercò di avvinarsi di nuovo, ma la tenne a distanza. “Kate,” disse.

Ridacchiò, come se fosse tutto uno scherzo. “Dai, Mike.” Giocò con la sua cintura, cercando di avvicinarlo.

Era più forte e riuscì a resisterle. “Kate” disse più sicuro. “Sei vulnerabile ora e non approfitterò di te.”

“Non stai…” iniziò.

“No,” disse per chiudere la discussione. “Te ne pentirai domani e basta.”

Questo pensiero la colpì come un muro di mattoni e si spostò sul suo lato della macchina. Si coprì il volto con le mani e capì di stare piangendo quando le trovò umide. Cercò di asciugarle senza farsi notare da lui. Dio, che cosa aveva fatto? Aveva superato la linea e probabilmente rovinato qualsiasi possibilità di diventare una detective, dato che sarebbe stata sicuramente licenziata per violazioni etiche. Era il peggior snafu in cui si era cacciata. Royce si sarebbe fatto una bella risata coi ragazzi al dodicesimo il giorno dopo.

Era la prima volta che veniva rifiutata da un uomo e le faceva male. Era un colpo basso al suo ego, già abbastanza debole. Odiava quella situazione; essere rifiutata dall’unica persona che aveva.

“Cazzo,” mormorò. “Mi spiace.”

“Non fa niente,” disse Royce. Si riabbotonò la camicia e incrociò le gambe per nascondere l’effetto che gli aveva fatto.

Lei girò verso il finestrino per non fargli vedere che stava piangendo.

Royce si passò una mano sulle labbra, coperte dalla sua saliva. “So che è difficile resistermi,” scherzò.

Cercò di ridere, ma le uscì più che altro un singhiozzo. Si morse il labbro per non tradirsi.

Sospirò e tornò a guardare fuori. “Senti… dimentichiamo che sia mai successo, ok ragazzina?”
 



Non ne parlarono mai fino a dieci anni dopo.

“Hai ucciso tu Carver per la mappa?” gli chiese.

Ci fu un momento senza linea. Doveva essere in un posto con una brutta ricezione. “Andiamo, ragazzina, tu mi conosci bene.”

“Credo proprio di no,” rispose fredda. “Perché l’uomo che io conoscevo non mi avrebbe tradita in questo modo.” Era stato l’unico che c’era quando non aveva nessuno da cui andare; e ora la tradiva come tutti.

Sapeva di averlo in pugno. “Devo andare”

“Mike, io ero innamorata di te.” Disse velocemente. Cercava di fermarlo con la sua confessione, ma aveva quasi un significato per lei.

Royce si fermò. “Oh Kate, non dire così.” Poteva sentire la compassione nella sua voce e si ricordò subito di quel giorno nella macchina, quando l’aveva respinta.

“Tu eri l’unico che aveva capito l’ossessione che mi spingeva, che non mi ha detto che avrei superato la morte di mia madre e che lei non avrebbe voluto che andassi avanti.” Gli disse. La voce le si bloccò in gola e cercò di rimanere composta. La sua squadra la stava guardando e non poteva sapere quanto le facesse male; quanto aveva fato male tutti quegli anni fa, quando era una ragazzina con una vita andata a puttane.

“Ho solo cercato di essere giusto con te, ragazzina.” Disse piano. Odiava che la chiamasse “ragazzina”; come se non fosse al suo stesso livello.

“Ti ho sognato,” continuò. “ La sera in cui ho ucciso l’assassino di mia madre… ho sognato che ero io la persona a terra che stava morendo. E ho sognato che tu venivi da me e mi dicevi di alzarmi perché c’era ancora del lavoro da fare. E quando mi sono svegliata la mattina volevo telefonarti, ma non ci sentivamo da così tanto tempo”

Quella parte non era inventata; aveva davvero avuto quel sogno e non aveva dormito per ore; cercava di farsi coraggio per fare il numero e parlargli. Si chiese se fosse stata davvero innamorata. Era giovane e confusa allora e gli piaceva e lo rispettava davvero. Ma lo amava? Non sapeva davvero cosa si provasse quindi non poteva esserne sicura. Eccetto… be, eccetto Castle. Non sapeva se lo amava a questo punto; non sapeva cosa pensare.

“Avresti dovuto chiamare,” disse Royce. “ Non ho mai dimenticato.”

Realizzò che stava parlando del bacio. Si chiese cosa sarebbe successo se fosse andata a letto con lui. Sarebbero ancora stati dov’erano; con una bella amicizia?

“Io prenderò l’assassino di Carver te lo giuro.” Disse con voce sicura per coprire che solo ricordare quel giorno la stava distruggendo. “E poi recupererò il bottino di Lloyd. E quando ti arresterò ti renderai conto che quello che hai distrutto oggi valeva molto di più dei soldi, Mike.” Mise la cornetta a posto e si portò una mano alla bocca. Si prese un momento prima di girarsi verso la sua squadra.

La stavano tutti fissando con la bocca aperta, come se fosse un orso polare allo zoo. “L’ho trattenuto abbastanza a lungo?” disse calma.

Si riscossero tutti e Ryan balbettò. “Ehm, eh -”

“Si, abbiamo un indirizzo,” finì Esposito.

Annuì, “D’accordo, andiamo.” Disse ai ragazzi.

Poteva sentire lo sguardo di Castle mentre metteva via la pistola. Evitò di incontrarlo per non fargli capire quanto stava male.

“Che cosa? Stavi solo fingendo per rintracciarlo?”

Fece un respiro profondo per calmarsi. “Sì, certo,” mentì.

  
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