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Autore: Kiki75    04/03/2008    5 recensioni
Ennis si sente sopraffatto dal senso di colpa e dal vuoto con il quale a poco a poco ha colmato la propria vita. Ma a volte, è sufficiente avere il coraggio di guardarsi dentro, accettare anche quello che non ci piace... e magari provare a cambiarlo (da "I segreti di Brokeback Mountain").
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Come sei veramente
Tonight tonight*

Tonight, so bright

Tonight
We'll crucify the insincere tonight
We'll make things right, we'll feel it all tonight
We'll find a way to offer up the night tonight
The indescribable moments of your life tonight
The impossible is possible tonight
Believe in me as I believe in you, tonight

La ciliegina sulla torta era stata quel bastardo di un furgone che si era rifiutato di partire: perfetto completamento al litigio di pochi istanti prima, terminato con Ennis in ginocchio con le gambe molli come gelatina, a singhiozzare senza ritegno fra le braccia di Jack che, dopo avergli vomitato addosso i peggiori degli improperi, cercava ora di consolarlo, inutilmente, e si era lasciato andare alle lacrime a propria volta.
Quando si erano resi conto che il furgone di Ennis era pressoché inservibile (il motore sembrava non avere alcuna voglia di accendersi, malgrado tutti i loro sforzi: non che ci capissero molto di meccanica), Jack si era offerto di dargli un passaggio fino alla stazione di servizio più vicina, ma Ennis aveva rifiutato, dicendo che se la sarebbe fatta a piedi fino alla prima cabina telefonica, e da lì avrebbe chiamato un carro attrezzi: non gli piaceva lasciare i suoi due cavalli nel rimorchio da soli per troppo tempo.
"Già, certo", aveva ribattuto Jack. Era visibilmente ancora nervoso. "Qui siamo in culo al mondo, dove credi di trovarla una cabina telefonica? Sarà almeno a dieci miglia, rischi di lasciare i cavalli da soli per chissà quante ore, e sta già facendo buio. Quando avrai chiamato qualcuno, sarà già mattina."
"Farò l'autostop."
"Con le macchine che passano da qua, fai prima ad arrivare a un telefono."
Ennis aveva alzato le spalle, con noncuranza. "Questo è un problema mio."
Jack allora si era scaldato: "Ennis, cazzo, vuoi mettere da parte per una volta quel maledetto orgoglio e accettare l'aiuto di una persona che ti vuole bene?"
E per evitare una nuova discussione, Ennis aveva messo da parte l'orgoglio e aveva accettato l'aiuto.
Nel furgone però, il gelo fra loro era palpabile. Erano partiti da neanche cinque minuti, Jack al volante, cupo e silenzioso, Ennis al lato passeggero, la tesa del cappello calata sugli occhi, lo sguardo al finestrino, le montagne con le cime ancora innevate che gli scorrevano davanti, oltre il guard rail.
Si sentiva esausto, svuotato. Era stata proprio una bella sfuriata, come non era mai capitato loro prima d'ora. E non era servita a chiarire le cose, come talvolta accade quando ci si confessano segreti e sentimenti nascosti: al contrario, non aveva fatto altro che accrescere il reciproco astio. Nell'impeto della collera, Jack si era fatto sfuggire di essere andato in Messico, a cercare quello che Ennis non gli dava, non gli poteva dare, non gli voleva dare. Ennis, accecato dalla gelosia e dal furore, l'aveva minacciato che, se per sua sfortuna fosse venuto a sapere tutto quello che Jack aveva fatto a sua insaputa, sarebbe potuto arrivare a ucciderlo. Ciò che aveva pensato, ma che aveva tenuto per sé, era che lui da vent'anni viveva, anzi trascinava la sua meschina e grigia esistenza, in funzione di quei pochissimi giorni che poteva trascorrere con Jack, in segreto da tutti, nascosti fra le montagne; e Jack invece, cosa faceva? Quando non poteva avere Ennis, prendeva e andava in Messico a farsi le sue abbuffate di sesso, e quando se ne stava in Texas aveva pure una relazione extraconiugale con la moglie di un amico.
O così gli aveva detto Jack: Ennis sospettava che avesse una relazione con il marito della suddetta moglie, ma non gli aveva domandato niente.
Quella sfuriata gli aveva lasciato nel cuore un turbine di sentimenti contrastanti: gelosia, collera, risentimento, amarezza. Ma anche senso di colpa, un senso di colpa straziante. L'unica persona che avesse mai amato con una tale intensità, a parte le figlie, stava soffrendo profondamente, tanto che si era ritrovata costretta a fare cose che non avrebbe mai fatto in circostanze normali, e questo a causa sua, dei suoi tentennamenti, delle sue paure. Capiva perfettamente che se avesse accettato di vivere con lui (e nel corso di quei vent'anni, Jack gliel'aveva chiesto più e più volte, diventando quasi ossessivo), Jack non avrebbe mai cercato qualcosa di diverso.
"Riuscissi almeno a lasciarti, porca di una puttana troia!" gli aveva gridato, al colmo della rabbia, della frustrazione.
Dunque, lo amava a tal punto?
Si chiese cosa sarebbe stato di loro se quel giorno ormai lontano dell'agosto del '63, a Signal, anzichè andarsene salutandolo gelidamente seguendo la ragione, avesse seguito il proprio cuore, e l'avesse baciato e abbracciato e gli avesse confessato che non avrebbe voluto lasciarlo andare via, che non avrebbe voluto lasciarlo mai. Forse la loro relazione non avrebbe funzionato e sarebbe comunque finita in poco tempo: se le coppie eterosessuali avevano le proprie magagne, figurarsi una coppia di checche, fra l'altro con caratteri diversi come il giorno e la notte. O forse... forse le cose avrebbero potuto funzionare, nonostante tutti i problemi a cui avrebbero dovuto far fronte.
Forse aveva ragione Jack, quando diceva che la loro vita avrebbe potuto essere maledettamente bella, maledettamente dolce, maledettamente perfetta, se solo Ennis non si fosse fatto tutti quegli stupidi problemi.
Ma ormai non si poteva tornare indietro: erano passati quasi vent'anni, loro non erano più ragazzi, erano successe tante, troppe cose, e il loro rapporto si stava lentamente sgretolando, deteriorando, proprio come i loro corpi e i loro visi con l'avanzare dell'età. Troppi silenzi, troppe bugie, e non solo verso le rispettive famiglie e verso il resto della gente: anche fra loro due. E questo non andava bene. Prima che amanti erano (o erano stati, temeva Ennis) amici; più che amici, fratelli; più che fratelli, anime gemelle: Jack gli aveva sempre detto tutto, e anche Ennis, che di solito era riservato fino al midollo, con Jack riusciva naturalmente a sciogliersi e confidarsi. Nel '63, sulla Brokeback, dopo nemmeno due settimane trascorse con lui, si era stupito di quanto fosse riuscito ad aprirsi. Aveva parlato e riso molto di più in quei giorni, con Jack Twist che conosceva appena, che in un anno intero con i suoi fratelli e con Alma.
Ma perchè Jack non gli aveva mai parlato apertamente della propria frustrazione, dei propri bisogni, dell'intenzione di andare in Messico? Perchè non gli aveva mai detto, Senti Ennis, io così non ce la faccio più. Ho bisogno di te, ho bisogno della tua compagnia, non mi basta più qualche scopata ad alta quota tre o quattro volte all'anno: non mi è mai bastata, del resto. Per cui, se ti va, possiamo provare a mettere in pratica la proposta che ti feci quella sera, quando ci rivedemmo per la prima volta dopo quattro anni di lontananza, e che ti ho ripetuto svariate volte in questi anni, per ricevere in risposta nient'altro che dei calci nei denti. Altrimenti, sappi che...
Non gliel'aveva mai detto, perchè sapeva quale sarebbe stata la risposta: l'ennesimo calcio nei denti. E poi, era vero che non gliel'aveva mai detto? Non apertamente, forse. Non gli aveva mai fatto un discorso del genere. Ma velatamente...
Ed Ennis si rendeva conto che era tutta colpa sua. Colpa di quel suo maledetto caratteraccio. Alma una volta gli aveva detto che aveva un carattere selvatico, ma Ennis pensava che si fosse appena avvicinata al punto chiave del problema. Non solo aveva un carattere selvatico: aveva un carattere assolutamente impossibile. Era un vigliacco, punto e basta. Faceva tanto il duro con gli altri, per poi avere paura di sé stesso, dei propri desideri, dei propri istinti.
Come faceva Jack ad amarlo tanto? E se non era mai riuscito a mollarlo, malgrado tutto... bè, doveva amarlo davvero tanto.  
Avrebbe voluto fare pace. Prima di arrivare a quella dannata cabina telefonica, doveva mettere da parte l'orgoglio e cercare di chiarirsi con Jack. Non potevano lasciarsi, per poi non rivedersi più fino a novembre (Cristo, erano solo all'inizio di maggio), trascorrendo tutti quei mesi con l'animo pieno di rancore.
"Jack, io..." tentò. "Volevo dirti... per prima..."
"Lascia perdere", fu la ghiaccia risposta, ed Ennis si sentì come se i ruoli si fossero invertiti: non era Jack a cercare sempre di fare pace, mentre lui si chiudeva nei propri ostinati silenzi?
Fu tentato di tacere, come al solito, ma se per chiarire le cose doveva in qualche modo invertire i ruoli, tanto peggio, l'avrebbe fatto. A cosa gli era servito, fino ad oggi, l'orgoglio? Solo a rovinare le vite di tutti quelli che amava, e non solo di Jack: era da qualche tempo che questo pensiero gli stava frullando in testa come un fastidioso insetto, impossibile da scacciare. Anzi: a volte, ultimamente, lo teneva sveglio anche di notte.
"Senti... mi dispiace. Mi dispiace per prima... e per tutto quanto."
Jack lo guardò appena, poi ritornò a guardare la strada. "Ti dispiace", ghignò. "Sai solo dire che ti dispiace. In vent'anni, lo avrai detto centinaia di volte, ma mai una volta che poi tu ti sia deciso ad agire di conseguenza."
"Hai ragione", sbottò Ennis. "Ma cosa volevi che facessi? Cos'avrei potuto fare?"
"Lo sai benissimo, e io non ho più voglia di ripetertelo."
"Ascolta... non potevo lasciare le mie bambine, sono l'unica cosa che mi è rimasta. Anche dopo il divorzio..."
"Se tu me l'avessi chiesto, lo sai che io per te sarei stato pronto anche a lasciare mio figlio."
"Bè, io non sono come te."
"No, infatti: sei peggio. Perchè fai tante storie per le tue bambine, ma in fin dei conti che padre sei stato? Io almeno, a mio figlio mi sono sempre interessato. Vengo qui a scopare con te, sono andato diverse volte in Messico, ho un'altra relazione... ma per Bobby, quando ha bisogno, ci sono sempre. Non eri tu invece a dirmi che ti dispiaceva tanto, ma il rapporto con le tue figlie era quasi peggio di quello con tua moglie, specialmente dopo il divorzio e dopo che Alma si è risposata?"
"Non hai il diritto di rinfacciarmi queste cose!" esclamò Ennis, piccato. Come sempre, Jack sembrava capace di leggergli nella mente.
"Sì, invece", anche il tono di Jack si stava alzando: la rabbia di pochi minuti prima, che non l'aveva del tutto abbandonato, stava di nuovo straripando. Guardò Ennis con occhi fiammeggianti. "Perchè tu fin dall'inizio ti sei sempre parato dietro il fidanzamento, poi tua moglie, o le tue bambine, o il lavoro, o l'apparenza di normalità, o quel cavolo d'altro che ti veniva in mente in quel momento, ma non ti sei mai accorto che stavi solo prendendo in giro tutti quanti, te compreso? Tu..."
Dopo la curva, un grosso alce stava attraversando la strada.
"Attento!" gridò Ennis, notandolo con la coda dell'occhio, buttando istintivamente le mani sulle braccia di Jack, per farlo sterzare. Jack sterzò bruscamente, frenando secco, ma la manovra improvvisa fece schiantare il furgone contro il guard rail, sfondandolo, per poi precipitare giù nella scarpata.

