Fanfic su artisti musicali > Green Day
Segui la storia  |       
Autore: ShopaHolic    27/08/2013    1 recensioni
Estate 2009. Dopo quattro anni dall’uscita di American Idiot, i Green Day sono tornati con un nuovo album, e il tour è finalmente alle porte. Ma se le cose non andassero esattamente come erano state previste? Se un improvviso imprevisto li costringesse a rimandare la partenza, e la cosa avesse ripercussioni serie sull'animo di Billie Joe Armstrong? E se fosse l'incontro fortuito con una curiosa ragazza dal nome evocativo e dal passato misterioso, totalmente estranea al suo mondo, a portare scompiglio nella vita di tutti?
Dal capitolo 20:
«Mi rendo perfettamente conto che è sbagliato, e che è un errore essere qui adesso. Ed è anche rischioso, considerando l’accanimento mediatico che c’è su di te ultimamente, ma ci sono persone che si sono sacrificate tanto, per me, affinché io fossi felice, e pur sapendo che queste persone non approverebbero mai quello che sto facendo, io sento che è quello che voglio. Io voglio sentirmi viva e felice. E non so per quanto durerà tutto questo, ma io mi sento così, adesso, e se anche dovesse finire tutto nel giro di cinque minuti, io sarò lo stesso contenta di averlo vissuto.»
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Sotto la pelle

 
Le quasi cinque ore di volo per Minneapolis, nel Minnesota, erano trascorse tranquillamente. Si trattava di un volo diretto, senza scali, così Billie Joe Armstrong aveva avuto modo di riposarsi e concentrarsi a dovere su quanto stesse per fare. Si era convinto che andare a trovare Adrienne e i ragazzi fosse la cosa giusta e lo aveva deciso d’impulso, senza starci a riflettere troppo, soltanto poche ore dopo il suo incontro con Gloria, quando la sua mente era ancora annebbiata e la delusione ancora cocente e pulsante sotto la pelle. I germi di quella decisione glieli aveva piantati nel cervello Gloria stessa con tutte le sue parole, parole che si erano incise nella sua materia grigia a forza, con graffi tanto profondi da non consentirgli di scacciarle via dalla testa, per quanto lui si sforzasse di farlo. Era perfettamente consapevole del fatto che non sarebbe stato per niente facile, ma aveva deciso che si sarebbe dimenticato di quella storia per sempre, che avrebbe riabbracciato sua moglie e ricominciato a vivere come aveva sempre fatto e ad essere quello che era sempre stato: un marito, un padre di famiglia, un uomo schietto e sincero, con le idee chiare e pronto a tutto pur di proteggere le persone a lui più care. E, decisamente, Adrienne e i suoi figli erano in assoluto le persone più importanti per lui.
Si era imposto di rimuovere quella ragazza dalla sua mente in maniera definitiva come quando si dà l’ok a un computer per l’eliminazione di un file. Gli bruciava dentro, quella loro conversazione, e ancor di più gli bruciava la consapevolezza di essere stato rifiutato a malincuore perché lui lo sapeva -lo aveva capito- di avere ragione: gli era stato dimostrato in maniera involontaria, quasi inconsciamente, da lei stessa, dai suoi brividi, dalla voce che le tremava, ma ormai non c’era veramente nient’altro che potesse fare. Gli era stato chiesto esplicitamente di uscire per sempre dalla sua vita e così aveva deciso che avrebbe fatto. Non valeva la pena rischiare di perdere la sua famiglia per inseguire una mera illusione, ora lo aveva capito sul serio.
In fondo, che cosa si era aspettato veramente, da lei? -si domandò- Che accettasse quelle sue parole e si gettasse tra le sue braccia senza remore, felice e pronta ad essere sua? E se anche fosse stato realmente così, che cosa avrebbero fatto dopo? Cosa sarebbe diventata, lei? La sua amante? E come avrebbe potuto, lui, tenere nascosta la loro storia -ai suoi amici, alla sua famiglia, al resto del mondo-? Più ci pensava, più sentiva che quello che gli aveva detto Gloria era vero, e visto che quella ragazza aveva ragione da vendere e l’aveva definitivamente allontanato dalla sua vita, capì che non c’era necessità di trattenere a forza, nella sua mente, il suo ricordo.
