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Autore: AliceWonderland    01/09/2013    3 recensioni
_FF tratta dal libro per ragazzi di Paul Van Loon_
Intrappolata in un autobus scolastico che corre nella notte, guidato da un conducente mascherato, una classe di ragazzi viene intrattenuta da uno strano scrittore che ha davanti a sé un tavolo con diversi oggetti, tra cui un cappio, un kit fai da te il tuo scheletro, un vasetto d'erbagatta, una torta con le candeline sbilenche. Di ogni oggetto racconta la storia: storie inquietanti, da brivido...!
(C’è solo un’indicazione da seguire per leggere questa storia: tornare bambini. La razionalità e lo scetticismo dell’adulto sono estremamente noiosi, perciò lasciateli fuori dalla porta assieme alle scarpe e agli ombrelli. Tutto vi verrà prontamente restituito all'uscita senza sovrattassa. Grazie.)
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atemu, Maximilian Pegasus, Seto Kaiba, Un po' tutti, Yuugi Mouto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I personaggi presenti in questo racconto appartengono al loro rispettivo creatore. Questa fanfiction è scritta sulla base dell'opera di Paul Van Loon: "L'Autobus del Brivido". Scritta senza alcuno scopo di lucro. Buona lettura!


-PROLOGO-


-Che lavoro ingrato. Anche quest'anno il nonno è riuscito a farmela di nuovo-.
Con la fronte madida di sudore, Yugi si gettò stancamente su una vecchia sedia a dondolo polverosa e scricchiolante, incastrata tra una pila di riviste e uno scatolone di logori attrezzi da giardino.
L’aria soffocante e polverosa che si respirava nella soffitta era resa ancor più asfissiante dai raggi di sole che scottavano il tetto, facendolo crepitare e rendendo il locale sottostante simile ad un cocente forno a legna.
Atem, giunto dall’Egitto qualche giorno prima, rivolse un sorriso distratto al cugino, restando inginocchiato sul pavimento a curiosare in un baule contenente numerosi album fotografici.
-Non fare quella faccia- disse estraendo un annuario apparentemente nuovo, che doveva esser stato gettato là dentro da non più di due, tre anni -Insieme finiremo prima. Io lo trovo un lavoro interessante- ammise soffiando sopra la copertina plastificata blu e azzurra, e portandosi una mano sul viso, per evitare di inspirare lo sbuffo di polvere che si era sollevato da essa.
-Credimi, qua dentro non c’è davvero nulla di interessante- sospirò Yugi, annoiato, sollevando delle cesoie rotte –Solo un mucchio di cianfrusaglie-.
Stava per rimettersi in piedi, pronto a tornare allo smistamento, quando la mano del cugino si sollevò, facendogli segno di avvicinarsi.
-Ehi, Yugi, ma dove vi trovavate in questa foto? Sembrate appena usciti da una palude… Ma cos’è? Un cimitero? Non si distingue bene- disse allungandogli sotto il naso l’annuario, e indicando una delle numerose fotografie applicate con cura sulla pagina patinata.
Yugi prese in mano il libretto e contemplò la pagina. Una marea di ricordi e immagini attraversarono il suo sguardo, sotto le occhiate perplesse di Atem.
-Oh, questo…- mormorò alla fine, mordendosi il labbro inferiore -Sono passati tre anni, e a volte ho ancora gli incubi- ammise piegando le labbra, imbarazzato.
-Che cos’era? Una specie di prova di coraggio? Attraversare un cimitero nella notte di Halloween, con la luna piena, magari?- domandò il cugino, mentre Yugi prendeva posto accanto a lui, posandosi l’annuario sulle ginocchia.
-Se te lo raccontassi non ci crederesti mai. Non l’ho mai raccontato a nessuno. La mamma e il nonno mi prenderebbero per matto se cercassi di spiegargli cos’è accaduto quella notte-;
-E cosa è successo di tanto strano?-;
-Te lo racconto solo se giuri di non prendermi in giro- disse Yugi -Promettilo-.
Atem si portò una mano al cuore: -Lo prometto sulla tomba del faraone senza nome-;
Il ragazzino tornò a posare lo sguardo sull’annuario, lasciò scorrere le pagine fra le dita, poi, si decise a raccontare al cugino ciò che accadde a lui e alla sua classe tre anni prima.
-Nessuna prova di coraggio, e niente Halloween, però su una cosa hai avuto ragione: c’era la luna piena, e quella fu la gita più assurda alla quale abbia mai preso parte- cominciò.