Ennis riprese a poco a poco i sensi. Aveva un mal di testa del diavolo, si sentiva indolenzito dappertutto, e una caviglia gli pulsava, pesante e dolente, come un palloncino pieno d'acqua. Era in posizione seduta, e tutto intorno a sé sentiva silenzio e oscurità, densi ed opprimenti.
Era stanco. Non voleva aprire gli occhi.
Cosa diavolo era successo?
Non lo ricordava, e non era sicuro di volerlo ricordare. Molto meglio starsene lì, in quel nido buio e rassicurante. Il dolore era sopportabile: se si fosse mosso, l'avrebbe certamente risvegliato.
"Ennis..."
Qualcuno lo stava chiamando, da lontano. Una voce fioca, debole.
La voce di Jack, quasi irriconoscibile.
"Ennis, dove sei?"
Ennis ricordò tutto quello che era successo prima: aveva confessato a Jack che non avrebbe potuto vederlo prima di novembre a causa del lavoro, al che ne era uscita quella tremenda litigata, il furgone rotto, il passaggio, la nuova discussione, l'alce...
"Jack!" Si tirò su bruscamente, aprendo gli occhi, ma il dolore alla testa gli fece sfuggire un gemito. Si portò la mano alla fronte e sentì che era bagnata, di un liquido caldo e appiccicoso. Sangue. Si tastò con cautela; aveva un brutto taglio, completo di bernoccolo tutto intorno, che gli attraversava in diagonale la fronte, dall'attaccatura dei capelli fino a tutta la tempia sinistra, ma non sembrava nulla di grave.
Il grave era che Jack non era vicino a lui, al posto di guida. Lo sportello era aperto, da quel lato. Doveva essere stato sbalzato fuori, e forse era stato meglio così, perchè da quella parte, il cruscotto era talmente accartocciato contro al sedile che nemmeno una formica avrebbe potuto evitare di essere stritolata.
"Ennis..."
"Sono qui, Jack, sono in macchina!"
Tutto intorno era buio. Era scesa la notte. Quante ore erano trascorse dall'incidente? L'orologio sul cruscotto segnava ancora le 18.44, doveva essersi fermato, ed Ennis non possedeva un orologio da polso.
Provò ad alzarsi e si rese conto di avere la gamba sinistra incastrata fra il sedile e il cruscotto. Ecco perchè la caviglia gli doleva. Fortunatamente, di incastrato c'era solo quello: dalla sua parte, il furgone non si era accartocciato facendogli fare la fine del topo.
Doveva liberarsi. Tirò, ma faceva un male del diavolo. Tentò di far scivolare la gamba, prima a sinistra e poi a destra. Verso sinistra non c'era spazio, ma verso destra, verso lo sportello, con un pò di sforzo...
Tirò la gamba in quella direzione, aiutandosi con le mani strette sulla coscia. Un pò di sforzo, e un bel pò di dolore. Grugnì, a denti stretti. Non ce l'avrebbe mai fatta, faceva troppo male.
"Ennis!"
La voce di Jack era davvero irriconoscibile. Perchè poi lo stava chiamando, e non lo raggiungeva? Evidentemente non era in grado di muoversi. Ennis si costrinse a non pensare a come poteva essere ridotto. Sperò che avesse semplicemente una gamba rotta, o tutte e due, niente di troppo grave, niente di mortalmente grave, ma che comunque gli impedisse di raggiungerlo, e gli facesse abbastanza male da stravolgergli la voce.
Aveva bisogno di lui, in ogni caso. Dolore o no, doveva liberarsi e correre ad aiutarlo.
"Arrivo subito!"
Riafferrò la coscia e, con tutte le proprie forze, spinse la gamba verso lo sportello. Il dolore alla caviglia raggiunse il culmine, e non riuscì a trattenere un grido soffocato, ma finalmente, era libero.
"Ennis, stai bene?"
"Tutto bene, Jack", gemette Ennis, boccheggiando. Non andava bene per niente, ma al diavolo. "Un secondo e sono da te!"
Provò ad aprire lo sportello, ma la serratura doveva essere incastrata. Cazzo, non uscirò più di qui. Diede una spallata allo sportello, con tutto il peso del corpo, più per la rabbia che con la speranza di aprirlo: e invece si aprì e, con un grido di sorpresa, Ennis si ritrovò catapultato fuori, sull'erba, con la parte superiore del corpo, le gambe ancora sul sedile.
"Jack, arrivo!" Strisciò fuori dal furgone, nell'aria ormai fredda della notte, e tentò di alzarsi. Gli girava la testa e quel maledetto piede gli faceva vedere le stelle, ma dannazione, ce l'avrebbe fatta. Si guardò intorno, registrando appena che il furgone doveva essere precipitato ruzzolando per almeno una ventina di metri, e la sua caduta era stata frenata da un gruppo di alberi - non era quello che gli interessava in quel momento - e infine eccolo là, Jack, più in alto di lui di circa cinque metri, sulla destra del furgone di circa una decina. Aveva fatto un bel volo.
Corse da lui, anzi zoppicò da lui, imprecando ad ogni passo: la caviglia doveva essere rotta, la sentiva gonfiarsi dentro lo stivaletto. Avrebbe dovuto toglierlo al più presto, altrimenti non ci sarebbe più riuscito.
Prima, Jack. Poi avrebbe pensato allo stivale.
Infine, lo raggiunse. Era sdraiato sulla schiena, pallidissimo, tremante, gli occhi chiusi, gli abiti sporchi di erba e terra. Anche lui era ferito alla testa, un brutto squarcio sul lato destro, fra i capelli, che grondava sangue sull'erba tutt'intorno, ma non sembrava avere nient'altro di anormale.
Come se non fosse sufficiente una ferita alla testa per uccidere una persona.
"Jack... piccolo..." Da quanto tempo non l'aveva chiamato così? Tanto, troppo. Ennis s'inginocchiò vicino a lui, prese un fazzoletto pulito dalla tasca del giubbotto e iniziò a tamponargli delicatamente la ferita. Aveva paura, toccandolo, di fargli del male.
Jack aprì gli occhi, che erano vitrei e appannati, e lo guardò. Il suo respiro era irregolare, sibilante. "Ennis... stai bene? La tua faccia..."
Ennis sentiva il sangue sul viso: la ferita che aveva in testa doveva averglielo ridotto a una maschera rossa. "E' solo un graffio. Tu piuttosto, come ti senti?"
"Mi fa male la testa. E... il bacino... e tutto dentro allo stomaco..." come per sottolineare le sue parole, Jack vomitò improvvisamente un fiotto di sangue e scoppiò in un accesso di tosse; Ennis sentì il cuore stretto da una morsa di ghiaccio. D'istinto, nel tentativo di aiutarlo a respirare, cercò di sollevarlo a sedere, ma Jack gemette ed Ennis, con garbo, lo sdraiò nuovamente sull'erba - idiota, cosa ti salta in mente di spostare un ferito? "Scusa... scusa, volevo solo..."
"Fa male", si lamentò Jack, tenendosi il torace con una mano, ed Ennis si rese conto della gravità della situazione: Jack probabilmente aveva qualche costola fratturata, forse un'emorragia interna, forse la spina dorsale... Dio, no, questo no.
Con le lacrime agli occhi, gli carezzò piano i capelli e si costrinse: "Stai tranquillo, andrà tutto bene. Starai bene. Andrà tutto a posto."
"Bugiardo..." Jack sorrise fiocamente.
"No, davvero. Adesso ti porto qualche coperta, poi vado su e chiamo qualcuno. Farò il prima possibile. Tu però prometti di non fare scherzi, intesi?"
"Non andare via", gemette Jack. "Non voglio morire da solo..."
Ennis si sentì gelare. "Non morirai, infatti. Non dirlo neanche per scherzo."
Jack lo guardò, i suoi occhi confusi improvvisamente svegli, lucidi. Alzò una mano e lo prese debolmente per il collo del giubbotto, attirandolo a sé. "Ennis, ascolta... perdonami per quello che ti ho fatto..."
"Sst. Lascia stare. Va tutto bene, non pensarci. Ne parleremo quando ti sarai ripreso."
"No, davvero, ascoltami... perdonami per il Messico... perdonami per quella relazione... sai, non era la moglie di quell'amico... era proprio l'amico..."
"L'avevo capito, sciocco", Ennis sorrise fra le lacrime. "Ma ora non stancarti, non parlare..."
Anche Jack stava piangendo, ora. "Non sapevo più dove sbattere la testa... so che non è una buona scusa, ma... avrei voluto... trascorrere tutta la mia vita con te... io... so che non volevi che te lo dicessi... ma... ti amo, Ennis... ti amo davvero..."
Le parole di Jack colpirono Ennis come una stilettata. In vent'anni non si erano mai detti "ti amo", come se all'inizio della loro travagliata relazione avessero stipulato un tacito accordo che proibiva loro di dirsi una cosa del genere: due parole, pesanti come piombo, che se pronunciate avrebbero potuto cambiare tutto, forse in meglio, forse in peggio. Se si fossero detti quelle parole, forse le più vere che avrebbero mai potuto dirsi, come avrebbero potuto continuare a vedersi in segreto, dai due ai sette giorni, tre o quattro volte al massimo ogni anno?
Ma due maledetti finocchi non potevano dirsi "ti amo". Era Ennis a crederlo, Ennis ad avere scritto il contratto, e Jack, pur di stare con lui quel poco, aveva accettato di sottoscriverlo. Se Ennis avesse voluto, sarebbe stato più che contento di dirgli che lo amava; sarebbe stato contento di mettere tutto nero su bianco, e finalmente, esternare la loro relazione, e...
Ennis scoppiò in singhiozzi, sopraffatto dal senso di colpa, sopraffatto dal vuoto con il quale a poco a poco aveva colmato la propria vita.
"Ennis..." Jack gli portò una mano alla guancia.
"E' stata tutta colpa mia", singhiozzò Ennis, prendendogli la mano. Era fredda, Dio com'era fredda. "Sono stato un vigliacco, un egoista... avevi ragione, prima, quando hai detto che sono capace solo di fare soffrire tutte le persone che mi vogliono bene..."
"Ennis, non importa... non importa più..."
"Ma è la verità!" esclamò Ennis. Tutto ad un tratto, sentiva il bisogno di confessarsi, sentiva il bisogno che Jack sapesse ciò che pensava davvero. Perchè forse, Dio non volesse, non avrebbe avuto un'altra occasione. "E mi dispiace così tanto... lo so che non serve a niente dirlo, ma questa volta ti prometto... ti giuro... che proverò a cambiare..."
"Fallo per le tue figlie... non è troppo tardi."
"No, lo farò anche per te. Io... ti amo, Jack. Ti amo e ti ho sempre amato, e perdonami se non te l'ho mai detto, perdonami se non volevo che tu me lo dicessi..."
Singhiozzavano entrambi apertamente, ora, ma Jack sorrise. "Abbracciami, Ennis... ho così freddo", mormorò. Ennis l'abbracciò, piano, senza stringerlo, bagnandogli il viso con le proprie lacrime, appiccicandoglielo con il proprio sangue. "Grazie", sussurrò Jack al suo orecchio, passandogli un braccio intorno al collo. "Ho aspettato vent'anni perchè tu me lo dicessi... ma ne valeva la pena."
"Che idiota sono stato, eh?"
"Non preoccuparti. Ora va bene. Va tutto bene. Solo... mi faresti un favore?"
"Certo, tutto quello che vuoi, cowboy."
"Quando vedrai Bobby... mio figlio... digli che gli voglio tanto bene, che gliene ho sempre voluto. Solo questo."
"Non dire sciocchezze. Glielo dirai tu."
"Promettimelo, Ennis."
Ennis provava una pena terribile. Basta, Jack, ti prego, non dire così. "Te lo prometto."
"Grazie..." bisbigliò Jack. Poi, chiuse gli occhi e si lasciò andare, e il suo braccio scivolò di nuovo per terra.
"Jack", sibilò Ennis, con un filo di voce. Non poteva, Dio, Jack non poteva essere...
Febbrilmente, trattenendo il respiro, ma a un tempo cercando di mantenere la calma, gli premette due dita sotto al collo. Il battito c'era, debole e irregolare, ma c'era. Jack aveva solo perso i sensi, per lo chock e il dolore.
Ma senza aiuti, e in fretta, non ce l'avrebbe fatta.
Non c'era tempo da perdere.

