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Autore: andromedashepard    29/08/2013    4 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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"I'm miles from where you are
 I lay down on the cold ground
 And I, I pray that something picks me up
 And sets me down in your warm arms"


 (
Snow Patrol, "Set the Fire to the Third Bar")

 

 



Miranda era in procinto di rispondere ad un’email della sorella, quando sullo schermo del terminale iniziò a lampeggiare l’icona di una chiamata in entrata da parte dell’Uomo Misterioso. Non era inusuale; a dispetto del fatto che fosse solo la seconda in comando, riceveva molte più chiamate di Shepard, principalmente perché il leader di Cerberus voleva assicurarsi che le cose procedessero secondo i suoi piani e che la situazione non sfuggisse al suo controllo. Miranda rispose immediatamente, ravviandosi i capelli per abitudine, nonostante non ci fosse nessun ologramma col quale doversi confrontare.
“Lawson”. La voce dell’Uomo Misterioso giunse roca alle orecchie della donna, e lei se lo immaginò mentre inalava una boccata di fumo, seduto comodamente sulla sua poltrona. “Hai niente da dirmi?”
“Riguardo a cosa, signore?”, Miranda si insospettì, acuendo l’udito.
“Perché non ricevo notizie da Shepard? Non ha risposto a nessuna delle mie chiamate”.
Miranda esitò a rispondere. Non voleva essere lei a comunicare l’esito della missione su Zada Ban, ma non poteva semplicemente interrompere la chiamata o accampare scuse, avrebbe finito per peggiorare le cose.
“Shepard ha riportato una ferita. Niente di grave, ma probabilmente sta ancora riposando. Ha perso del sangue e…”
“Com’è successo?”
“C’è stata un’esplosione”.
“E, di grazia, per quale motivo Shepard è rimasta ferita in seguito ad un esplosione? Non le hanno insegnato come maneggiare gli esplosivi?”
“Signore, io non ero presente. Forse dovrebbe parlarne con lei”.
“Miranda, tu sei i miei occhi e le mie orecchie su quella nave, e di certo saprai tutto”, disse lui, cercando di mantenere il tono di voce più calmo possibile, “e io ho bisogno di sapere se Shepard ha per caso sviluppato manie suicide”, aggiunse con sarcasmo.
“No, signore. Shepard è tornata indietro per dare una mano a Krios e l’esplosione l’ha travolta”.
Al di là del trasmettitore seguì un lungo silenzio e Miranda quasi restò in apnea.
“Devi parlare con lei, Miranda. Assicurati che sia concentrata su quello che deve fare, che non abbia distrazioni. Lei ha il comando della Normandy, ma io posso fidarmi solo di te e so che non mi deluderai”.
“Lo farò, signore”, rispose lei abbassando istintivamente lo sguardo, le mani in grembo. La chiamata si chiuse bruscamente e Miranda poté finalmente tornare a respirare, passandosi una mano attraverso i lunghi capelli corvini. La sua non era una posizione facile, specialmente perché aveva a che fare con una donna risoluta quanto lei, e Shepard non era di certo qualcuno che si poteva manipolare facilmente. Pensò, non senza provare vergogna, che in situazioni come quelle sarebbe stato comodo poter approfittare di un chip di controllo, suggerimento che lei stessa aveva proposto durante la sua ricostruzione. Si ricordò poi delle parole dell’Uomo Misterioso, che si era opposto apertamente a quella proposta. No, avere un robot con l’aspetto di Shepard non sarebbe servito a nulla. Quello che rendeva Shepard così preziosa era la sua personalità unica, i suoi ideali mossi da una passione genuina, non una semplice stringa di comando inviata ad una macchina. Si domandò se il leader di Cerberus parlasse solo per pura mania di controllo o avesse davvero qualcosa di cui preoccuparsi, di cui sospettare. In effetti, anche lei aveva notato dei cambiamenti in Shepard dai primi periodi in cui avevano iniziato a condividere la stessa nave. Si era ammorbidita, man mano che l’equipaggio aveva iniziato a riempirsi di facce conosciute aveva ripreso a sorridere e ultimamente era molto più incline al dialogo e alla socializzazione, limitando anche le usuali frecciatine nei suoi confronti. E poi, l’altra sera, l’aveva vista dileguarsi nel bel mezzo dei festeggiamenti per il suo compleanno e l’indomani raggiungere l’equipaggio in mensa affiancata dall’assassino. Non erano affari suoi e non era sua abitudine saltare a conclusioni affrettate, ma, pensando a tutta quella faccenda, mentre guardava le stelle brillare lontane fuori dall’oblò della sua cabina, si trovò a provare un sentimento stranissimo. Qualcosa che, in un certo senso, per chissà quale motivo, somigliava all’invidia. Possibile che Shepard…? Scosse la testa, sorridendo amaramente, e si rese conto di sentirsi sola, profondamente sola, talmente sola da farsi pena. Chiamò Jacob e lo invitò a bere qualcosa insieme, con la speranza di colmare anche solo per un po’ il vuoto che sentiva alla base di quel suo stomaco geneticamente perfetto.
 
