Serie TV > Queer as Folk
Ricorda la storia  |      
Autore: slanif    29/08/2013    3 recensioni
Brian/Justin
Una Fan Fiction abbastanza dolciosa su Queer As Folk. E' la mia personale visione dell'ultima Puntata della 4a Stagione che si è conclusa (a parer mio) in maniera davvero discutibile!
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Proposta
di slanif

**

Ma che cacchio significa “Non voglio questo. Né per me né per te”. Cazzo! Dovrei essere io a decidere della mia vita e non lui a decidere per me! Che cos'è? La mia balia, forse? Da quando in qua si diverte a fare la mamma? In fondo, non mi pare di avergli detto niente di sbagliato... gli ho solo detto che non volevo che si sentisse obbligato a chiedermi di andare a vivere con lui! Cosa avrò mai detto di male? E poi che cacchio c'entrava quella frase? Quando glielo chiesto per poco non mi disintegra.
“Come ‘cosa cazzo significa’? Non voglio di certo vivere con una persona che si sente obbligata a stare con me!” mi ha risposto.
Ma io dico: io mi sento obbligato a vivere con lui? Io lo amo, amo Brian più di ogni cosa!! Che cazzo significa che mi sento obbligato? Ma fatemi il piacere! Ero così maledettamente felice quando me lo ha chiesto che ho pensato di accettare subito, ma so che Brian può avermi chiesto di convivere per un miliardo di motivi... non mi ha mai detto chiaramente di amarmi e io volevo la certezza che lo facesse per quello, e non per chissà quale motivo! Volevo che il suo desiderio di convivere con me derivasse dall'amore. Ho provato a spiegarglielo ma lui, come al solito, ha fatto orecchie da mercante facendo finta di non sentirmi!! Che cazzo di ragionamento! Lo detesto quando fa in quel modo!
“Non mi sento affatto obbligato, IO! Voglio sapere se ti senti obbligato TU!” gli ho detto in risposta.
“Perché cazzo dovrei sentirmi obbligato, sentiamo!” mi ha risposto assumendo quell’aria di saccente superiorità che mi da seriamente ai nervi.
“Non lo so perché! Ma non puoi dirmi di fidarmi! Tutte le volte che stavo qui da te tu trovavi sempre un pretesto per litigare e cacciarmi via!” ho gridato.
In fondo, non aveva tutti i torti ad arrabbiarsi. Non era mai stato lui a invitarmi. Mi ero sempre auto invitato e stabilito a casa sua. Ma non lo facevo per essergli di intralcio. Lo facevo perché lo amo e perché volevo stare con lui. Vicino a lui. Cercare di condividere ogni momento della giornata e cercare di capire cosa si cela dietro quella corazza di freddezza che si portava sempre dietro. Col tempo ho capito che quella corazza è solo una maschera per non essere ferito dai sentimenti altrui, ma soprattutto dai suoi stessi sentimenti e a mano a mano che scoprivo questo mi innamoravo sempre di più di lui. Solo che lui non mi amava (e non mi ama). O forse mi amava (o mi ama) ma la sua corazza è talmente tanto radicata in lui che non riesce più a sfuggirgli.
Quando arrivai a questa conclusione cominciai a capire molte più cose e ad interpretare ogni suo gesto… cercavo di soppesare le parole cercando la verità e scansando la menzogna e cercavo di interpretare i suoi gesti. Capii anche che i suoi gesti d’affetto, così rari e fugaci, erano qualcosa di prezioso che avrei dovuto tenermi saldo se non volevo sprofondare nella sua rete. Perché i sentimenti di Brian sono come una tela di ragno. Meravigliosi nella loro forma ma intoccabili perché altrimenti non riesci più a liberartene. E io desideravo non liberarmene ma anche Brian desiderava tenerseli saldi addosso. Le ho provate tutte, per farlo scoprire, ma niente è servito. Le miei provocazioni portavano o a litigi violenti o a notti di sesso senza il minimo affetto… non volevo questo. E non lo voglio adesso. Per questo mi sto opponendo alla sua idea. Sono stanco di soffrire. Se deve vivere con me lo deve fare per amore.
“E di chi era la colpa, secondo te?” mi ha chiesto alzando anche lui la voce.
“Di certo non mia!” ho ribadito “Sei tu ad avere l’esaurimento nervoso!”.
“Io ho cosa? Sei pazzo, per caso?” ha chiesto indignato facendo una smorfia con le labbra sottili.
“Se c’è un pazzo tra di noi quello sei tu!” ho ribadito.
“Che cazzo significa?” ha chiesto nervoso abbassando il tono della voce a un sibilo.
