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Autore: Aesir    02/09/2013    0 recensioni
Amore o morte?
Una decisione da compiere.
Una strada da scegliere.
Il peso del passato.
Il coraggio di vivere.
Non puoi portare indietro l'orologio, Dubhe. Non puoi far sì che le parole rientrino nella bocca. Ciò che è stato detto è stato detto... e nulla sarà più come prima. [...] Sarei pronta a sacrificare la poca vita che mi rimane, in cambio di una mera rassegnazione? Per salvarmi la vita ho calpestato tutto quello in cui credevo...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dubhe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Mondo Emerso'
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Scena Quarta (IV): LA TUA MANO NELLA MIA

 

Please forgive me for the sorrow
For leaving you in fear
For the dreams we had to silence
That's all they'll ever be
Still I'll be the hand that serves you
Though you'll not see that it is me
-
Within Temptation, Hand of sorrow

L'accampamento era immobile. Nessuno si muoveva, gli ordini erano stati molto severi. Le sentinelle guardavano svogliate il bosco tutto attorno. Il re era paranoico, d'accordo, però era sempre meglio fare il proprio lavoro: le mancanze erano severamente punite. La struttura aveva una pianta ottagonale ed era relativamente spartana, edificata con sole assi di legno e senza l'impiego di mattoni o pietre. Pochi edifici erano più robusti. All'interno, vi erano inoltre tende, di un tessuto chiaro.
La figura in nero saltò giù dall'albero, atterrando con grazia.
Aveva visto abbastanza.

Avrebbe agito quella notte.

Era una notte senza luna e senza stelle. Un vento fresco spirava sulla pianura, agitando le fronde degli alberi.
La figura, vestita di nero, era praticamente invisibile. Non aveva mentito a Theana. Stava davvero bene, anzi, era un bel pezzo che non si sentiva così. Aveva trovato un ruscello, e vi era rimasta a lungo immersa. Le sue armi erano state affondate nella cenere di un focolare, non avrebbero luccicato tradendola.
Era pronta.
Stava andando ad uccidere un uomo.
Dubhe, la ladra, l'Assassina, la Bestia, si fermò. Alzò la testa coperta dal cappuccio, ascoltando per un attimo i rumori della natura intorno a sè. Non si vedeva che a breve distanza ma i suoi occhi erano talmente potenziati dalla maledizione che portava addosso, che riusciva a vedere come se fosse stato pieno giorno. I suoi piedi, che calzavano gli stivali, si posavano uno dietro l'altro, con cautela, facendola camminare con un'andatura assolutamente silenziosa. Dietro le sue spalle c'erano l'arco con la faretra, nei foderi sui fianchi i coltelli da lancio, tre per lato. Al fianco sinistro era attaccato al cinturone il fodero del pugnale. A parte il volto, neanche un centimetro della sua pelle pallida era scoperto, e i suoi abiti erano ampi e comodi, ma aderivano al corpo e alle gambe, il genere di vestiti adatto al lavoro che doveva fare. Il mantello nero ondeggiava dietro di lei. Prese l'arco e ne controllò la tensione della corda, passò a rassegna le frecce una ad una per essere sicura che non avessero difetti. Si assicurò che i coltelli fossero nei foderi, ma non ebbe bisogno di cercare il pugnale. Quell'arma era parte di lei, era come un prolungamento della sua persona. Era l'arma del Maestro, ma era molto di più. Il suo pugnale non era nulla, in mano a qualcun altro. Lei non era nulla, senza il suo pugnale. Lo sollevò, mettendoselo davanti agli occhi. “Sei nella mia vita da così tanto tempo... Non ricordo altro, ormai.”
Sospirò. Se quella notte fosse andato tutto bene, non l'avrebbe usato mai più.

La concentrazione si sposa alla pazienza, alla capacità di attendere. Si tratta di leggere il mondo come un libro, compenetrandosi con esso. Sentirlo nelle ossa e interpretarne i segnali, fino a trovare l'attimo, l'unico in cui colpire efficacemente...
Le parole le risuonavano nelle orecchie. Quella notte, per l'ultima volta, ne avrebbe avuto bisogno. Quella notte, per l'ultima volta, avrebbe udito mormorare la Bestia che dormiva nel suo petto.
Scivolò nell'accampamento, la mente svuotata dai pensieri.
Gli ultimi che aveva sentito erano: Stanotte ucciderò ancora.
E poi: Domani non ucciderò più.