 [x]
 
Quando Shepard si svegliò, era madida di sudore, segno che la febbre era passata. Era ancora avvolta nel piumone e due braccia erano intrecciate sopra le sue, stavolta protette da un lenzuolo. Quando si mosse, Thane si irrigidì e allentò automaticamente la presa, aspettando in silenzio che lei dicesse qualcosa. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, restando ad ascoltare pazientemente il suo respiro, a volte leggero, impercettibile, altre volte pesante, disturbato dai sogni. Si era nutrito di quel contatto, del calore della sua pelle e del profumo dei suoi capelli sciolti sul cuscino, lasciando che il tempo scorresse mentre lui restava in apnea. Aveva appoggiato il mento sulla sua spalla, sfiorando la sua pelle con le labbra, maledicendosi per essere rimasto accanto a lei nonostante tutti i buoni propositi. Era la prima volta che passava tutte quelle ore senza scivolare in uno dei suoi ricordi, come se improvvisamente tutto ciò di cui avesse bisogno si trovasse solo ed unicamente nella realtà, quella fragile realtà che teneva stretta fra le braccia. Si sentì un uomo a metà, diviso fra la voglia di abbandonarsi completamente a quello che provava, e il dovere di restarne totalmente fuori, per il bene di entrambi. Era stata una lunga notte, dove più volte aveva provato il desiderio di andare via e il desiderio opposto di baciarla, di sussurrarle all’orecchio quanto fosse diventata importante per lui. Una notte in cui aveva continuato a fare a pugni con se stesso, con le nozioni di giusto o sbagliato, con la razionalità e con l’istinto, rivolgendo gli occhi al cielo sopra quel letto, senza trovare nuove risposte, senza trovare risposte che non fossero estremamente dolorose.
E lei, invece, sembrava così pacifica. Se solo fosse stato facile spiegarle come si sentiva…
 
Shepard aprì lentamente le palpebre e fece mente locale, ripercorrendo brevemente i momenti che avevano preceduto il suo addormentarsi. Stavolta non era sola, e si sentì immensamente sollevata. Si voltò lentamente verso di lui e appoggiò il viso sul suo torace, dopo aver cercato i contorni del suo volto nel buio. “Grazie”, disse piano, respirando l’odore della sua pelle, senza provare alcun imbarazzo. Era quell’oscurità che li avvolgeva, quell’atmosfera pacata e lenta che segue il risveglio, quel calore di due corpi stretti insieme ad aver cancellato ogni possibile senso di disagio. Il battito del suo cuore, il suo respiro, insieme al mormorio lontano del Drive Core, erano gli unici suoni che riusciva a percepire, gli unici suoni che, realizzò, avesse davvero voluto ascoltare.
 