“Prima mi tratti come una pezza da piedi per quattro anni! No, dico, quattro!! E poi mi chiedi di convivere? Non mi hai mai dimostrato affetto, se permetti ho tutto il diritto di avere dei seri dubbi sulla tua sincerità in proposito!” gli ho spiegato.
“Guarda che nessuno ti ha obbligato a starmi intorno, in questi quattro anni” ha ribattuto con acido.
L’ho fissato in silenzio, senza parlare. Soppesando per l’ennesima volta le parole. Sono rimasto a fissarlo negli occhi per cercare di capire se si era pentito di quello che mi aveva detto. L’ho fissato con attenzione.
No, non se ne era pentito.
“Allora se nessuno me lo ha chiesto tu adesso perché mi chiedi di convivere?” ho risposto con la voce che mi tremava e le lacrime che premevano prepotenti contro le palpebre con l’intenzione di uscire e sgorgare sulle mie guance dando la soddisfazione a quel grandissimo stronzo di vedere quanto poteva ancora ferirmi “Non ti do forse fastidio?” ho continuato “Non sono petulante e fastidioso? Non sono un impiccio? Un bastone tra le ruote?” mi sono fermato un attimo sapendo che quello che stavo per dire avrebbe segnato la fine di tutto “Se sono tutto questo allora perché mi chiedi di convivere? Se sono così irritante e fastidioso allora perché mi chiedi di convivere? Se ti do così fastidio perché me lo hai chiesto?”.
Lui però non ha risposto continuando a fissarmi con gli occhi sgranati mentre i miei si riempivano e lasciavano fuoriuscire quelle lacrime che tanto non avrei voluto versare.
“Cosa cazzo me lo hai chiesto a fare se non mi ami?” ho chiesto infine, trovando la forza di dire a voce alta una verità che avevo sempre saputo ma che era rimasta sigillata nella mia mente e nel mio cuore per quattro anni perché la paura di una sua risposta affermativa mi avrebbe fatto mille volte più male di qualsiasi cose orribile a questo mondo.
Avevo paura di quella risposta che però non è mai arrivata perché lui ha continuato a guardarmi in silenzio con gli occhi sgranati senza emettere una sillaba. Ho chiuso gli occhi per l’ennesima volta cercando di frenare le lacrime che però non volevano darmi retta e mi sono voltato, afferrando il mio giaccone posto su una delle sedie bianche del salotto e mi sono avviato deciso verso la porta. Non volevo sentire niente perché il suo mutismo aveva parlato per lui. Com’è che si dice…? Chi tace acconsente, no? E lui aveva taciuto. Mi aveva invitato a vivere insieme per liberarsi la coscienza da tutto il male che mi aveva fatto pensando che con questo gesto potesse rimediare senza sapere che mi avrebbe causato un dolore ancora maggiore di quello. In fondo, la mia storia con Brian si riduceva a questo, no? A un continuo tira e mola di sentimenti che mai avrebbero trovato un punto di unione. Lo sapevo. L’ho sempre saputo. Eppure ho continuato a sperare, come uno sciocco. Sognavo di poter vivere con lui un amore totale, completo, appagante, un amore ricambiato e da sogno. Un sogno appunto. Che non sarebbe mai divenuto realtà.
Quando sono uscito da quella porta sono inevitabilmente uscito dalla sua vita, con la chiara intenzione di non farci più ritorno. Non potrei sopportare altro dolore. Né ho ricevuto fin troppo e davvero non era il caso di continuare quell’assurda relazione, se così si può chiamare… volevo chiudere i ponti con lui, ma sapevo che era difficile. Cazzo, è stramaledettamente difficile… come faccio a dimenticarlo quando tutta la mia vita, negli ultimi quattro anni, ha ruotato intorno a lui?
Ho bisogno di sfogarmi e di conforto… ho bisogno di una mano amica da stringere… ho bisogno della cara, vecchia Daphne. So che in lei troverò qualcuno che mi capisce. Solo con lei posso parlarne perché solo lei ha capito chi sono veramente e cosa provo veramente per Brian. Solo lei può capirmi.
Mi precipito in strada prendendo un taxi e in meno di dieci minuti sono davanti casa sua. Citofono e spero davvero che sia in casa. Sento qualcuno che alza la cornetta e chiede chi è.
“Sono Justin” rispondo.
“Oh, Justin!” dice la voce che riconosco essere quella della madre di Daphne “Stavi cercando Daphne?” mi chiede.
“Sì, è in casa?” chiedo svelto, facendo chiaramente intuire al mio interlocutore la mia fretta.