La cartella contenente i file relativi a Gloria stavano per essere eliminati dal suo hard disk cerebrale, perché non riusciva più a sopportare quel sapore amaro e rintronante che sentiva pizzicargli la lingua ogni volta che ripensava a quelle parole. Si era lavato i denti decine e decine di volte, ma quel gusto spiacevole continuava a ripresentarsi nella sua bocca, forte e intenso come un veleno, frastornante come uno strano antibiotico dai pericolosi effetti collaterali. Si sentiva teso e agitato, quando quel sapore si presentava, il suo corpo era un fascio di nervi, la fonte perennemente corrugata, il suo sguardo affilato.
Mike e Frank dovevano essersene accorti perché quello strano sapore non gli aveva lasciato tregua neppure per un istante, neanche mentre era con loro, e difficilmente riusciva a nascondere il disagio e il fastidio che gli procurava sentirselo sulla lingua e in fondo alla gola. Si era sforzato veramente tanto, con tutto se stesso, di reprimere quella spiacevole sensazione, ma si ripresentava ancora e ancora, distraendolo, tormentandolo, riportandolo con la mente a quella ragazza, alle sue parole, allo sguardo che aveva e che la tradiva, e poi di nuovo alle sue parole, alla forza che aveva avuto di sottrarsi al suo bacio, al suo invito a finirla lì, e gli veniva voglia di alzarsi in piedi come una furia e tornare da lei, a dirle che come potevano finirla lì se tra loro non era mai cominciato nulla, se lui si era reso conto solo allora di tutta la forza con la quale la desiderava, la sognava, la voleva? Pensò a sua moglie dall’altra parte degli Stati Uniti, calma e rilassata a godersi l’estate, totalmente ignara di ciò che stava accadendo a Berkeley. Immaginò quale potesse essere la sua reazione nell’apprendere ciò che era accaduto, e la vide scherzare come sempre e prenderlo in giro, evidentemente considerando quella sua infatuazione una cosa da poco, e mentre aveva quell’immagine di lei si sentiva in colpa ancora di più, perché sarebbe stato facile dirsi che si trattava di una cosa banale, una faccenda di poco conto, una sbandata passeggera che sarebbe passata presto e senza portare ulteriori problemi, ma sapeva che non poteva mentire, non poteva attaccarsi a quella effimera, mezza verità. Non poteva fare questo a sua moglie, né ai suoi figli, né ai suoi amici, e meno che mai a sé stesso, perché la verità -la vera verità- era che il desiderio, lui, lo sentiva bruciare sotto la pelle, e sapeva di non amare quella ragazza, ma sapeva anche che per stare lontano da lei avrebbe dovuto lottare contro sé stesso: la sua mente, la sua anima, le uniche sulle quali aveva ancora un briciolo di controllo, avrebbero dovuto sfidare il suo istinto e il suo stesso corpo, avrebbero dovuto tentare di lenire il dolore, di spegnere quel fuoco che gli bruciava dentro, che lo logorava, che lo divorava dall’interno di sé, che lo rintontiva, lo drogava, lo asfissiava. Una qualche specie di reazione chimica si era attivata, da sola, nel suo organismo, e i prodotti che ne erano derivati erano più forti della morfina, avevano l’effetto di un ansiolitico, lo spogliavano totalmente di ogni sua capacità di intendere e di volere. Quella ragazza era la scintilla necessaria ad attivare la reazione corretta, ma senza di lei reagenti e prodotti si mescolavano in parti sbagliate e in maniera sbagliata, e lo scuotevano, lo risvegliavano dal tepore, e lui era lì, e non poteva fare altro che continuare a cercarla, cercarla, cercarla, ma l’aveva persa, ormai. Non ci sarebbe più stata né ebbrezza né stordimento, sarebbe rimasto solo il dolore, il fuoco, la rinuncia, la sconfitta, quel sapore nauseante tra quelle labbra che, solo poco tempo prima, avevano sfiorato il paradiso. E così, mentre i suoi amici bisticciavano animatamente per qualcosa a cui Billie Joe, perso nelle sue elucubrazioni, non aveva dato nessuna importanza, aveva fatto schioccare la lingua e riportando la loro attenzione su di sé aveva detto, come fossero stati gli altri a interpellarlo:
«Sapete che vi dico? Io me ne vado a trovare Adrienne.»
Mike e Trè Cool avevano smesso di litigare e si erano scambiati un’occhiata perplessa, per poi spostare i loro sguardi in direzione del loro amico chitarrista.
«Vai a trovare Adrienne?» aveva ripetuto Mike come se non avesse capito bene.