Non riusciva a prendere sonno. Faceva caldo, dannatamente caldo. E lui non aveva voglia di dormire. Si vestì, indossando l'armatura. Sapeva che lei sarebbe venuta, ad uccidere, a portare a termine ciò che non aveva fatto. Sarebbe venuta ma... non quella sera. L'uomo aprì appena la porta della catapecchia di legno, l'unica abitazione appena più decente delle altre, e scivolò fuori. Si fece riconoscere dalla sentinella, poi si avviò verso una zona alberata nei pressi della palizzata. Non vista, sopra di lui, una figura nera saltava di albero in albero.

Dubhe osservava il suo nemico. Ogni gesto, ogni passo che faceva, in lui dicevano 'giusto'. Era colui che doveva uccidere. Aveva appena gettato una fiaschetta di una certa pozione, stando attenta a non annusarla, nell'accampamento. Avrebbero dormito tutti, non si sarebbero accorti di nulla. Il gas era più pesante dell'aria, e avrebbe aleggiato lì intorno. La sua preda si fermò al limitare di una zona alberata, il viso rivolto nella direzione opposta alla sua. Meglio. Anche se era il suo nemico, anche se era l'uomo che le aveva rovinato la vita, che l'aveva venduta per mera politica, era comunque un essere umano, e non ce l'avrebbe fatta a rivedere Gornar anche nei suoi occhi. Anche perchè ciò che stava facendo, significava tradire la persona che amava. Basta, si disse. Il mio cuore è di ghiaccio.
Si alzò con calma, un angelo oscuro stagliato contro la luna.
Prese bene la mira.
Tese al massimo la corda e tirò la freccia.
La distanza era breve, la ragazza era stata gelida mentre tirava e il lancio era preciso.
In quel momento, una possibilità su un milione, la figura si scostò.

La freccia penetrò in profondità, e l'uomo cadde a terra. L'Assassina imprecò. Avrebbe dovuto sporcarsi le mani, avrebbe dovuto vedergli gli occhi. Saltò giù, e, sguainato il pugnale, si avvicinò all'uomo che odiava. Si fece forza e gli guardò il volto.
Solo l'istinto le impedì di urlare.
NO!!!!”

In quel momento una lama le si posò al lato del collo.
“Ti è piaciuto lo scherzo, sgualdrinella?”