“Sì, certo, è in camera sua…” fa un attimo di pausa “Aspetta che ti apro…” e sento la signora premere il pulsante e immediatamente anche il bip dell’apertura del cancello si fa sentire. Lo apro svelto e mi precipito dentro quasi correndo. Salgo velocemente i tre scalini che mi separano dal portico in cui c’è la porta di ingresso e trovo proprio su quest’utlima la madre di Daphne ad aspettarmi.
“Buona sera, signora… scusi se prima sono stato sgarbato ma ho un urgentissimo bisogno di parlare con sua figlia” la saluto.
“Figurati, caro. Prego, entra… come ti ho già detto Daphne è in camera sua. Sali, gli ho già detto che sei arrivato. Ti sta aspettando” mi comunica indicandomi con un dito le scale.
“La ringrazio, signora!” dico e imbocco le scale con un passo piuttosto svelto quando vengo fermato ancora dalla voce della madre di Daphne: “Gradisci qualcosa, Justin?”.
“No, grazie signora” rispondo educatamente e con un sorriso forzato (perché davvero non me la sento di sorridere) e salgo velocemente gli scalini a due a due. Arrivo quindi in un batter d’occhio in camera di Daphne e apro la porta senza tante cerimonie. La mia amica è seduta sul letto, con le gambe leggermente piegate verso il petto e con un libro su quest’ultime. Probabilmente stava leggendo qualche romanzo dei suoi soliti… cerco di non badarci e chiudo la porta alle mie spalle; con calma, stavolta. La vedo osservarmi attenta e sento chiaramente i suoi occhi nocciola fissi su di me.
“Deve essere successo un gran casino…” esordisce con la sua voce allegra che però adesso è stonata da una nota di preoccupazione.
“Sì, infatti…” annuisco togliendomi il giacchino e posandolo sul bordo del letto per poi sedermi vicino a lei, imitando la sua posa con la schiena appoggiata ai cuscini ma al contrario suo le mie gambe sono distese.
“Me lo vuoi raccontare?” chiede piano chiudendo il libro e appoggiandolo sul comodino di fianco a lei.
“Sono venuto fin qui apposta…” dico.
“Ah! Quindi vieni a trovarmi solo quando ti serve qualcosa!!” dice con un finto tono arrabbiato.
Mi scappa un sorriso perché so che ha fatto questa battuta per allentare la tensione e per cercare di farmi sorridere, riuscendo nel suo intento.
“No, a aperte gli scherzi…” riprende poi spostandosi una ciocca di capelli neri e ricci dietro l’orecchio “Cosa è successo? Centra Brian, vero?”.
Come al solito la mia migliore amica c’ha colto in pieno.
“Sì” rispondo con voce flebile.
E come un fiume in piena gli racconto tutto quello che è successo, tutto quello che ci siamo detti e il grande senso di vuoto che provo adesso senza poterlo avere. Gli dico tutto, senza tralasciare niente, perché ho bisogno di dirglielo e di mettere sottoforma di parole tutto quello che provo perché è solo  così che riuscirò a far chiarezza su quello che provo. So già per certo che non volevo lasciare Brian ma so anche per certo che non potevo sopportare tutto questo. So per certo che lo amo come so per certo che lui non ama me. Solo che devo capire… capire cosa farò adesso… come riuscirò ad andare avanti senza di lui… devo capirlo, prima di perdermi… devo capirlo subito perché non so dove andare… non posso tornare dai miei genitori. Mio padre mi sputerebbe in faccia e mia madre urlerebbe di felicità. Non ha mai digerito Brian… figurarsi se mi ripresento da loro dopo che gli ho detto di non volerli più vedere e che preferivo stare al fianco di Brian che essere il loro perfetto rampollo… già… ho detto queste cose… e me ne pento. Avrei dovuto scegliere loro, e non quel grandissimo stronzo.
Dico anche questo a Daphne che mi ascolta in silenzio, paziente e rassicurante come solo lei sa essere. Quando finisco il mio resoconto mi rendo conto che ho parlato per più di un’ora perché il sole sta ormai tramontando.
Aspetto paziente che lei elabori le idee e poi me le esponga.
Non devo aspettare molto, comunque, perché dopo un paio di minuti mi dice: “ Come ragazza che sa cosa significa soffrire per amore ti dico che hai fatto bene… ma come amica e persona che ti vuole bene ti dico: sei sicuro di non pentirtene? Sei sicuro di non volergli dare un’opportunità?”.
“Sì” dico.
“Prova a riparlargli… provate a discutere civilmente, per una volta, senza scannarvi con le parole…” prova.
“Non è possibile, Daphne. Ci ho provato un miliardo di volte ma non è servito a niente se non a prendere pesci in faccia. Ho perso le speranza, ormai…” faccio una pausa “Non credo che il nostro rapporto sia recuperabile, ormai…”.