«Sì.» aveva risposto Billie Joe con espressione seria. «Me ne vado da lei e dai ragazzi.»
Gli altri due si erano scambiati l’ennesima occhiata enigmatica.
«Così, su due piedi?» aveva domandato il batterista sforzandosi di capire il perché di quella sua improvvisa decisione.
«Sì.» aveva risposto nuovamente Billie con la stessa convinzione dimostrata poco prima. «Preparo uno zaino e prendo il primo volo disponibile.»
«E come mai questo improvviso cambio di idea?»
L’altro si era stretto nelle spalle.
«Perché mi manca averli intorno.» aveva risposto con semplicità, e solo nel momento in cui aveva pronunciato quelle parole si era reso conto che corrispondevano davvero alla verità. Gli mancava sua moglie, e ancora di più gli mancavano i ragazzi. Aveva bisogno di abbracciarli tutti, di sentirli di nuovo affianco a sé. In quel momento più che mai, aveva bisogno dei loro sorrisi e del loro affetto per ricordarsi che quella -quella- era la perfezione, che se c’erano loro allora andava bene così e non serviva veramente  nient’altro, nessun altro, che tutto ciò che desiderava dalla vita lo aveva giusto accanto a sé, e non c’era bisogno né di ebbrezza né di emozioni forti, e tanto meno di belle ragazzine di vent’anni più giovani di lui. Così era tornato subito a casa, lasciando i suoi amici a domandarsi per l’ennesima volta che cosa gli stesse succedendo in quel periodo. Billie Joe non sapeva se, con quell’improvvisa decisione di partire, Mike e Frank si fossero insospettiti ancora di più o, al contrario, avessero tirato un sospiro di sollievo e pensato che fosse finalmente tornato tutto alla normalità, ma mentre infilava quattro o cinque cambi in un borsone, quello appariva lui come l’ultimo dei suoi pensieri. Si era concentrato, in quel momento, solo ed esclusivamente alla tela di nylon che aveva tra le mani, immaginando che fosse una riproduzione ordinata della sua mente, e ogni capo che vi infilava dentro, come impegno nei confronti della sua famiglia, scacciava via un particolare della persona di Gloria. Pantaloni del pigiama dentro. Capelli neri fuori. T-shirt dentro. Risata allegra fuori. Camicia dentro. Guance arrossate fuori. Slip dentro. Occhi azzurri fuori. Accappatoio dentro. Labbra morbide fuori. Aveva tirato la zip e richiuso il borsone. Ogni cosa era dentro. E Gloria era fuori. Fuori, fuori, fuori per sempre, fino all’ultimo piccolo ricordo di lei, in modo da non avere più posto, dentro di sé, per nient’altro che non fossero sua moglie e i suoi ragazzi e la sua vita prima di lei.
Aveva deciso che, almeno per il momento, non avrebbe informato Adrienne del suo imminente arrivo. Non voleva caricarla di attese e aspettative. Non che avesse intenzione di tirarsi indietro all’ultimo minuto e non presentarsi da lei, ma doveva parlarle di una cosa veramente molto delicata, e aveva tenuto in considerazione il fatto che avrebbe potuto aver bisogno di ulteriore tempo per riflettere -poco tempo, ancora poco tempo- prima di affrontare il suo sguardo confidente. Si era convinto, dentro di sé, che raccontarle ogni cosa fosse la cosa più giusta da fare, perché solo in quel modo si sarebbe spogliato definitivamente della sua colpa, e il pensiero di quella ragazza non l’avrebbe più toccato, sarebbe rimasto fermo lì, acquattato sotto forma di ricordo insieme a mille e mille altri, così nascosto da rimanere invisibile, quasi completamente celato alla sua mente.
