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Autore: Rohchan    02/03/2008    11 recensioni
L’acqua gocciola nel lavandino. Sono le sette di una mattina qualsiasi, nel caldo soffocante di Tokyo.
Finestre spalancate sulla città, alla ricerca di un filo d’aria inesistente.
Lei è seduta al tavolo della cucina, le ginocchia al petto, i capelli neri e lunghi scarmigliati dalla notte insonne.
...
Non può impedirsi di pensare, ricordare.
Anche se vorrebbe tanto non farlo.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Scintil92, che ama questa coppia alla follia.
E' una coppia su cui, onestamente parlando, non avrei mai pensato di poter un giorno arrivare a scrivere.
E invece, è successo. ^^
Ringraziate lei...

Buona lettura (e buona domenica di PRIMAVERA a tutti/e)!
Rohchan

STAY

L’acqua gocciola nel lavandino. Sono le sette di una mattina qualsiasi, nel caldo soffocante di Tokyo.
Finestre spalancate sulla città, alla ricerca di un filo d’aria inesistente.
Lei è seduta al tavolo della cucina, le ginocchia al petto, i capelli neri e lunghi scarmigliati dalla notte insonne.
Ancora in canottiera e pantaloncini, osserva triste la tazza di caffè che tiene tra le mani.
Non può impedirsi di pensare, ricordare.
Anche se vorrebbe tanto non farlo.

***

- Vado via, Rin.-

Tre parole.
Vado
Via
Rin.
Senza un perchè, senza uno straccio di motivazione.
Non una parola di più.
Forse avrei dovuto fermarti, chiederti spiegazioni, ma in quel momento il dolore che mi spaccava il cuore era troppo intenso.
Toglieva il respiro.

Cinque anni, Sesshoumaru.
Cinque splendidi anni.
Fatti di gioia e dolore.
Della mia cucina disastrosa ma impegnata e delle tue risate e smorfie ad assaggiare la roba nel piatto.
Della mia paura dei temporali troppo violenti e delle tue braccia che mi proteggevano.
Dei tuoi incubi notturni e del mio abbraccio piccolo ma deciso.
Del mio essere così solare e ridente e del tuo essere scontroso, un po’ orso.
Con quel broncio, con quel viso affilato, con quelle labbra sempre troppo strette e quegli occhi sempre un po’ troppo cupi.
Il tuo modo così diverso dal mio di vedere la vita e gli umani, tu demone quasi immortale ed io semplice donna.
Eppure io ti amavo anche per questo.
Perché eri così lontano da me, perché per tenerti accanto dovevo lottare contro di te ogni singolo giorno.

Del tuo insegnarmi cose che non sapevo. Le stupidaggini.
Come tenere i conti del mese. Come cambiare un interruttore. Come stare seduta su una moto. Come non farsi imbrogliare dal venditore al mercato.
Le cose importanti.
Come si vive in due secondo te. Come si ama un demone. Come si sopravvive tra i rollii di questa immensa nave che chiamano vita. Come starti accanto, quando il tuo lato demoniaco ha il sopravvento, e diventi pericoloso.

E del mio insegnarti cose che non sapevi. Le stupidaggini.
Come si piega un maglione. Come accorgersi di quando è ora di bagnare i fiori. Come ritirare la tua roba nell’armadio senza far sembrare che sia passato un branco di elefanti. Come si usa una lavatrice –che non è un nemico che non parla la tua lingua. È un congegno per risparmiare energia.
Le cose importanti.
Come si vive in due secondo me. Come capire quando qualcosa in me non va. Come consolarmi quando pare che il mondo mi crolli addosso. Come starmi accanto, limando un po’ la tua natura ed anche la mia, troppo dolce e semplicistica, spesso e volentieri.

E non ti ho fermato.
Avrei potuto dirtelo.
- Aspetta, per favore. Resta.-
Invece no.
Davvero volevi allontanarmi così?
Sul serio volevi che finisse in questa maniera?

E così è passato il tempo.
Un giorno. Due.
Una settimana.
Un mese.
Sei mesi.
Un anno.
Due anni.
Storie che vengono rifiutate.
Fiumi di lacrime.
Telefonate nel cuore della notte a Sango che, poverina, ha l’unica colpa di essere la sorella del mio migliore amico.
Ragazzi respinti.
Uscite ridotte.
Tuo fratello che urla e sbraita che devo reagire, che sei tu ad aver sbagliato. Che si fa in quattro per trovare qualcuno che mi restituisca il sorriso.
Sapore di sangue in bocca, a forza di piangere.
Mal di testa.
Voglia di arrendersi.

