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Autore: Made Again    31/08/2013    3 recensioni
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Tratto dalla recensione lasciata al capitolo 21 "Untitled Track" da Lady Igraine.
"Non riesco a capire esattamente che considerazione abbia di lei ecco. La schernisce, la pretende, la ama, l'abbandona, la odia... è una commistione di sentimenti indistricabili che si rafforzano l'uno con l'altro e distruggono. Li distruggono entrambi. E questo apre molti interrogativi, perchè con una simile tempesta dentro non potranno mai davvero comunicare, potranno sempre e solo prendersi, scacciarsi, odiarsi e amarsi in una lotta senza tregua... "
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Storia dalla trama complessa, particolare, azzardata.
Storia-tributo alla band inglese "Marillion".
Storia di malsana dipendenza ed ostentata indipendenza.
Storia di una vita irreale eppure specchio di una vita reale.
Storia di due gemelli.
Storia di un fratello ed una sorella.
Una ragazza.
Brave.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Canzone del capitolo: After me



Rachel richiuse gli occhi lentamente. Di nuovo nero. Tirò un lungo respiro e poi li riaprì. Ma i due cristalli di ghiaccio, così belli da risultare ipnotici, erano sempre lì. Capì che era tutto vero quando, con un movimento impercettibile, si chiusero e si riaprirono. Erano vitrei, inespressivi, vuoti, come se stessero fissando un punto indefinito nel profondo dei suoi occhi verde smeraldo. Sentì un brivido correrle lungo la schiena e li chiuse di nuovo, lentamente: quello sguardo apparentemente assente in realtà stava penetrando profondamente in lei. Aveva  paura, paura che Heyden potesse scovare nel profondo dei suoi occhi cose che lei aveva da sempre gelosamente cercato di custodire e nascondere. Avvolta dall’oscurità cercò di capire dove si trovava: era distesa, probabilmente su di un letto. Sentì in lontananza la pendola in salotto suonare e capì di trovarsi in camera del fratello. Come ci fosse arrivata era un mistero per lei.
Girò la testa di lato e riaprì gli occhi: stando ai rintocchi della pendola avrebbero dovuto essere circa le undici e mezza passate, ma non ebbe modo di confermare i suoi presentimenti perché la sveglia non era al suo solito posto. Il comodino era maledettamente vuoto: mancavano non solo la sveglia, ma anche la foto di famiglia e l’abat-jour. Faceva fatica a vedere con quel buio, quindi aspettò qualche secondo per riuscire a mettere a fuoco meglio. Mentre la vista si adattava all’oscurità notò che il comodino non era completamente vuoto: una piccola scheggia di vetro affilato, lunga qualche centimetro, era abbandonata in un angolo del comodino. Sembrava sporca e in torno ad essa c’era una piccola  macchia, ma Rachel non capì di che cosa si trattasse. Rigirò la testa sperando di poter tornare a fissare il soffitto buio della stanza, ma gli occhi glaciali del fratello erano ancora lì, immobili. Non riusciva a reggere quello sguardo impenetrabile, quindi fece per alzarsi, ma non vi riuscì: le scheletriche e sorprendentemente forti mani del fratello la tenevano inchiodata al letto per i polsi. Tentò allora di muovere le gambe, ma non fu che un altro fallimento. Non erano immobilizzate da chissà quale strumento di tortura, ma dal panico che le stava nascendo in petto espandendosi rapidamente in tutto il corpo. Decisa a non perdere la calma che almeno apparentemente sembrava conservare, concentrò l’attenzione sui polsi per tentare di liberarsi da quelle tenaglie. Poteva sentire le ossa delle dita stringerle i polsi con violenza e questo contribuì ad aumentare visibilmente il senso di angoscia che le stritolava il cuore in una morsa tremenda. Ma la sua pelle percepì anche qualcos’altro. Girò la testa di lato. Qualcosa di caldo e denso le stava correndo lungo la guancia, formando una chiazza scura sul lenzuolo. Sbarrò gli occhi. Fissò raccapricciata la scheggia di vetro sul comodino.
-Perché cazzo l’hai fatto?- La voce le uscì sorprendentemente calma. Subito dopo percepì un forte bruciore alla parte destra del volto. Una lacrima scura le rigò la guancia destra, mescolandosi al sangue. Rachel la sentiva scenderle prima lungo il viso, poi sul collo.
Heyden avvicinò il suo viso a quello della sorella, ma non disse nulla. Rachel chiuse gli occhi. Il cuore le martellava nel petto, ma lei era calma. Sorprendentemente calma.
Il contatto della lingua di Heyden con la guancia di Rachel fu delicato, quasi dolce. Lentamente, il ragazzo risalì il taglio che segnava la faccia della sorella, poi sollevò il capo. Rachel aprì gli occhi e quelli del fratello erano ancora nei suoi. Lentamente, Heyden si sedette sul letto, la potenza della sua morsa si affievolì, liberando il polso destro della ragazza. Il suo viso sembrò avere un piccolo sussulto. Approfittò di quel momento di distrazione da parte del fratello per liberarsi anche l’altro polso, scoprendo che anche quello era grondante di quel denso liquido caldo e purpureo, sebbene si rese subito conto con sollievo misto a preoccupazione, che non si trattasse del suo. Sedette anch’ella sul letto, al fianco di Heyden. Incrociò le gambe sul materasso e gli afferrò la mano sinistra: un solco gli segnava il pallido palmo, disegnando una diagonale che partiva dal mignolo e arrivava quasi fino al polso. Dal taglio usciva un liquido violaceo, caldo e denso.
Rialzò gli occhi e si ritrovò a specchiarsi in quelli del gemello.
 