“Grazie”, le aveva detto, dopo tutto quello che era successo. Per cosa le era grata? Per essere stato la causa delle sue attuali condizioni? Per averla messa in situazioni a dir poco imbarazzanti? Per aver anche solo considerato l’idea di trascinarla a fondo insieme a lui? Il senso di colpa lo colpì con la violenza di un pugno nello stomaco, certo che lei non avesse assolutamente idea del motivo per cui lo stesse ringraziando.
Si sentì smarrito e non riuscì a trovare le parole adatte. Dopo aver passato la notte a vegliare su di lei, accarezzandole la fronte quando si era lamentata nel sonno, misurandole la temperatura, evitando di muoversi anche quando tutti i suoi muscoli formicolavano indolenziti, non poté fare a meno di sentire che niente di tutto ciò fosse abbastanza e che non meritasse affatto di stare accanto a lei, perché non aveva e non avrebbe mai avuto niente da darle.
“Come stai?”, riuscì a chiederle dopo quelli che gli sembrarono interminabili istanti.
Shepard percepì chiaramente quella punta di preoccupazione nella sua voce e provò il desiderio di non essersi mai svegliata. Avrebbe dovuto affrontare un discorso che non voleva affrontare, quando invece avrebbe preferito di gran lunga crogiolarsi in quell’istante lontano dal tempo, pretendendo che per un attimo, tutto il resto non esistesse, esattamente come qualche sera prima.
“Sto bene”, dovette rispondere, curvando le labbra in un triste sorriso che lui non avrebbe visto. Allungò le braccia in avanti, tentando di sgranchirsi i muscoli, e lui si spostò di lato con lentezza, interrompendo definitivamente il contatto. L’attimo era svanito, così come il sorriso di lei, sostituito da una smorfia di dolore e dalla paura che avesse preteso troppo. Gli aveva chiesto di restarle a fianco, gliel’aveva praticamente ordinato senza neanche sapere se lui ne avesse davvero voglia. Si sentì terribilmente in colpa e un altro brivido di freddo le attraversò la spina dorsale, ma stavolta non era febbre. “Mi dispiace”, sussurrò istintivamente, e attese invano una risposta che non sarebbe mai arrivata. Thane si alzò dal letto e lei si mise a sedere, scostandosi i capelli umidi dalla fronte.
“Dovresti andare dalla dottoressa Chakwas”, le disse lui freddamente, e lei desiderò sprofondare nel materasso. L’attimo era davvero svanito e lei era rimasta di nuovo sola. “Ci andrò… tra poco”, rispose piano e lo vide allontanarsi dalla penombra, scorgendo i suoi contorni solo nell’attimo in cui la luce azzurra dell’acquario investì la sua figura.
Shepard non riuscì a capire il motivo di quel comportamento, o piuttosto, ne ebbe paura. Si morse le labbra, coprendosi il viso con le mani quasi a voler mascherare la vergogna. Si concesse qualche istante per ripetere a se stessa che aveva problemi ben più gravi da affrontare, poi si fece finalmente forza e si alzò, tenendosi una mano premuta sul fianco.
L’immagine che le restituì lo specchio, qualche minuto dopo, non fu clemente. Lo zigomo destro esibiva un ematoma piuttosto esteso e la fronte presentava un lungo graffio che la percorreva da parte a parte, ma a preoccuparla non furono i segni della battaglia, a quelli c’era ormai abituata. No, ciò che la turbò maggiormente fu il suo stesso sguardo, velato da una patina di tristezza. Non riuscì a mantenere il contatto visivo con se stessa per più di una dozzina di secondi e allora iniziò a lavarsi, sforzandosi di legare i capelli in una coda nonostante la ferita tirasse, facendole un male cane. Poi tentò di vestirsi, finendo più volte a prendere fiato appoggiata alla parete del bagno. Si chiese quanto ci avrebbero impiegato quelle ferite a rimarginare, perché le sembrò di non essere in grado di resistere un giorno di più in quelle condizioni. Solo la Chakwas avrebbe potuto darle buone notizie.
 
 
 