“Ma, Justin…” tentenna un attimo sapendo che quello che sta per dire non mi piacerà “Credi davvero che tu possa dimenticarlo? Io dubito fortemente che tu ci riesca…”.
“Lo so, ma non posso fare altrimenti” dico.
“Puoi, invece! Vai a vivere con lui. Vedi come va. Se dovesse andare male chiuderete una volta per tutte e verrai da me perché sai che casa mia è sempre aperta, per te…” sorrido a questa sua affermazione “Ma anche tu mi dici sempre che Brian non esprime mai ciò che prova… mi dici sempre che non sa esprimere i suoi sentimenti… prova ad analizzare la situazione freddamente e a trovare una soluzione. Non devi darmi una risposta ora. Quando l’avrai trovata me lo dirai. Però pensaci, okay?”.
“D’accordo, ci penserò”.
E mantengo la mia promessa, anche a tre giorni di distanza, ma ancora non so cosa fare. Mi sono interrogato miliardi di volte su quello che è successo e su quello che desidero, e sono giunto a una sola conclusione.
Voglio Brian.
Ma questa conclusione non mi piace per niente! Voglio dire, lui mi ha fatto male, giusto? E io ne ho fatto a lui, giusto? Quindi ci siamo fatti male a vicenda. E allora perché continuare a farcene quando potremmo trovare qualcun altro con cui dividere i nostri giorni, qualcuno che amiamo e che sappia amarci a sua volta?

Ma chi voglio prendere in giro? Non amerò mai nessuno come amo Brian. E’ una cosa assoluta e totalizzante che io so per certo. Non so come ma lo so. In fondo, se non lo amassi davvero, non lo avrei mai sopportato così a lungo e sarei stato più che felice di lasciarlo a Michael. In fondo, è sempre quello che Michael ha desiderato, no? Avere Brian, intendo. Ho perso il conto dei tiri mancini che mi ha tirato quando vedeva che la storia tra me e Brian procedeva. E anche in quest’ultimo periodo procedeva abbastanza bene… insomma, non litigavamo più dieci volte al giorno ma solo una o due… il sesso poi era okay, come al solito. Tutto andava bene. E allora perché lui ha dovuto rovinare tutto con la sua proposta? E perché io ho dovuto rovinare tutto con la mia insicurezza? In fondo, credo che, se da una parte stare lontano da lui mi fa male, dall’altra è stata una liberazione. Adesso non sento più la tensione di non sbagliare e di non fare passi falsi; adesso sento solo la tensione della sua perdita. Nonostante tutto è un bene. Ero stanco di sentirmi inferiore, stupido e bambino ai suoi occhi. Lui non me lo diceva chiaramente ma io sapevo (e lo so tuttora) che lui mi considera tale.
I miei pensieri vengono interrotti dal bussare di una mano sulla porta.
“Avanti” dico mentre mi posiziono meglio sul letto di Daphne. Infatti in questi tre giorni sono rimasto qui, dormendo nella camera degli ospiti. Devo ammettere però di non essere stato un grande ospite di compagnia. Ho passato quasi tutto il tempo in camera di Daphne o nella mia a rimuginare sui miei sentimenti. Sua madre si è accorta del mio strano comportamento ma da donna discreta che è non ha fatto domande e io la ringrazio per questo.
Vedo la testa ricciuta di Daphne fare capolino dalla porta e con un sorriso un po’ timido mi chiede il permesso di entrare.
“Ehi, Daphne, guarda che è camera tua!” sorrido.
“Sì, lo so” annuisce sedendosi sulla sedia della scrivania dopo essere entrata e aver chiuso la porta dietro le sue spalle “E’ che ti ho visto talmente assorto che avevo quasi paura di interromperti…”.
“Ma no, figurati!” sorrido “Pensavo alle solite cose…”.
“Ah!” dice, poi fa un prolungato minuto di pausa per poi riprendere con voce esitante: “E sei arrivato a una conclusione?”.
“Forse…” dico.
“Cioè?”.
“Vedi, da una parte sono felice di essermi liberato di lui, dall’altra sono triste per lo stesso motivo. Non so a quale dei due sentimenti dare ascolto… so di amare Brian, ma so anche di non voler più soffrire…” gli spiego abbracciandomi le ginocchia e portandole al petto.
“Capisco…” dice annuendo pensierosa “Senti, stasera che ne dici di uscire? Forse ti farebbe bene distrarti, almeno per qualche ora…” propone esitante.
Ci penso un po’ su. Uscire significa dimenticare per qualche ora ogni mio problema. Non sarebbe una cattiva idea. Ho davvero bisogno di distrarmi.