DE GRIEZELBUS
L’autobus del brivido

-Capitolo 01-


-Ragazzi, tutti a bordo! L’Autobus del Brivido sta per partire!-.
Il professor Yoshimori batté le mani per richiamare l’attenzione del gruppetto di studenti radunati sul marciapiede, all’ingresso del liceo.
L’esterno dell’autobus ammaccato, parcheggiato lì accanto, era dipinto di nero, attraversato da figure di scheletri, fantasmi e altri scarabocchi, sovrastati da una vistosa scritta a caratteri cubitali sulla fiancata.
-Ma che roba è? Uno scherzo?-;
-E questa sarebbe la nostra gita?-;
-Questa è la famosa "sorpresa"? Il professore ha davvero un pessimo senso dell’umorismo- bisbigliarono sottovoce alcuni ragazzi.
-Autobus del Brivido?- lesse Jonouchi, arricciando le labbra e affondando le mani nelle tasche della giacca a vento -Robe da pazzi. Prenderemo parte ad una gita per marmocchi delle elementari- brontolò.
-Chi l'avrebbe detto. Sembra pensata apposta per te, Jonouchi-soffiò una voce sbeffeggiante alle spalle del gruppetto -Non trovate anche voi?-.
Alcune compagne lì vicino intercettarono la battuta e ridacchiarono senza ritegno.
-Cos?! A-ah! Non sei per niente spiritoso, Kaiba! Tornatene nella tua bara, che è meglio!- replicò il biondino, seccato.
Il falso sorrisetto di Seto Kaiba si accentuò, dopodiché il gruppetto lo guardò avviarsi verso l’entrata del mezzo.
-Quel maledetto verme! Se i nostri compagni sapessero davvero di che pasta è fatto state certi che non gli darebbero troppa importanza!-;
-Calmati, a che serve prendersela?- lo ammonì Yugi -Ti rovinerai solo la serata, Jonouchi-;
Honda alzò le spalle: -Ah be', tanto… peggio di così- disse rimandando lo sguardo nocciola all’autobus.
-Bah! Tanto prima o poi gliela farò vedere io a quel principino borioso. Scommetto che sarà il primo a farsela sotto, quando saremo partiti. Non so cosa sia più orrendo! Se i suoi capelli verdi o questa carriola qua!- sbottò prima di seguire i compagni all’interno del bus.
Lui, Yugi, Anzu e Honda furono il secondo gruppo ad addentrarsi nel mezzo, seguiti da Otogi e da Ryou, stretto al suo zaino blu, e dal resto della classe.
Ancora non potevano credere di stare per affrontare una viaggio all’interno di un catorcio scarabocchiato e sbilenco come quello. Persino a distanza di un miglio un orbo avrebbe intuito che quell’autobus era stato creato per un progetto destinato a bambini dell’asilo, magari per qualche insulsa iniziativa come “La settimana del libro per ragazzi”, e tutti pregarono affinché le tenebre calassero presto sulla città, mascherando quell’orrore su quattro ruote e la classe di liceali che vi era sopra.

Una volta raggiunta l’estremità dello stretto corridoio, Yugi si guardò intorno.
Jonouchi, alle sue spalle, si chinò verso di lui bisbigliandogli: -Ehi, amico, che ti prende? Non te la starai già facendo sotto? Non hanno ancora acceso i motori-;
-Non riesco a vedere nulla. Qui dentro è buio pesto- sussurrò il ragazzino, avanzando con passo incerto.
Al seguito di quelle parole, una ad una, al di sopra dei finestrini nella parte anteriore dell’autobus, si accesero delle piccole e deboli luci, che finalmente resero abbastanza visibili i sedili. La parte posteriore del mezzo, invece, rimase celata da un drappo di velluto scuro.
-Forza, ragazzi. Non vorrete rimanere in piedi per tutto il viaggio?- li spronò l’insegnante, ancora sulla soglia.
Yugi esitò, scrutando l’autista, il quale tenne il viso rivolto verso il finestrino, senza mostrare il minimo interesse per chi saliva ed occupava i posti.
-Avanti, Yugi, deciditi- il biondino si issò su uno dei sedili di pelle logora e scavalcò il compagno, procedendo nella corsia centrale e gettandosi sul sedile più lontano possibile da Kaiba.
Yugi deglutì e si affrettò, sedendosi subito accanto a Jonouchi, e, voltandosi verso Honda e Anzu, che stavano prendendo posto alle loro spalle, non poté fare a meno di notare che tutte le sedute erano al contrario, rivolte verso la macabra tenda nera, piuttosto che nel senso dell’autista. La voce di Yoshimori, salito per ultimo, tornò a farsi largo tra le file.
-Buonasera- salutò, rivolgendosi all’autista, che lo ignorò, col volto coperto dalla visiera scura del berretto.