Il freddo della notte stava diventando pungente, la testa gli doleva, la caviglia non lo reggeva più e minacciava di cedere a ogni movimento. Ma Ennis era tornato al furgone, e stava ora prendendo dal bagagliaio, che grazie al cielo si era aperto senza fare storie, le due coperte di lana, il sacco a pelo e la tenda. Aprì la valigia di Jack e tirò fuori una maglietta, una camicia, un maglione. La sua mente intanto turbinava come un vortice. Se avesse avuto fortuna, molta fortuna, per la strada avrebbe trovato subito qualcuno, magari un camionista ritardatario o una guardia forestale, ma Ennis temeva che la ricerca di aiuto, in quel posto in culo al mondo, come l'aveva definito Jack, avrebbe richiesto parecchie ore - aveva guardato l'orologio di Jack ed erano già le undici, chi mai sarebbe potuto passare di là a quell'ora, in una direzione o nell'altra? Da quando si era risvegliato, non aveva ancora sentito rombi di motore passare sulla strada sopra le loro teste, e non era un buon segno.
L'unica speranza era appunto la fortuna: un automobilista che si trovasse lì casualmente, o una cabina telefonica abbastanza vicina. Non avrebbe potuto camminare molto con un piede in quelle condizioni, soprattutto dopo avere risalito venti metri di pendio.
E se invece di andare verso la città fosse tornato indietro, dal suo furgone con i cavalli? Avrebbe potuto prenderne uno e arrivare verso la salvezza più velocemente... ma era fuori questione: si erano allontanati troppo. Quanto tempo era passato da quando erano partiti all'incidente? Quindici, venti minuti? Quante miglia avrebbe dovuto camminare verso un luogo ancora più ameno di quello in cui si trovavano ora, su di un pezzo di strada in cui, ne era sicuro, di cabine telefoniche non c'era nemmeno l'ombra? Cinque, sette, dieci?
Ennis sperava che, avanzando verso il paese, una cabina telefonica sarebbe stata più vicina. Che diavolo di amministrazione non ne piazzava almeno una ogni dieci, quindici miglia, in una strada del genere, per aiutare eventuali automobilisti in difficoltà?
E c'era un altro problema, che purtroppo non aveva soluzione. Mentre lui era via, Jack poteva venire attaccato da animali selvatici: lupi, forse, o magari un orso. Non erano più nel bosco, ma la possibilità, seppur remota, c'era: Jack era ferito, un animale affamato avrebbe potuto essere attirato dall'odore del sangue. Non avevano portato fucili, e comunque dubitava che Jack sarebbe stato in grado di sparare, anche se avesse ripreso conoscenza. Ridotto com'era, non avrebbe potuto difendersi nemmeno da un cucciolo di volpe.
Ma non aveva altra possibilità: doveva lasciarlo da solo e andare in cerca di aiuto. Se avesse aspettato che passasse un'automobile, avrebbe potuto stare lì in attesa fino alla mattina successiva, forse anche fino al pomeriggio. E Jack...
Quei pensieri gli frullavano in testa, distraendolo da quello che doveva fare, ed Ennis si costrinse a bloccarli. Con il suo carico fra le braccia, tornò da Jack e, per prima cosa, gli fasciò la testa con la maglietta, avvolgendola come un turbante. Poi, per isolarlo dal freddo del terreno, cercando di spostarlo e muoverlo il meno possibile, gli fece passare la tenda e una delle coperte sotto al corpo. Lo coprì con il sacco a pelo e con l'altra coperta piegata in due, per poi proteggerlo ulteriormente dal freddo ripiegandogli la tenda sulla montagna di tessuto che lo ricopriva. Infine, ripiegò il maglione, vi avvolse sopra la camicia, e fece scivolare il cuscino sotto al collo di Jack, girandogli il capo verso sinistra, per evitare che soffocasse nel proprio sangue se avesse vomitato di nuovo. Durante tutta l'operazione, che aveva richiesto una quindicina di minuti, gli controllò il battito cardiaco altre due volte. Sempre uguale, debole ma stabile.
Lo baciò piano sulle labbra un'ultima volta. "Resisti, piccolo mio. Torno subito."
Poi, si rialzò e si avviò.

Era riuscito a risalire il pendio dov'erano ruzzolati entrambi con il furgone, e chissà da quanto stava camminando: Ennis aveva perso il conto del tempo. Nella fretta, non aveva pensato di mettersi al polso l'orologio di Jack, ma ora se ne stava pentendo. Troppo tardi, caro mio, arrivi sempre tardi. Non poteva avere fatto molta strada, non con quella caviglia malandata, ma sebbene camminasse lentamente, non si era mai fermato - forse la caviglia non era fratturata, non avrebbe potuto camminare tanto sopra un osso rotto. Si sentiva stanco, stanco e dolorante e preoccupato e furibondo: nessuno per strada, niente telefoni, niente di niente. La sfortuna si stava accanendo contro di loro, da quando quel suo ferrovecchio si era rifiutato di partire.
Non avrebbero mai più trascorso un week-end in un luogo tanto in culo al mondo. La prossima volta, sarebbero andati tutti e due in Messico.
Iniziò a pensare che forse avrebbe fatto meglio a tornare indietro dai cavalli. Se non altro, avrebbe avuto la certezza che, presto o tardi, li avrebbe raggiunti, ne avrebbe preso uno, e avrebbe velocemente raggiunto la città, fermandosi di nuovo da Jack sulla strada del ritorno, per accertarsi delle sue condizioni. Così invece, non aveva più certezze. Non sapeva cos'avrebbe trovato, e quando: era solo costretto ad andare avanti. 
Ma non ce la faceva più. Stava per sedersi per un secondo di tregua, quando, oltre alla curva questa volta, invece di un alce, ecco il miraggio di una cabina telefonica.
Ennis la raggiunse, affrettando il passo quanto più poteva, si fiondò dentro cercando il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans, si rovesciò nel palmo della mano tutte le monete che aveva, facendone cadere alcune a terra, e prima di inserirne una sganciò la cornetta, appoggiandosela all'orecchio.
Tuuuuuuuuuuuuuuuuu.....
Il segnale era strano, sembrava quasi che la linea fosse interotta. Ad Ennis ricordò il suono di un elettrocardiogramma piatto.
No, Dio, no, ti prego, no...
Inserì due monete, compose con mano tremante il numero del pronto intervento.
Dio, ti prego, ti prego, ti prego...
Tuuuuuuuuuuuuuuuuu.....
Calma, s'impose. Calma. Riproviamo.
Riagganciò la cornetta, riprese le monete. Sganciò la cornetta, la strinse al cuore che gli batteva nella gola, reinserì le monete, più altre due di quelle che teneva nella mano stretta nervosamente a pugno. Ricompose il numero e si portò la cornetta all'orecchio. 
Tuuuuuuuuuuuuuuuuu.....
"Cazzo, dannazione, cazzo!" gridò, sbattendo giù la cornetta e picchiando il pugno contro l'apparecchio telefonico. La sfortuna si stava davvero accanendo contro di loro, ed Ennis si sentì come se una cappa nera gli fosse caduta sulla testa. Jack non ce l'avrebbe fatta, era troppo grave, forse era già morto.
Si portò le mani alla faccia come per impedirsi di impazzire, e scoppiò in lacrime, appoggiato alla parete di vetro della cabina - in un barlume di lucidità, si costrinse a non scivolare a sedere, perchè temeva che non si sarebbe più rialzato. "Jack, mi dispiace... perdonami, mi dispiace", singhiozzava. Non sapeva più come fare, non sapeva cosa fare.
Il rumore di un motore, da lontano. Poi una luce, dei fari di automobile che arrivavano dalla parte del paese, della salvezza.
Ennis si fiondò fuori, era la loro occasione, forse la loro ultima possibilità. A velocità piuttosto sostenuta, ecco arrivare un'auto, una jeep.
Ennis si buttò in mezzo alla strada, gridando, gesticolando, sbracciandosi, e la jeep frenò bruscamente, le ruote che stridevano, lasciando il segno dei copertoni sull'asfalto, fermandosi a venti centimetri da lui. Ne scese un giovane guardiacaccia, un ragazzo alto dai capelli rossi che a fatica poteva avere venticinque anni: "E che cavolo..." sbottò, con rabbia. Poi, vedendo Ennis in quelle condizioni, lacero, stravolto, zoppicante, con il viso insanguinato, la sua espressione si fece preoccupata e gli si avvicinò: "Ehi, signore...?"
Ennis gli corse incontro, lo afferrò per le spalle, sconvolto, singhiozzando disperato. Tutto il nervosismo di quelle ore stava straripando, incontenibile. "La prego, mi aiuti, la prego..."
"Che cos'è successo? Si sente male? Ha avuto un..."
"C'è stato un incidente... il furgone è finito giù per la scarpata, il mio amico è là indietro, sta morendo... per favore, lo aiuti..."
Il guardiacaccia gli passò un braccio sulle spalle, rassicurante: "Coraggio, venga in macchina. Ho una radio, chiameremo subito qualcuno, intanto noi andiamo dal suo amico, va bene?"
Ennis si lasciò condurre alla jeep, continuando a ripetere: "Lo aiuti, per favore... non lo lasci morire..."