“D’accordo, mi pare un’ottima idea!” annuisco convinto.
Quindi la sera siamo fuori. Siamo prima andati a cena a mangiare una pizza e poi siamo andati al Cherry Lips. Il locale è gremito di persone e c’è una buona musica molto alta. L’ideale per non pensare a niente. Vendono anche alcolici piuttosto forti così da favorire l’annebbiamento che ho tutta l’intenzione di far prendere alla mia mente.
Mi osservo ancora intorno e noto sia etero che gay. Bene, un locale per tutti i gusti.
“Ehi, Justin!” mi chiama Daphne alzando la voce in modo tale da sovrastare il suono della musica.
“Che c’è?” chiedo usando il suo stesso tono di voce e piegandomi un po’ verso di lei per sentirla meglio.
“Che ne dici di trovare un tavolo e prenderci da bere?” dice.
“Dico che è un’ottima idea!” annuisco.
Così ci dirigiamo in cerca di un tavolino e lo troviamo abbastanza in fretta. E’ un po’ appartato e in ombra ma ha una buona visuale della pista. Quindi lei si siede mentre io vado a prendere da bere a entrambi.
Arrivato al bancone il barista mi serve quasi subito e mi da le ordinazioni. Io ho preso una birra mentre Daphne una Diet Coke.
Me ne ritorno al tavolo notando però un ragazzo che mi fissa. E’ abbastanza carino. E’ alto sul metro e ottanta, credo. Ha i capelli neri e dritti e gli occhi non riesco a distinguerne il colore. Non ha neanche un fisico niente male.
Quando vede che anche io lo fisso mi si avvicina. Cammina lento, facendosi largo tra la folla.
Quando mi arriva davanti sfodera un sorriso molto dolce e mi dice: “Sei ancora più carino da vicino… ti ho notato subito quando sei entrato…”.
“Anche tu non sei niente male” dico incamminandomi di nuovo verso il tavolo. Tanto so che mi seguirà e infatti nel giro di mezzo secondo me lo ritrovo incollato addosso.
“Il mio nome è Mike. E tu, come ti chiama?” mi chiede.
“Justin” dico “E lei è la mia amica Daphne” gli dico indicandola.
“Che vi lascia soli per non disturbare!” dice lei alzandosi e incamminandosi per andare al bancone dopo avermi preso la sua Diet Coke dalle mani. Lentamente la vedo sparire tra la folla.
“Hai un’amica molto premurosa…” dice lui sedendosi e invitandomi a fare altrettanto.
“Sapeva che ne avevo bisogno” rispondo accomodandomi.
Lui mi guarda sbigottito ma non dice niente. In fondo, come farebbe a capire? Quello che ho detto rispecchia la pura verità. Daphne sa che ne ho bisogno. Ho bisogno di capire se posso baciare un altro uomo che non è Brian, devo capire se posso fare del sesso con qualcuno che non è Brian. Devo capirlo. Devo capire se qualcuno possa reggere il suo confronto. Devo capire se ce la faccio ad andare avanti senza di lui!
Intanto lui ha cominciato a parlare di argomenti che neanche ho sentito e la sua mano si è già posata sul mio ginocchio e sta già salendo su per la coscia, in una lenta carezza, fino ad arrivare all’interno delle mie gambe dove afferra saldo la mia virilità.
“Oh!” annuisce contento “Vedo che sei bello dotato!” sorride in quel modo dolce “Sarà bellissimo farmelo mettere su per il culo!” dice “Non vedo l’ora!”.
Bene, se non altro è un passivo e non mi romperà i coglioni. E’ già qualcosa…
“Se non vedi l’ora perché continuare a perdere tempo in ciance e non ce ne andiamo in bagno?” propongo alzandomi.
“Magnifica proposta!” sorride alzandosi anche lui.
In meno di un paio di minuti siamo in bagno, dentro uno dei cessi, a baciarci vogliosi. Ho sempre considerato il bagno un posto incredibilmente squallido per fare sesso. Detesto farlo in bagno. Cioè, detesto farlo nei bagni dei locali, non di certo nel bagno di Brian… passavamo le ore sotto la doccia a fare l’amore…
Ehi! Un momento! Fermi tutti!! Brian? Ma non mi ero ripromesso di non pensarci? Accidentaccio a me!! Avanti, esci dalla mia testa!!
