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Autore: DoyouknowDumbledore    28/08/2013    1 recensioni
I 74esimi Hunger Games, dal punto di vista di una ragazza del distretto 4, Willow.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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L’intero distretto 4 è in silenzio. Come ogni anno. Lo stesso giorno. Non è un caso.
L’intera nazione di Panem è in silenzio in questo momento.
Il vento mi scompiglia i capelli, mentre fisso l’orizzonte. Il mare e il cielo si confondono fino a diventare un’unica cosa. Il silenzio è interrotto solo da qualche gabbiano che vola tranquillo, in cerca di cibo.
-Almeno loro non devono preoccuparsi della mietitura- dice una voce alle mie spalle.
Riconosco quella voce all’istante. -No, i loro figli possono ritenersi fortunati- dico ridendo. Alex, il mio migliore amico sin dall’alba dei tempi, si siede accanto a me sulla sabbia.
-Quante volte… -non riesco a continuare la frase. Ma Alex sa cosa intendo. Gli faccio la stessa domanda ogni anno… è come una specie di rito. Veniamo sulla spiaggia e osserviamo l’orizzonte. Ne ammiriamo l’immensità.
Perché ogni volta potrebbe essere l’ultima.
-Abbastanza per poter essere sorteggiato…- dice. Doveva aver notato la mia espressione, perché subito dopo aggiunse –come l’anno scorso, del resto. Ma sono ancora qui.
-Ma ogni anno le tessere aumentano…- dico, stringendomi le ginocchia al petto. Non voglio pensarci. Non voglio perdere Alex, e non lo perderò. “Non sarà estratto il suo nome. Mai” continuo a ripetermi, per convincermi di quello che penso.
-Willow. Non saremo estratti mai -dice abbracciandomi-  Pensa a tutte le volte che abbiamo rischiato di finire a combattere negli Hunger Games. E invece siamo ancora qui. Non saranno estratti i nostri nomi. Te lo prometto. –dice, stringendomi più forte. Ma entrambi sappiamo che non abbiamo nessuna certezza di quello che stiamo affermando. Cerco di soffocare un singhiozzo. Ormai ci riesco piuttosto bene. Ma Alex mi conosce… sa cose su di me che non so neanche io.
-Guardala dal lato positivo…- dice in tono aspro e sarcastico allo stesso tempo –Nell’arena sarebbe difficile trovarti per come sei silenziosa.
-Tu invece non sei altrettanto silenzioso… ma le tue trappole ucciderebbero chiunque. Non avresti problemi a procurarti del cibo e allo stesso tempo eliminare i tributi che ti stanno alle costole.
-Si, le mie trappole non sono niente male –afferma lui con finta modestia, e poi scoppiamo a ridere. Ma la risata si spegne presto. Il sole è alto nel cielo, e ci ricorda che abbiamo un appuntamento al quale non possiamo dire di no. Anche se vorremmo tanto.
-…è ora. –dico in tono grave. Alex si limita ad annuire e mi aiuta ad alzarmi. Ci puliamo i vestiti dalla sabbia e torniamo alle nostre case.
Mia madre mi aspetta, con un vestito bianco. Candido come la neve. Come la purezza di tutti i bambini e le bambine che ogni anno sono costretti ad assistere alla morte vista come un gioco, un divertimento.
D’un tratto, vestita di tutto punto, odio il vestito. Odio il modo perfetto in cui mia madre ha acconciato i miei capelli neri, mettendo in risalto gli occhi dello stesso colore del cielo che stavo guardando con Alex. Odio perfino Alex, perché se non fossimo diventati amici, io non starei qui, in piedi a soffrire nella piazza del Distretto, ad aspettare di sapere se andrò incontro alla morte o meno.
Perché non m’importa se sarà pescato il mio nome. Voglio solo sapere il mio migliore amico  al sicuro.