-Bene, noto con piacere che ci siamo tutti. Proprio tutti- sottolineò, ignorando le occhiatacce torve che Seto Kaiba gli stava rivolgendo in quel momento; il volto di quest’ultimo era piegato in una smorfia di diniego, ed ora sembrava proprio lui quello più infastidito all’idea di dover affrontare un viaggio su un mezzo simile. Yugi non poté fare a meno di domandarsi quale minaccia avesse attuato il professore nei confronti del compagno, per convincerlo ad unirsi a quella gita…
-Che posto sudicio- osservò incuriosito Hanasaki, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso e passando un dito lungo i poggiatesta, mostrando al vicino lo spesso strato di polvere -Ragnatele dappertutto-;
-Iiiiiih!- strillò Nosaka Miho, facendo sobbalzare tutti quanti e agitando teatralmente le mani per aria, per poi avvolgerle attorno al braccio di Ryou, in un gesto che a Yugi e al gruppetto sembrò piuttosto premeditato -P-professore, Miho ha visto qualcosa muoversi, lassù!-;
-Anche qua sopra! Che schifo! Sono pipistrelli!- si lagnarono altre ragazze, più avanti.
Jonouchi deglutì e si sporse, allungando un braccio verso l’oscurità del tettuccio.
-Ma…! E’ plastica- disse riacquistando la sua spavalderia, e lasciando andare l’elastico in modo che l’animaletto finto potesse tornare a svolazzare in circolo sulle loro teste.
L’autobus si riempì di risate.
-Benvenuti sull’Autobus del Brivido- li interruppe una voce affabile, proveniente da dietro la tenda scura davanti a loro.
Tutti ammutolirono. Ryou non si mosse. Restò immobile, compostamente seduto al suo posto, lo zainetto posato sulle ginocchia e le mani bianche placidamente intrecciate e posate su di esso.
La tenda si schiuse con rumore metallico degli anelli che la sorreggevano e, davanti alla classe, apparve un personaggio coperto da un lungo mantello scuro sopra la quale tintinnavano degli ossicini; indossava una collana di denti, e buona parte del suo viso era celata da una lunga cascata di capelli argentei.
-Benvenuti sul mio Autobus del Brivido!- disse mostrando un ampio sorriso -Io sono Pegasus, la vostra guida, e questo sarà un viaggio che non dimenticherete mai, statene certi-;
-Non so perché ma gli credo- pensò Honda.
Gli occhi, no, l’occhio di Pegasus, l’unico visibile, brillò pieno di inquieto entusiasmo, mentre percorreva con lo sguardo i volti dei ragazzi, rimasti in silenzio davanti a lui.
-Sembra un mago tribale- bisbigliò Jonouchi, sogghignando.
-O un dentista- osservò Yugi, segretamente impressionato dalla collana di denti che l’individuo sfoggiava -Saranno veri?- pensò poi.
-Che tipo equivoco…- squittì appena Miho con la sua vocetta -Miho non ha per niente voglia di starlo a sentire- sussurrò al suo vicino.
-A me sembra interessante- ammise Ryou, senza prestarle troppa attenzione -E poi, se non fossi venuto, sarei stato costretto a restarmene a casa da solo per tutta la sera. I miei genitori sono sempre via, e io mi annoio parecchio-. Le sue dita diafane tamburellarono sullo zainetto.
Anzu, seduta a poca distanza, lo fissò con la coda dell’occhio. Ryou era un ragazzo estremamente tranquillo, infatuato di occulto, ed in classe era sempre zitto, perciò, a meno che non fossero le ragazze del suo fan club, nessuno prestava molta attenzione a lui. A volte era come se fosse invisibile.