Shepard fu trattenuta più del previsto dalla dottoressa che, preoccupata, aveva iniziato a farle esami su esami, appurando che, a parte l’ustione e il taglio profondo, guaribili a distanza di qualche giorno con le giuste dosi di medigel, lei godesse di ottime condizioni di salute, anzi, perfino migliori di quelle precedenti alla sua ricostruzione. “Gli impianti sintetici fanno un ottimo lavoro”, le aveva detto, e Shepard aveva inspirato a fondo, incapace, anche a distanza di mesi, di comprendere razionalmente che il suo corpo non fosse più fatto solo di carne. Stava seduta sul lettino con le gambe a penzoloni, osservando la dottoressa inserire alcuni dati in uno dei suoi terminali, quando lei parlò. “Ci hai fatto prendere un bello spavento ieri”, disse senza voltarsi. “Ma a qualcuno più di tutti”, aggiunse, senza aspettare la risposta di Shepard. Poi si girò a guardarla di sottecchi, con un sorriso benevolo sulle labbra.
Ci risiamo.
“Se ti stai riferendo a Krios, ti sbagli. E’ semplicemente convinto di essere stato la causa del mio incidente. E io volevo accertarmi che si togliesse dalla testa quest’idea. Sono stata avventata, sapevo che sarebbe andata a finire male e sono rimasta lo stesso a tentare di sigillare la porta…”, gesticolò. Le parole uscirono dalle sue labbra come un fiume in piena. Involontariamente, aveva trovato qualcuno con cui sfogarsi.
“E a lui questo l’hai detto?”
“N-no… Non abbiamo avuto modo di parlarne, a dire il vero”.
Karin sospirò, preparando una siringa di antibiotici per scongiurare il rischio di infezioni. Dirle che sapeva perfettamente che avessero passato la notte insieme sarebbe stato assolutamente fuori luogo, per cui si limitò ad avvicinarsi e a rivolgerle uno sguardo empatico, preparandosi a iniettarle il farmaco. “Sono sicura che avrete occasione di chiarirvi”, sorrise, e Shepard serrò i denti in risposta alla puntura. “E’ importante che non abbia troppe cose su cui rimuginare, Comandante”.
Lei sgranò gli occhi, insicura su cosa volesse insinuare con quella frase.
“La Kepral, sai…”, continuò la dottoressa. “Se Krios si lasciasse andare dietro ai ricordi, continuando a passare più tempo del dovuto nella solitudine di quello stanzino, di certo la sua salute ne risentirebbe”.
Se quello fosse solo un consiglio professionale, o qualcosa di più, a Shepard non interessò, concentrata piuttosto sull’argomento che aveva appena tirato in ballo. Non ne aveva mai discusso in modo approfondito con Thane e adesso sentì di non voler rinunciare all’occasione.
“Non c’è davvero nulla che si possa fare per lui?”, chiese, massaggiandosi un braccio.
“Attualmente no”, sospirò lei. “Di solito si prende in considerazione l’ipotesi di un trapianto, ma Krios non ha voluto essere messo in lista, anni fa. Adesso dubito che servirebbe davvero a qualcosa. Oltre ai considerevoli danni ai polmoni, ci sono problemi in altri organi che non scomparirebbero in seguito a un trapianto. Potrebbe allungare le aspettative di vita, ma solo di mesi… e dubito che farebbe in tempo a trovare degli organi compatibili, considerando anche quanto pochi numerosi siano i Drell”.
Forse era stata solo un’idiota a pensare, fino a quel momento, che potesse esserci una speranza. Aveva agito come ogni altro essere umano alla notizia che Thane le aveva dato in occasione del loro primo incontro… prima si era sentita spiazzata, poi si era aggrappata a quegli otto, dieci mesi di vita che lui le aveva assicurato, finendo per considerare scioccamente quel poco tempo come se fosse infinito. Ci aveva pensato tanto, sì, soprattutto dopo quella notte passata nel Supporto Vitale, ma ogni volta aveva scacciato via i pensieri con fermezza, fingendo che la preoccupazione derivasse solo dalla missione. Adesso, quella fitta di dolore che sentì dove le sembrava ci fosse il cuore, diceva il contrario. Non le interessava solo delle sue abilità in battaglia, le interessava della sua vita.
“Abbiamo finito qui”, affermò la Chakwas, interrompendo il flusso di pensieri del Comandante.
Ora aveva un nuovo bendaggio e un nuovo strato di medigel sull’ustione, ma lei non si sentiva affatto meglio. Scese dal lettino con un sospiro e si sentì smarrita. In occasioni come quelle, si sarebbe fiondata nell’Hangar delle navette ad esercitarsi oppure si sarebbe lanciata in un’altra missione, lasciando che l’adrenalina sovrastasse l’entità del dolore mentale che si portava dietro, ma in quelle condizioni le restava davvero poco da fare.
 
 
 