Con grande fortuna aveva trovato un volo disponibile per le nove e trenta della mattina successiva, così aveva avuto modo di rilassarsi durante la serata: si era preparato qualcosa di rapido da mangiare e si era buttato sul divano a guardare la tv. Sembrava che stesse meglio davvero. Il solo intento di confidare tutto quanto a sua moglie e dimenticarsi per sempre di quella storia appariva già come una vittoria. Il semplice fatto di aver preso una posizione lo ripagava di tutte le incertezze e i tentennamenti delle due settimane appena passate, di quei giorni in cui aveva avuto l’impressione di non saper più controllare le sue decisioni, di non essere più in grado di intendere e di volere, di essere regredito allo stato animalesco e di agire seguendo l’istinto, affidandosi agli impulsi di un momento, senza pensare ai se, ai perché, senza riuscire più a prevedere gli effetti delle sue azioni, e a capire se potessero essere dannosi oppure no. Si era addormentato in poco tempo davanti alla televisione accesa e si era risvegliato un paio d’ore dopo. Aveva spento la tv e se ne era andato a letto, immaginando di non riuscire più a prendere sonno, e invece era crollato nuovamente non appena aveva poggiato la testa sul guanciale, un attimo dopo aver messo la sveglia per l’indomani mattina. La sua mente si era fatta più leggera, i suoi pensieri -ora che non erano più intasati dall’immagine di quella ragazza- rarefatti. Il suo essere aveva trovato la strada del sonno e il suo corpo, anche, l’aveva seguito in quella dimensione misteriosa e affascinante, la dimensione onirica, una sorta di Paradiso Terrestre in cui la sua mente potesse finalmente gioire e le sue membra riposare.
La sveglia era suonata poco prima delle sette del mattino, e Billie Joe Armstrong si era svegliato già carico di aspettative. Si era rasato e aveva fatto una doccia rapida, dopodiché si era vestito di corsa ed era sceso in salotto ad aspettare l’arrivo di Mike e Frank, che avevano bussato alla porta pochi istanti dopo, pronti ad accompagnare il loro amico all’aeroporto come avevano promesso la sera prima. Il viaggio in auto era trascorso serenamente, ascoltando buona musica e discorrendo del più e del meno come una qualsiasi altra normalissima giornata. I tre amici si erano lasciati davanti all’ingresso dell’imponente edificio. Billie Joe aveva lasciato a Mike la sua copia delle chiavi di casa per qualsiasi evenienza; dei gatti e dei pesci si sarebbe presa cura Johana, la colombiana che, settimanalmente, faceva le pulizie e casa sua e si occupava di curare il giardino e di mantenere pulita l’acqua della piscina. Aveva salutato i suoi compagni con un abbraccio, come se avesse dovuto star via molto più di quei pochi giorni che aveva preventivato, e quel gesto era servito lui per farsi forza, per darsi coraggio, per riuscire in ciò che si era programmato di fare: dire tutto a sua moglie senza riserve, senza alcuna esitazione.
Mike gli aveva dato una pacca affettuosa sulla spalla.
«Sono sicuro che ti farà bene la vicinanza dei ragazzi.» gli aveva mormorato in un orecchio con voce calda e amichevole, e quello era valso come il più grande e incoraggiante degli in bocca al lupo di cui aveva bisogno, così lo aveva ringraziato con un sorriso e, un attimo prima di staccarsi da lui, aveva risposto:
«Sì, lo credo anch’io.»
L’aeroporto era pieno della tipica folla di metà luglio, per cui Billie Joe Armstrong aveva dovuto aspettare in fila una buona mezz’ora prima di arrivare al desk del check-in. Aveva risolto in poco tempo la questione del controllo bagagli e acquistato una bottiglietta d’acqua in attesa del suo imbarco. Nell’attesa che chiamassero il suo volo aveva telefonato a sua moglie e le aveva domandato che programmi avesse per la giornata -il tutto senza fare il minimo riferimento al fatto che, di lì a poche ore, si sarebbe presentato a sorpresa alla porta di casa sua- ed era stato soddisfatto nell’apprendere che, quel giorno, lei e i ragazzi non avevano intenzione di fare alcun giro, il che significava che li avrebbe trovati sicuramente in casa quando lui sarebbe arrivato.
Il volo era stato piuttosto piacevole, senza turbolenze. I suoi vicini di poltrona erano due anziani signori che si erano appisolati dopo una mezz’ora di viaggio e per tutta la durata del volo c’erano stati silenzio e tranquillità, tutto ciò di cui Billie Joe Armstrong aveva bisogno per rilassarsi a dovere e riflettere. Aveva mangiucchiato un panino al prosciutto e, nel frattempo, iniziato a pensare a come e quando raccontare tutto ad Adrienne. Aveva scartato sin dall’inizio l’idea di parlagliene immediatamente appena arrivato: sarebbe risultato spiacevole più del necessario e sua moglie, ne era sicuro, avrebbe immaginato -e a ragione, forse- che il solo motivo che lo aveva spinto a raggiungerla fosse stato il desiderio di liberarsi di quel peso dalla coscienza, di togliersi di dosso quel fardello scomodo per passarlo a lei. Mentre pensava a tutto questo, però, uno strano senso di agitazione lo aveva pervaso per intero e lo aveva costretto a lasciare il panino a metà, tanto il suo stomaco si era serrato all’improvviso, e aveva deciso di non pensare più al modo in cui avrebbe messo sua moglie al corrente di tutto. L’avrebbe guardata negli occhi e avrebbe seguito l’istinto, le avrebbe raccontato tutto non appena, guardandola, si sarebbe reso conto che era arrivato il momento giusto. Aveva trascorso ciò che rimaneva del volo a sonnecchiare beatamente, e solo quando l’aereo aveva toccato terra, circa un paio di ore dopo, aveva aperto gli occhi.