Nel tragitto, Ennis riuscì a riprendere il controllo e, ripulendosi il viso e tamponandosi la ferita con delle salviette medicate che il guardiacaccia gli aveva offerto, spiegò al ragazzo ciò che era successo, cercando di descrivergli il più accuratamente possibile le condizioni di Jack, che volo avesse fatto e quanto giù nella scarpata si trovasse. L'agente, che si trovava per strada per il solito giro di ricognizione notturna, chiamò la centrale, suggerendo al collega di inviare un elicottero per i soccorsi, e chiese ad Ennis come si sentisse lui, piuttosto. Ennis rispose che stava bene; in realtà, già da un pò sentiva piede e caviglia gonfi al punto di far esplodere lo stivale, ma la sua unica preoccupazione era per la vita di Jack, e la sua mente concentrata a non pensare al peggio: se lo avesse fatto, sarebbe impazzito. Il piede era un problema lontano, remoto, a cui avrebbe pensato in un secondo tempo.
Arrivarono sul luogo dell'incidente dopo dieci minuti di viaggio, ed Ennis si stupì: gli sembrava di avere camminato per ore. Guardò l'orologio sul cruscotto, e non era nemmenno mezzanotte. Scese dalla jeep e, da giù, gli arrivò la voce di Jack, più roca e debole che mai: "Ehi! C'è qualcuno lassù? Aiuto! Aiuto, per favore, aiutatemi!"
Sentire la voce di Jack alleggerì il cuore di Ennis, che gridò di rimando: "Jack, sono io, sono tornato! Stai bene?"
"Ennis! Grazie al cielo, Ennis..." esclamò Jack, poi iniziò a tossire.
"Jack, stai calmo, non parlare!" Ennis fece per precipitarsi giù per la scarpata, ma l'agente lo trattenne per un braccio: "Signore, è troppo ripido. L'elicottero arriverà a momenti, aspettiamo qui."
"Se lei vuole aspettare, aspetti pure. Io torno dal mio amico", dichiarò Ennis, e si liberò con uno strattone. "Stai tranquillo, sei in salvo!" gridò, iniziando la discesa. "Sono riuscito a trovare un guardiacaccia, fra poco arriveranno i soccorsi!" da sotto, gli giungevano colpi di tosse, seguiti da allarmanti conati di vomito. Quasi più per rassicurare sé stesso che Jack, continuò a gridare: "Resisti, sto arrivando da te! Dammi solo un secondo!"
La salita era stata più semplice. Ennis si accorse di non riuscire a scendere camminando dritto in piedi, forse anche a causa della caviglia e della stanchezza: almeno, non in fretta quanto avrebbe voluto. Si mise carponi, girato all'indietro, con i piedi verso il basso e la testa verso la strada: così sembrava funzionare. Dopo avere preso una torcia dalla jeep, l'agente lo seguì, usando il suo stesso metodo di discesa, con la faccia che diceva Gesù-com'è-strana-la-gente, imprecando a causa delle pietre che lastricavano la prima parte del pendio, scorticando loro il palmo delle mani.
Infine, Ennis raggiunse Jack, che aveva di nuovo vomitato sangue ed era più pallido che mai, ma vivo e lucido. "Jack, piccolo... come stai?" l'abbracciò, piano, baciandolo sulla guancia, e Jack ricambiò debolmente la stretta.
"Ennis... ho avuto una paura... credevo di non vederti più..."
"Tranquillo, piccolo, tranquillo... sono qui da te adesso", Ennis sentiva Jack tremare violentemente fra le proprie braccia, per il freddo e la tensione nervosa. Quando aveva ripreso conoscenza e si era trovato da solo, doveva avere avuto una paura fottuta: Ennis aveva temuto che Jack morisse, e la paura era stata certo tanta, ma cosa poteva avere provato Jack alla prospettiva di poter morire lì, da solo, al buio e al freddo, come un animale in trappola, magari aggredito da una bestia attratta dall'odore del suo sangue? "Va tutto bene, non me ne vado più. Ero andato a cercare aiuto... per fortuna c'era questo guardiacaccia che faceva un giro di ricognizione..."
"Quando ho visto che non c'eri più ho immaginato... ma non sentivo passare macchine, neanche una, e i minuti passavano, e..."
"Sst... ora calmati, va tutto bene, andrà tutto bene. Sta arrivando un elicottero e presto starai di nuovo bene." Ennis si sciolse dall'abbraccio e gli carezzò il viso dolcemente. Era ora di mettere da parte orgoglio, risentimento, vigliaccheria, sciocche paure. "E quando ti sarai rimesso... quella tua proposta è ancora valida? Voglio dire... avresti ancora voglia di venire a vivere con questo mandriano selvatico e taciturno, malgrado tutto quello che ti ha fatto passare in questi anni?"
"Ennis..." Jack aveva gli occhi lucidi di lacrime, ora. "Non me lo stai chiedendo per farmi contento, perchè tanto sai che morirò, vero?"
"Smettila, stupido. Tu non morirai. Ti rimetterai e andremo a vivere insieme... sempre che tu lo voglia ancora."
"Certo che lo voglio ancora, cowboy... è una vita che non aspetto altro."
Il guardiacaccia li raggiunse, illuminandoli con la torcia: "Ehi, tutto bene?"
Ennis annuì.
Da lontano, il rumore di un elicottero che si avvicinava, riempiendo a poco a poco l'aria fredda della notte.

L'ospedale più vicino era quello di Riverton, ed entrambi vennero ricoverati lì, Ennis al pronto soccorso, e Jack direttamente in chirurgia: sull'elicottero, i medici si erano subito accorti che la caduta gli aveva provocato svariate fratture alle costole e alle ossa del bacino, con conseguente emorragia interna; la ferita alla testa e la commozione cerebrale sembravano essere il problema minore. Uno dei medici dell'elicottero tentò di rassicurare Ennis: Jack era molto grave, ed erano passate già diverse ore dall'incidente, ore trascorse al freddo, senza cure mediche: ma se operato con tempestività, ce l'avrebbe certamente fatta.
La caviglia di Ennis era proprio fratturata, e le sue condizioni erano state peggiorate dal fatto che ci avesse camminato sopra: avrebbe dovuto tenere la gamba ingessata fino al ginocchio per almeno un mese. Per la ferita alla testa, invece, bastarono nove punti, e un lungo cerotto. Dopo che lo ebbero ripulito, ingessato e ricucito, Ennis litigò con l'infermiera, una cinquantenne con i capelli tinti di rosso, bassa e larga quanto una botte, che voleva a tutti i costi accompagnarlo in camera, mentre lui voleva andare da Jack, aspettare che uscisse dalla sala operatoria.
"Non può fare niente per il suo amico, ora", insisteva lei. "E' meglio che si faccia una bella dormita, signor del Mar. E' stata una notte lunga anche per lei."
"Non ho sonno, adesso. Voglio aspettare che l'intervento sia finito."
"Appena sarà finito, la chiamerò io."
Alla fine, fu Ennis a desistere. Si lasciò accompagnare in camera, sulla sedia a rotelle, si mise a letto, ma quando l'infermiera se ne fu andata, si buttò addosso il giubbotto, direttamente sul pigiama dell'ospedale, e raggiunse la sala operatoria aiutandosi con le stampelle che gli avevano lasciato di fianco al comodino, appoggiate al muro.
Erano le tre di notte. Ennis avrebbe aspettato le sette per telefonare al suo capo, Car Scrope, per chiedergli di chiamare un carro attrezzi che recuperasse il suo furgone, e riportare i suoi cavalli nella scuderia, sperando che nel frattempo a nessuno fosse venuto in mente di portarseli a casa. Poi avrebbe chiamato Alma Jr., l'avrebbe avvisata dell'accaduto, rassicurata che lui stava benone, e le avrebbe chiesto di portargli qualche indumento pulito - non aveva nessun altro a cui domandare una cosa del genere, e Alma Jr. era l'unica a possedere le chiavi del suo appartamento.
Per fortuna Lureen Twist, la moglie di Jack, era già stata avvertita dalla polizia: quella telefonata gli era stata risparmiata. Se fosse toccata a lui, non sarebbe riuscito a farcela.

Sopraffatto dalla stanchezza, Ennis si appisolò dopo poco su uno dei divani della sala d'attesa, che era deserta. Dopo circa un'ora venne svegliato dalla porta che si apriva, per lasciare uscire Jack, trasportato su di una lettiga a rotelle spinta da un'infermiere, intubato, pieno di fili di elettrodi e flebo e cateteri, la testa bendata.
Ennis si alzò, notò che gli avevano tagliato i baffi - non gli piacevano, gli erano sempre sembrati ridicoli e non aveva mai capito perchè Jack si ostinasse a tenerli, da un anno a quella parte: non si accorgeva che gli stavano da cani? La faccia di Jack era tornata quella di prima, liscia e giovanile (gli anni erano stati molto più clementi con lui, pensò Ennis, il cui viso era segnato da rughe profonde) ma chissà perchè, ora ad Ennis sembrava terribilmente spoglia. Fece per seguire la lettiga, ma venne fermato dal chirurgo.
"Dove lo state portando?" domandò Ennis. "Come sta?"
Il chirurgo lo guardò dubbioso, notando il suo strano abbigliamento, il gesso e il cerotto, ed Ennis si rese conto che avrebbe dovuto presentarsi e spiegare la situazione.
"Mi chiamo Ennis del Mar. Sono... un amico di Jack. Suo cugino. Ero con lui quando abbiamo avuto l'incidente. Come sta?"
Il chirurgo, gentilmente, gli spiegò che le condizioni di Jack erano molto gravi, ma stabili. Aveva perso molto sangue, e nel corso dell'operazione aveva avuto bisogno di due trasfusioni. L'intervento tuttavia era riuscito: l'emorragia era stata tamponata e arrestata, gli organi vitali rimessi a posto e di nuovo perfettamente funzionanti, le fratture ridotte con l'aiuto di perni. Se nelle ore successive non fossero subentrate complicazioni, sarebbe sopravvissuto.
Ennis fu tentato di chiedere che genere di complicazioni, ma quello che gli uscì fu: "Dove l'avete portato?"
"In rianimazione. Resterà lì per qualche giorno, finchè non sarà fuori pericolo."
"Posso vederlo un secondo?" domandò Ennis.
"Per ora no. E' ancora sotto anestesia. E suppongo che anche lei debba tornare in camera."
"Mi chiamerete quando si sveglierà, vero? Non voglio che si riprenda e si trovi da solo..." Ennis si accorse che quel discorso poteva suonare bizzarro, ma ormai gli era sfuggito. E comunque, era la verità: voleva esserci, quando Jack avesse riaperto gli occhi. Il chirurgo in ogni caso non fece storie: "D'accordo."