Pegasus rise di gusto e la sua voce si fece improvvisamente più calma e cordiale.
-Via, spero che non siate troppo impressionati. Accolgo sempre i miei ospiti in questo modo, per entrare meglio nell’atmosfera. Dopotutto, questa sarà una serata di storie del brivido, no?- osservò avanzando lentamente tra gli studenti.
-Mi sento sempre più un completo imbecille- disse Jonouchi ai suoi amici.
-Guadate il viso di Pegasus; sembra voler nascondere la parte sinistra- osservò Yugi.
-Forse ha un occhio di vetro- replicò Honda, che già cominciava ad annoiarsi.
-E’ sicuramente una messinscena, come i pipistrelli finti e quelle ridicole ossa di pollo- disse il biondino, portandosi le braccia dietro il capo e stravaccandosi sul sedile.
Lo scrittore gli passò a fianco e lo fissò, mentre il sorriso sulla sua faccia si accentuava. L’aveva forse sentito?
-Come avrete notato, l’autobus è decorato con alcuni elementi dell’arte di far accapponare la pelle, tuttavia non posso assicurarvi che qui dentro tutto sia di materiale plastico. Può darsi che in qualche cantuccio, qui intorno, si aggiri un ragno autentico, una tarantola- e strizzò l’occhio a Miho, che automaticamente fissò con aria incuriosita il soffitto. Il professore fece un passo avanti e tese la mano all’uomo.
-Buonasera, signor Pegasus. Direi che l’inizio è promettente! Alcuni dei ragazzi hanno già la tremarella. Siamo pronti per affrontare il viaggio-.
Alcuni degli studenti deformarono le facce in smorfie nel sentir pronunciare quelle parole. Il loro professore, prima di entrare al liceo Domino, era stato un insegnante delle elementari; malauguratamente non era ancora riuscito a sbarazzarsi della mentalità e del lessico che si respira in quell’ambiente, e tutti si sentivano parecchio sciocchi e imbarazzati nell’essere rappresentati da lui.
Pegasus annuiva alle sue parole: -Sicuro, sicuro… Ed ora voglio presentarvi il nostro autista. Io lo chiamo semplicemente Skell. Su, voltati e saluta i nostri ospiti, non essere maleducato-.
La classe si voltò verso l’autista che, finalmente, si tolse il berretto. In quel momento un faretto illuminò il suo volto: era un teschio! Un teschio opalescente con due profondi buchi vuoti al posto degli occhi!
Alcune ragazze strillarono dallo spavento, abbracciandosi. Ryou rimase impassibile, forse perché non si diede la pena di voltarsi verso la scena alle sue spalle.
Kaiba alzò gli occhi al soffitto, mugugnando un sonoro e inconfondibile: -Tsè, ridicolo-.
Yugi rabbrividì, ma si contenne. Era sempre stato un po’ impressionabile, ma sapeva sempre riprendersi bene.
-Una maschera- disse Jonouchi, trovando la messinscena quasi tenera -Da bambino ne avevo una identica, e terrorizzavo sempre mia sorella-.
Sì, Jonouchi aveva ragione, ora la potevano vedere tutti: una maschera, cos’altro sarebbe potuta essere, altrimenti?
Yugi guardò il vicino, sorridendo sollevato, e lo scrittore ridacchiò.
-Touché. Uno scherzetto- ammise alzando le spalle -Tuttavia, ha sempre successo, e non mi decido mai a eliminarlo dal programma-.
-Io l’avevo capito subito- ci tenne a sottolineare il professore, gonfiando il petto.
-Quindi le gambe le tremano per la pressione bassa?- dedusse Honda. Ilarità generale. Il professore era impressionato quanto le ragazze e il povero Hanasaki.
Pegasus osservò compiaciuto le facce dei suoi ospiti, poi ordinò: -Skell, avvia il motore-.
Il conducente aveva nuovamente indossato il berretto, e a quell’ordine tornò a voltarsi, girando la chiave di accensione.
L’autobus cominciò a sbuffare, infine si avviò, mentre lo scrittore raggiungeva il fondo del mezzo, tirando una cordicella; alcuni faretti illuminarono ulteriormente la parte posteriore del bus, sovrapponendosi a quelli già accesi; i sedili, invece, tornarono nell’ombra.
Davanti agli sguardi scettici della classe comparvero su un tavolo alcuni oggetti.
-Cos’è quella roba?- chiese Otogi, sporgendosi per vedere meglio. Gli oggetti disposti sul tavolo erano: un quadro ad olio, una scatola di costruzioni, un ciocco di legno dipinto, un babyphone, una torta con sedici candeline, un vasetto d’erba, uno stivale infangato e un cappio di corda; accanto al tavolo scorsero una grossa poltrona rivestita di cuoio.
-Aah, quasi posso sentirvi pensare: che accozzaglia è mai questa?- disse Pegasus, strizzando l’occhio a Yugi e al gruppo intorno a lui -Tranquilli, non è un mercatino delle pulci, ed ora vi spiegherò. Dovete sapere che ciascuno di questi oggetti ha una sua storia da narrare, poltrona compresa-;
-Di bene in meglio- sussurrò Honda, ma Anzu lo zittì con una gomitata allo stomaco. Sembrava improvvisamente interessata, come anche altri ragazzi.
-Tutte queste storie sono presenti nel mio nuovo libro, un insieme di racconti il cui titolo è, per l’appunto: L’Autobus del Brivido. Bene! Ora partiremo e, durante il tragitto, io vi leggerò le dieci storie- continuò Pegasus. Non ci fu particolare entusiasmo da parte degli studenti, ma all’interno del mezzo già si respirava un’altra aria. Un silenzioso scetticismo misto a vago interesse.
Anzu inarcò le sopracciglia, spostando un paio di volte lo sguardo celeste dal tavolo allo scrittore.
-Signor Pegasus, lei ha detto che le storie sono dieci, ma lì ci sono solo nove oggetti, poltrona compresa-;
-E tu sei una ragazza molto sveglia- aggiunse l’uomo -Devi sapere che alla decima storia corrispondo io: si tratta di una mia esperienza personale, quando avevo più o meno la vostra età-;
-O è un pretesto perché gli manca un oggetto- bisbigliò Otogi accavallando le gambe e mettendosi comodo.
-Ci sono altre domande?- chiese il professore, ma le sopracciglia inarcate e le fronti aggrottate dei suoi alunni valsero come replica.
-Ne farò una io- disse lo scrittore -Vorrebbe, il professore, prendere posto qui, su questa poltrona, durante il viaggio? E’ molto comoda, e la riservo sempre agli insegnanti- si voltò leggermente verso i ragazzi e aggiunse sottovoce -Quelli più anziani- e ammiccò. Le ragazze sorrisero scioccamente.
-Quale onore- asserì Yoshimori, nel frattempo, prendendo posto -E’ davvero comoda, non mi alzerò finché non saremo tornati a destinazione-.
Lo scrittore ricambiò il sorriso: -Eheh, vedremo…-.
L’uomo guardò stupito Pegasus. Cosa aveva voluto dire? Ma lo scrittore stava già aprendo il suo libro e sollevando il cappio di corda dal tavolo, sventolandolo davanti agli occhi degli studenti.
-Sapete benissimo di cosa si tratta. Questo è un capestro- cominciò -In tempi passati, i malfattori venivano impiccati a una corda come questa, anzi, in certi paesi accade ancora. La prima storia che narrerò tratta proprio di questa corda. Skell, puoi partire-.
E l’Autobus del Brivido si mosse.
Nonostante lo scetticismo, nessuno fiatò e lo scrittore cominciò a leggere.