Dubhe trasalì. Odiava quella voce. Quella era la voce della persona che doveva ammazzare. Quella era la voce della persona che voleva ammazzare. Agì senza pensare, mossa solo dal suo odio. In fondo sono questi i grandi motori che ci muovono, l'odio e l'amore, no? Le emozioni che guidano le specie senzienti. Strinse la mano inguantata di nero sull'elsa. In seguito si disse quanto stupida e folle era stata in quel momento. Ma non c'era tempo per ragionare, non fu la parte umana di lei a reagire, ma la Bestia. Il suo ruggito le risuonò nelle orecchie, il suo spettro si contorse nelle sue viscere, i suoi occhi rossi si spalancarono nel buio del suo petto. Si voltò, così in fretta che l'occhio umano avrebbe fatto fatica a seguirla.
Con una mano strinse il polso di Dohor, finchè non sentì le ossa spezzarsi, l'altra la serrò attorno alla sua gola. Lo abbassò alla sua altezza, anche se qualunque osservatore avrebbe detto che in quel momento era lei a troneggiare sul vecchio re. Sapeva che si stava perdendo, ma non glie ne importava. Voleva che vedesse i suoi occhi, e voleva vedere la paura nei suoi. E lo fece, finchè non fu soddisfatta. Poi la mano si serrò attorno alla gola, divelse il cranio e la colonna vertebrale dalla loro sede e lasciò che il corpo si accasciasse ai suoi piedi. Per un attimo rimase lì, terribile e selvaggia come una dea della morte, poi sembrò tornare il sé, le sue spalle sottili si chiusero e si guardò le mani.
Un moto di disgusto per sé stessa, ma non provava altro.
Non degnò il corpo del vecchio re di uno sguardo, e si rivolse invece a Learco.
Lo guardò negli occhi. Le pupille avevano il tipico aspetto di una persona drogata con la scopolamina. Era una sostanza che conosceva, in grado di inibire la forza di volontà delle persone. Serrò i pugni. Dohor, maledetto bastardo! Avevi troppa paura di me per affrontarmi vero? Ti avrebbe ucciso l'Assassina, sì, così hai voluto architettare il gran piano. Tu saresti tornato come un eroe, dicendo come avevo ingannato e poi ucciso Learco, e ti saresti sbarazzato di due incomodi: tuo figlio, il principe che mai sarebbe diventato re, e la sua puttana, vero? Peccato che ti sia andata male. Ah, Learco...
“Cosa ti hanno fatto?”, sussurrò, in lacrime. E subito dopo: “Cos'ho fatto?”
Lui le sorrise debolmente. “Mi... dispiace... Dubhe. Sono... sono stato... uno sciocco...”
“Non parlare! Ti porto fuori di qui, ti farò curare.”
No, non un'altra volta, non come il Maestro, non posso averlo ucciso io!
Learco rise debolmente, e del sangue gli spruzzò dalla bocca, segno che la freccia aveva leso i polmoni e il liquido li stava invadendo. “Mi ha... fregato... come uno stupido... Era il suo piano... tu.... mi avresti... ucciso... e poi.... lui... avrebbe... ucciso te...”
“Ti prego, è morto. Ho sbagliato tutto, sono una stupida!” Ormai Dubhe piangeva.
“Non piangere... non mi piace vederti così...”
Le scoprì l'avambraccio. “Vedo... che sei libera... ora...”
Si fermò, e la ragazza pensò che fosse morto. Poi le parlò di nuovo. “Mi... abbracci?”
Lei singhiozzò, fece un cenno convulso di sì, e lo sollevò delicatamente. Lo strinse a sé, e quasi inconsciamente cercò le sue labbra. Il sapore del suo sangue le scese in gola, ma Dubhe non si staccò. Rimasero lì, abbracciati, fermi in quell'ultimo bacio che doveva durare in eterno e invece finì anche troppo presto. Learco smise di respirare.
La ragazza si alzò, respirando affannosamente, asciugandosi gli occhi con furia.
Non lo amavo, pensò disperata. Ma avrei potuto farlo, se fossi andata a vivere con lui avrei finito per amarlo, alla fine, avrei dovuto fare così, e sarebbe ancora vivo. Adesso questa possibilità mi è preclusa per sempre. Perchè tutti quelli che incontrano il mio cammino sono destinati a morire?
Dentro di sé, anche se nella sua attuale disperazione non sarebbe mai stata capace di riconoscerlo, aveva sempre temuto che sarebbe finita così. Come si era detta centinaia di volte, durante il suo viaggio, che a vivere con Learco si sarebbe spenta come una candela, soffocando il proprio essere per adeguarlo a qualcuno che non era lei. Ma forse la sua mente ebbe paura per la propria stabilità, e non riportò a galla quei pensieri; o forse fu la pietà verso sé stessa, a bloccarla. Fatto sta che la ragazza era ridotta ad uno straccio, sì... ma sarebbe potuta stare molto peggio, anche se era convinta del contrario.
Questa non è la mia vita, e questa non sono io, era la sintesi dei pensieri che attraversavano la sua mente.
Per un attimo pregò di non essersi salvata, pregò che la maledizione uscisse, che la portasse a sbranarli tutti, a sgozzarli, a lacerare i loro corpi. Pregò che la portasse a saziarsi di carne per la sua fame, sangue per la sua sete. Pregò che alla fine uccidesse anche lei, perchè che motivo aveva di vivere, quando l'unica persona che amava era morta uccisa proprio dalle sue mani? Se le guardò, vedendole sporche di sangue, e le odiò. Il sigillò sul suo braccio bruciò, e un ruggito la scosse, e Dubhe fu felice, felice di potersi perdere definitivamente, perchè la sua vita non aveva alcun senso. Non avrebbe mai avuto nessuno che le fosse accanto, non avrebbe mai gioito di nulla. La Bestia era ancora in lei, e la sua anima non sarebbe mai stata libera. Mentre uccideva, squarciava e dilaniava pregò di non svegliarsi mai più, perchè non avrebbe potuto sostenere la vista, spietata e razionale, del suo destino. Fu il suo ultimo pensiero, poi ci fu solo sofferenza, darla e subirla, avrebbe voluto ferire, uccidere, e nel contempo gioire nel sentire delle lame che toccavano la sua carne, senza riuscire a fermarla.
Ma le stelle furono mute alle sue richieste.

Caricò il corpo di Learco sul cavallo, e si mise a correre. Corse fino a sfinire la bestia, a farla cadere per terra schiumante, poi ne rubò un'altra e andò avanti. Giunse una mattina davanti al palazzo di Laodamea.
Non aveva né mangiato, né dormito da quando il principe che mai sarebbe stato re era morto.
Aveva la vista annebbiata, non capiva più niente.
Vide solo Theana correre davanti a lei, cercare di sorreggerla.
Poi crollò.