Il silenzio momentaneo del ponte secondario della sala macchine fu interrotto da una fragorosa risata di Jack. “L’avevo detto io, che ti avrei fatto il culo a strisce”, disse, mentre gettava su una cassa il suo mazzo di carte. “Quanto mi devi? Cinquanta crediti?”
Tali scosse la testa, mormorando parole poco carine in khelish.
“Aspetta a dire l’ultima”, esclamò Kasumi, rilanciando con una mano vincente. “Me ne devi cento, adesso”.
Jack sfoderò un ghigno. “Figlia di…”
La ladra rise di gusto, mentre si intascava i crediti guadagnati in modo dubbio.
“Con te va sempre a finire così”, mormorò Tali, delusa.
“Dobbiamo approfittarne e organizzare una torneo di poker con i ragazzi per svuotargli le tasche ad uno ad uno”.
“Io le svuoterei volentieri a quella dannata cheerleader di Cerberus, se solo non fosse troppo occupata a cotonarsi i capelli giorno e notte...”
“Ci snobba”, annuì Tali.
“Nah, ha solo paura di perdere…”, disse Jack, estraendo un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni.
“E quelle?”, domandò Kasumi sgranando gli occhi.
“Zaeed. Sant’uomo. Ecco, lui sì che potrebbe batterti”, sorrise, “ha la stoffa, e l’esperienza non gli manca”.
“Ne dubito. L’ultima volta, per il compleanno di Shep, è rimasto in mutande”.
Tali si portò una mano sul petto. “Che vuoi dire? Che avete fatto?”
Kasumi rise di gusto. “E’ un modo di dire umano… significa che è rimasto al verde”.
“Al verde?”
Jack sbuffò, buttando il fumo in direzione di Tali con un ghigno. La Quarian sventolò la mano davanti a se, infastidita. “Mi stai contaminando i filtri della tuta!”, esclamò, andandosi a sedere su una cassa più lontana.
“Significa che ho svuotato completamente le sue tasche, Tali”, rispose la ladra pacatamente. “Ora che ci penso, non sarebbe male un torneo di strip poker, se partecipasse anche Jacob”, ridacchiò.
Jack sollevò il mento in senso di approvazione. “Prima dovresti costringerlo a togliersi Miranda dalla testa”, la provocò.
“Per quello non c’è problema”, rispose lei, determinata.
“Se lo dici tu…”
“Piuttosto… Shep come se la cava a poker?”
“E’ un mezzo disastro. L’ultima volta ha perso contro Grunt. Grunt, signore mie… quel Krogan non sapeva distinguere nemmeno l’asso dalla regina”.
Le tre ragazze risero divertite, poi calò uno strano silenzio. Jack finì di fumare la sua sigaretta, gli occhi puntati sul pavimento, Tali prese a torcersi nervosamente le mani, come d’abitudine nei momenti di tensione. “L’avete sentita?”, chiese poi, tirando finalmente in ballo l’argomento.
“No”, risposero le altre due in coro.
“E’ strana ultimamente”, mormorò Tali. “Garrus mi è sembrato preoccupato… dopo ieri, dico”.
“Qualcuno qui passa più tempo del dovuto in Batteria Primaria”, sghignazzò Jack.
“Bosh’tet! Io e Garrus siamo solo amici”, si difese subito lei, con una sincerità disarmante.
“Dicono tutti così…”
“Com’è che ultimamente passano tutti del tempo in ottima compagnia e solo io non riesco a fare quattro chiacchiere con Mr. Pettorali?”
“Tutti?”
Jack e Tali si voltarono simultaneamente a guardare Kasumi, che capì immediatamente di averla fatta grossa.
“Era così per dire…”
“E me la dovrei bere, questa? Avanti, sputa il rospo…”
Kasumi non riuscì a trattenere una risata e si portò entrambi le mani a coprirsi la bocca. Ma sì, due pettegolezzi tra ragazze non avrebbero fatto male a nessuno, pensò.
“A proposito di… rospi…”, un’altra risata impossibile da trattenere e Jack e Tali si scambiarono uno sguardo perplesso.
“Aspetta, non vorrai dirmi… Oh, finalmente quella si è decisa a scendere dal suo piedistallo. Che poi… le Justicar non hanno quel cavolo di codice da rispettare…?”
Tali si guardò intorno confusa.
“Samara?”, esclamò Kasumi. “Ma no… Dubito che abbia certi interessi, anche se non si può negare che Thane abbia un certo fascino”.
“Allora di chi diavolo stai parlando?”
La giapponese la guardò fissa negli occhi, ammiccando.
“Kasumi, giuro che se non parli entro due secondi…”
“Keelah!”, esclamò Tali, come se avesse appena avuto un’illuminazione, e si voltò a guardare la ladra in cerca di conferme. “Shepard”, sibilò poi.
L’urlo di stupore di Jack si sentì probabilmente fino a Thessia, mentre Kasumi e Tali le facevano segno di tapparsi la bocca, agitando convulsamente le mani.
“Come dannazione fai a saperlo?”
“Non hai idea di quanti dettagli si scoprono quando nessuno può vederti”, ridacchiò lei.
“Che tipo di dettagli?”
“Jack!”, la rimproverò Tali.
“Tappati le orecchie… se ce le hai”, la zittì lei con un gesto della mano.
“Ma non c’è niente da dire, davvero”, disse Kasumi, addolcendo il tono di voce.
“Oh, andiamo… se fossi rimasta a secco per due anni non ci penserei due volte a sb…”
 