Ennis non credeva che sarebbe riuscito a dormire; invece, cadde in un sonno profondo cinque minuti dopo avere appoggiato la testa sul cuscino. Jack se la sarebbe cavata, e non appena si fosse svegliato, qualcuno l'avrebbe fatto chiamare: finalmente, tutto era a posto, e quell'orribile notte solo un ricordo da lasciarsi alle spalle.
E la vita, da quel momento in poi, sarebbe cambiata. In meglio.
Chissà poi perchè ci aveva messo tanto, per prendere la decisione che sarebbe stata quella giusta fin da subito. Aveva avuto tanta paura... ma ora, sentiva il cuore leggero come non mai, come liberato da un peso. Che idiota era stato, per tutti quegli anni.
Forse l'unico problema sarebbe stato parlarne con Alma Jr. e Francine, ma era certo che avrebbero capito, soprattutto Alma Jr., che aveva diciannove anni, ed era parecchio matura per la sua età. E se non avessero capito, pazienza. Le sue ragazze erano la cosa a cui tenesse di più, oltre a Jack: ma Ennis era stanco di continuare a vivere nella menzogna, con una maschera costantemente sulla faccia, e se cambiando tipo di vita rischiava di perderle... al diavolo, avrebbe corso il rischio. Se non altro, non avrebbero avuto un padre vigliacco e bugiardo.
Con quei pensieri, si addormentò serenamente, e il suo sonno si prolungò indisturbato fino alle tre del pomeriggio, per essere interrotto dai raggi del sole che filtravano dalle tende tirate.
Quando aprì gli occhi, indolenzito e ancora un pò intontito, si accorse di non essere solo nella stanza. Qualcuno lo stava fissando. Appoggiata alla porta chiusa, le braccia conserte, le gambe incrociate l'una sull'altra, c'era una giovane donna con lunghi capelli ossigenati dalla piega perfetta, truccata con cura, le mani piene di anelli, le unghie laccate dello stesso color ciliegia del rossetto. Era vestita con un elegante tailleur bianco che Ennis giudicò poter costare, insieme alla borsetta e agli stivali, quanto sei mesi del suo stipendio.
"Mi chiamo Lureen Twist", disse freddamente la donna, con un forte accento texano, senza muoversi da quella posizione, quando si accorse che Ennis si era svegliato. Lui notò che i suoi occhi erano più neri della pece, e il viso, che dimostrava molto meno dei suoi trentotto anni, tradiva un gelo peggiore del suo tono. "La moglie di Jack. O quella che presto sarà la sua ex moglie. Ennis del Mar, giusto? Francamente, è proprio come me l'aspettavo."
Ennis era ammutolito, confuso. Non riusciva a capire. Che razza di discorsi stava facendo quella donna? Jack gli aveva detto che le cose fra loro non andavano bene, ma non gli aveva mai detto di voler divorziare. Un altro dei suoi segreti? "Signora Twist..." balbettò, tirandosi a sedere, passandosi una mano fra i capelli scompigliati dalla dormita. Di fronte a quella donna tanto accuratamente abbigliata, si sentiva nudo e indifeso nel suo camice da ospedale, incerottato e con la barba del giorno prima.
"Stia comodo, Ennis, tolgo subito il disturbo."
Lo stava chiamando per nome, una cosa che Ennis non gradiva, se gli arrivava da una persona appena conosciuta. E unito a quel Francamente, è proprio come me l'aspettavo, che suonava come un perfetto buono a nulla, e a quell'atteggiamento glaciale, Ennis giudicò che la tanto temuta telefonata in Texas, che gli era stata risparmiata, sarebbe stata decisamente più semplice da affrontare.
"Mi ha chiamata la polizia questa notte, dicendomi dell'incidente", proseguì lei. "Ho preso il primo aereo disponibile, e quando sono arrivata, Jack mi ha detto tutto."
"Jack è sveglio?"
"Sveglio, ma non so quanto coerente. Credo sia impazzito. Mi ha detto che vuole il divorzio, e che finalmente andrete a vivere insieme. Mi dica che è tutto un delirio, Ennis."
"Io..." la voce e l'espressione di Lureen Twist non tradivano alcuna emozione, ed Ennis non capiva se fosse amareggiata, stupita, arrabbiata, o cos'altro. Certo non felice. "No, non credo sia un delirio."
"Quindi, mi faccia capire, Jack vorrebbe venire a vivere con lei. Con un altro uomo."
"E' così."
"Abbandonando la sua famiglia, suo figlio, il suo lavoro, i suoi soldi."
"Già."
Lureen rise, una risata ironica, gelida come la sua voce. "Sa, non sono stupida. Immaginavo ci fosse qualcosa del genere. All'inizio, quando Jack veniva qui da lei in Wyoming tre o quattro volte l'anno, raccontandoci che andava a pescare sulle montagne con questo vecchio collega, Ennis del Mar, era eccitato come un ragazzino che era appena stato dalla fidanzata. Non era così eccitato neppure quando veniva da me, quando ci siamo conosciuti. Ma del resto, in famiglia, con noi, è sempre stato allegro, affettuoso... normale... ha sempre fatto i suoi doveri di marito, di padre, e ha iniziato a lavorare persino nella ditta di mio padre, malgrado si detestassero a vicenda... ed io ho lasciato correre. Non c'è peggiore cieco di chi non voglia vedere, giusto? Ma mi andava bene così, ero disposta a far finta di niente, pur che tutto rimanesse com'era sempre stato." Staccò la schiena dalla porta e iniziò a camminare lentamente in lungo e in largo per la stanza, le braccia conserte, le spalle tese, senza però avvicinarsi troppo al letto di Ennis, quasi fosse appestato. "Poi, negli ultimi anni, anche se i week-end erano aumentati, anche una decina a volte..."
Quindi, Jack andava in Messico sei o sette volte all'anno, calcolò Ennis. E la moglie non sospettava alcunchè: credeva andasse in Wyoming, a pesca sulle montagne con il suo vecchio amico Ennis del Mar.
"... Quando tornava era sempre agitato, triste, nervoso. Come se ci fosse qualcosa che non andava. E sinceramente, non capivo il perchè continuasse a fare una cosa che gli provocava tanto nervosismo. Una volta, gli chiesi se per caso aveste litigato, se ci fosse qualche problema, e lui mi rispose di farmi gli affari miei. Non si era mai rivolto a me in quel modo, mai, e non l'ha più fatto. Poi, iniziò a bere. Parecchio."
"Non avevamo litigato", intervenne Ennis. "Era nervoso a causa mia. Perchè io..." s'interruppe. Aveva davvero voglia di raccontare a quella donna quello che c'era stato fra lui e Jack? Aveva davvero voglia di dirle che Jack sarebbe stato ben lieto di vivere con lui fino dal lontano 1963, prima ancora di conoscerla, mentre lui si era sempre tirato indietro?
"Le dico una cosa, Ennis", riprese lei, togliendolo dall'indecisione. "Nell'ultimo anno, Jack è andato spesso a pesca anche con il marito di una mia amica, una mia ex compagna di classe, che ha una baita sul fiume, là da noi a Childress. Ora, se per pescare Jack intendeva quello che ho iniziato a intendere io da un pò di tempo a questa parte, farà meglio a stare attento." Lureen sorrise, un sorriso gelido come la neve, gustandosi il colpo appena inferto. "Perchè la vita tanto dolce che scommetto lei si aspetta con mio marito, potrebbe non rivelarsi così tanto dolce."
"Non ha alcun bisogno di preoccuparsi per me, Lureen", ribattè Ennis. Fu tentato di raccontarle del Messico, di ferire Lureen come lei stava cercando di ferire lui, ma si trattenne: cos'avrebbe ottenuto? Era ora di smetterla con tutto quel dolore. Troppe persone avevano sofferto e stavano soffrendo, in quella storia. E anche Lureen aveva avuto, e stava avendo, la propria fetta, benchè se la fosse cercata, proprio come lui stesso nei vent'anni appena trascorsi: per quanto potesse infastidirlo, non se la sentiva di infierire su di una persona che aveva sbagliato e sofferto quanto lui, che sapeva quanto lui cosa significasse fingere, e che molto probabilmente nei prossimi anni avrebbe vissuto nel rimpianto, mentre Ennis si sarebbe gustato un pò di serenità. "So tutto di quel che faceva Jack. E so anche perchè lo faceva."
Lei incassò. "Non creda che m'importi di lei. Sia chiaro, non m'importa un accidente se mio marito le metterà o meno le corna, anzi me lo auguro. Era giusto per informarla su com'è davvero Jack, nel caso non lo conosca abbastanza."
"Credo di conoscerlo meglio di chiunque altro."
"Posso immaginarlo", lei lo fissò con malizia, e con aperto astio. "Io non potrò mai conoscerlo nello stesso modo in cui lo conosce lei."
Ennis sostenne il suo sguardo. "No, credo proprio di no."
Fu Lureen ad abbassare gli occhi. "Bene, allora credo che la nostra conversazione sia terminata. Io ho da fare, in Texas. Qui invece sto solo perdendo tempo. Buona fortuna, Ennis. Ne avrà bisogno, con Jack."
"Grazie, Lureen. Auguri anche a lei."
Lei se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle senza sbatterla.
Ennis sospirò. Jack era sveglio, e nessuno l'aveva avvisato. Doveva correre subito da lui.

