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Autore: Elsa Maria    02/09/2013    2 recensioni
[Dal testo]
“Sora, tu sai cos'è il frutto di paopu?” Il bambino arcuò un sopracciglio, guardandolo interrogativo.
“Cosa?”
“Niente.” Scosse la testa, sorpassandolo.
“Aspetta, forse lo so! Quello strano frutto a forma di stella?” Chiese, sicuro di essere arrivato alla soluzione.
“Esatto.” Accennò un sorriso.
“Non l’ho mai assaggiato, e tu Riku?”
“Nemmeno.”
“Che ne dici se un giorno lo mangiamo?” Propose.
“Perché…?” Domandò stupito. Si vedeva che non conoscesse la leggenda del frutto, altrimenti non glielo avrebbe mai proposto.
[...]
Il mistico frutto delle isole del Destino, quello che è in grado di legare due persone per sempre se lo si morde... Il frutto di paopu.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts
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Il frutto di paopu.

Quale linea di confine c’è tra il mare e il cielo? Entrambi infiniti, illimitati, hanno un punto di convergenza?  Perché il mare tocca la terra, ma non il cielo? Perché quest’ultimo per quanto immenso, in grado di coprire tutti sotto uno stesso velo, è distaccato, isolato? Il cielo è dove risiede Dio, la vetta irraggiungibile. Chissà se altri mondi possono godere di questo stesso cielo.

Un bambino dai capelli castani, dal taglio corto portato disordinatamente, completamente arruffato, riposava tranquillo sulla sabbia gialla dell’isola dove viveva. Il mare ondeggiava avanti e indietro calmo, sfiorando i piccoli piedi dell’addormentato. Accanto a lui sedeva un altro bambino della stessa età, aveva i capelli albini con un taglio a caschetto, lo guardava con i suoi occhi verdi, che facevano parte molto spesso di espressioni serie e fredde, incapaci di esprimere i sentimenti di gioia che albergavano dentro di lui, i quali molte volte volevano mostrarsi, ma inutilmente. Distolse poi lo sguardo che fece posare sull’orizzonte. Voleva andare via, scoprire nuovi confini, nuovi mondi, accompagnato dal suo amico; aveva sempre espresso questo desiderato alle stelle cadenti che spesso si potevano vedere nelle notti limpide, quando le stelle brillavano di più, e la luna era a comando, come una grande orchestra con il suo direttore e la brezza notturna, che dalla terra si spostava verso il mare, era la melodia che si diffondeva. Sospirò. Odiava il suo essere malinconico, sempre distaccato, eppure non poteva fare a meno di essere così. Spostò l’attenzione sull’albero grigio sul quale si andava a sedere quando non aveva nient’altro da fare. Era l’albero del frutto tipico dell’isola: il paopu. La madre gli aveva detto quale leggenda si raccontava sul frutto: ‘Se due persone l’avessero condiviso, i loro destini si sarebbero intrecciati’. Una cosa tanto romantica quanto scontata. L’altro giorno, per caso, era riuscito a procurarsene uno, che in quel momento era sulla scrivania della sua stanza. Con chi l’avrebbe potuto condividere?
Il bambino al suo fianco, a causa di un raggio di sole che era sfuggito alla copertura di nuvole si svegliò. Sbadigliò, allargando la bocca come se dovesse ruggire, poi alzò il busto e si stiracchiò. Vide l’amico fissarlo e sorrise.
“Potevi anche svegliarmi, Riku.”
“Non mi andava di perdere energie in un’impresa impossibile.” Sora sbuffò e incrociò le braccia.
“Che antipatico che sei.”
“Tu non sei di certo simpatico.” Aggiunse l’albino, alzandosi e sbattendo i pantaloni per far cadere la sabbia.
“Più di te sì, però.” Anche lui si alzò. Guardò il cielo. “A breve il sole tramonterà, se non rientro la mamma mi ucciderà!” Disse, pronto a scattare verso la barca.
“Sora, tu sai cos’è il frutto di paopu?” Il bambino arcuò un sopracciglio, guardandolo interrogativo.
“Cosa?”
“Niente.” Scosse la testa, sorpassandolo.
“Aspetta, forse lo so! Quello strano frutto a forma di stella?” Chiese, sicuro di essere arrivato alla soluzione.
“Esatto.” Accennò un sorriso.
“Non l’ho mai assaggiato, e tu Riku?”
“Nemmeno.”
“Che ne dici se un giorno lo mangiamo?” Propose.
“Perché…?” Domandò stupito. Si vedeva che non conoscesse la leggenda del frutto, altrimenti non gliel’avrebbe mai proposto.