 
“There's a line on her jeans that a ball-point made,
From a careless mistake that she can't wash away,
And there's a heart on her sleeve from a spill of red wine ,
There's a piece of green in the blue of her eyes,
She named it after me.”

 
“C’è un segno sui suoi jeans fatto con una penna a sfera,
Frutto di un errore che non può lavar via,
C’è un cuore sulla sua manica derivato da una goccia di vino rosso versata,
C’è un pezzo di verde nel blu dei suoi occhi,
Lo ha chiamato col mio nome.”
 
 
Heyden cantava a bassa voce quelle parole che a Rachel parvero così strane eppure così perfette in quella circostanza, la melodia ridotta ad un flebile mormorio.
-C’è un pezzo di verde nel blu dei suoi occhi.- Le parole di Rachel poco più di un sussurro.
-Gli ho dato il tuo nome.- Heyden continuava a scavarle dentro con quello sguardo quasi ipnotico.
D’impulso, Rachel prese delicatamente la mano di Heyden e se la portò alla guancia. Poi, con dolcezza, se la premette sul taglio dal quale continuava ad uscire un liquido violaceo, caldo e denso, lo stesso del gemello. Il sangue dei ragazzi si mescolò, mentre i loro occhi continuavano a vivere in quelli dell’altro. La mano destra del ragazzo scivolò lentamente dietro l’esile corpo di Rachel e lo strinse forte. I volti si avvicinavano sempre più.
Ma una mano si interpose tra loro.
 
Heyden aveva gli occhi della sorella a pochi centimetri dal viso. Lo fissavano seri. Tremendi e meravigliosi. Nel suo sguardo sembrò cogliere delle scuse, forse a lui, forse a se stessa. Una lacrima scese silenziosa sul viso di Rachel, non un singhiozzo, non un tremito. Era una lacrima amara, piena di rimorso. Era lì, pietrificata, la mano sulla bocca del ragazzo. Si odiava per quello che aveva fatto. Forse per esserci caduta. Forse per aver fermato l’ingranaggio delicato che avevano innescato. Sentiva che non avrebbe retto ancora a lungo, quindi si liberò rapidamente dalla stretta del fratello e si rizzò in piedi in mezzo alla stanza buia. Heyden era ancora lì, immobile, gli occhi perennemente su di lei. Rachel avvertiva il suo sguardo indecifrabile perforarle la schiena e sentì improvvisamente le forze venirle meno. Si alzò e si diresse verso la finestra. Sentiva che le mancava l’aria, così aprì le imposte e lasciò che il chiarore della luna che si era pian piano fatta strada tra le nuvole ed il freddo vento invernale inondassero la stanza.

Si sentiva già meglio, pronta ad affrontare il fratello. Si voltò verso di lui, la sua ombra nera proiettata dalla luna si allungava lungo la parete di fronte a lei.
-Mi devi delle spiegazioni.-
-Non ti devo proprio un cazzo.-
-Ascoltami, fottutissimo bastardo che non sei altro. Neanche tre ore fa hai picchiato a sangue il mio ragazzo. Voglio sapere cosa t’è passato per quella testa di cazzo che ti ritrovi. Voglio sapere il perché di tutta questa cattiveria e più di tutto ora…- gli occhi di Rachel saettarono rabbiosi sulla mano insanguinata del fratello, poi sul comodino. Alzò un indice e si indicò la guancia destra. -… voglio sapere il perché di questo.-
Heyden s’alzò in piedi e si diresse verso la finestra. Superata la sorella, prese dal cassetto della scrivania un nuovo pacchetto di Lucky Strike e ne accese una mentre si sedeva sul davanzale, una gamba piegata, l’altra lasciata libera di penzolare verso l’interno della stanza, la schiena appoggiata allo spigolo del muro. La gelida brezza della notte gli scompigliava i capelli, mentre lui guardava fuori, verso un punto indefinito nel buio.
Tolse la sigaretta dalle labbra.
 