Correre era un eufemismo; Ennis se ne rese conto non appena provò a scendere dal letto. Si sentiva indolenzito e dolorante, quasi più di quando aveva ripreso i sensi dentro al furgone. Con l'aiuto delle stampelle raggiunse il bagno per una pisciata e una rinfrescata al viso, e si accorse che tutto il suo corpo era cosparso da lividi, spuntati durante la dormita come funghi dopo un temporale estivo. Anche la sua faccia era un disastro, pallida, ombreggiata dalla barba incolta, il livido che usciva dal lungo cerotto che gli attraversava tutta la fronte, i capelli scarmigliati. Jack l'avrebbe visto così, e la cosa non gli piaceva affatto.
Ma se non puoi farci niente, devi prenderla com'è, ed Ennis non poteva fare niente per migliorare il proprio aspetto fisico, non ora. Così si scaricò, si lavò con cautela il viso, cercando di non bagnare il cerotto, desiderando ardentemente una doccia calda, si gettò sulle spalle il giubbotto, e s'incamminò verso il reparto di rianimazione, che per fortuna non era troppo distante: solo due piani sopra a quello di ortopedia, dov'era ricoverato lui. Grazie al cielo qualcuno aveva inventato gli ascensori.
La porta era socchiusa. Ennis sgattaiolò dentro, col timore che qualcuno l'avrebbe fermato; infatti, una voce da dietro lo chiamò non appena ebbe oltrepassato la soglia: "Signor del Mar?..."
Ennis si voltò: la stessa balena dai capelli di fuoco che l'aveva condotto in camera la notte precedente. Rogne in vista. "Io... cercavo Jack Twist. Dovrebbe essersi svegliato..."
Lei lo stupì, rispondendogli con gentilezza: "Sì, è così. Purtroppo non abbiamo potuto chiamarla. Appena ha ripreso conoscenza, è voluta entrare la moglie, che stava aspettando fuori, e poi si è riaddormentato... è sotto sedativi."
"Posso vederlo? Solo cinque minuti."
"Certamente. Ma non lo svegli, a meno che non si riprenda da solo. Deve patire un male d'inferno, poveretto."
"Ha la mia parola."
"E lei?"
"Scusi?"
"Lei, come sta? Anche lei ha preso una bella botta..."
"Io me la cavo", Ennis alzò le spalle. Tutta quella gentilezza lo confondeva, in contrasto all'atteggiamento aspro della notte precedente. Fece per andarsene, ma l'infermiera lo fermò: "L'ha cercata, sa? Appena ha ripreso conoscenza, le prime parole che il signor Twist ha pronunciato sono state, Dov'è Ennis."
Ennis provò un tuffo al cuore.
"Quando la moglie è uscita, ha chiesto ancora di lei, ed era talmente agitato che il primario ha preferito sedarlo", continuò lei. "L'avrei chiamata non appena si fosse ripreso di nuovo. Mi è sembrato che... foste molto legati."
"Lo siamo", fu l'unica cosa che riuscì a spiccicare Ennis. "Siamo cugini... ma in verità siamo legati più che se fossimo fratelli."
"Su, vada", lei accennò con la testa a ciò che stava dietro il muro, con un sorriso. Forse era semplicemente contenta perchè il suo turno stava per terminare e presto se ne sarebbe andata a casa. O forse era Ennis che, sconvolto fino all'inverosimile, la notte precedente aveva inteso male il suo atteggiamento. "Quarto letto a destra."
"Grazie", fece Ennis, e oltrepassò la piccola porta ad arco. C'erano sei letti, separati da delle tende. Tre erano vuoti, e due occupati da persone anziane che probabilmente stavano dormendo il sonno della morfina. Nel quarto letto da destra, ecco Jack. Dalla notte precedente, nulla era cambiato: giaceva sulla schiena, attorniato da tubi e fili, collegato ad un apparecchio che monitorava il battito del suo cuore, la testa bendata, la faccia pallida ed escoriata, gli occhi chiusi, le braccia piene di lividi e graffi, il torace fasciato. Le coperte gli arrivavano allo stomaco, ed Ennis fu grato di non poter vedere di più.
Prese una sedia e si sedette vicino al suo letto, e posò una mano sulla sua. "Jack, piccolo... piccolo mio", sussurrò. Adesso ricordava. Non l'aveva più chiamato così da quella volta che Jack era corso da lui dopo che aveva divorziato da Alma, per ricevere il solito calcio nelle palle, quella volta ancora più grosso.
Jack non sapeva che anche Ennis aveva provato qualcosa di molto simile, quella volta, costretto a cacciarlo via quando avrebbe voluto trascinarlo dentro al furgone e saltargli addosso seduta stante - la sua visita era prevista per due settimane dopo. O forse lo sapeva, ma era troppo accecato dal proprio dolore, dalla propria umiliazione, per rendersene conto: aveva fatto tutta quella strada prima del previsto, al colmo della felicità, aspettandosi che Ennis, ormai divorziato, fosse a sua completa disposizione e finalmente accettasse la sua proposta, per sentirsi biascicare i soliti non posso, i soliti non possiamo, i soliti le bambine, il lavoro, non sono un finocchio, due uomini insieme non si può, finiremo ammazzati, eccetera, eccetera, eccetera.
Ennis ricordava fin troppo bene come gli era morto il sorriso sulle labbra, come gli occhi avevano iniziato a luccicare di lacrime, quando un secondo prima luccicavano di gioia, come si era girato in fretta, correndo verso il furgone, mettendo in moto e sgommando via come se volesse scappare da lui.
Ma poi, era tornato. Due settimane dopo, alla data prevista per il loro incontro, era tornato.
Ed era cambiato. Più freddo, più riservato.
E qualcosa aveva iniziato a cambiare, fra loro.
Forse, proprio in quel periodo Jack aveva iniziato ad andare in Messico. Beccati questa, Ennis, maledetto figlio di puttana.
No. Basta. Basta con questi pensieri, era ora di smetterla. Non aveva rivelato a Lureen della storia del Messico proprio per questo motivo.
Basta con tutto quel dolore, tutta quella rabbia, tutto quel risentimento, tutta quella paura.
Ora sarebbe andato tutto bene. Non sapeva come, non sapeva in che modo: avrebbe davvero funzionato fra loro? E come avrebbero gestito la situazione con la gente, con i conoscenti, con la società?
Non lo sapeva. E non era il momento di pensarci, adesso. Avrebbero affrontato tutto un passo alla volta.
Insieme.
Le palpebre di Jack tremolarono, le sue dita si mossero contro quelle di Ennis.
"Jack?" Ennis sentiva il labbro inferiore iniziare a tremargli, ma lo morse. Cazzo, del Mar, piantala. E' da ieri pomeriggio che non fai altro che piangere. Jack aveva bisogno di lui, e ne avrebbe avuto ancora di più nei prossimi giorni. Aveva bisogno di un uomo forte e positivo, non di una donnetta in lacrime.
Jack bisbigliò qualcosa, cercando di aprire gli occhi. Riuscì a socchiuderli, girò la testa sul cuscino in direzione della voce. "Ennis", sussurrò. Aveva lo sguardo intontito, ma l'aveva riconosciuto.
"Come stai?"
"Sei qui", bisbigliò Jack, come perso nei propri pensieri, o forse inebetito dagli antidolorifici. "Ho avuto paura..."
"Certo che sono qui. Dove credevi che andassi?"
"Ho fatto una cazzata... è venuta Lureen..."
"Lo so. E' venuta anche da me."
Gli occhi di Jack si spalancarono. "Che... cosa? Che ti ha detto?"
"Che le hai detto tutto. Di noi, intendo. Delle nostre intenzioni", Ennis era tranquillo, parlava in tono calmo, pacato, e ghignò quando aggiunse: "Ti dico la verità, non è stata molto cordiale... ma dubito che al suo posto io lo sarei stato."
"Io... dovevo essere impazzito..." Jack era sull'orlo delle lacrime. "Avevo perso la testa... non avrei dovuto..."
"Sst, buono", Ennis gli carezzò leggermente il braccio. "Tranquillo. Tranquillo, piccolo."
"Un corno", disse Jack. Il suo respiro si era fatto affannoso, il battito del suo cuore accelerato. "Ho chiesto di te, volevo vederti... mi hanno detto che ti avrebbero chiamato subito... e invece è entrata Lureen... e le parole mi sono uscite di bocca, non ho potuto farci niente... ma poi ho pensato... che se tu mi avevi detto tutto quello che mi hai detto la scorsa notte solo per compassione... o se ci avevi ripensato... o peggio, se era stato tutto un sogno..."
Ennis gli riprese la mano, infilò le proprie dita negli spazi vuoti fra le sue, e chiuse il nodo appena formato nell'altra mano, come per evitare che potesse sciogliersi. Jack sembrava terrorizzato, doveva cercare di calmarlo. "Io sono qui. Non ti ho detto nulla di quello che ti ho detto per compassione. Non ci ho ripensato. E non hai sognato. Puoi stare tranquillo."
"Temevo... temevo di..." Jack non riusciva a buttar fuori le parole, erano troppo per lui. "Di avere perso tutto... di avere rovinato tutto... che tu ti fossi spaventato perchè ti ho detto che ti amo, o arrabbiato per le altre mie relazioni, o ti fossi pentito di avermi chiesto di vivere con te e fossi scappato dall'altra parte del paese... e di avere detto quelle cose a Lureen, e di avere perso anche la mia famiglia, se così poteva chiamarsi... e di essere rimasto completamente solo..."
Ennis si chinò su di lui, lo abbracciò, lo baciò sulla fronte. Temeva che, continuando così, presto avrebbe dovuto chiamare un'infermiera o un medico che somministrasse una dose supplementare di tranquillanti al suo compagno. "Sst. Va tutto bene, adesso. Va tutto bene. Calmati, non ti fa bene agitarti così. Io sono qui. Sono qui con te. Per sempre."
Singhiozzando, Jack si aggrappò debolmente alle sue spalle. "Potrò mai avere un pò di pace?" chiese, più a sé stesso che ad Ennis, esternando una delle domande che anche Ennis si era posto svariate volte in quegli anni, da quando aveva conosciuto Jack. Lo amava ma non poteva stare con lui, e per quanto facesse, non riusciva a smettere di amarlo e non riusciva a dimenticarlo. Si sentiva fatto per stare con Jack, con lui e con nessun'altra persona, donna o uomo che fosse, ma l'oggetto del suo amore era fuori dalla sua portata.
Fu Ennis a rispondere, per tutti e due: "Sì, piccolo mio. Te la meriti. Ce la meritiamo."
Jack, sempre aggrappato a lui, continuò a singhiozzare. Ennis lo tenne stretto, carezzandogli la testa, finchè la tempesta non si fu calmata. Dopo poco, Jack si addormentò di nuovo, il respiro regolare, una mano che stringeva quella di Ennis.