“Jack? Kasumi? Tali?”, Shepard fece il suo ingresso scendendo le scalette del ponte secondario, disorientata. Aveva sentito delle risate provenire da laggiù, ma si sarebbe aspettata di trovare Jack a parlare col muro piuttosto che trovarla insieme ad altri membri dell’equipaggio, avendola creduta fino a quel momento un rabbioso lupo solitario. Evidentemente aver fatto saltare in aria Pragia doveva averla aiutata parecchio.
La biotica si schiarì la voce, ricomponendosi, e assunse un’espressione seria, mentre Tali e Kasumi seguirono il suo esempio.
“Che diavolo sta succedendo qui?”, domandò Shepard, con uno sguardo indagatore a squadrarle una ad una.
“Facevamo due chiacchiere”.
“Questo… questo è fumo?”, fece, annusando l’aria.
“Dev’essere partito un motore…”, esalò Jack con poca convinzione.
“Jack, è assolutamente vietato fumare qua sotto, dannazione!”
“Ricevuto”.
Shepard scosse il capo, rassegnata.
“Shep, c’è qualche problema?”, intervenne Kasumi.
“Sì… cioè… come stai?”, domandò Tali, mortificata.
“Sto bene”, tagliò corto lei. “E la prossima volta che avete in mente di fare un torneo di poker, invitate”, disse, prima di tornare da dov’era venuta senz’aggiungere altro. A dispetto del tono che aveva usato, era contenta che l’equipaggio socializzasse, questo avrebbe contribuito a creare maggiore sintonia in campo. Consapevole di non essere la benvenuta, poi, aveva preferito lasciarle in pace, continuando il suo giro.
Le tre ragazze restarono in silenzio, imbarazzate, dopodiché ognuna di loro trovò una scusa e tornò alla propria occupazione. C’era mancato tanto così…
 
 
 