Di fuori il sole era ancora caldo e alto nel cielo, l’aria rovente e umida, e Billie Joe Armstrong ne risentì immediatamente non appena ebbe messo piede fuori dall’aeroporto, lasciandosi alle spalle la piacevole aria condizionata che vi era al suo interno. Diede una rapida occhiata all’orologio che aveva al polso e facendo due rapidi calcoli mentali concluse che lì nel Minnesota dovessero essere quasi le cinque del pomeriggio. Non dovette attendere troppo tempo prima di riuscire a trovare un taxi libero. Sapeva per esperienza, dopo esservi stato già altre cinque o sei volte da quando aveva sposato Adrienne, che l’abitazione alla quale era diretto distava non più di una cinquantina di kilometri dall’aeroporto: se non avesse trovato troppo traffico, sarebbe giunto a destinazione in poco più di mezz’ora. Il paesaggio che vedeva scorrere oltre i finestrini era cambiato soltanto in parte rispetto all’ultima volta -circa tre anni prima- che aveva trascorso un’estate lì. Il tassista -un omone di colore calvo e robusto, sulla cinquantina- aveva messo su un cd di musica jazz, a volume piuttosto basso, come a creare un discreto sottofondo che Billie Joe trovò veramente piacevole e rilassante. Era esattamente ciò di cui aveva bisogno prima di incontrare sua moglie.
Proprio come aveva previsto, meno di quaranta minuti dopo essere partito, il taxi si fermò nell’ampio vialetto di terra battuta davanti alla residenza estiva di Marion e Gabrielle Nesser. Pagò la corsa con una banconota da cinquanta dollari, lasciando il resto come mancia, e scese dalla vettura, muovendo i primi passi verso la porta principale. Si trattava di una villetta dallo stile semplice, tinteggiata di un delicato rosa antico e decorata da un mosaico di pietre grezze nella parte inferiore, lungo tutto il suo perimetro. Era stata costruita negli anni quaranta dal nonno materno delle due sorelle, che vi era andato ad abitare stabilmente insieme alla moglie e all’unica figlia, Lily, che diversi anni dopo, già sposa di Charles Nesser -suo amico d’infanzia nonché fratello del padre di Adrienne- e madre di Marion e Gabrielle, aveva ereditato la casa, dove era solita trasferirsi durante le vacanze estive assieme alla sua famiglia. Dopo la morte di Lily e la malattia di Charles, che ormai si spostava da casa molto raramente, erano rimaste solo le due sorelle -insieme ai rispettivi mariti e figli- ad usufruire della villetta, talvolta nel periodo estivo, talvolta per le festività natalizie, ed avendo la casa stanze a sufficienza per ospitare più persone, molto spesso invitavano presso di loro, a turno, i propri cugini o amici, con le relative famiglie al seguito.
Dal giardino sul retro si udiva il rumore di un pallone calciato e di voci giovanili che riconobbe subito come quelle dei suoi figli. Le sue labbra si curvarono istantaneamente in un sorriso mentre deviava il suo percorso con l’intenzione di salutare i ragazzi prima del fatidico incontro con Adrienne. Proprio mentre era sul punto di girare l’angolo, il pallone rimbalzò davanti ai suoi piedi, e con uno scatto riuscì ad afferrarlo al volo prima che proseguisse la sua strada lungo il cortile. Immediatamente udì dei passi correre verso di lui -verso il pallone, anzi- e pochi istanti dopo suo figlio Jakob apparve voltando l’angolo in fretta e furia e subito si fermò, sobbalzando di fronte all’inaspettata figura che si era trovato davanti e che lo guardava con occhi sorridenti tenendo tra le mani il pallone che era andato a recuperare.
«E tu dove te ne vai, così di corsa?» domandò ridacchiando per poi lasciar cadere il pallone e il suo borsone da viaggio ai suoi piedi e sollevare suo figlio nel più tenero degli abbracci.