Siamo tutti ad aspettare di sapere i nomi dei tributi di quest’anno.
Le finestre di due famiglie si chiuderanno per tutta la giornata.
Near, l’accompagnatore del distretto, in un completo blu a dir poco ridicolo con tutti quelli strass, sale sul palco con l’aria più annoiata che io abbia mai visto. Annuncia la visione del video che parla dei giorni bui, della distruzione del 13, seguito dal discorso di Snow e da quello del sindaco del distretto. A video finito nessuno applaude. Siamo tutti troppo tesi. Vedendo che la sua “allegria contenuta a stento” non è condivisa, Near infila la mano nella boccia che contiene i nomi delle ragazze e senza tante cerimonie annuncia:
-Elizabeth Wright.
Una ragazza esile e dai capelli dello stesso colore del grano sale sul palco, scortata da due pacificatori. Near infila la mano nella boccia che contiene i nomi dei ragazzi. Istintivamente, stringo tra le dita un lembo del mio vestito con tanta forza che le nocche diventano bianche e le unghie si conficcano nel palmo della mia mano.
-Alexander Sparks.
il mondo mi crolla addosso. Penso di aver sentito male. Spero di aver sentito male. Forse è solo la paranoia, che gioca brutti scherzi.
Ma tutte le piccole speranze fabbricate dalla mia mente sconvolta vengono distrutte quando un ragazzo alto, robusto e dai capelli neri come la pece viene scortato sul palco da due pacificatori.
Al…
I suoi occhi verdi fissi nei miei. Tristi, ma che tentano ancora di rassicurarmi, di dirmi che andrà tutto bene. Anche se entrambi sappiamo che non è così.
I tributi sono stati scelti. Il loro destino è nelle loro mani.
La piazza viene sgombrata all’istante, e i tributi scortati nel Palazzo di Giustizia. Senza aspettare mia madre, corro in direzione di Alex. Voglio essere la prima a parlare con lui. Sarei comunque l’unica. I suoi genitori sono morti da qualche anno.
I pacificatori mi portano da Alex. È in piedi e cammina avanti e indietro per la stanza. Sapeva che l’avrei raggiunto.
-Al! –gli corro incontro, fiondandomi tra le sue braccia –Non ci avrebbero mai sorteggiato, eh? – tento di sdrammatizzare, ma non ci riesco.
-Ti ho mentito… scusa… - la voce spezzata da una lacrima cacciata indietro.
-Sapevamo entrambi di non avere la certezza di tornare salvi a casa dopo la mietitura.
Restiamo abbracciati per tutto il tempo possibile, senza dirci una parola. Non serve parlare quando le lacrime lo fanno per noi.
Un pacificatore mi intima di uscire. Per Alex è ora di partire.
-Willow… -mi chiama Alex. Mi volto per guardarlo. Nella mano che mi sta tendendo c’è  una conchiglia bucata a mano e appesa ad un filo. –Tienila. Un ricordo per quando sarò nell’arena. Non si sa mai…
-Grazie…- dico. Prendo la collana tra le mani. La guardo come se fosse un oggetto alieno… Quella è la conchiglia che regalai ad Alex pochi giorni dopo la nostra gita in barca. Avevamo sei anni… Mi tornano alla mente flash sconnessi di quella giornata. Alex che cade in acqua, io che rido rischiando di cadere a mia volta. La barca ribaltata, i sorrisi…
-Sappi che nell’arena non sarai solo, Al. Io sarò sempre con te anche se non mi vedi. –gli dico. Un ultimo abbraccio. Quello potrebbe essere il nostro ultimo abbraccio. Cerco di non pensarci mentre vengo scortata fuori da un pacificatore.
Torno sulla spiaggia dove, fino a poche ore prima, pensavo di poter vivere affianco al mio migliore amico.
Adesso invece, non so neanche se riuscirò a vedere un altro tramonto. Non so se riuscirò a sopportare l’agonia che, ne sono certa, s’impadronirà di me.
-Sii forte- mi dico ad un tratto –Non per te, ma per Al.

