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Autore: Bethan__    29/08/2013    2 recensioni
“Beh, è stata colpa tua. Brittany, credo che tu debba andartene”, la voce calma del padre di Isaac le arrivò alle orecchie come ovattata.
Non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il viso del suo migliore amico.
“Io credo di dover restare”, rispose sollevando il viso per guardare quell’uomo negli occhi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Unsound


«She sits quietly there, black water in a jar. 
Says, baby, why are you trembling like you are?
So I wait, and I try, I confess like a child.»


 

Brittany non riuscì a non imprecare quando affondò il suo stivale nel pieno di una pozzanghera che, tra parentesi, si era formata a causa della violenta pioggia iniziata cinque minuti dopo che lei era uscita di casa.
Senza ombrello.
Sbuffò e cercò di ignorare il fatto che probabilmente le sarebbe venuta la polmonite o qualcosa del genere: c’era un vento pazzesco.
Continuò a camminare con passo deciso, ignorando gli sguardi divertiti e occasionalmente impietositi di qualche passante.
Accidenti, dove diavolo era andato a finire?
Erano due giorni interi che provava a chiamarlo, gli aveva mandato almeno quindici messaggi ma non aveva ricevuto nessuna risposta e la segreteria telefonica aveva seriamente rischiato di farla impazzire.
Quindi si era decisa ad andare a prenderlo a calci nel culo direttamente a casa sua, senza farsi troppi problemi.
I coglioni le giravano precisamente a mille e l’essere fradicia contribuiva di certo a renderla più incazzata che mai.
Finalmente riuscì ad arrivare davanti a quella maledetta porta, contro la quale il suo pugno si scontrò più volte.
Nessuna risposta.
Sbuffò nuovamente, cercando di restare calma.
Aspettò qualche secondo prima di sollevare di nuovo la mano per bussare, ma il rumore di qualcosa di vetro che si rompeva in modo piuttosto violento la fece sobbalzare.
Subito dopo si accorse delle urla, urla violente e accusatorie che non ricevevano risposta.
Strinse i denti, improvvisamente tutti i suoi sensi erano all’erta.
Non riuscì a trattenersi: con una sola spallata riuscì ad aprire la porta ed una minuscola parte del suo cervello riuscì a ritagliarsi pochi secondi per ringraziare il suo insegnante di arti marziali.
Gliel’aveva detto che imparare a fare una cosa del genere prima o poi le sarebbe tornato utile.
“Isaac!”, urlò appena entrata di corsa nella piccola cucina della casa.
Lui si stava alzando, probabilmente si era accasciato contro il muro, e aveva un brutto taglio sulla guancia destra.
Suo padre gli stava davanti, lo sguardo furioso e le mani strette a pugno.
“Avresti potuto accecarmi”, mormorò il ragazzo tra i denti.
Poi, con mano tremante, estrasse un pezzo di vetro dalla piccola ferita che il padre gli aveva procurato.
Brittany si spaventò davanti a quello sguardo carico di dolore e risentimento.
“Beh, è stata colpa tua. Brittany, credo che tu debba andartene”, la voce calma del padre di Isaac le arrivò alle orecchie come ovattata.
Non riusciva a concentrarsi su niente che non fosse il viso del suo migliore amico.
“Io credo di dover restare”, rispose sollevando il viso per guardare quell’uomo negli occhi.
Era scioccata: aveva davvero lanciato un vaso contro suo figlio?
Il respiro di Isaac era accelerato, lo sguardo ancora puntato sul viso del padre che, intanto, si era seduto nuovamente a tavola come se niente fosse successo.
Brittany inspirò profondamente e prese per mano il ragazzo, nella speranza di calmarlo.
“Andiamo”, mormorò uscendo dalla cucina e dirigendosi verso le scale.
La cosa migliore sarebbe stata andar via da quella casa e fargli passare la notte da lei ma pioveva ancora e non era sicura della reazione che il signor Lahey avrebbe potuto avere se avesse provato a trascinare Isaac fuori di lì.
Lo accompagnò nella sua stanza e chiuse la porta.
Lui si sedette per terra, le mani tra i capelli, i gomiti appoggiati sulle ginocchia delle gambe leggermente divaricate.
Chissà quanta paura aveva avuto.