-LA FORCA-


Il padre di Noah tornò a casa da un viaggio di lavoro con un pacco piatto, di forma quadrata.
-L’affare è concluso, e guardate cosa mi è stato regalato- disse.
Noah e la madre fissarono perplessi l’involucro di carta, mentre il padre l’apriva con un coltellino, rivelando ai loro occhi una tela dipinta ad olio.
-E’ davvero splendido- si compiacque, mentre moglie e figlio si chiesero “che robaccia è mai questa?”. Noah sapeva bene che l’arte era una delle passioni e degli hobby che suo padre si ritagliava tra un impegno affaristico e l’altro, ma quel dipinto era il più orrendo che avesse mai visto.
-E’ raccapricciante- gli lesse nel pensiero la madre -Come hai potuto accettare un orrore simile?-.
In effetti, la scena rappresentata aveva del singolare: sullo sfondo di un’isoletta circondata dal mare in tempesta, tra montagne di residui metallici e ferraglia d’ogni tipo, si levava imponente un alto patibolo. Uno stormo di uccelli minacciosi volava nel cielo grigio e dalla forca pendeva un uomo con gli occhi sgusciati, folli, ed un aspetto feroce. A qualche passo di distanza dalla forca, un ragazzino impettito, dai capelli verde acqua, levava la testa verso l’impiccato con espressione soddisfatta, come a volergli mostrare la propria superiorità.
-Non voglio vedere quella roba appesa nella sala da pranzo, e neanche in salone. E’ da museo degli orrori-;
-Questa è arte!- ribatté il padre di Noah, aggrottando le sopracciglia folte –Oltretutto, si riferisce ad un fatto storico realmente avvenuto- disse volgendo lo sguardo burbero verso il figlio, cercando di smuovere la sua curiosità -L’uomo qui rappresentato era un assassino esistito un secolo fa, e vendette l’anima al diavolo, così, di notte, si tramutava in un mostro sanguinario. Il ragazzino alla sua sinistra era suo figlio, che lo denunciò alla polizia- l’uomo tolse della polvere dagli angoli del quadro, e i suoi occhi brillarono di soddisfazione -E’ dipinto egregiamente, a ben guardarlo il ragazzo somiglia a Noah-;
-Non assomiglia per niente a Noah- disse la moglie, offesa -A volte hai delle idee veramente assurde-.
Ma Noah dovette dare ragione a suo padre, perché il ragazzino nel dipinto gli somigliava per davvero: i medesimi capelli, persino la stessa corporatura e lo stesso sguardo vispo e intelligente, del colore dell’oceano.
-Ad ogni modo- interruppe i suoi pensieri il padre -Questa tela è un omaggio di un collega con cui ho concluso l’affare a New York. Non ho potuto rifiutare. E’ un pezzo straordinario e di grande valore-;
-Secondo me se n’è voluto sbarazzare- sospirò la moglie -Oltre al soggetto raccapricciante, magari c’è anche altro…-.
-Bah, non sono mai stato superstizioso. Sono tutte idiozie, sai com’è certa gente-.
Noah sapeva com’era certa gente, e neanche lui era mai stato superstizioso o cose del genere, ma quel dipinto ebbe subito uno strano effetto su di lui.
Era come se gli occhi malvagi e sgusciati del soggetto lo stessero fissando, tenendolo avvinto con lo sguardo rabbioso e bramoso di sangue.
Il ragazzino, d’un tratto, ebbe la sensazione che tutto intorno a lui andasse annebbiandosi, anche le voci dei genitori; avvertì come una folata di vento e gli sembrò di udire in lontananza lo sciabordio del mare ed il gracchiare funereo di quegli stessi corvi rappresentati nel disegno.
-E va bene!- sentì dire in sottofondo dal padre -Lo appenderemo dove le tue ‘sensibili’ amiche non possano vederlo! Tanto loro non capiscono niente di arte, non serve che sprechino occhiate su questo capolavoro- sbottò, e si avviò su per le scale col quadro sottobraccio -Lo consumerebbero inutilmente-;
-Ah, a volte è così melodrammatico- sospirò la donna.
Noah sentì dileguarsi il suo strano malessere e, finalmente, tornò a vedere chiaramente il salone lussuoso e ben arredato attorno a sé. Niente isole disseminate di metalli, niente corvi, niente patibolo.