Oggi –esattamente oggi- fa due anni, sei mesi, due ore e tre quarti che te ne sei andato.
Ricordo ogni mossa.
La tua mano che posa la tazzina nel lavandino.
I tuoi passi fino alla porta.
La sinistra che raccoglie la valigia da terra e la destra che apre la porta.
Le tue parole.
- Vado via, Rin.-
Ed io, annichilita, stordita, che osservo la porta chiudersi dietro di te e non faccio nulla per fermarti.

Da quel giorno, non c’è stata mattina in cui svegliandomi il tuo viso non sia stato il primo pensiero.
Non una sera in cui tu non sia stato l’ultimo.
Ho passato un inferno, e credevo di potertene parlare.
Brandelli di ricordi, che avrei preferito chiudere in un angolo lontano, e che invece si presentano ancora davanti ai miei occhi.
Così freddo che ad occhi esterni poteva sembrare mi odiassi. Ma io SENTIVO che non era vero. Nella tua mano che stringeva la mia, nel tuo modo di fissarmi.
Persino quando mi stringevi a te, non c’era l’amore a cui ogni donna è abituata.
C’era qualcosa d diverso, che mi ha segnata dentro, ed era freddo e penetrante al tempo stesso.
L’amore di un uomo forse si può dimenticare.
Ma quello di un demone è più ostinato.

Telefono, e-mail.
Kami.
Non hai idea di quante volte io abbia iniziato a scriverti.
E poi ho cancellato tutto, perché era assurdo, stupido, masochista, controproducente, egoista, inutile metterti a parte della desolazione che sentivo dentro.
Te ne eri andato.
Col corpo, con i pensieri.
Non me n’ero accorta, accecata dall’amore per te.
Eri distante, ed io credevo fosse colpa mia, ed invece non era così.
Pausa di riflessione, l’hai chiamata.
A me sembra un abbandono in piena regola.
Essere umana non era abbastanza.
Sono stata stupida a credere che ti sarei bastata…aveva ragione mia madre a dire che demoni e umani non sono fatti per stare insieme per tutta la vita.
Prima o poi, si sente il bisogno di qualcuno che sia come noi.
Ma non ci ho creduto fino all’ultimo.

Sono diventata cattiva, perfida quasi.
Diffidente, una gatta pericolosa.
Sempre ad artigli sguainati, sempre pronta a ferire.
Ed ogni volta mi dicevo che lo facevo per te.
“Perché quando tornerai sarò ancora qui…”

Stupida ragazzina ingenua che non sono altro.
Non tornerai.
Non mi chiederai come sto questa mattina, l’ennesima passata a rotolarmi nelle lenzuola incapace di prendere sonno.
Non mi chiederai se ho bisogno di qualcosa, aggiungendo poi, con un sorriso beffardo, a parte te.
Non mi chiederai se ti voglio vicino.

Scemo.
Sempre la stessa domanda, e sempre la stessa risposta.
Quando me l’hai chiesto la prima volta, poi hai riso come un pazzo per almeno un quarto d’ora.
Solo perché ti ho risposto che, se fosse dipeso da me, ti avrei incollato alle mie mani, perché non potessi mai andartene.
- Lo prendo per un sì- , mi hai detto appena ti sei ripreso.
E quella sera non ho avuto bisogno della colla.

***

Rin posa la tazzina nel lavandino.
La riempie d’acqua, per evitare che i canonici tre cucchiaini di zucchero si incrostino al punto da costringerla a buttarla.
Si volta verso la camera da letto, sbadigliando.
L’orologio sopra il televisore della cucina segna le sette e mezza.
È ora di vestirsi, tornare nel mondo. Rimettere la maschera e affrontare la vita.

***

Spero troverai la tua strada.
Spero vivrai giorni migliori di quelli che io ho potuto darti, e che evidentemente non erano abbastanza.
Non ti aprirò la porta, se tornerai.
Non un’altra volta.
Non ti lascerò più mandarmi in pezzi.
Te ne sei andato?
Addio.
IO sono più forte.
Ho anche cambiato la serratura.

***

In camera da letto, e poi in bagno.
Apre l’acqua della doccia, si spoglia.
In pieno Luglio, Tokyo non perdona. Meglio fare scorta di frescura finchè si può.
Sta per mettere piede nella doccia, ma il suono insistente del campanello la distrae.
Sbuffa, scocciata.
Alle sette e mezza del mattino, chi diavolo è?
Indossa alla bell’e meglio l’accappatoio, si dirige a passo di marcia alla porta dell’appartamento.
Fa scorrere il blocco della serratura senza nemmeno guardare dallo spioncino, decisa a mandare al diavolo chiunque ci sia dall’altra parte.
- Ciao, Rin.-
La mano ancora ferma sul campanello, quel sorriso storto che è sempre stato suo, il timbro di voce basso e roco di quando chiedeva scusa, i capelli candidi come la neve al sole.
Ma Rin non si lascia incantare.
Lo guarda con astio, chiude la porta e fa scorrere indietro il blocco.

