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Autore: Stay away_00    29/08/2013    0 recensioni
Era troppo tardi per lui. Forse avrebbe dovuto capirlo prima.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Klaus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’immagine nello specchio era estranea, assolutamente priva di ogni qualsiasi significato.

Ecco come si sentiva, privo di significato, strappato via dalla propria anima, sentiva il cuore battergli, eppure a volte dubitava dei pezzi che gli erano rimasti, sentiva la sua voce, ma sembrava lontana, si sentiva piangere, eppure avrebbe giurato che quelle che gli rigavano il viso non erano le proprie lacrime.

E poi, più forte di tutto, persino di se stesso e dell’affetto che nei secoli aveva giurato a quell’affasciante donna. Qualcosa che batteva ancora più forte del proprio cuore e che gli pulsava nella mente, era la rabbia.

Rabbia rivolta a se stesso, a quell’immagine nello specchio, oppure al mondo esterno… gli era sconosciuto.

Le risposte che cercava gli erano state proibito o semplicemente non aveva la forza di cercarle. Non aveva la forza di incrociare quello sguardo, perché sapeva cosa avrebbe letto in quegli occhi, che alla fine erano i propri.

Sua madre, tanto presa dall’abbatterlo, come se fosse un cane che ormai aveva contratto la rabbia, come se fosse un oggetto vecchio, o troppo pericoloso di cui dovevano sbarazzarsi, non aveva notato quanto lentamente si stava distruggendo con le proprie mani.

Giorno dopo giorno, ora dopo ora, secondo dopo secondo.

Piano piano si stava stancando, piano piano, quel muro che aveva eretto intorno a se stava cedendo, e lui non sapeva che cosa fare, non spaeva come proteggersi, come tenere quelle persone fuori e i suoi sentimenti dentro, come… estraniarsi.

Ormai era quello che faceva da un bel po’ di tempo.

 Non trovava più scuse, non ne cercava e non ne voleva.

Era troppo tardi per lui. Forse avrebbe dovuto capirlo prima, dallo sguardo che ormai da un po’ di tempo gli riservava sua sorella, dal fatto che si fosse allontanata inevitabilmente da lui, dal fatto che anche lei aveva perso le forze, anche la persona su cui aveva contato per secoli e secoli, quella spalla su cui aveva pianto così tante di quelle volte, quel corpicino esile che aveva stretto a se nelle notti di inverno, quando entrambi cercavano un calore che non sarebbe potuto essere dato da nessuna coperta, anche quella persona, ormai aveva perso le forze, anche quella persona si era stancata.

E allora come ci sarebbe potuta essere speranza? Non avrebbe mai trovato redenzione e non era neanche sicuro di cercarla, non avrebbe più trovato nessun paio di braccia, nessun sorriso… niente di nienre.

Niklaus aveva toccato il fondo e se ne rendeva conto, si rendeva conto che tutte quelle notti spese a rimuginare su come tenersi strette le persone a cui teneva, le aveva inevitabilmente fatte allontanare.

Tutte quelle notti spese ad osservare il soffitto, cercando una semplice ragione, una qualsiasi per cui non sarebbe dovuto scappare a nascondersi nell’antro più buio, o nella terra più desolata, se non all’inferno, non erano servite a nulla.

Lui aveva fallito.

La concretezza con cui quelle parole gli erano catapultate addosso era assolutamente devastante. Era come rendersi conto che ormai era soltanto una persona, persa nel nulla, sola tra migliaglia di gente, la cui unica compagnia era la voce di se stesso.

Si accarezzò il mento e sbattè un paio di volte le palpebre, mentre continuava ad osservare l’immagine che si trovava in quello specchio. Sempre la stessa persona, ma con cento faccie diverse.

Sempre la stessa persona, con un'unica maschera e troppo dolore.

Forse per quello afferrò saldamenre la cornice e la getto sul pavimento, rompendo gli ultimi pezzi che rimanevano di se, gettando quella maschera nell’abisso e lasciandosi andare all’ignoto.

Non poteva non ammettersi che si mancava, o meglio, gli mancava quella persona che aveva visto riflessa, quel se che aveva stretto tanto forte suo fratello, prima che i lupi lo attaccassero e non la persona che era tornata con il cadavere tra le braccia.

Ma non poteva tornare indietro.

“Klaus, Klaus, Klaus.”

Quella voce continuava a chiamarlo, quella voce che era così tanto simile alla propria, ma che in se aveva secoli in meno di esperienza, quella voce che aveva sentito spesso nei propri sogni, in Italia, quella voce, che per troppo tempo che aveva ricordato quanto fosse futile la sua esistenza, quando fosse malsana e quanto meritasse di morire.

E non era stta proprio quella voce a richiamarlo alla morte per la prima volta? E poi ancora, e ancora e ancora?

Non era forse il se stesso ragionevole che gli ricordava quanto ignobile fosse diventato? Quanto malvagio, egoista, orgoglioso?

“Ho solo paura.”

Cercava di giustificarsi.

“Ho solo paura.”

Ma infondo non era mai stata una scusa valida e lui lo comprendeva, lo aveva sempre saputo.

Forse per quello si lasciò cadere sulle ginocchia, lasciando che alcuni frammenti di vetro gli entrassero nella carne, oppure lo graffiassero, quel dolore alla fine era quasi piacevole, se ne sentiva sopraffatto.

Ma infondo, avevano ragione, la sua non era paura.

Lui era solo, quello, era semplicemente dolore.

 

   
 
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