Il giorno successivo, Ennis venne dimesso, e dopo altri sei, Jack fu trasferito dalla sala di rianimazione al reparto di chirurgia; era fuori pericolo, ma ne avrebbe avuto ancora per venti, venticinque giorni. Ogni mattina, Ennis prendeva l'autobus e restava con Jack fino alla sera, quando Alma Jr. lo passava a prendere e lo riaccompagnava a casa: con quella gamba non poteva andare al lavoro, e se fosse rimasto a casa, sapeva che non avrebbe fatto altro che fumare e mangiarsi le unghie. Per la maggior parte del tempo, soprattutto durante i primi dieci giorni di degenza, Jack dormiva, sotto l'effetto dei sedativi, ed Ennis gli sedeva semplicemente accanto, sulla poltrona di pelle vicino al letto, la gamba ingessata sollevata su un'altra sedia di fronte a lui, tenendogli una mano o accarezzandogli il braccio o la testa. Inizialmente, se entrava un medico o un'infermiera, Ennis cercava di dissimulare, poi, dopo due o tre volte, si costrinse a smettere. Erano parenti, erano molto legati, e non c'era niente di male in un amico che teneva la mano all'altro, ferito e dolorante e intontito in un letto di ospedale, confortandolo e facendogli coraggio.
Al contrario, due finocchi sì che avrebbero dissimulato, sentendosi in colpa, con il timore di essere visti persino in un atteggiamento del tutto innocente.
Quando Jack era lucido, facevano piani per il futuro, cos'avrebbero fatto, dove avrebbero vissuto: Ennis si scherniva dicendo che si stavano comportando come due ragazzini, malgrado lui facesse i quarant'anni ad agosto, e Jack all'inizio di ottobre. Jack aveva dei soldi da parte, non troppi ma sufficienti per poter comprare un piccolo appezzamento di terreno dove costruire una fattoria, e magari allevare qualche bestia, per carità non pecore: delle mucche e uno o due tori sarebbero andati benissimo. Ennis avrebbe portato i suoi due cavalli, che per ora vivevano nel ranch del suo datore di lavoro, e il fatto di non avere quasi niente da parte lo infastidiva parecchio. Jack cercava di rincuorarlo: era stata questione di fortuna, i soldi in fondo non erano i suoi, erano del padre di Lureen; se in quegli anni era riuscito a risparmiare qualcosa, era perchè la famiglia della moglie era dannatamente ricca. Del resto, Jack non aveva più un posto dove andare: appena dimesso dall'ospedale, sarebbe andato a vivere a Riverton nell'appartamento di Ennis, dove Lureen gli aveva già spedito tutti i suoi effetti personali e regnava il caos più totale, perchè Ennis non era ancora riuscito a riordinare.
L'unica cosa che amareggiava e addolorava Jack, guastando la sua felicità, era il non riuscire a mettersi in contatto con Bobby. Ogni volta che aveva provato a telefonargli, facendosi accompagnare al telefono a gettoni sulla sedia a rotelle, si era scontrato con Lureen che, ne era certo, gli impediva di parlare con lui: una volta il ragazzo era a scuola, una volta al corso di equitazione, una volta dalla sua ragazza, una volta via con un amico. E infine, l'ultima volta che Jack aveva tentato di chiamarlo, Lureen gli aveva risposto che Bobby era in casa, ma che non voleva parlargli. Jack si era inalberato e aveva accusato la moglie di raccontagli un sacco di balle: era impossibile che Bobby non volesse sentire il padre anche solo per un secondo, accertarsi delle sue condizioni di salute: era lei ad impedirglielo.
"Chi racconta balle non sono io", aveva ribattuto Lureen. Poi, aveva riattaccato.
Jack si era preso la faccia fra le mani, mormorando "Brutta stronza bastarda", ed era toccato ad Ennis cercare di consolarlo, passandogli un braccio sulle spalle e stringendolo a sé. Sapeva che questo era un problema che presto avrebbe dovuto anche lui affrontare.
Qualche giorno dopo, prese coraggio e invitò a cena le sue due figlie, per confidare loro le proprie intenzioni. Era una sera di metà maggio, calda ma ventilata, ed Ennis attese il momento del caffè. La reazione di Francine fu ancora peggiore di come Ennis se l'era aspettata: si arrabbiò e fece fuoco e fiamme, chiamandolo deviato, pervertito, dicendo che lo odiava, che non era più suo padre e non avrebbe voluto vederlo mai più. Erano venute insieme con l'automobile di Alma Jr. che, mortificata, dovette riaccompagnare la sorella più piccola a casa.
Ennis, sconvolto dalla reazione di Francine, si era abbandonato sul divano, fumando una sigaretta dietro l'altra, bevendo ogni tanto un sorso di whisky direttamente dalla bottiglia. Non gli piaceva ubriacarsi: gli era capitato qualche volta, da ragazzo, ed era servito solo a fargli capire che non serviva a risolvere i problemi, anzi trascorrevi il giorno successivo praticamente all'inferno, con lo stomaco sottosopra e la testa in fiamme, e i problemi aumentavano. Da adulto, non gli era capitato spesso di alzare il gomito fino a stare male: ma quella era una delle volte in cui sapeva che avrebbe volutamente oltrepassato il limite.
Dopo neanche quaranta minuti, qualcuno suonò il campanello.
Ennis rispose al citofono: Alma Jr. era tornata.
Ennis ripose la bottiglia nel mobile del salotto e fece di nuovo accomodare la figlia. Si sedettero entrambi sul divano, e lei gli disse che era dispiaciuta per come si era comportata Francie. Forse la sua reazione era stata tanto esagerata perchè non aveva mai avuto sospetti; lei invece, già da un pò aveva subodorato qualcosa: l'atteggiamento eccessivamente indifferente di Ennis quando parlava di Jack Twist, fin da quando aveva iniziato ad andare a pesca con lui, gli strani e ambigui discorsi della madre con il nuovo marito a proposito di Ennis, e quella volta che lei stessa era andata a trovare Ennis, ancora ricoverato in ospedale, e l'aveva trovato in sala di rianimazione, al capezzale dell'amico, ad accarezzargli teneramente una guancia, l'altra mano appoggiata sopra al suo petto. Non vista, li aveva osservati dal vetro fuori dalla stanza, e li aveva visti scambiarsi un bacio che era tutto tranne che amichevole. Non poteva esserne certa, forse non voleva crederci... ma insomma, due più due aveva sempre fatto quattro.
"L'ho sempre saputo che sei perspicace", disse Ennis, imbarazzato. "Ma... la cosa non ti disturba?"
"Dimmi una cosa... tu e Jack... non andate in giro in pantaloni di pelle e magliette aderenti... o peggio, travestiti da donna... o truccati, o..." Anche Alma Jr. era piuttosto imbarazzata e teneva gli occhi bassi.
"Te l'ho detto prima", fece Ennis. L'impaccio quasi infantile della figlia lo faceva sorridere, ma cercò di trattenersi: lei era assolutamente seria, non avrebbe voluto offenderla. "Io e Jack ci amiamo da quando eravamo ragazzi. Ti sembra che io sia mai stato il tipo da andare in giro vestito da donna?"
"Bè, no."
"E credimi, tu non lo conosci ancora, ma posso giurarti che anche Jack non è quel genere di persona. Da giovane faceva rodei, sa menare le mani meglio di me, cavalca da dio e anche lui ha un figlio."
"Ma se vi amavate tanto... perchè non siete stati insieme da subito?"
"Perchè io ero stupido e ottuso. E codardo. Amare tanto una persona, ed essere amato nello stesso modo... era una cosa che mi sconvolgeva, mi terrorizzava. E sapere che questa persona era un maschio, proprio come me..."
"Sei felice, adesso, papà?"
"Sì, credo di sì. Mi sono tolto un gran peso. E' difficile vivere cercando di essere quello che non si è."
"Tu sei sempre il mio papà, vero?"
La domanda arrivò inaspettata. Ennis sentì il proprio cuore sciogliersi e abbracciò la figlia: una cosa che negli ultimi tempi gli era capitato di fare più di frequente che negli ultimi dieci anni. "Certo che sono il tuo papà, lo sarò sempre... e spero di poter essere un padre migliore di quanto lo sia mai stato fino adesso. Sono orgoglioso di te... e anche di Francie, anche se lei non mi vuole più."
Alma Jr. ricambiò dolcemente l'abbraccio del padre. "Cambierà idea. Deve solo abituarsi."

All'inizio di giugno, qualche giorno dopo che ad Ennis fu tolta l'ingessatura, Jack venne dimesso, pallido e dimagrito - scherzando, diceva che era finalmente riuscito a smaltire la pancetta accumulata negli ultimi anni. Convalescenza e riabilitazione sarebbero state ancora lunghe, ed era presto per parlare di fattorie da costruire o ristrutturare e traslochi, ma non per iniziare a dare un'occhiata ai terreni in vendita; entrambi concordavano di rimanere nel Wyoming. Ne trovarono uno vicino a Casper, che sembrava fare al caso loro: non troppo grande, con un ranch da sistemare al suo interno, completo di stalla per gli animali. Un ranch piccolo, adatto per due persone. E anche il prezzo era abbordabile: lasciava loro abbastanza soldi per ristrutturare l'edificio, e comprare una decina di vacche.
Aggiudicato.
Jack aveva continuato a tentare di parlare con suo figlio, e aveva anche lasciato a Lureen il numero di telefono di Ennis, nel caso Bobby avesse cambiato idea - dubitava comunque che Lureen gli avrebbe dato il numero di sua spontanea volontà. Ennis l'aveva rassicurato: se la montagna non andava a Maometto, Maometto sarebbe andato dalla montagna, e non appena Jack fosse stato in grado di affrontare un viaggio, l'avrebbe accompagnato a Childress per chiarire le cose direttamente con l'interessato.
Un pomeriggio però arrivò la telefonata, ormai insperata, di Bobby. Lureen aveva fatto un buon lavoro nello screditare Jack ai suoi occhi, ma il ragazzo era troppo affezionato al padre per resistere senza più sentirlo, senza nemmeno sapere esattamente come stava. Inoltre, dopo la rabbia iniziale, a mente fredda, aveva riflettuto, e aveva deciso che non gli andava di conoscere solo una versione della storia, quella della madre: voleva che fosse il padre stesso a spiegargli le proprie ragioni. Ma perchè non aveva mai cercato di chiamarlo?
A malincuore, Jack gli aveva risposto che lui ci aveva provato, ma Lureen ogni volta gli aveva detto che Bobby era impegnato altrove.
Bobby allora aveva sospirato: "Lo sospettavo."
"Non avercela con tua madre, Bobby", aveva risposto Jack, conciliante. Ce l'aveva con Lureen per ciò che gli stava facendo, ma non voleva guastare il rapporto che Bobby aveva con la madre: voleva che fosse lui a trarre le proprie conclusioni, dai comportamenti di ciascuno. "Anche lei non si sta divertendo, e la ragione principale sono io."
"Mi spieghi come mai, papà?"
Jack, seduto sul mobiletto del telefono, con Ennis in piedi vicino a lui a dargli conforto, aveva spiegato e aveva raccontato, in tutta sincerità, omettendo solo la storia del Messico della quale, gli aveva detto Ennis, Lureen non sapeva niente. Non c'era alcun bisogno che Bobby la conoscesse.
"Come hai fatto a resistere così tanto?" gli aveva chiesto a un certo punto il ragazzo "Come hai fatto a non diventare matto?"
"Forse un pò lo sono diventato", aveva ribattuto Jack, con gli occhi lucidi, ed Ennis aveva appoggiato una mano sulla sua.
Alla fine, Bobby aveva promesso che l'avrebbe certamente richiamato, e gli aveva chiesto se durante le vacanze estive avrebbe potuto venire a trovarlo con Katherine, la sua ragazza. Voleva vederlo, parlargli faccia a faccia, al diavolo ciò che pensava Lureen. Aveva diciotto anni, e certe decisioni era in grado di prenderle autonomamente.
"Sei sempre il benvenuto, Bobby", aveva risposto Jack, sorridente, ad occhi chiusi. "Ti voglio tanto bene."
"Anch'io, papà."
Quando aveva riattaccato, Jack si era nascosto il viso fra le mani ed era rimasto lì seduto, immobile, senza parlare. Ennis lo aveva abbracciato: sapeva che Jack stava piangendo, ma per fortuna, questa volta era per la gioia.