«Papà!» gridò Jakob stringendosi forte a suo padre.
Billie Joe Armstrong lo tenne abbracciato a sé per un istante lunghissimo, non curandosi minimamente del fatto che avesse i vestiti sporchi di terra, e accarezzandogli dolcemente la nuca gli sussurrò in un orecchio: «Il mio piccolo», e così dicendo gli stampò un bacio su una guancia per poi continuare: «mi sei mancato tanto.»
Gli era mancato davvero. Gli erano mancati tutti quanti: lui, Joey, Adrienne. Il solo pensiero di sua moglie fece accelerare la frequenza dei battiti del suo cuore al punto tale da fargli mancare il respiro per pochi istanti.
«Ma quanto ci metti a riprendere quella palla?» gridò la voce del suo figlio più grande mentre un rumore deciso di passi in avvicinamento annunciava il suo imminente arrivo e infatti, una manciata di secondi dopo, anche Joey girò l’angolo della villetta e si ritrovò faccia a faccia con suo padre, intento a rimettere a terra Jakob.
«Li fai sempre fare a tuo fratello i lavori più noiosi, eh Joey?»  ridacchiò Billie Joe mentre si avvicinava a lui per abbracciarlo, contento di vedere l’espressione di piacevole sorpresa che aveva in volto.
«La mamma non ci aveva detto niente!» esclamò il ragazzino ancora stretto al petto del padre.
Billie Joe fece per schiarirsi la gola e lentamente si staccò da suo figlio con il sorriso che si era fatto improvvisamente tirato.
«Non lo sa nemmeno lei. Volevo farvi una sorpresa.» spiegò loro con un tono di voce che risultò effettivamente calmo solo in parte, osservandoli affettuosamente e studiando con attenzione le loro pelli decisamente più abbronzate di quando li aveva visti l’ultima volta, prima che partissero.
«Scommetto che sarà contentissima!»  commentò Jakob tutto felice, con un sorriso gigantesco stampato in volto, mentre prendeva il padre per la mano e faceva per trascinarlo -letteralmente- dietro l’angolo, verso la porta che si affacciava sul giardino del retro. «Sta in cucina a lavare i piatti.»
Si fece trascinare dal suo figlio più piccolo senza opporre resistenza, anche se dentro di sé sentiva come se fosse appena scoppiata una guerra con tanto di nucleare. Il cuore aveva ripreso a battere furiosamente, talmente tanto che quasi gli mancava il respiro; delle goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e sentiva un calore particolare alle mani, da cui dedusse che dovevano essere sudate anche quelle. Si accorse con estremo disappunto che il loro tragitto era ormai giunto alla fine quando suo figlio gli lasciò la mano e trotterellando allegramente cominciò a gridare e a battere forte i palmi delle mani contro il vetro della porta:
«MAMMA! CORRI A VEDERE! CORRI A VEDERE!»
Da fuori si udì distintamente la voce di Adrienne gridare a sua volta, con un tono di voce che non nascondeva una certa preoccupazione, «Che succede?».
Certo è che Billie Joe Armstrong non l’aveva esattamente immaginato in quel modo, quell’imminente e inevitabile incontro con sua moglie.  Avrebbe desiderato, piuttosto, prendersi il suo tempo e bussare alla porta in maniera decisamente più discreta di quella usata da suo figlio, per poi salutare Adrienne con la calma e il calore necessari. In verità se la stava facendo addosso: aveva paura che lei sarebbe riuscita a comprendere tutti i suoi turbamenti, tutte le ragioni che lo avevano spinto a raggiungerla così all’improvviso semplicemente guardandolo dritto negli occhi.
La porta a vetri si spalancò dopo quei pochissimi istanti che a Billie Joe parvero durare un’eternità, e Adrienne uscì nel giardino con due falcate rapide prima di bloccarsi alla vista del marito. Indossava un vecchio vestitino estivo che le lasciava scoperte buona parte delle gambe abbronzate e, sopra di esso, un grembiule da cucina schizzato qua e là da acqua e sapone; le guance arrossate e la fronte lucida di sudore. A Billie Joe Armstrong non era mai sembrata così bella, e lui non si era mai sentito così impacciato come in quel momento. Per una frazione di secondo avvertì dentro di sé la sensazione di essere improvvisamente ritornato adolescente. Era incapace di parlare, sapeva che se solo avesse provato a farlo, avrebbe sicuramente cominciato a balbettare indegnamente, così si limitò a sorriderle calorosamente e a volarle incontro con le braccia tese in un abbraccio mentre lei, ancora sorpresa, era rimasta a bocca aperta, incapace di credere a ciò che le si era appena presentato davanti agli occhi.