Sono (fortunatamente) distratto dai suo movimenti. Si sta inginocchiando davanti a me e mi sta slacciando i pantaloni. Inequivocabile ciò che vuole fare. Aspetto con calma che si decida a prendere la mia erezione in bocca, ma quando vedo che continua soltanto a leccarla, lo afferro per i capelli e lo costringo a prenderlo in bocca. Comincia così a farmi un bel servizietto anche se devo ammettere non mi soddisfa. Il mio corpo trova piacere in tutto questo ma la mia anima è vuota. Non provo niente. Solo un piacere fisico che deriva dalle sue attenzioni esperte. Mi viene da vomitare al pensiero che questo tizio ha il mio pene in bocca… mi viene da vomitare al pensiero che non sia Brian a farmi questo…
Brian…
Brian…
Con la sua immagine fissa nella testa vengo in un gemito. Mike, o come cavolo si chiama, si alza in piedi con un sorriso soddisfatto mentre un rivolo del mio sperma gli cola sulla guancia. Prontamente lo afferra con la lingua inghiottendolo. E’ un gesto molto sexy che fatto da Brian mi avrebbe fatto eccitare di nuovo, ma fatto da lui mi da solo un grande senso di vuoto e squallore. Il senso di vomito cresce e sento chiaramente il sapore amaro del vomito che sale dalla gola alla mia bocca infondendo il suo pizzicore anche al naso. Lo scanso con uno spintone ed esco dal cesso arrivando ai lavandini. Lì vomito lo schifo che provo e Mike mi viene vicino preoccupato.
“Ehi, cos’hai?” mi chiede.
Gli do un altro spintone per allontanarlo mentre gli dico: “Vai via, lasciami in pace!”.
“Ehi, ma che cazzo ti prende?” mi chiede “Faccio così schifo?” chiede con tono incazzato.
“Togliti dai coglioni!” gli intimo e poi riprendo a vomitare.
Mentre vomito cerco anche di riallacciarmi i pantaloni. Sarebbe imbarazzante se dovesse entrare qualcuno e trovarmi con il mio coso al vento.
Intanto Mike è uscito lanciandomi imprecazioni e bestemmiando.
Smetto di vomitare anche se sento gli occhi bruciare dal nervoso e mi sciacquo la bocca con l’acqua fresca del lavandino.
Dopo pochi minuti entra Daphne che evidentemente deve averci visto entrare in bagno e, vedendo uscire solo Mike, e per di più incazzato, deve essersi preoccupata.
 “Justin! Che succede?” chiede venendomi vicino e passandomi un braccio intorno alle spalle ancora curve sul lavandino e l’altro su uno dei bracci appoggiati al ripiano che mi servono da sostegno.
“Lui… ci stavamo baciando…” provo a biascicare ma la voce è strozzata dalle lacrime che non sono riuscito a trattenere “… lui… mi baciava… e io… pensavo a Brian e… a quanto… mi facesse schifo… essere baciato… da qualcun altro…” riprendo fiato mentre i singhiozzi continuano a scuotermi “… ho… cercato… di cancellare Brian dalla mia mente ma… quando… Mike… quel ragazzo… ha cominciato a farmi… un pompino… io…” mi interrompo di nuovo mentre sento le mani della mia amica stringersi più saldamente intorno alle mie spalle “… mi… mi faceva schifo essere toccato da qualcuno che non è Brian… mi veniva da vomitare… al pensiero… che qualcuno potesse toccarmi… qualcuno che non fosse Brian… io… io non voglio… non voglio essere così dipendente… da lui… voglio liberarmene… voglio… voglio…” singhiozzo ancora più forte portandomi una mano chiusa a pungo davanti agli occhi per cercare di calmare le lacrime con scarsi risultati “… io voglio lui…” ammetto alla fine.
“Lo so che vuoi lui…” mi dice la mia amica sorridendomi con dolcezza e comprensione.
“Voglio lui, Daphne… voglio vivere con lui… voglio stare con lui… non mi importa quanto ancora dovremmo litigare… mi ero ripromesso di riuscire a rompere la sua corazza e ci riuscirò…”.
“Lo so che ci riuscirai” dice piano “Ora sciacquati la faccia e andiamo al Babylon”.
“Che andiamo a fare al Babylon?” chiedo confuso alzando per la prima volta gli occhi su di lei.
“Come che andiamo a fare al Babylon!? Ma non volevi riprenderti Brian?” dice puntellando le mani sui fianchi.
“Sì…” dico piano.
“E allora sbrigati a lavarti la faccia perché sono sicura che Brian sia al Babylon!” sorride e io apro il lavandino per lavarmi il viso.
Usciti dal locale, dopo aver ripreso un aspetto dignitoso, prendiamo un taxi e in una mezzora siamo al Babylon. Entriamo e con lo sguardo cerco subito Brian. Non riesco a vederlo, però ho riconosciuto Michael. Mi avvicino a lui e lo saluto.
“Ciao, Justin” mi risponde.