“Come perché? Per sapere qual è il suo sapore.” Sorrise. “Ora torniamo a casa.” Corse a sciogliere il nodo che teneva la sua barca legata al molo. “Senti Riku.” Disse salendo sull’imbarcazione. “Domani invitiamo anche Kairi?” Quel nome. Il sentirla nominare lo turbava e non poco, ma per far felice l’amico avrebbe continuato a fingere che le piacesse, come ormai faceva da quando la ragazza aveva fatto amicizia con Sora.
“Per me va bene, anche se secondo me ci annoieremo.”
“Non è vero! Lei è simpaticissima, sei te lo scorbutico!” Disse gonfiando le guance offeso.
“Attento Sora, le donne tendono ad imbrogliare gli uomini, non puoi mai fidarti.” Anche lui salì sulla barca.
“Sei proprio strano Riku.” Sospirò il castano. “Vuoi venire a cena da me?”
“Se a tua mamma va bene, per me non c’è problema.” Il bambino in risposta sorrise e annuì.

“Riku sei tornato in ritardo!”
“Sì, sì, scusa mamma…” Disse moggio moggio l’albino salendo le scale, verso la sua camera. La donna si affacciò dalla cucina, la quale portava al corridoio collegato alle scale. “Successo qualcosa con Sora?” Domandò, vedendo il figlio strisciare sui gradini, più che camminare.
“No, mamma. Non è accaduto nulla.” Arrivato alla fine della rampa, entrò nella sua stanza, l’ultima del corridoio superiore. Fece strusciare la sedia sul parquet, ci si sedette e poggiò la guancia destra sulle braccia incrociate sulla scrivania. Guardò il frutto di paopu anche esso poggiato sul tavolo. 
“Che ne dici se un giorno lo mangiamo?”
“Sora idiota...” Sospirò. L’ingenuità del suo amico gli faceva sempre mancare un respiro, perché era in grado dire la più imbarazzante delle verità con il sorriso sulle labbra, ma soprattutto senza accorgersi delle parole appena pronunciate. Comunque quel giorno era più stanco del solito. La cena era stata pesante, perché Sora aveva invitato anche Kairi. Quando incrociava lo sguardo della bambina sentiva un brivido lungo la schiena, come se gli dicesse che Sora era suo e di nessun alto; che in realtà fosse lui il paranoico? Si alzò dalla sedia. Si levò la maglietta, i pantaloni ed infine i due polsini neri con una striscia gialla che riportavano i colori degli indumenti dei quali si era da poco privato. Indossò poi il suo pigiama verde acqua e si rinchiuse sotto le coperte, avvolgendosi completamente. Perché non era in grado di esprimersi? Perché era tanto geloso di Kairi? Sora era solo suo amico, solo suo… Voleva scappare, lasciare tutto e tutti, scoprire nuovi confini, nuovi mondi… Tutto questo per fuggire da sé stesso che per sempre l’avrebbe perseguitato. Un bambino non dovrebbe pensare certe cose, eppure lui non ne poteva fare a meno. Chiuse gli occhi, cercò di non pensarci più e si addormentò.

Sprofondando nel mondo dei sogni vide l’isola, con la spiaggia, il molo, la capanna, l’entrata della grotta segreta, la cascata e il resto, tutto avvolto da un cielo nero, ma non notturno: oscuro. Provò a muoversi, ma non ci riusciva, lui era uno spettatore. D’un tratto apparve Sora, che correva verso Kairi, tenendo nascosto il frutto giallo dalla strana forma a cinque punte. Si fermò davanti la rossa, la quale lo accolse con un sorriso. Timidamente disse qualcosa, poi mostrò il paopu; Kairi, imbarazzata, annuì ed insieme, inaspettatamente, morsero il frutto. Infine gli sembrò che lei guardava verso di lui, con espressione trionfante.
“Io ce l’ho fatta…” Disse un eco, con tono malvagio. “… Tu no, rimarrai sempre dietro.”

Si svegliò di soprassalto. A differenza di quanto potesse sembrare erano già le sette e mezza di mattina. Ancora spaventato il bambino si guardò attorno. La stanza era tale e quale alla sera precedente, non era successo nulla, solo un incubo; eppure quella sensazione d’angoscia lo stava ancora perseguitando. Piegò le gambe al petto e con le mani si prese la testa. Perché in quei giorni si stava sentendo così male? Come se la sua solita negatività fosse aumentata? Persino quando si trovava con Sora non riusciva più a divertirsi. E se la colpa fosse stata di Kairi? Dentro di sé sapeva che il problema era lui, però la presenza della bambina lo metteva in soggezione, quasi lo spaventava; temeva che gli avrebbe portato via Sora, che lo avrebbe allontanato da lui. Insulse paure, forse, ma per lui era tutto incredibilmente vero.