Si riscosse solamente quando sentì le braccia di suo marito stringerla forte contro il petto e poté avvertire chiaramente il suo profumo fresco e muschiato.
«Ma che ci fai tu qui?» mormorò lei emozionatissima stringendogli forte le braccia attorno ai fianchi magri e affondandogli la testa tra la spalla e il collo.
«Mi siete mancati così tanto...»
Lei allentò leggermente la presa su di lui per tirarsi indietro con il busto quanto bastasse per poterlo guardare negli occhi e allora gli rivolse il sorriso più bello che lui avesse mai visto prima di poggiargli un bacio delicato sulle labbra, e senza smettere di sorridere mosse la mano sinistra per poi poggiarla contro il torace di lui, in corrispondenza del cuore, che ancora non accennava a rallentare il suo ritmo forsennato.
«Come batte forte...» commentò lei a voce bassissima, con una luce che le brillava negli occhi.
«Ma stai bene?» proseguì poi spostando la mano che gli teneva sul petto per carezzargli dolcemente una guancia. «Mi hai fatto preoccupare tantissimo nelle ultime settimane...»
La sua voce era quella di una ragazzina, e il suo sorriso e i suoi occhi erano quelli di una persona che davvero ritrovava il respiro dopo giorni e giorni di ansie e preoccupazioni.
Billie Joe Armstrong si sentì un vero idiota. Veramente aveva pensato di raggiungere sua moglie, che già era stata in ansia per lui quanto bastava a rovinarsi il suo soggiorno lì, per sfogarsi e confidarsi con lei di quello che gli era successo? Veramente aveva pensato di guardarla in quegli occhi e dirle in tutta franchezza che, se non fosse stato per il rifiuto di quella ragazzina, l’avrebbe sicuramente tradita senza nemmeno pensarci troppo? Veramente era stato così incosciente ed egoista da pensare a una soluzione del genere?
Non poteva scaricare tutto quel fardello addosso a sua moglie. L’unica cosa che poteva fare era dimostrarle tutto il suo amore per lei e far finta che non fosse successo assolutamente nulla durante la sua assenza. Mai avrebbe voluto far soffrire Adrienne per colpa sua; per niente al mondo lo avrebbe permesso.
«Io sto benissimo,» le rispose dunque cercando di risultare convincente, «e adesso che sono insieme a voi mi sento ancora meglio.», e mentre pronunciava quelle parole si rese conto che nonostante tutto erano vere. Gloria aveva ragione: rivedere sua moglie e i suoi figli gli aveva veramente fatto rimettere a posto la lista delle sue priorità. Era veramente felice, adesso, di stare di nuovo insieme alla sua famiglia.


L’aria all’interno della camera cominciava ad essere veramente troppo calda; il corpo di Billie Joe Armstrong era sudato mentre si muoveva sopra quello di sua moglie. Aveva sentito spesso la mancanza, in quelle ultime settimane di incertezze e titubanze, di quel genere di contatto con lei. Aveva passato il pomeriggio a farsi raccontare da Adrienne e dai suoi figli ogni cosa che avessero fatto da quando erano arrivati lì nei minimi dettagli, ed era stato  un vero sollievo il rientro per cena delle cugine di lei con i nipoti, cosa che gli aveva permesso di liquidare in poco tempo la questione di ciò che avesse fatto lui in quei giorni, durante la loro assenza. La cena era stata ottima e una volta alzatisi da tavola avevano passato il resto della serata in giardino a mangiare del gelato e raccontarsi pettegolezzi sugli altri membri della famiglia Nesser. Al momento di mettersi a letto, poi, era stato deciso che i bambini avrebbero dormito nella stessa stanza assieme ai cuginetti Cody e George, visto che la camera in cui si era sistemata Adrienne aveva soltanto un letto matrimoniale che, se era riuscito a ospitare piuttosto comodamente sia lei che i suoi figli, non sarebbe stato abbastanza grande per ospitare anche Billie Joe, ora che li aveva raggiunti e si era persino convinto a fermarsi qualche giorno in più di quanto avesse annunciato inizialmente.