 
“So if you ever decide that you have to escape,
And travel the world, and you can't find a place,
Well, you could wind up believing,
That paradise is nothing more than a feeling,
That goes on in your mind.
So if ever find out what that is,
There's something you could do...”

 
“Così se un giorno deciderai di scappare,
E viaggerai per il mondo senza riuscire a trovare un posto,
Bene, tu potrai fermarti credendo,
Che il Paradiso non sia nulla più di un sentimento,
Che attraversa la tua mente.
Così se un giorno scoprirai cos’è,
C’è qualcosa che potrai fare...”

-Perché tutto deve sempre avere un perché?- La voce di Heyden giunse a Rachel distante e fredda dopo quelle morbide parole cantate a fil di voce nella notte, portata dal vento. Questa domanda la colse impreparata. Rimase interdetta.
-Nella tua vita tutto deve sempre avere un perché, una logica spiegazione o un buon motivo per essere fatto. Perché non puoi semplicemente scegliere di lasciare che il tuo corpo agisca, libero dalla mente e dai suoi vincoli? Anche se fosse sbagliato, anche se per una volta non fosse scontato o logico.- Si voltò verso di lei: la luna gli illuminava il volto serio, faceva brillare gli occhi chiari nel buio. Le afferrò un polso e la avvicinò a sé. I visi a pochi centimetri. Rachel poteva avvertire il suo respiro caldo sulle guance. La voce del fratello ormai ridotta ad un sussurro.
-Perché non puoi scegliere di essere libera, per pochi attimi della tua perfetta esistenza?-
Rachel sentì un brivido percorrerle la schiena. Essere libera, facile. Ma ne aveva il diritto? Poteva lei permettersi di esserlo? Chiuse gli occhi. Decise che in quei pochi minuti che l’attendevano di quella fredda notte di gennaio, si sarebbe presa la libertà di scoprirlo.
Di nuovo la dolce voce del fratello la raggiunse da un punto lontano, indefinito.
 
 
“'Cause if I ever hold that golden dream again,
I want to tell you
I'm gonna name it after you.”

 
“Perché se un giorno raggiungerai quel sogno dorato,
Voglio dirti
Che gli darò il tuo nome.”

 
Senza preavviso, le labbra di Heyden si poggiarono lievi su quelle della ragazza quasi quanto una farfalla sui petali di un fiore esotico. Libero e selvaggio. Come Rachel.
Il corpo della sorella ebbe un sussulto, sentì il cuore esploderle nel petto, eppure non fece male. Si sentiva leggera, quasi galleggiasse nel vuoto. Istintivamente, mosse le labbra, rispondendo involontariamente al bacio. Heyden le accarezzò l’interno del labbro superiore con la punta della lingua. Il suo delicato profumo, misto all’odore del fumo arrivava chiaro a Rachel, coccolandola. Doveva semplicemente estraniarsi da se stessa, spegnere la mente, allontanarsi da quel luogo e non permettere alla razionalità di intromettersi. Si abbandonò a quelle sensazioni. Schiuse le labbra. La sua lingua andò ad incrociare quella del fratello. Avere Heyden in quel modo la stava letteralmente annullando. Eppure non si sentiva violata. Mosse nuovamente le labbra, con più decisione. Heyden rispose. No. In tutto quello non c’era violenza. Era dolce. Dolce e ancor più importante, desiderato. Si rese conto che una parte di se lo aveva sempre voluto. E probabilmente, anche per Heyden era così. Le fredde mani di Heyden si insinuarono leggere sotto la sua felpa. Il contatto con la pelle calda dei fianchi fece sussultare Rachel nuovamente, che abbandonò le braccia lungo il corpo, inerti. La lingua del gemello cominciò a rincorrere la sua e viceversa. Rachel sentiva sarebbe potuta esplodere, era troppo tutto così in fretta. Avvertiva il cuore di Heyden battere veloce sotto la maglia, veloce quanto il suo. Ad una velocità quasi insopportabile.
Si separò da lui in fretta, lo sguardo perso. Non capiva nemmeno cosa provasse. Heyden la guardò ancora per qualche secondo, Rachel sentiva che sarebbe potuta annegare in quegli occhi color ghiaccio, lucidi per il freddo. Heyden si voltò nuovamente, rivolgendo lo sguardo verso il buio della notte e riportando la sua Lucky Strike alle labbra.
Rachel si voltò. Troppo agitata per riflettere, si lasciò cadere sul letto del fratello e chiuse gli occhi. Una lacrima le scese rapida sulla guancia. Si addormentò.
  
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