Si alzò dal letto e andò nel bagno, per sciacquarsi il viso. Guardando il suo riflesso allo secchio sopra il lavandino, pensò con decisione: “Troverò il modo per far sì che Sora rimarrà sempre mio amico”. Tamponò il volto con un asciugamano e tornò in stanza. Iniziò a controllare se intorno a sé ci fosse uno strumento utile nel suo intento, e la sua attenzione ricadde sul frutto che era sulla scrivania. Si avvicinò, lo prese e lo fissò. Sì, era perfetto. Finì di lavarsi e vestirsi, prima di correre giù in cucina.
“Buongiorno Riku, dormito bene?” Domandò  il padre che era seduto a tavola, con una tazza di caffè bollente in mano, intento a leggere il giornale che, probabilmente, era stato da poco consegnato. Nel fine settimana il padre non lavorava e quindi molto spesso lo incontrava per la colazione.
“Sì.” Mentì, iniziando a preparare il latte con i cereali.
“Mangi solo quello?” Riku alla domanda si limitò ad annuire. Finito il pasto andò ad infilarsi le scarpe. “Posso andare all’isola?” Chiese prima di uscire.
“Sì, fa attenzione!” Gli urlò la madre.
Correndo il bambino uscì, verso il molo, il punto di incontro suo e di Sora. Si sedette sulla passerella di legno, sfiorando la superficie dell’acqua con i piedi. Sperava con tutto sé stesso che Sora sarebbe arrivato presto, ma, come al solito, avrebbe fatto ritardo. Poi però sentì dei passi leggeri dietro di lui e, quando si girò, vide che la persona appena arrivata era qualcuno che non voleva vedere.
“Buongiorno Riku.” Salutò, andandogli accanto.
“Buongiorno Kairi.” Rispose svogliato, guardando verso l’orizzonte.
“Stai aspettando Sora?”
“Sì.” Ci fu un attimo di silenzio, poi, timidamente lei chiese: “Posso venire con voi?”
L’albino, che aveva le mani poggiate sulla passerella, strinse un’asta, sentendo poi un fastidio come una puntura, ma era troppo immerso nei suoi pensieri per accorgersene. Non poteva dirle di no, dopo Sora si sarebbe arrabbiato e lui non voleva, però preferiva di gran lunga non accettare la richiesta.
“D’accordo, se vuoi…” Disse a malincuore.
“Grazie.” Sorrise. Riku lasciò la stretta sul legno e poggiò le mani sulle gambe. Kairi, che aveva osservato lo spostamento, si accorse che il bambino aveva del sangue sul polpastrello.
“Riku, cos’hai?” Gli chiese prendendogli la mano ferita.
“Cosa?” Domandò a sua volta distratto. Lei gli prese la mano destra e gliela guardò: dall’indice era uscita una goccia di sangue.
“Che ti sei fatto?” Disse, indicando la puntura e guardandolo negli occhi. L’albino dubbioso spostò lo sguardo da lei alla mano; si strinse fra le spalle.
“Non lo so.”
“Aspetta che ti curo io.” Dalla tasca del suo vestito bianco estrasse un fazzoletto, bianco anche esso. Tamponò delicatamente il dito sorridendo. “Va meglio?” Chiese. Riku la guardò meravigliato; pensare che lui la odiava tanto, quasi si dava fastidio da solo.
“Riku!” Urlò Sora da lontano, avvicinandosi correndo. Il diretto interessato non si voltò, ma proseguì a vedere la ragazza medicargli la ferita. Quando Sora, abbastanza vicino da riuscire a vedere la scena, li guardò, rallentò. Perché erano tanto vicini? Da quando andavano d’accordo, e proprio quando lui non c’era? Che lo stessero dimenticando? O magari lo odiavano e lo stavano mentendo da parte?! Quasi gli venne da piangere. Questa conclusione affrettata, i quesiti che si era posto nei pochi secondi che erano passati, e quelle false lacrime smosse dalla sua ingenuità, furono fatti scomparire appena vide sia Kairi che Riku in piedi, chiamarlo.
“Che aspetti scansafatiche! Sbrigati che ti stiamo aspettando!” Urlò lui.
“Dai Sora, corri un po’!” Lo incitò lei. Lui sorridendo li raggiunse e, dopo averli salutati, andarono all’isola.