Shepard non aveva assolutamente idea del perché si fosse messa a vagare a zonzo per la nave. Dopo aver lasciato l’infermeria, aveva iniziato a camminare senza meta e adesso era finita in un minuscolo stanzino adiacente all’hangar navette, pieno di provviste e scatoloni di cui lei non conosceva il contenuto. Aveva attivato un terminale e si era messa a controllare minuziosamente i registri, come se le importasse davvero di sapere quanti litri di detersivo fossero necessari per assicurare divise pulite a tutto l’equipaggio nell’arco di tempo di due mesi. Poi si era appoggiata a uno scaffale, premendosi una mano sul fianco. La Chakwas le aveva raccomandato riposo assoluto e lei, ancora una volta, aveva deciso di non prestare ascolto, di fare di testa sua. Ecco, quello era un suo enorme difetto… credere di avere sempre tutto sotto controllo e decidersi ad ascoltare i consigli altrui solo quando era ormai troppo tardi. Pensò a tutte le volte in cui, per la sua testardaggine, aveva finito per rischiare la pelle. Tante, troppe volte, ma continuava a ripetersi che fosse di gran lunga preferibile sbagliare con la propria testa che con quella degli altri. Un ragionamento opinabile, certo, ma lei era fatta così. Cocciuta e testarda come poche. Si appiattì allo scaffale e lentamente scivolò verso il pavimento, finchè non si sedette completamente a gambe allungate, in modo da tenere la ferita più distesa possibile. “EDI, sigilla il portellone”, disse. Se qualche recluta l’avesse trovata in quelle condizioni, ci avrebbe rimesso la credibilità. L’IA di bordo obbedì e l’ologramma della porta si tinse di rosso.
Shepard si sentì in pace. Aveva trovato un posto nel quale rifugiarsi, che non possedesse un enorme acquario a ricordarle l’Uomo Misterioso, senza una finestra sul vuoto cosmico a ricordarle che fuori c’era un mondo a reclamare il suo aiuto, senza una teca piena di medaglie, di cui solo meno della metà la facevano sentire orgogliosa. C’era silenzio, c’era buio, c’era la volontà e la paura di restare da sola con se stessa e trovarsi a tu per tu con i pensieri. Dischiuse le labbra… avrebbe voluto urlare, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Non era mai stata brava a parlare. E chissà, forse per questo il mondo stentava a crederle quando lei parlava di Razziatori. Lei agiva e basta, era l’unico modo in cui riusciva a imporre davvero la sua personalità agli altri. Richiamò l’energia oscura sul palmo della sua mano, plasmando un globo che ora fluttuava a pochi centimetri dalla sua pelle. Un suo prolungamento, atomi di energia che fluivano dal suo corpo e si concentravano in una piccola sfera blu, trasparente e tremolante. La scagliò violentemente di fronte a sé, restando immobile col resto del corpo. Uno scatolone si riversò a terrà, ancora chiuso. Il fragore momentaneo la placò, solo per un istante. L’attimo successivo, aveva già pronto un altro globo d’energia biotica, più grande, pronto ad essere scagliato su un altro oggetto.
Dieci minuti dopo, lo stanzino era diventato un ammasso di roba ammucchiata senza ordine, senza criterio e Shepard sorrideva, ancora seduta sul pavimento, accanto a un paio di scatoloni che avevano rischiato di finirle addosso. EDI aveva chiesto spiegazioni e lei l’aveva messa a tacere, sostenendo che qualcuno aveva incasinato le spedizioni e che andava risistemato tutto daccapo. Era troppo appagata per pensare alla povera recluta di turno che avrebbe dovuto occuparsi del casino che aveva combinato, dando probabilmente la colpa a Grunt.
Non sarebbe stato più semplice nascere Krogan? Rispondere solo ed esclusivamente ai propri istinti, anzi venire incoraggiati a farlo. Avere centinaia d’anni da vivere con l’unico scopo di procreare e di spaccarsi la testa con i Krogan di altri clan. Invece no, lei non soltanto era nata umana, lei era prima di tutto Shepard, per il resto del mondo. Cosa si aspettavano da lei, tutti quanti? Cosa si era aspettato Anderson quando l’aveva messa a capo della prima Normandy? Cosa si aspettava Cerberus, quando aveva deciso di spendere miliardi di crediti per riportarla in vita e affidarle una nave ancora più potente? Ogni secondo che passava, un colono da qualche parte nella Galassia veniva rapito dai Collettori e lei sentiva il peso di ogni singolo essere umano strappato alla vita sulle spalle. Li avrebbe condotti alla vittoria, i suoi compagni, o li avrebbe mandati a morire oltre il portale di Omega 4? Chi avrebbe sacrificato, stavolta, come Ashley su Virmire?
Si prese la testa fra le mani e il suo corpo si tinse interamente di blu. L’ultima scarica d’adrenalina, l’ultima esplosione d’energia prima di perdere le forze e la voglia di lottare, raggiungendo quella dolorosa consapevolezza che l’unica cosa di cui avesse bisogno in quel momento, anche solo per una dannata volta, fosse di sentirsi di nuovo Andromeda, prima ancora che Shepard.
Senza neanche rendersene conto, lacrime calde avevano iniziato a rigarle le guance e ben presto diventò difficile fermare i singhiozzi che le scuotevano il petto. Sentì che quella fosse la cosa più giusta da fare, lasciare che il pianto diventasse una valvola di sfogo… e iniziò a pensare a tutte le cose che le facevano più male, finchè non si ritrovò riversa per terra, a battere i pugni sul pavimento di metallo. Era la prima volta che piangeva dopo anni, e non si era mai sentita così dolorosamente libera.
 