“Sto cercando Brian” dico senza tanti mezzi termini.
Tanto sa che non sono qui per parlare con lui.
“Vuoi ferirlo ancora?” mi chiede con un tono decisamente acido.
“D’accordo, è qui, ma tu non vuoi dirmi dove…” faccio spallucce “Vuol dire che me lo cercherò da solo” e lo pianto lì mentre Daphne alle mie spalle è scoppiata a ridere.
Quindi giro per il Babylon e dopo un bel po’ di vagabondaggio lo individuo in mezzo alla pista che balla con un ragazzo che non ho mai visto.
Ehi! Cretino! Chi ti credi di essere? Giù le mani! Brian è proprietà mia e di nessun altro!!
Con passo deciso mi porto vicino a loro e tocco la spalla al ragazzo che ci sta provando spudoratamente con Brian il quale non è che lo consideri molto (buon per lui) ma balla ad occhi chiusi ed infatti non si è accorto della mia presenza.
Mi avvicino all’orecchio del ragazzo in questione e gli dico: “Smamma, amico. Lui è mio”.
Lui mi guarda un po’, poi fa spallucce e si allontana. Che interesse profondo… (à tono ironico)
Quindi prendo il suo posto. Brian non si è accorto di niente. Io mi faccio ancora più vicino e gli avvolgo il collo con le braccia. Dopo questo mio gesto sembra risvegliarsi dal torpore e quando mi vede sgrana gli occhi con sorpresa. Si blocca all’istante e io con lui.
“Ehi, sono qui per ballare, non per fare la statua di sale…” lo canzono riprendendo a muovermi.
Lui mi segue anche se lo vedo ancora riluttante. Non mi ha passato le braccia intorno alla vita come fa sempre, e questo è un chiaro segno che ce l’ha ancora con me.
“Cosa vuoi?” mi chiede.
“Voglio parlarti…”.
“Mi sembra che ci fossimo già detti tutto” mi ribatte con tono freddo.
“No, non ti ho detto tutto”.
Lui mi guarda, aspettando che continui, ma io preferisco prima appoggiare la testa sulla sua spalla e nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
“Non ti ho detto la cosa più importante…” taccio per qualche secondo  e posso chiaramente sentire la sua agitazione e impazienza “… non ti ho detto che ti amo e che qualsiasi motivo ti abbia spinto a invitarmi a vivere con te non mi interessa perché l’unica cosa che voglio è stare con te”.
Lo sento irrigidirsi dalla sorpresa ma non ribatte.
Rimaniamo così per un po’, muovendoci lentamente a tempo con la musica, aspettando una sua risposta. Quando vedo che tarda ad arrivare chiedo: “Non hai niente da dirmi?”.
“Perché hai detto quelle cose, a casa?” chiede e dopo giorni posso sentire finalmente il suono della sua voce.
“Perché avevo paura”.
“Paura? Di cosa?”.
“Paura che tu mi avessi invitato per liberarti la coscienza”.
“Liberarmi la coscienza? E da cosa?”.
“Da tutte le volte che mi hai trattato male e mi hai sbattuto fuori”.
“Cosa?” il suo tono è indignato.
“Devi ammettere che ci sono state delle volte in cui non mi hai trattato con molta classe…” dico sogghignando.
“Sì, lo ammetto…” sorride avvolgendo finalmente la mia vita con le braccia “Ma non ti ho di certo chiesto di convivere per quello…”.
“E allora per cosa?” sento il mio cuore che batte all’impazzata. Vorrei tanto che mi dicesse ciò che voglio sentire…
“Ti ho chiesto di convivere perché ti amo e perché voglio stare con te”.
Alzo la testa di scatto e ho quasi la sensazione che il mio cuore abbia perso un battito dalla sorpresa e dalla felicità.
“C… cosa hai detto…?” chiedo titubante.
“Ti amo” e mi sorride.
E anche io sorrido e lo abbraccio forte. Sento il cuore scoppiare di felicità e so che ho fatto la scelta giusta.
“Anche io ti amo” gli dico guardandolo negli occhi e lui con un sorriso si china su di me e mi bacia.
Il bacio è lento, lungo e sensuale. Un bacio che serve a scoprirsi e riconoscersi perché per tanto tempo siamo stati insieme ma separati. Questo bacio sa di amore e libertà perché finalmente i nostri cuori sono liberi da tutti i dolori e le paure.
Quando ci stacchiamo mi sorride con dolcezza e mi dice semplicemente: “Andiamo a casa nostra” e mi prende per mano portandomi fuori dal locale.
Questa frase fa chiaramente capire che mi vuole ancora in giro per casa sua a fare confusione e a stressarlo con le mie continue chiacchiere.