Il pomeriggio passò tra risate e divertimento, Riku non si poté lamentare di certo. Avevano esplorato, combattuto, aveva anche fatto una gara di corsa, dove lui, ovviamente, era arrivato primo. Poi con Wakka e gli altri avevano giocato ad acchiapparsi e via così, per tutto il tempo prima del tramonto. I tre, che erano partiti insieme, tornarono di nuovo insieme. Questa volta ognuno andò a casa sua.
“Quella bambina nuova, Kairi, è simpatica?” Domandò la madre dell’albino, servendo la cena alla famiglia. Lui annuì, accennando un sorriso. 
“Molto.” Quasi gli sembrava impossibile poter dire quelle parole con sincerità. Alla fine era stato lui che le era andato contro, non di certo lei.
“Non è che per caso ti sei innamorato, Riku?” Ridacchiò la mamma. Il bambino arrossì di poco.
“Non è vero!” Balbettò ingenuamente. Entrambi genitori risero e, dopo qualche altra protesta del bambino, mangiarono. Finita la cena, Riku andò nella sua stanza, buttandosi direttamente sul letto. Il frutto di paopu era ancora sulla scrivania, non era stato toccato. Guardò il soffitto pensoso; l’avrebbe condiviso con Sora? Ma sì, forse proprio domani, che c’era di male? Nulla, era solo un frutto. Prese un libro e iniziò a leggere, convinto che la sua fosse una buona idea. 
La mattina seguente, successe quello che era accaduto il giorno prima. Lo stesso incubo, gli stessi dubbi, anche se lui ora non aveva nulla contro Kairi: perché, allora?
“Riku, non fai colazione?”
“Mangio qualcosa con Sora.” Urlò il bambino alla madre, uscendo. Aveva in mano il frutto. Condividerlo con Sora l’avrebbe reso più tranquillo, forse. 
“Riku.” Stranamente Sora era già al molo. Gli andò incontro preoccupato. “Kairi ha la febbre!” 
“E allora?” Non capiva perché tanto spavento, era una semplice influenza, d’altronde.
“Andiamo a trovarla!” Propose il castano.
“D’accordo, anche se io…” Strinse il frutto che nascondeva dietro la schiena.
“Sì?” Chiese Sora per incitarlo a proseguire.
“… No, niente.” Nel momento in cui stava per buttare il paopu a terra, così che l’avrebbe poi allontanato con un calcio, Sora domandò: “Cos’hai dietro la schiena?”
“Nulla.” Fece un passo indietro.
“Dai Riku, che cos’è, che cos’è?” Iniziò a cercare di afferrargli le mani. Riku continuava però ad allontanarsi e così si rincorsero, combattendo quando il castano si avvicinava a lui. Purtroppo però il castano ebbe la meglio, conquistando il trofeo.
“Un frutto di paopu!” Disse gioioso. “Riku, perché volevi nascondermelo?”
“Perché…” Ma neanche terminò che subito Sora esordì: “Non volevi lo assaggiassi!”
“Diciamo di sì.” Disse appoggiandosi a quella bugia.
“Che cattivo! Adesso me lo mangio!”
“No, aspetta!” Lo fermò. “Questo si mangia in due.”
“In due?” Domandò curioso rigirandosi il frutto, come se così avrebbe trovato qualcosa.
“Sì, tipo Lily e il vagabondo!”
“Che?! Davvero?!” Spalancò la bocca. “Ma lo voglio assaggiare!” Sbuffò.
“Potresti condividerlo con Kairi.”
“Lei però è ammalata…” Sora ci pensò un po’ su, poi, con sguardo di chi aveva trovato la soluzione, indicò Riku. “Mangiamolo noi due.” Si mise in ginocchio sulla sabbia. “Forza!”
Riku sbalordito, ed anche un po’ interdetto accettò, mettendosi nella stessa posizione del ragazzo. Uno addentò la punta, l’altro fece lo stesso ed insieme masticarono. Sora assaporò il cibo e, appena mandò giù, tirò fuori la lingua disgustato. 
“E’ aspro.”
“Si dice acerbo.” Lo corresse Riku, ingoiando. “A me piace.”
“A me no, fa proprio schifo.”
“Sei sempre il solito.” L’albino sbuffò e alzandosi si incamminò verso la città.
“Cosa fai?” 
“Non dobbiamo andare a trovare Kairi?” Domandò. Il castano, sorpreso da Riku, sorrise e lo seguì.
Si sentiva terribilmente in colpa per quello che era accaduto, ma d’altronde era stato Sora a costringerlo, non lui… Però, l’idea che sarebbero rimasti uniti per sempre lo fece felice. Da adesso non avrebbe più fatto brutti sogni, ormai sia lui che Sora non si sarebbero più divisi e Kairi non avrebbe potuto nulla. Ne era certo, ne era sicuro… Sarebbero rimasti per sempre insieme.