Sii forte. Sii forte.

Non faccio altro che ripetermelo da una settimana intera. Alex è vivo. Ma potrebbe morire da un momento all’altro. Gli Hunger Games sono mandati in diretta ogni giorno su schermi giganti, montati apposta per l’occasione, e assistere ogni volta alla diretta è obbligatorio.
Ogni volta, in piazza, faccio finta di guardare. Ma la verità è che non ci riesco. Ho paura che il mio migliore amico possa morire sotto i miei occhi. Sotto gli occhi dell’intera nazione. E non voglio vedere il suo sangue mescolarsi al terreno.
Elizabeth, il tributo dodicenne del nostro distretto, è morta ieri.
Era silenziosa e agile. Sembrava volare tra gli alberi, come un uccello. Ma il silenzio e l’agilità non aiutano molto quando sei affamata e disidratata.
La povera Elizabeth si era imbattuta in un cespuglio di bacche velenose. Noi le chiamo “morsi della notte”. Dopo averle masticate, sei morto nel giro di trenta secondi.
Vedemmo l’hovercraft (un aereo grande quanto un enorme dirigibile) sorvolare il punto dove la bambina era morta, e un braccio metallico che sollevava il suo corpo senza vita, facendolo scomparire all’interno del veicolo.
Qualche ora fa invece, era morto il tributo maschile del distretto 7. Ucciso da una freccia argentata che apparteneva al tributo femminile del 3.
Lo sapevo perché, il primo giorno degli Hunger Games, avevo osservato ogni tributo.
Gli Hunger Games iniziano con una corsa sfrenata. I ventiquattro tributi sono in piedi su delle piattaforme circolari, posizionate in modo da formare un semicerchio davanti ad una struttura che somiglia ad una cornucopia.
Attorno alle piattaforme sono disposte delle mine antiuomo.
L’ingresso della struttura è pieno di armi di ogni tipo, zaini e provviste.
Al via, dato dal presidente, le mine si disattivano e i tributi corrono per prendere l’arma migliore e scampare la morte. Altri prendono uno degli zaini e si rifugiano nei boschi.
Ma in realtà la cornucopia è solo una delle mille trappole dell’arena.
Il primo giorno, muore almeno la metà dei tributi. Tutti davanti alla cornucopia.
Tornai in me… la freccia che apparteneva alla ragazza mi fece ricordare che Alex era scappato via con uno di quegli zaini. Era disarmato.
La diretta s’interruppe e i cittadini tornarono ai loro lavori. In attesa della diretta della sera.

Poche ore dopo, siamo tutti in piazza, in attesa che lo schermo s’illumini.
Tengo stretta al petto la conchiglia che mi ha dato Al, l’ultima volta che lo vidi. Così lontani, eppure così vicini.
Lo schermo s’illumina. Alex è in primo piano. Scappa da qualcosa che io non posso vedere perché la telecamera inquadra il volto del mio amico. È terrorizzato, e dal sopracciglio destro sgorga un rivolino di sangue. La sua pelle è imperlata di sudore e sporca di terra. Finalmente la telecamera si allontana da volto di Alex, e capisco perché scappa. La freccia mi basta a capire che si tratta della ragazza del distretto 3.
Alex commette l’errore di girarsi indietro, e inciampa. La ragazza coglie l’occasione al volo e scocca la freccia.
Avrei voluto chiudere gli occhi, ma non ci ero riuscita. Avevo visto la freccia colpire il mio amico. Dritta al cuore.
Tutto il distretto è in silenzio. Quasi come se ci fossimo letti nel pensiero, portiamo le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra, e le alziamo verso lo schermo dove vediamo Alex che giace immobile nel prato.
È un gesto usato spesso nel distretto 12, un gesto che qui si vede di rado e si usa qualche volta ai funerali.
Significa grazie. Significa ammirazione. Significa dire addio a una persona a cui vuoi bene.
Alex non aveva famiglia. I suoi genitori non avrebbero sofferto per la sua morte. Anzi, adesso si sarebbero rincontrati.
Ma io ero sua amica. Non ero morta. E provavo emozioni. Me ne infischiai dell’obbligo di assistere alla diretta. Il mio amico era morto e io non riuscivo a starmene lì come se nulla fosse. Corsi alla spiaggia, dove sfogai il mio dolore tenendo stretta al petto la conchiglia e pregando che Al, il mio migliore amico, il fratello che non ho mai avuto, tornasse indietro.

Ogni giorno continuai a tornare in spiaggia, alla stessa ora, come se da un momento all’altro avrei potuto vedere il mio amico a pesca, sulla stessa barca di quando eravamo bambini, che preso da un attacco di ridarella perde l’equilibrio e cade in acqua
.

  
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