Era già da un paio di giorni che il quadro stava appeso su una parete, nel corridoio del secondo piano, accanto alla camera di Noah; il ragazzino, contrariato, non osava guardarlo, infatti quando saliva le scale per raggiungere il piano superiore, si muoveva più svelto possibile, scattando come un fulmine e distogliendo lo sguardo dalla tela. Quegli occhi sgusciati gli facevano impressione. Anche la Monna Lisa fissava e sembrava seguire i suoi osservatori con aria accondiscendente ed affabile, ma ora Noah aveva trovato qualcosa di ben più inquietante.
-Come puoi avere paura di un quadro?- si diceva, e tuttavia, ogni volta che arrivava al piano in questione, la scena si ripeteva e veniva preso da una sottile angoscia. Come se non bastasse, di notte faceva strani sogni, in cui grossi corvacci neri volavano gracchiando funesti per la sua stanza.
-Padre, quel quadro mi disturba. La scorsa notte l’ho anche sognato, ed è stato orribile!-.
Il padre distolse l’attenzione dal giornale, e lo fulminò con lo sguardo.
-Ti ci metti anche tu, adesso?! Che diamine vi prende? Non posso neanche più appendere un’opera d’arte in casa mia? Il quadro resta dov’è, e non si discute!-.
Noah rabbrividì al seguito di quella violenta reazione. Solitamente, il padre era burbero e un po’ schivo di carattere, ma con lui era sempre stato molto bendisposto, essendo lui il suo unico figlio; lo viziava ed esaudiva ogni suo desiderio, ma quei giorni sembravano essere passati, da quando aveva portato in casa quel dipinto.
Come se non bastasse, sembrava intenzionato a non volersi più tagliare la barba, ed il suo umore nero, unito a quel nuovo modo di presentarsi, cominciarono ad intimorire tutti, in casa.
Quella notte, Noah sognò di nuovo i corvi che volavano sulla sua testa: li sentì gracchiare, si svegliò di soprassalto e si drizzò a sedere sul letto col fiatone; asciugò la fronte madida di sudore e, mettendo i piedi a terra, uscì dalla stanza, diretto al gabinetto.
Sbadigliando, attraversò il corridoio buio, entrò in bagno, e pochi attimi dopo era già di ritorno, ma a metà del tragitto dovette fermarsi. Da qualche parte, nell’oscurità, vide qualcosa luccicare.
Si stropicciò gli occhi, costringendoli ad aprirsi per bene, in cerca della fonte di quel bagliore.
Dovette trattenersi dal cacciare un grido, quando scoprì che il luccicore proveniva dal quadro: gli occhi dell’assassino impiccato erano due punti infuocati e selvaggi che lo fissavano colmi di rancore.
Noah si precipitò in camera, si gettò nel letto e chiuse le tende attorno a sé, col batticuore, poi, rimase in ascolto. Non seppe dire per quanto tempo rimase così turbato ma, alla fine, con la testa piena di pensieri confusi, ricadde addormentato fra le lenzuola.