Lo conosceva abbastanza da sapere che era un ragazzo fragile, timido, sempre troppo scontento di sè stesso e gli era sempre mancata una figura femminile alla quale affidarsi, qualcuno che potesse guidarlo senza ricorrere alla violenza.
Chissà sua madre che fine aveva fatto, non lo sapeva nessuno.
Sospirò inginocchiandoglisi di fronte e prendendogli con dolcezza i polsi, in modo che scoprisse il viso.
Lui si voltò, senza guardarla.
“Fammi vedere quel taglio”, ordinò la ragazza, contrariata.
“Non è niente.”
“Girati.”
“Ti assicuro che…”.
Brittany sbuffò e gli afferò il mento, costringendolo a guardarla.
Lo lasciò andare immediatamente e socchiuse gli occhi, sconcertata.
Lo aveva visto sanguinare, impossibile che si fosse sbagliata.
“Ma che diavolo…?”, mormorò sfiorandogli la guancia.
Lui accennò un sorriso che però si spense ancora prima di arrivare agli occhi.
“Te l’avevo detto.”
Brittany si sedette ed incrociò le gambe con lentezza.
Non c’era niente, nemmeno il più minuscolo graffio.
Beh, quello era decisamente il problema minore in ogni caso: la ragazza aveva ben altro di cui preoccuparsi in quel momento.
Si schiarì la voce, un po’ a disagio.
“Ti va di dirmi cos’è successo?”.
“Ho preso un’insufficienza in chimica.”
“Intendevo con tuo padre.”
Lui rimase in silenzio, limitandosi a fissarla.
Brittany spalancò la bocca.
“Ma è impossibile!”.
“Evidentemente mica tanto.”
La ragazza si rifiutava di credere che tutto fosse stato causato da una stupidaggine simile.
“E’ fuori di testa, non posso crederci. Dimmi che è la prima volta che ti fa qualcosa.”
Isaac annuì con lentezza, lo sguardo tenuto accuratamente basso.
Il bellissimo azzurro dei suoi occhi si era spento, era diventato come opaco.
Anche la sua espressione era vuota.
Brittany restò in silenzio, sentendo crescere l’irritazione.
Allo stesso tempo, gli occhi le iniziarono a gonfiarsi di lacrime.
Isaac sollevò lo sguardo e subito la sua espressione mutò: era mortificato.
Non avrebbe mai voluto che la sua migliore amica assistesse ad una scenata del genere e non avrebbe voluto che venisse a conoscenza di quei continui episodi di violenza gratuita.
Perché, inutile prendersi in giro, l’aveva capito.
Accidenti.
“Perché non me l’hai detto? Come hai potuto non dirmelo?”, boccheggiò la ragazza.
“Fare finta di niente è più facile, Britt. Non volevo che ti caricassi il peso di questa storia.”
Peso? Non ho parole! Sei il mio migliore amico, testa di cazzo!”.
Isaac si lasciò scappare un sorriso sinceramente divertito.
“Lo so, non saresti così gentile con me altrimenti”, fu il suo sarcastico commento.
Ma Brittany non aveva la minima voglia di scherzare.
Respirò profondamente, rabbrividento appena: era ancora bagnata dalla testa ai piedi e sgocciolava sulla moquette della camera del ragazzo.
“Voglio sapere tutto, ogni cosa, non tralasciare niente. E comunque, perché non mi rispondi da due fottuti giorni?”.
Isaac corrugò la fronte.
“Ha lui il mio telefono. Senti, non ti andrebbe di asciugarti?”.
Brittany annuì con riluttanza, facendo per alzarsi e cercare un asciugamano.
Lui la fermò con un gesto del braccio e un mezzo sorriso.
Niente a che vedere con i sorrisi che di solito gli illuminavano il viso e facevano sembrare il colore dei suoi occhi più acceso e brillante.
Uscì dalla stanza per recarsi nel bagno in fondo al corridoio e tornare poco dopo con un asciugamano marrone tra le mani.
Lo passò a Brittany e poi spalancò l’armadio, tirando fuori  uno dei suoi maglioni e un paio di pantaloni da ginnastica per poi appoggiarli sul letto.
La ragazza si tamponò nervosamente viso e capelli con l’asciugamano per poi alzarsi in piedi e lanciare uno sguardo eloquente all’amico.
Isaac sollevò entrambe le mani e si girò verso la porta, aspettando che Brittany finisse di cambiarsi.
Fece in fretta e, come sempre, la trovò adorabile con addosso i suoi vestiti: le stavano più grandi di almeno tre taglie.
“Grazie, stavo congelando”, disse la ragazza ripiegando la sua felpa e i jeans sbiaditi.
Isaac si sedette sul letto, la schiena appoggiata al muro, le gambe piegate e leggermente aperte.
“Ho freddo anch’io”, mormorò innocentemente.
Lei sorrise, scuotendo la testa.