***

Troppo comodo, signorino.
Troppo facile tornare qui, con quel viso, con quegli occhi, e pretendere che nulla sia cambiato.
Ho da fare, non posso stare qui ad ascoltare le tue stupidaggini.

***

Torna in bagno, e l’acqua fredda della doccia è un toccasana.
Le regala frescura, la aiuta a diradare la nebbia nella mente.
Le lava via le lacrime bollenti che si era imposta di non piangere più.
Esce dalla doccia, si asciuga, si veste.

Otto meno dieci.
C’è giusto il tempo di prendere il treno e andare a lavorare.
Infila le scarpe, raccoglie la borsa e le chiavi.
Prende un respiro profondo.
Sesshoumaru a quest’ora sarà andato via.
Non è mai stato paziente, non ha mai perdonato uno sgarbo.
E lei gli ha chiuso la porta in faccia apposta.

Apre la porta, esce sul pianerottolo.
E lui è ancora lì, seduto sui gradini che vanno al piano superiore.
Quello che a lui piaceva tanto ma che a lei faceva impressione perché non riusciva ad affacciarsi dal balcone, perché era troppo alto.
- Sei ancora qui?-
Brava, non dargliela vinta. Chiudi la porta a chiave.
- Volevo parlarti.-
Comodo lui. Parlare.
…attenta a non rompere la chiave nella toppa. Lei non ne ha colpa.

- Non ho tempo ora. Arriverò tardi.-
- Ti aspetterò.-
- Non otterrai nulla, lo sai. Cosa credi, che basti venire qui a quest’ora per fermarmi?-
- Forse.-
- Ti sei sbagliato. Non ho più bisogno di te, non mi servi più. Posso farcela anche da sola.-
- Non provocarmi, Rin.- con quella voce tagliente. Con gli occhi dorati che si fanno sottili.
- Prova a farmi capire perché sei scappato, e forse troverò il tempo di starti ad ascoltare…- lei è più dura. Più forte. Piena di rancore, rabbia.
- Io non sono un essere perfetto, Rin.- e i Kami sanno quanto gli costa dirlo.
Per riaverla indietro.
Maledetto orgoglio di demone.
- Oh, tranquillo. La certezza che lo fossi è crollata due anni fa. Hai altro da dire?- soffia, come una gatta irosa.
- Se è questo che vuoi…fare la bambina e non starmi a sentire…-
- FARE LA BAMBINA? NON…NON STARTI A SENTIRE?!- la rabbia di Rin esplode, violenta.
Mesi e mesi di domande senza risposta, dubbi, incertezze. Rancore. Odio.
- SEI UNA BAMBINA, RIN! UNA BAMBINA CAPRICCIOSA E IMPOSSIBILE, E TANTO UMANA DA DARMI IL VOLTASTOMACO!-

Un rumore secco.
Uno schiaffo, deciso, un manrovescio che avrebbe voltato il viso di un uomo dall’altra parte.
Ma lui non si muove.
Anzi, glie lo restituisce, potente, deciso.
Rin barcolla, in bilico sul bordo del gradino.
Sesshoumaru allunga un braccio, la trattiene per la vita.
- Lasciami andare.- gli intima lei.
La mano di lui scivola sulla camicia di seta chiara, lasciandola libera di muoversi.
Fa un passo indietro, allontanandosi da lei.
Lei, che sorride solo piegando gli angoli delle labbra.
Chi dei due è il demone, ora?

***

Brava Rin. Sputagli addosso tutto il veleno che hai.
Tutto il dolore , il panico che ti si sono versati addosso in questi due anni, restituisciglieli.
Se li merita.

***

Lui sospira. Si liscia i pantaloni di stoffa chiara sulle ginocchia e la fissa, ancora, tentando di inchiodarla con lo sguardo.
Lei mette un piede sul gradino per scendere.
Ha sempre odiato gli ascensori.
- Rin, aspetta. Resta, per favore.-
La voce scende di tono. Prova l’approccio gentile.
Ma non devi ascoltarlo.

- No.-
- Per favore...solo...resta.-
Rin chiude gli occhi. Li stringe, soffocando un singhiozzo.
Maledetto cuore di donna.

E il piede resta inchiodato al gradino.

***

Se ti fermi ora avrai perso ogni cosa, Rin. Tutto quello che sei diventata mentre lui non c’era.
Tutta la tua forza.
Tutta la tua ira.
Tutta la tua cattiveria.

***

- Per favore…aspetta, Rin.-

  
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