La mattina seguente, uscendo dalla stanza, rivolse una fugace occhiata al dipinto. Sembrava sempre il solito, e gli occhi dell’assassino non fiammeggiavano più come la notte appena trascorsa.
-E’ stata un’allucinazione, mi sono fatto impressionare dal buio- si disse -Probabilmente mi sono anche sognato di andare al bagno- pensando questo, scese a fare colazione.
-Che succede?- chiese alla madre, una volta raggiunta la sala dove gli venne servita la colazione.
La donna, dall’altra parte del tavolo, alzò lo sguardo su di lui e si fece servire altro thè: -Tuo padre non sta bene, questa mattina. Ha la tosse e la febbre alta- lo informò.
-Ha un brutto aspetto da qualche giorno- disse Noah, servendosi della spremuta -Madre, a mio parere è opera di quel quadro.
Papà se l’è presa davvero tanto per il fatto che a noi non piace, ed è diventato un chiodo fisso. Non si rade neanche più-;
-Noah, che discorsi sono?- replicò la donna -Ha preso solo un po’ di raffreddore, e io trovo che la barba gli stia bene-;
-A me sembra un bandito- rivelò il ragazzino –Somiglia all’assassino in quel dipinto-.
La donna lo guardò di traverso: -Cosa vorresti dire?-;
-Non so- ammise Noah, sollevando la cartella ai piedi del tavolo -Sarà come dici tu. Avrà preso freddo. Buona giornata- disse posandogli un bacio sulla guancia e correndo verso la limousine che lo attendeva in cortile.

Quando Noah tornò a casa da scuola, quel pomeriggio, il padre era ancora a letto, malato, sepolto dalle spesse coperte, e si agitava nel sonno.
-Lasciamolo tranquillo- gli disse la madre –Vedrai che domani la febbre sarà passata-.
Il ragazzino annuì pensoso, chiudendosi la porta della stanza alle spalle.
Aveva ricevuto più compiti del solito, così filò diritto in camera senza neanche degnare di uno sguardo il quadro; si cambiò e si mise all’opera.

Gemiti rauchi, affannati, occhi di corvi, sciabordio di onde, un’indefinibile sensazione di malessere.
Nel buio della sua stanza, Noah si agitava inquieto tra le coperte, mentre gli uccelli neri sfrecciavano radenti sulla sua testa ed un cappio dondolava sinistramente nel vento, davanti a lui.
-No! Lasciatemi stare! No!- gridò, agitandosi sempre più -L’assassino! L’assassino è fuggito!-.
Rumore di passi, strida di uccelli dentro la testa, dentro il suo sogno, poi il tonfo di una porta, e un altro ancora.
-Lasciami! Lasciami in pace! Sei un assassino!- gridò ancora.
Un tonfo più forte; la porta si spalancò di colpo e Noah si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi blu.
Era sveglio, ma accanto al suo letto, nell’oscurità, si ergeva una sagoma scura, ringhiante e sbuffante; pareva uscita direttamente dal suo incubo!
Due mani si strinsero attorno al suo collo e lo strapparono dal letto.
-Traditore!- abbaiò l’ombra -Tu! Mio figlio! Non ti lascerò ciò che è mio! Prenderai tu il mio posto sulla forca!-.
Noah lanciò un urlo soffocato. Protese le braccia per scacciare quel sogno, ma le sue mani incontrarono un volto barbuto.
Ruggendo, l’ombra trascinò il ragazzino nel corridoio buio.
-Verrai impiccato!- ringhiò -Traditore! Traditore del tuo stesso sangue!-.
Noah scalciava disperato, annaspava, tirava pugni alla cieca, ma quelle mani non lo lasciavano, non si allentavano di un millimetro; continuarono a trascinarlo per il corridoio.
-Ti uccido!- gridò l’ombra, mentre Noah, con un rantolo soffocato, cominciava a perdere i sensi.
All’improvviso, una porta a pochi passi da loro si aprì e, nella luce che proveniva da dietro di essa, Noah riconobbe la madre, ancora assonnata, stretta nella sua negligé.
-Ma cosa…?-.
Per un attimo la donna rimase paralizzata dall’orrore, poi si voltò; Noah la scorse correre verso il quadro, strapparlo dalla parete e stringere la cornice fra le mani tremanti, fino a quando non lo abbatté sulla testa dell’individuo che tentava di strangolarlo.
Udì un rumore di tela lacerata, la cornice si ruppe e, nello stesso istante, la stretta morsa che imprigionava il ragazzino si allentò.
Con un rantolo, cadde a terra e strisciò lontano dall’aggressore, che si accasciò sulle ginocchia.
La donna cercò a tentoni l’interruttore della luce e il buio si dileguò, lasciando i due a bocca aperta.
Il padre di Noah era steso nel corridoio, con la testa e le spalle ancora conficcate nella tela strappata del quadro, gli occhi erano annebbiati e, poco dopo, sul suo volto barbuto, comparve un’espressione confusa.
-Cosa ci faccio qui?-.