Si sfilò le scarpe, salì a sua volta sul letto e si posizionò in mezzo alle gambe del ragazzo ma senza ancora sedersi.
Era in ginocchio e le bastò un ultimo sguardo al viso di Isaac per decidere di soffocarlo in un abbraccio.
In realtà più che altro era lui a soffocare lei visto che la ragazza praticamente scompariva tra quelle braccia enormi, ma non era davvero una cosa rilevante.
Si strinsero per qualche secondo nel più completo silenzio, finchè Brittany decise di spezzarlo.
“Ti voglio bene e per qualunque cosa, ad ogni ora, ci sarò sempre per te. Non m’importa in che modo ma chiamami, okay? Qualunque cosa succeda. Devi chiamarmi, Isaac. Giuramelo.”
Non si era nemmeno accorta di aver iniziato a piangere.
Isaac si scostò per guardarla, la fronte nuovamente aggrottata.
“Britt, non…”.
“Non dirmi di non piangere! Anche io preferirei evitarlo ma mi sono spaventata, va bene? Ti ha tirato contro un cazzo di vaso per un’insufficienza e non è normale, te ne rendi conto? Per di più ti ostini a tenermi nascoste delle cose che sto scoprendo nel peggiore dei modi!”, sbottò lei, asciugandosi freneticamente le guance.
“Sono cose che ti farebbero soltanto star male.”
“E chi se ne frega! Stai male tu ed è questo ciò che più mi interessa, non capisci? Il solo pensiero che quell’uomo ti abbia fatto e continui a farti qualcosa… non lo reggo, Isaac, non posso sopportarlo. E scusami per questa scenata ma lo sai che quando sono incazzata parlo troppo, ecco.”
Il ragazzo le accarezzò una guancia, asciugando un’altra lacrima che Brittany si lasciò sfuggire.
Gli occhi le si erano già arrossati.
“Ti dirò tutto, va bene? Sempre. Niente più segreti, promesso. Però non piangere o inizierò a farlo anch’io e sembrerò ancora più patetico di quello che già sono”, mormorò dolcemente nella speranza di strapparle un sorriso.
“Sta’ zitto, idiota. Non hai proprio idea di che persona meravigliosa sei, accidenti, non ti sopporto”, fu l’acida risposta che invece ricevette.
Isaac sospirò, attirandola a sé per un altro abbraccio.
Più volte si sentiva solo, abbattuto, un completo fallimento.
Stavano per cambiare molte cose, lo sapeva, ma quello che provava per Brittany non sarebbe mai cambiato.
Lei c’era stata, c’era stata sempre e continuava a promettergli che ci sarebbe sempre stata.
Quando suo padre lo rinchiudeva in quel maledetto freezer, pensava a lei nella speranza di calmarsi e convincersi che non sarebbe morto lì dentro.
Il pensiero di Brittany lo faceva respirare.
La ragazza si sedette, appoggiando la schiena sul petto del suo migliore amico e lasciandosi avvolgere dalle sue braccia.
Aveva smesso di piangere ma si sentiva profondamente turbata.
“Ti voglio bene anch’io, comunque”, mormorò lui baciandole con dolcezza una spalla.
“Non hai giurato di chiamarmi, Isaac.”
Il ragazzo annuì.
“Troverò un modo per chiamarti, lo giuro. E se non ci riuscissi, verrò da te ogni volta che ne avrò bisogno.”
Lei sospirò, soddisfatta, e strinse le ginocchia al petto.
“Anche tu devi giurarmelo, però.”
“Io non mi trovo nella tua stessa sit…”.
“Brittany”, la ammonì il ragazzo.
“Bene, okay. Ti chiamerò quando ne avrò bisogno, ma tu fatti trovare. Non sparirai, vero?”.
“Dove diavolo vuoi che vada?”.
“Il più lontano possibile da questa casa, in realtà.”
Isaac accennò un sorriso, stringendola più forte.
“Posso anche restare in questa casa finchè saprò che sei a dieci isolati da me. Mal che vada diventerò un martire.”
Brittany gli assestò una gomitata scherzosa.
“Accidenti, hai iniziato a lavorare sugli addominali?”, domandò sorpresa massaggiandosi il gomito: probabilmente si sarebbe procurata un livido.
Lui scrollò le spalle ma subito si irrigidì.
Lo aveva appena promesso, niente più segreti.
Però, per confessare certe cose gli ci sarebbe voluto decisamente più tempo ed era sicuro che lei avrebbe capito.
“Sicura di voler sapere tutto?”, le domandò.
Lei cercò la sua mano e nessuno dei due esitò ad intrecciare le proprie dita con quelle dell’altro.
Brittany inspirò profondamente e appoggiò la testa all’indietro, nell’incavo tra la spalla e il collo di Isaac.
 
“Vai.”


 

  
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