Passò una settimana in stato di totale confusione. Non ricordava chi era, se buona, o malvagia, se una ladra, o un'Assassina, e neanche le importava. Mangiava e beveva meccanicamente ciò che le veniva messo davanti, ma non avrebbe mai cercato nutrimento da sola. Era, e basta. Si lasciava portare dalla corrente, come aveva fatto per gran parte della vita. Tutti le dicevano che era un'eroina ma che le importava? Ogni notte, rivedeva il volto di Learco macchiato di sangue, assieme a tutti coloro che aveva ucciso. Ora sapeva che Theana non aveva completato il rituale, ma non ebbe la forza di chiederle il perchè. Tutto questo, finchè non giunse il settimo giorno...

Camminava per le vie di una città bianca, dove si affaccendavano persone intente a compiere i loro lavori quotidiani. Avevano qualcosa di strano che non riusciva però ad identificare. Lei passava attraverso i muri, scivolava fra le statue, e le occhiate la trapassavano. Era come uno spettro.
All'improvviso il cielo si fece scuro, scoppiò una terribile tempesta e la città si coprì delle urla dei suoi abitanti, mentre venivano trucidati uno ad uno. La ladra li osservò con distacco. Era un altro massacro che era venuta a sognare?
Una voce la chiamò, e, non seppe bene come, capì che le sue parole, parole tranquille, che contrastavano con l'ambiente circostante, erano rivolte a lei. “Vedi, Dubhe, questa è la verità. Tu hai ragione. Questo mondo non conosce che sangue, sangue e altro sangue, non ci sarà mai la pace che vorresti. So quello che stai per fare. Mi dispiace per te. Avresti avuto diritto ad un maggior riguardo, tu, che hai già visto la sorte portarti via tutto.”
Una figura venne verso di lei, le sorrise: “Vieni da me, Dubhe, ti stavo aspettando.”
La ragazza non si fidò, e rimase guardinga: “Chi sei?”
La creatura era molto piccola, un uomo a metà. Uno gnomo forse? No.
Le proporzioni erano diverse, sembrava piuttosto un bambino.
Le sorrise. Vide la sua bocca delicata da sotto il mantello, la vide dischiudersi in un sorriso talmente sincero che sarebbe stata disposta ad accettare qualunque cosa da lui. Ma gli occhi e la parte superiore del volto le rimasero celati. La ladra si guardò intorno, e vide che ora erano in un prato pieno di fiori.

Sappi che non ti sto prendendo in giro, davvero mi dispiace, e...”
Si fermò, prendendosi la testa fra le mani: “No, è troppo tardi.”

Troppo tardi per cosa?”
Il bambino era triste. “Mi dispiace, Dubhe. So che dovresti, essere tu quella che soffre, ma mentre lo fai, non posso impedirmi di soffrire anch'io. È questa la strada che hai percorso, è la stessa che scelsi io, a mio tempo...”

Chi sei?”
Davvero non lo indovini, Dubhe?”
Lei si inginocchiò per portarsi alla sua altezza, e allungò una mano.

No! Non scoprirmi il viso!”
Lei rimase sorpresa dalla reazione. “Tranquillo... volevo solo accarezzarti...”

Ah... ok...”
Il bambino le lasciò allungare la mano, e lei fece di più che accarezzarlo: se lo strinse addosso.
Quel gesto le infuse una sicurezza inspiegabile, e si sentì stranamente sicura, stretta a quel personaggio che non conosceva neppure, a quel bambino che parlava come un adulto.
Quando si staccò, il piccolo le disse: “Grazie. Sei la prima persona che mi rivolge un gesto gentile, da... tanto, troppo tempo.”
Il bambino le sorrise ancora. Era tutto così perfetto, realistico, che la ragazza si sentì obbligata a chiedere: “Questo... questo è solo un sogno, vero?”
La risposta fu un ennesimo sorriso, e una frase sibillina: “Forse. Ma cos'è la vita, se non un sogno?* Chiudi gli occhi, Dubhe della Terra del Sole.”
Lei ubbidì, e sentì le labbra del piccolo baciarle la fronte.

La mattina dopo, la ragazza si ridestò senza ricordare nulla di ciò che aveva sognato. Eppure, dopo tanto tempo, si risvegliò da sola, e sentì il sole accarezzarle la pelle, sentì la sua mano protestare per come l'aveva tenuta durante la notte, e sentì un guizzo di emozione scuoterla.
Poi tornò la calma, l'oblio, ciò che aveva sempre desiderato.

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* Lewis Carroll, Alice attraverso lo specchio

 

   
 
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