Lui e sua moglie si erano chiusi la porta della loro stanza alle spalle quando ormai era già quasi l’una e allora non c’era stato più tempo per le chiacchiere. C’erano state solamente mani che accarezzavano, che strattonavano via i vestiti e bocche che si cercavano, respiri che si mischiavano.
L’aria era calda, rovente, ma non ci si poteva né ci si voleva fermare. Billie Joe Armstrong stringeva sua moglie senza mai accennare a lasciala, la prendeva con tanta forza da farle quasi male, quasi fosse stato preda dell’idea che, se solo avesse allentato di poco la presa, avrebbe potuto vederla e sentirla svanire da sotto di sé da un momento all’altro, e lui si sarebbe ritrovato a stringere le mani attorno al vuoto, e tutto quel calore umano sarebbe sparito lasciandolo solo tra le lenzuola che si raffreddavano.
Non voleva che accadesse, non voleva che si rivelasse tutto un sogno alla fine del quale si sarebbe ritrovato nuovamente solo e rifiutato proprio come era successo con Gloria soltanto un giorno prima. No, non la voleva, la solitudine. Voleva averlo tutto per sé, quel corpo che si muoveva sotto di lui assecondandolo nei movimenti, voleva tenerla stretta a sé, quella pelle sudata, tenerla a stretto contatto con la sua. Voleva sentire quelle dita aggrapparsi forte ai suoi capelli e quel respiro infrangersi contro il suo collo, quei denti spingersi contro la pelle della sua spalla. Voleva prendersi tutto quanto,voleva che le sue mani sentissero la concretezza, la consistenza di quella carne che aveva sotto di sé. Voleva riprendersi tutto, perché tutto quello che aveva stretto contro di sé era già suo, e non avrebbe permesso a niente e nessuno di farselo portare via.
Aveva ancora tanta rabbia repressa dentro di sé, e fare sesso con sua moglie in quella maniera quasi selvaggia era un modo per sentirsi un po’ meno perso, perché la verità è che lui, dopo quel rifiuto, aveva perso ben poco: aveva ancora i suoi amici, la sua carriera, i suoi fan, che lo avrebbero apprezzato e sostenuto, la sua famiglia. E aveva ancora Adrienne, soprattutto. Nessun cardine della sua esistenza era stato minacciato nella sua stabilità dal rifiuto di quella ragazzina. Probabilmente, anzi, tutto ciò aveva sortito l’effetto contrario: aveva rafforzato quei legami, aveva evitato che cedessero, che fossero a rischio. L’aveva detto anche lei:  non sarebbe stato possibile vivere una storia senza minare alla sua carriera e alla sua immagine pubblica, e meno che mai alla sua unità familiare e a quella con i suoi amici. Aveva ancora tutto sotto controllo. Aveva ancora tutto quanto tra le mani, poteva ricominciare da lì dove l’aveva lasciato sua moglie prima di partire o, ancora meglio, poteva ricominciare da dove si era dovuto fermare a causa dell’incidente di Frank. Poteva ignorare quell’amaro che gli era rimasto in bocca. Poteva veramente dimenticare quella ragazzina. Sotto la sua pelle, in profondità, dentro al petto, e anche fuori, contro la sua pelle, nelle sue mani, aveva veramente tutto ciò di cui aveva bisogno.
 
[Continua]
 
 
Eccoci qui. Questa volta ci ho messo un po’ meno ad aggiornare, rispetto all’ultima volta. Tuttavia, per la primissima volta da quando ho iniziato a scrivere questa storia, pubblico un capitolo senza avere pronta nemmeno una bozza di quello successivo, per cui non so davvero quanto potrebbe volerci prima di tornare ad aggiornare... forse dovrei approfittare di quest’ultimo mesetto di ferie prima che ricominci l’università, anche perché il prossimo capitolo sarà veramente molto importante, è il capitolo a partire dal quale si entra veramente nel fulcro della storia. Come sempre spero che ci sia ancora qualcuno disposto a seguire questa storia nonostante la mia lentezza nel portarla avanti e soprattutto a farmi sapere le proprie idee e impressioni a riguardo.
NB. Ho cambiato il Raiting da giallo ad arancione, e se avete letto per intero questo capitolo avrete sicuramente capito il perché. Ad ogni modo, credo che il Raiting si manterrà arancione fino alla fine di questa storia, non sarà necessario farlo diventare rosso.
Credo sia tutto.
Alla prossima! ;)
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Green Day / Vai alla pagina dell'autore: ShopaHolic