-Te l’avevo detto che quel quadro era malefico- disse Noah, seduto con le gambe a penzoloni sul tavolo della grossa cucina.
Erano tutti e tre in vestaglia, le facce grigie e ancora un po’ scosse, mentre sorseggiavano una cioccolata calda preparata dall’assonnata domestica.
Il padre di Noah guardava con aria colpevole i segni rossi ancora impressi sulla gola del figlio.
-Non so proprio spiegarmi cosa mi sia preso in questi giorni- grugnì.
Aveva riacquistato il solito cipiglio burbero, ma a Noah non faceva più paura, ora che era tornato il padre di sempre.
-Ho un vuoto. Ricordo solo una voce che mi sussurrava di uccidere mio figlio- raccontò -Ti sei preso un bello spavento, Noah, mi dispiace-.
-Ora è tutto passato- disse la moglie carezzando la testa del figlio, che ricambiò il sorriso -Ho già provveduto affinché Roland si premurasse di gettare quel quadro nella spazzatura. Non parliamone più-.

Alle prime luci dell’alba un’esclamazione di sorpresa si levò lungo la via.
-Ehi, guarda cos’ho trovato- disse uno dei netturbini, estraendo un quadro malconcio dal cassonetto -Peccato gettarlo via. Bah, questi ricconi…-;
-Quanto varrà? E’ pittura ad olio-.
L’uomo esaminò la tela, pensoso: -Lo farò riparare da un amico restauratore. Potrei appenderlo nel soggiorno, sopra il caminetto- guardò i soggetti e sorrise -Curioso. Questo ragazzino è tale e quale a mio figlio. A mia moglie piacerà sicuramente. Un’autentica opera d’arte-.

CONTINUA…
Disse l'autrice:
Salve a tutti e ben ritrovati, cari e impavidi amici amanti del brivido! (Pelle, PELLE! Pelleossa, OSSA!…)
Un’altra asfissiante ed insulsa stagione balneare (?), pregna d’afa e zanzare, ci ha abbandonati, lasciando spazio al mite Settembre, e così anche questa vecchia e rancida matrona quale sono, scrollatasi di dosso polvere, muffe e licheni, ha deciso di approdare nuovamente sulle sponde del fandom con una ff che si propone di tenervi piacevolmente compagnia tra un impegno giornaliero e l’altro!
Mi auguro sinceramente che questo primo capitolo introduttivo abbia stuzzicato la vostra curiosità, come il libro originale da cui è stato tratto stuzzicò la mia, durante l’infanzia.
De Griezelbus, conosciuto in questa Italy come L’Autobus del Brivido, è un libro per ragazzi scritto da Paul Van Loon, ed è tutt’oggi uno dei miei preferiti in assoluto, sebbene debba ammettere di averlo riscoperto in via definitiva agli albori di Maggio, tra l’altro in maniera piuttosto inquietante, proprio come le storie che contiene! (Eeeh, il destino!)
Quasi immediatamente ho progettato di trascriverlo (ygo-mode?), personalizzandone alcuni aspetti, senza stravolgerli eccessivamente, in modo da presentarlo a chi non avesse mai avuto il piacere di imbattersi in Paul Van Loon, in Onnoval* e nel suo Autobus del Brivido.
Probabilmente, ognuno di noi, durante la propria infanzia, ha avuto un libro che ancor’oggi suscita piacevoli ricordi.
Questo è stato (ed è) il mio, e mi piacerebbe condividerlo con voi. Buona lettura!

+Alice(Brividi&Polvere)Wonderland+

**P. Onnoval_E’ lo scrittore/narratore/protagonista de “L’Autobus del Brivido”; anagrammando il suo nome risulta essere l’autore in persona (P. Van Loon). Nei restanti quattro sequel il suo nome è anagrammato in molti altri modi.
  
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