Qualche anno dopo…

Un cielo tinto di arancio con il sole giallo acceso che avrebbe padroneggiato per poco la volta celeste, la quale sopra la copertura delle nuvole già si faceva più blu. I tre amici erano seduti sull’albero di paopu. Riku in piedi, con le braccia incrociate al petto, Kairi seduta, con le gambe a penzoloni, mentre Sora le teneva più divaricate rispetto Kairi. L’unico rumore che si sentiva erano le onde del mare che sul bagnasciuga si facevano avanti, per poi ritirarsi. 
Riku stava rispondendo ad una domanda di Kairi, con altri quesiti che in quei giorni in cui aveva costruito la zattera si era posto. Sora, che non riusciva poi a seguire così bene il discorso contorto del’amico, rispondendo ad una domanda fatta da lui con un semplice “Non lo so” si sdraiò sull’albero. Riku invece, continuando il suo discorso, tornando in una posizione corretta, non più appoggiata, fece dei passi avanti, come per avvicinarsi ad un punto lontano che solo lui vedeva. Kairi scosse la testa per portare indietro i capelli corti e rossi, mentre Sora spostò lo sguardo dal cielo sopra di sé, all’orizzonte. 
“Ci hai pensato molto ultimamente, vero?” Disse Kairi appena il ragazzo concluse il discorso.
“E’ grazie a te.” Rispose girandosi verso di lei. “Se tu non fossi arrivata fin qui, probabilmente, non avrei mai pensato a tutto ciò.” Sora guardò un attimo l’albino, imbronciato. Diceva quelle parole, ma ricordava bene quanto la odiava all’inizio, ma anche poi. 
“Kairi, grazie.” Aggiunse. Lei ridacchiò, rispondendo: “Non c’è di che.”
“Che ne dite, torniamo a casa?” propose Sora, saltando già dall’albero.
“D’accordo.” Disse la ragazza facendo lo stesso. Entrambi si incamminarono verso il molo, passando sul ponte. Kairi andò molto più avanti a loro, più distante c’era Sora e poi Riku. L’ultimo chiamò il castano, che si voltò.
“Sora.” Disse, lanciandogli un frutto di paopu. “Ne volevi uno, vero?” Sora con sguardo interrogativo guardò il frutto.
“Un frutto di paopu…” Disse, quasi sovrappensiero.
“Se due persone lo mangiano, i loro destini si intrecciano. E uno diventa parte della vita dell’altro qualsiasi cosa capiti.” Gli disse l’albino sorpassandolo. “Dai, so che vuoi provarci. ” Aggiunse, accennando una risatina. 
“Ma di che stai parl…” Disse Sora non capendo cosa l’altro intendesse, seguendolo con lo sguardo e continuando a tenere con entrambe le mani il frutto. L’albino rise. Il ragazzo, capito lo scherzo dell’amico, guardò il frutto che lanciò via, per poi inseguirlo. Entrambi si misero a correre per raggiungere la ragazza che ormai era arrivata a destinazione, perdendosi il discorso che aveva messo Sora in imbarazzo, anche se non voleva darlo a vedere.
Riku, che aveva fatto quella battuta, dentro si sentiva pentito. Forse Sora non se lo ricordava, ma lui sì, eccome se se lo ricordava. Quel frutto l’avevano mangiato entrambi, insieme. Effettivamente, ormai, non contava nulla, era solo una storia infantile per incantare i bambini, una storiella raccontata per raccontare qualcosa; eppure lui sentiva che nel profondo forse quella leggenda aveva qualcosa di vero; che fosse il fatto di crederci che la rendesse sincera? Comunque le sue intenzioni non sarebbero cambiate, avrebbe viaggiato con Sora e se mai si fossero divisi l’avrebbe voluto rincontrare comunque, perché loro sarebbero stati sempre uniti.
 


N.d.A. 
Ed ecco una storia tenuta nel cassetto da tanto tempo. Tutto questo è nato da un'immagine, per l'appunto, di Riku e Sora che mangiano il paopu. Non ha un granché senso di per sé, anche il collegamento con la storia è buttato lì a caso... Però, alla fine l'ho pubblicata. Avrò fatto una grande idiozia? Penso di sì, ma comunque è qui dove voi tutti potete leggerla... Depressione. Non ho molto da dire riguardo la storia come storia, sì, insomma... Meglio che la smetto di blaterare.
Buona lettura!
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