Mentre passiamo davanti al bancone vedo Daphne che mi sorride radiosa e Michael che mi guarda con odio. Io lo guardo con sguardo vincitore perché è poi quello che sono. Ho vinto e ho preso il premio più ambito. Tutti volevano Brian. Ma per me non è di certo un bel premio da sfoggiare. Per me è un premio che ho conquistato con fatica, sudore e lacrime e ho tutta l’intenzione di tenermelo stretto per sempre.
Arriviamo alla sua macchina e saliamo. Va piuttosto forte perché come me anche lui ha bisogno di sentirmi completamente suo.
Arriviamo in un tempo relativamente breve e saliamo le scale con velocità. Quando arriviamo davanti al portone della nostra casa (oh! Come mi piacciono queste due parole!!) lo apre con sveltezza e una volta dentro tira le chiavi sul bancone della cucina. Subito si volta verso di me e mi abbraccia. Mi bacia e anche io lo stringo forte accarezzando ancora una volta quel corpo che conosco a memoria per ogni suo centimetro e percependo di nuovo il calore della sua pelle che mi ha sempre fatto sentire protetto.
Non mi illudo di certo che non ci saranno più litigi, ma so che con il nostro amore riusciremmo a superarli, magari con difficoltà e litigando furiosamente un’altra volta, ma va bene così. Finché posso ancora stringerlo tra le braccia va bene qualsiasi cosa.
Mentre ci baciamo e i nostri vestiti cadono a terra, ci avviamo verso la camera. Saliamo con qualche difficoltà le piccole scale che rialzano il letto dal resto della casa perché non abbiamo alcuna intenzione di staccarci e facendo questo inciampiamo sui miei calzoni e cadiamo sul letto. E lui è sopra di me.
Un’altra volta. Come sempre. E questo pensiero mi risalda il cuore…
Ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi.
“Credevo di averti perso…” sussurra piano.
“Che bugiardo…” sorrido “Sapevi che il tuo ineguagliabile fascino mi avrebbe ricondotto a te!” lo canzono.
“Eh, sì… hai scoperto tutti i miei piani… non ti si può nascondere proprio nulla!” dice assecondando il mio gioco.
“Ti conosco meglio di chiunque altro… anche meglio di te stesso…” gli dico e gli bacio le labbra in un tocco fugace.
Lui si limita a sorridere e riprendiamo a baciarci. Ci tocchiamo con mani esperte sapendo esattamente cosa piace all’altro. Ci accarezziamo con dolcezza e lui è incredibilmente attento ad ogni mia espressione.
Quando entra in me lo afferro per le braccia dal dolore. Era da parecchio che non entrava nel mio corpo.
“Rilassati…” mi sussurra cominciando a spingere piano per far entrare tutta la sua virilità “Se ti rilassi andrà tutto bene…”.
“Lo so… tra poco passa…” rispondo chiudendo gli occhi ed è vero perché il dolore è sostituito dal piacere e tutto è perfetto perché c’è amore e sesso in tutto questo e per la prima volta sento entrambi collegati.
Quando raggiungiamo l’orgasmo gemiamo entrambi un ‘ti amo’ ed è bellissimo perché per la prima volta sento che la sua maschera di superiorità è caduta.
Quando mi sveglio, la mattina dopo, lo trovo steso vicino a me, che mi abbraccia. Anche lui è sveglio e lo fisso negli occhi con un sorriso. Anche lui sorride e mi dice: “Buongiorno…”.
“Ciao…” lo bacio piano sulle labbra.
“Oggi devi prendere le tue cose e portarle qui…”.
“Sì…” annuisco “Mi aiuti?”.
“Certo”.
Ci baciamo di nuovo. Dopo lui si stacca da me e scioglie il nostro abbraccio per sedersi sul letto e si accende una sigaretta. Afferra qualcosa dal comodino e me le lancia. Io afferro l’oggetto al volo e me lo faccio penzolare davanti alla faccia.
Sono un mazzo di chiavi.
“Sono le chiavi di casa. Così non rimarrai fuori ad aspettarmi, se non ci sono” mi spiega.
Le chiavi di casa…
Lo abbraccio di slancio e lo bacio.
“Grazie… mi hai fatto un regalo bellissimo!” esclamo sorridendo e fissando le chiavi.
“Ma che regalo e regalo… è solo per evitare che rimani fuori!” si sminuisce. Ma non mi importa. Io so che lo ha fatto perché desidera davvero stare con me e anche se lui non lo ammetterà mai io sono felice lo stesso.
Grazie di cuore, Brian…

**FINE**

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Queer as Folk / Vai alla pagina dell'autore: slanif