Il giorno della stipula del contratto per il terreno ed il ranch, Ennis e Jack festeggiarono invitando Alma Jr. a cena con il suo ragazzo, un operaio dei pozzi petroliferi che nel tempo libero praticava rafting, e tutto filò liscio: ironizzarono insieme sulla cucina di Ennis, che fortunatamente in quei vent'anni era molto migliorata, e poi tirarono fino alle due di notte bevendo whisky, con Jack a raccontare della sua breve ma movimentata carriera nei rodei e Kurt a rispondere con le proprie esperienze giù per i fiumi.
A Kurt, come a tutti quelli che conoscevano Ennis in città, avevano raccontato che Jack era un lontano cugino, separato, con l'ex moglie e il figlio in Texas, al quale un mese prima era capitato quel brutto incidente durante una gita sulle montagne, ed Ennis si era stupito di quanto la gente si fosse potuta bere quella storia senza alcuna obiezione.
Del resto, Riverton era una cittadina abbastanza grande, non era la piccola Sage del 1949, dove tutti conoscevano tutti, e a nessuno sembrava importare di loro, finchè avessero pagato i loro debiti e si fossero comportati correttamente. Dapprincipio, Ennis aveva cercato di cogliere il minimo sguardo storto, la minima parola indiscreta; poi, non avendo mai visto e udito niente del genere, aveva giudicato di poter stare tranquillo. Finchè avessero vissuto lì, sarebbero stati bene attenti a non dare il più piccolo spettacolo, e dal momento che entrambi erano stati sposati, avevano figli, avevano raccontato di essere parenti e comunque molto legati fin da bambini, la storia avrebbe retto.
Quando si fossero stabiliti a Casper, avrebbero raccontato più o meno la stessa cosa, con la variante che erano anche soci in affari - per quanto ne poteva sapere la gente, in ogni caso, eventuali matrimoni erano sempre possibili.
Ennis sperava che anche là non ci sarebbero stati problemi.
Ci avrebbero pensato sul momento, all'occorrenza.
Era una notte di fine giugno, afosa e stellata. Mentre Jack si lavava i denti, Ennis si affacciò alla finestra aperta della camera da letto per prendere un pò d'aria, in boxer e canottiera. Sembrava che le cose avessero iniziato a girare per il verso giusto. Finalmente. Avrebbero potuto girare per il verso giusto già da parecchio tempo, se solo lui non fosse stato così dannatamente...
"Vieni?" fece Jack, in slip e maglietta, infilandosi a letto.
"Forse ho bevuto troppo", ammise Ennis. Era certamente l'alcol a provocargli certi pensieri, che non gli avevano più frullato in testa da qualche tempo. "Ero un pò nervoso, stasera."
"Io ero quell'altro. Ma è andata bene, no?"
"Direi proprio di sì." tirò la tenda lasciando la finestra aperta, si sfilò la canottiera e la gettò sulla poltrona di fianco all'armadio, raggiunse Jack a letto e si sdraiò sul fianco destro, e Jack si appiccicò con lo stomaco contro la sua schiena, il braccio sinistro intorno al suo fianco, l'alito sul suo collo, il naso nei suoi capelli.
"Non fa un pò troppo caldo?" protestò Ennis, sorridendo fra sé: quella era sempre stata la posizione preferita di Jack per addormentarsi e, dopo quasi un mese in cui avevano condiviso ogni notte lo stesso letto, Ennis era certo che non sarebbe più riuscito a prendere sonno senza il suo calore dietro e intorno a lui, anche se nella stanza ci fossero stati quaranta gradi.
"Solo due minuti", rispose Jack.
"Sai, pensavo... in tutti questi anni, siamo andati in giro per tutte le montagne del Wyoming, ma non siamo mai tornati sulla Brokeback."
"Credevo tu non volessi. Più o meno, come che ti dicessi ti amo."
"Bè, ora mi sembra che ce lo stiamo dicendo", Ennis ridacchiò. "Siamo diventati peggio di una coppia di fidanzatini."
"La cosa non mi dispiace affatto", disse Jack. Ennis non poteva vederlo in faccia, ma poteva giurare che anche la sua voce usciva da un sorriso.
"Neanche a me, e lo sai." Ennis accarezzò con la punta delle dita il braccio che Jack teneva intorno a lui. "Senti... ti andrebbe di passare una settimana sulla Brokeback? Fra dieci, quindici giorni dovresti essere abbastanza in forma, e il clima sarebbe ideale... potremo pescare, farci qualche passeggiata tranquilla, il bagno nel fiume... forse anche cavalcare, se i medici ti danno il permesso."
"Tutto come vent'anni fa?"
"No. Meglio di vent'anni fa."
"Allora hai dimenticato il sesso, cowboy", Jack gli fece scivolare la mano dentro ai boxer, ed Ennis avvertì con un brivido la sua eccitazione contro di sé. Non avevano più fatto l'amore dopo l'incidente: Ennis temeva di poter fare del male a Jack, e voleva che si fosse rimesso del tutto. Jack si sarebbe fatto meno problemi, ma Ennis aveva sempre cercato di rimandare: in fondo, c'erano altre cose estremamente piacevoli da fare, oltre a un rapporto completo: cose che non rischiavano di provocare dolore alle ossa malandate del suo compagno. "Sono passati quasi due mesi dall'incidente. Credo di stare bene anche per quello, ormai."
"Sei sicuro?" Ennis si girò, gli prese dolcemente il viso fra le mani - Jack si era fatto crescere pizzo e baffetti, che gli stavano bene, gli davano un'aria da moschettiere e lo ringiovanivano - e lo guardò negli occhi, quegli occhi blu talmente innamorati da farlo sciogliere. "Guarda che se non te la senti... voglio dire, anch'io ne avrei voglia, ma se non ti senti ancora a posto..."
Anche Jack prese la faccia di Ennis fra le proprie mani. I suoi occhi luccicavano. "Stai tranquillo, sono più che a posto. Ti sembro uno che non se la sente?"
"Non voglio rischiare di farti del male..." Ennis si accorse di avere le lacrime agli occhi. Forse a causa dell'età, aveva l'impressione che il suo autocontrollo fosse sceso di parecchio. "Non voglio farti male mai più, in nessun modo."
"Questo vale anche per me." Jack l'attirò a sé e lo baciò, sulla bocca, sul naso, sulle guance, sulla lunga cicatrice che Ennis cercava in ogni modo di nascondere sotto i capelli. Ennis ricambiò il bacio, passandogli le mani sotto la maglietta, accarezzandolo gentilmente sul torace e sulla pancia, dove la cicatrice dell'intervento era ormai rimarginata, poi lo aiutò a liberarsene.
Finalmente, le cose stavano girando per il verso giusto.

Se siete arrivati alla fine, complimenti, che voglia e che coraggio: questo mi è venuto lungo. Avrei voluto terminarlo con l'arrivo dell'elicottero, ma poi mi è venuta in mente la scena con Lureen Twist, e non ho potuto fare a meno di inserirla; però in questo modo ho dovuto inserire tante altre cose...

Nota: Una delle cose che ho apprezzato nel film e nel racconto di Annie Proulx, e che mi è piaciuto analizzare nei due racconti che ho scritto su "Brokeback Mountain", è la dualità che esiste fra Jack ed Ennis: sono totalmente diversi, agli antipodi come il giorno e la notte. In una recensione del film, lessi che Jack dovrebbe rappresentare il "femminile" dei due, ma trovo questo giudizio assai riduttivo (e anche un pò offensivo: il bello di questa storia è che tratta di una storia d'amore "universale", e l'omosessualità dei protagonisti non viene mai urlata). Per quanto possa significare "maschile" o "femminile", mi è sembrato che entrambi i personaggi fossero pienamente "maschili": Jack è solo quello più solare e positivo, più aperto, forse più intelligente, sicuramente più coraggioso: non ha paura di guardarsi dentro, si accetta com'è e, se Ennis fosse d'accordo, non esiterebbe ad esternare la loro relazione, malgrado le difficoltà che dovrebbe affrontare.
Ennis è sicuramente più complesso, tormentato e intrigante da analizzare (del resto, se non fosse stato così, la storia avrebbe preso un'altra svolta, e i due sarebbero andati a vivere insieme da subito, come nel primo racconto che ho scritto): si fa un mucchio di problemi, non si accetta, ha paura - malgrado tutti i suoi atteggiamenti da duro, è fondamentalmente un vigliacco - e nonostante dica qualcosa come "Se non la puoi cambiare, devi prenderla com'è", in realtà se non può cambiare le cose spesso ricorre alla violenza, più che altro come sfogo. Non credo sia meno innamorato di Jack di quanto Jack lo sia di lui: solo, Jack riesce ad esprimere liberamente i propri sentimenti, mentre Ennis, forse anche a causa dell'ambiente e dell'educazione ricevuta, cerca stoicamente di controllarsi, di reprimersi, di seguire le regole anche quando sente che non è la cosa giusta per il suo cuore.
Io qui ho voluto dargli la possibilità che nel film e nel racconto non gli viene data - almeno, non con Jack che viene assassinato.
Giusto un ultimo appunto: scrivendo questa storia, mi era venuta un'associazione poco simpatica: anni '80 + promiscuità sessuale + AIDS = Jack sieropositivo. Avrebbero potuto scoprirlo in ospedale... Ma l'ho abbandonata ancor prima di prenderla in considerazione: già quei due hanno i loro bei problemi; e poi, non volevo dare una seconda possibilità ad Ennis?

Credits: *"Tonight tonight" è una canzone degli Smashing Pumpkins.

Disclaimer: I personaggi di Jack Twist, Ennis del Mar (e i suoi fratelli), Alma del Mar, Lureen Twist, dei loro figli Bobby, Alma Jr. e Francine e di Car Scrope, appartengono ad Annie Proulx.
   
 
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