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Autore: Speachless_    02/09/2013    1 recensioni
Quel pane era bruciato, rovente, adesso anche inzuppato di pioggia e fango, ma lei vi si gettò sopra forse con le sue ultime forze.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Like a medicine.



Sì, avevo bisogno di vederla. Almeno una volta al giorno.
Era come una medicina: a scuola, quando la vedevo passare, con quella treccia poggiata su una spalla e lo sguardo duro da bambina cresciuta troppo in fretta, capivo che la sua sola esistenza mi permetteva di sopportare tutto. Le fame, le punizioni di mia madre, i biscotti di papà bruciati nel forno.
Finita la scuola ed iniziato il lavoro nel forno di famiglia, pregavo che avesse avuto qualche moneta da parte per comprare del pane o anche solo la forza necessaria per trascinarsi davanti alla vetrina ad ammirare le torte decorate da me. Vivevo per il suo viso schiacciato contro il vetro, per la mano che lasciava quella della sorella per indicare una delle pagnotte appena sfornate e fumanti, per i suoi occhi. Quegli occhi che non mi hanno mai guardato, se non quella giornata piovosa.

Quel giorno toccava a me tenere d'occhio l'infornata giornaliera. "Non è più nuovo come una volta, brucia il pane come se fosse nato per quello." mi diceva papà, riferendosi al forno.
Mia madre mi tirava schiaffi dietro alla testa come avvertimento.
Tra uno sbuffo e un brontolio di stomaco (essere il figlio del fornaio non mi precludeva la fame), ero naturalmente riuscito a bruciare il pane. La reazione di mia madre fu la solita: punizione, qualche schiaffo, urla a non finire. Mi mandò fuori con il compito di dare il pane bruciato alle galline; ma mi accorsi subito che c'era qualcosa che non andava.
Poco distante dalla porta, poggiata su una roccia resa scivolosa per la pioggia, c'era una figura. Aveva quell'abbandono tipico di chi sa che non c'è più niente da fare, di chi si sta lasciando morire. Sapevo chi era, nonostante avesse i capelli attaccati al viso.
Mi fermai un attimo, osservai il pane, feci due più due, mi guardai intorno e...glielo lanciai, così. Solo uno sguardo; non vidi riconoscenza nè stupore nei suoi occhi. Quel pane era bruciato, rovente, adesso anche inzuppato di pioggia e fango, ma lei vi si gettò sopra forse con le sue ultime forze.
Rientrai in casa e mi sentii come se avessi combattuto. Ma, in effetti, chi si oppone a una cosa già scritta, non è come se avesse combattuto contro il destino? Io lo avevo fatto, avevo impedito ad una persona di morire, avevo riscritto il futuro già deciso, avevo posto un primo mattone nel muro della ribellione contro i pacificatori, contro Capitol City, contro Snow.
E, da quel giorno, pensai "Io non voglio che mi cambino. Che mi trasformino in quello che non sono. Non voglio essere solo un'altra pedina del loro gioco. Vorrei solo trovare un modo per dimostrargli che non sono una loro proprietà. Se proprio devo morire, voglio rimanere me stesso."




Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti i lettori che hanno dedicato 5 minuti/10 minuti/3 giorni (?) del loro tempo alla mia misera ff. c:
Questa è la prima fanfiction che pubblico, vi prego di essere clementi, ma, allo stesso tempo, spietati se vedete degli errori, seriamente.
L'ultima parte del testo l'ho presa dal primo libro: ricordate il momento in cui Peeta e Katniss parlano sulla terrazza prima dei loro primi Hunger Games? Beh, ho immaginato che peeta si fosse fatto un'idea di Capitol City nel momento in cui ha salvato la vita a Katniss :)
Fatemi sapere cosa ne pensate!

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