 
Shepard conosceva bene la Normandy, ma non così bene da sapere che lo stanzino nel quale si era rifugiata si trovasse immediatamente sotto il Supporto Vitale. Dopo aver avvertito l’ultima scarica d’energia biotica come una scossa di terremoto sotto i suoi piedi, Thane aveva deciso di lasciar perdere con la meditazione e si era alzato dal pavimento, rivestendosi. Aveva imparato a convivere col ronzio costante del Drive Core, ma raggiungere uno stato di tranquillità mentale era impossibile quando qualcuno, sotto di te, faceva tremare di continuo il pavimento della tua cabina. Immaginò che si trattasse di Jack. Quando era salita a bordo, l’avevano avvisato che la biotica Umana fosse un tipo piuttosto particolare, ma non credeva che Shepard le avrebbe permesso di demolire la nave pur di tenerla a bada. Decise di andare a controllare, intenzionato a sfoderare tutte le sue buone maniere pur di ottenere un po’ di pace. Normalmente avrebbe cambiato stanza, andando a rifugiarsi in uno dei due osservatori, ma adesso che erano occupati rispettivamente dalla Justicar e dalla ladra, gli restava solo la sua cabina, ed era qualcosa a cui sentiva di non poter rinunciare.
Quando giunse all’hangar non trovò nessuno. Era tutto in ordine come sempre, nessun segno di esplosioni biotiche e nessun rumore sospetto. Stava per ritornare sui suoi passi, quando sentì quello che gli sembrò un lamento provenire da uno stanzino ben nascosto dietro una pila di casse. Senza pensarci due volte, decise di andare a dare un’occhiata. La porta appariva sigillata, ma era chiaro che dovesse esserci qualcuno dentro. Bussò con decisione e non fu affatto sorpreso di non ricevere alcuna risposta.
“EDI, puoi aprire il portellone?”, domandò all’IA.
“Shepard mi ha chiesto espressamente di mantenerlo sigillato”.
Shepard.
Dall’altra parte della porta, il Comandante si asciugò in fretta le lacrime dal viso, rimettendosi a sedere. “Quella dannata IA…”, mormorò. Aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, quando le era sembrato di sentire dei passi provenire da fuori, ma sentire la voce di Thane l’aveva fatta trasalire. Ormai era troppo tardi per fingere di non aver sentito. “Apri la porta, EDI”, disse rassegnata. Si sarebbe inventata qualcosa, qualsiasi cosa.
Lui esitò per un istante, notando che l’interno dello stanzino era avvolto nell’oscurità. “Shepard?”
“Entra, ma… per favore, lascia le luci spente”, disse lei, appena prima che Thane potesse attivare l’illuminazione dal pannello di controllo.
Lui passò oltre, facendo attenzione a non inciampare, e la raggiunse, sedendosi accanto a lei sul pavimento freddo.
“Come sapevi… voglio dire, che ci fai qui?”, gli domandò lei, senza sollevare lo sguardo da terra.
“Volevo solo accertarmi che nessuno stesse distruggendo la tua nave”.
Lei tirò su col naso, cercando un fazzoletto di carta nelle sue tasche, senza fortuna. “Dopo questa, credo proprio di aver toccato il fondo con te”, disse, curvando le labbra in un sorriso rassegnato.
“Shepard…”
“No, lascia stare. Non dire una parola. Dimentica tutto…”, sospirò lei. “Anche se, probabilmente, ti sarà impossibile. Memoria perfetta”.
“Shepard…”
“Ne avevo bisogno, ok? Non sono abituata a stare ferma a letto con una dannata ferita che mi impedisce anche i movimenti più elementari. E non è colpa tua, mettitelo in testa… Ho fatto un errore, ieri… Ho ignorato il dannato segnale, pensando che avrei richiuso il portellone in tempo. Sono stata un’incosciente dall’inizio alla fine e ho messo in pericolo sia te che Garrus. Ho ritardato la missione, ogni giorno che passa sempre più coloni verranno rapiti, e tutto solo per colpa mia…”
“Shepard…”
“E poi ti ho anche forzato a restare con me, come una ragazzina egoista e capricciosa, fregandomene di cosa invece volessi tu”, si portò una mano sulla fronte, sorridendo nervosamente, “Dio, come sono arrivata a questo punto? Mi hanno affidato una cazzo di nave, la fottutissima Normandy! Risorse illimitate, un intero equipaggio a disposizione e io… io proprio non… Sono solo un’idiota, una maledettissima idiota…”
“Shepard…”
“Che c’è?!”, stavolta urlò quasi, voltandosi a guardarlo. Non si era resa conto di essere appena diventata una bomba ad orologeria, completamente avvolta in un’aura azzurra.
L’attimo dopo, senza neppure rendersene conto, le labbra di Thane erano premute contro le sue, gli occhi chiusi, l’energia oscura svanita, riassorbita dal suo corpo che aveva trovato improvvisamente la calma. Adesso, come in un’epifania, si rendeva conto di cos’era quello di cui avesse avuto davvero bisogno fino a quel momento, quello che aveva cercato senza sosta, disperatamente. Senza farsi domande, liberò la mente da ogni altro pensiero e si abbandonò a lui, a quel sapore nuovo, alla consistenza sconosciuta delle sue labbra, alle sue mani che le accarezzavano dolcemente il volto… e, finalmente, tornò ad essere di nuovo Andromeda, prima ancora che Shepard.



 


Scusate per l'immenso ritardo con cui mi ritrovo e mi ritroverò a recensire, ma fino al 5/09 purtroppo il mio tempo è limitato. Un grazie di cuore a chi pazientemente continua a seguire le mie storie deliranti. E un grazie immenso anche ad Altariah per questo. Non è meraviglioso?
   
 
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