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Autore: satanina    09/03/2008    1 recensioni
RIPOSTATA E MODIFICATA. Quella piccola luce ora era viva più che mai nei suoi occhi, che fissavano l'orizzonte, speranzosi più che mai di ritrovare quella strada, finalmente quella giusta, per tornare a casa, per tornare come un tempo. Era pronto. Dopo anni, era finalmente pronto per fare reset, per ricominciare. O almeno, sperava di essere pronto. Raga, mi raccomando, leggete!!!
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notte, unica e silenziosa, cadeva come un lenzuolo di seta leggera e avvolgente sulla grande città.

Luci distratte scomparivano e riapparivano, a seconda dei desideri della gente che quella notte, spensieratamente, viveva la propria vita senza alcun peso, sotto il calore impercettibile di quel grande panno prezioso e misterioso.

Quei piccoli puntini luminosi, stelle le chiamano, decoravano delicatamente quel drappo scuro, facendone risaltare tutte le qualità e facendo sognare la gente.

Ma quella sera, quelle piccole anime libere avranno un'amica, sulla Terra, con cui giocare.

Una piccola luce che corre come il vento, libera da regole, leggi, oppressioni.

Una piccola luce che percorre tutte le strade possibili e immaginabili, solo per assaporare il sapore della libertà, negatagli da chissà quanto tempo.

Una piccola luce che canta la sua unica, speciale canzone, ad ogni curva, per poi ripartire, col fiato sospeso, fino a che un'altra curva la farà cantare, sempre, ovunque.

Quella piccola luce aveva un nome, certo, ma se ve lo confidassi adesso vi rovinerei il racconto...

Una piccola luce che cavalcava, in sella alla sua moto, correndo contro il vento e la paura, la paura di sbagliare, la paura di perdere, la paura di morire.

Ma quella piccola luce non ha paura di morire, ha solo paura di non vivere il secondo...

Quella piccola luce, uguale solo ad un'altra, che chissà ora in quale parte del cielo era, pensava solo a vivere, al massimo delle sue possibilità, di spingere l'accelleratore fin quanto fosse necessario per perdersi in mezzo a quel tessuto luminoso quieto e rilassante.

Quella piccola luce ora era viva più che mai nei suoi occhi, che fissavano l'orizzonte, speranzosi più che mai di ritrovare quella strada, finalmente quella giusta, per tornare a casa, per tornare come un tempo.

Era pronto.

Dopo anni, era finalmente pronto per fare reset, per ricominciare.

O almeno, sperava di essere pronto.

Un movimento di polso, l'accellerazione, la velocità, l'adrenalina.

Il vento gli stava accanto, cercando in tutti i modi di vincere quella gara, cuore contro cuore.

Si fissarono per pochi istanti, in cui si sarebbero giocati tutto.

Gli occhi fissi, il polso bloccato, il corpo aderente alla moto, un ghigno.

Non l'avrebbe mai battuto, il vento era la libertà fatta elemento, e per quanto avrebbe potuto, non avrebbe mai potuto surclassarlo.

Si arrese con un sorriso, e la brezza, per reclamare la sua vittoria, fischiò allegramente, per poi continuare la sua corsa, in un altro posto, con un'altra anima libera...

 

Ecco, la distesa di acqua era finalmente davanti a lui.

Aveva sempre voluto vedere il mare di notte, mentre dormiva, osservando le sue piccole onde, schiumose quanto basta, infrangersi quasi con imbarazzo sul bagnasciuga, in silenzio, senza disturbare nessuno.

Accellerò un ultima volta, per poi rallentare, fino a fermarsi, pochi metri prima della spiaggia.

La sabbia cristallina, quasi trasparente alla luce della luna, marcò il passaggio estraneo di quel piccolo essere umano, quella piccola esistenza in mezzo a quell'immenso mare, fatto d'acqua e desideri, trasportati dalla corrente, sia che siano messaggi dentro una bottiglia, sia lacrime felici, tristi o inquiete...

I suoi passi risuonavano quasi impercettibili all'orecchio umano, e forse era meglio così.

Si tolse gli stivali da motociclista, posandoli accanto a sè, e si sfilò elegantemente il casco, con lo sguardo sempre fisso sulla linea dell'orizzonte, dell'infinito.

I suoi occhi riflettevano magicamente la luce lunare, donandogli un aspetto quasi divino.

Scostò la sabbia bagnata e si sedette, portandosi le gambe magre e stanche al petto, come un fragile bambino che, arrabbiato, si chiude in un mondo immaginario, nel suo mondo, dove gli ordini venivano severamente puniti.

Sì, si sentiva ancora un bambino nell'anima, nonostante i suoi 23 anni, ma a lui bastava.

Non gli importava se non aveva più sei anni, se non giocava più con il suo piccolo orsacchiotto, o se non poteva avere più un amico immaginario, solo perchè la sua età non glielo consentiva.

Non gli importava.

Dopotutto, era sempre stato così testardo, fin appunto da piccolo.

E testardo, stasera, era anche quel sottile zèfiro, che, non accontentatosi della vittoria, continuava a spettinargli i lunghi capelli neri, sia per gioco, sia per ripicca.

Di tutta risposta, un sorriso sincero.

Com'era difficile odiare, quella sera.

Niente avrebbe potuto toccare la semplice perfezione di quel momento, di quel paesaggio, ormai dimenticato dalla gente troppo indaffarata alle "cose serie".

Si passò una mano tra i capelli, per cercare di domarli, senza successo.

Quella sera, tutte le cose avevano diritto alla loro parte di libertà.

Compreso lui, prigioniero di quella bellezza troppo vera e fragile per potersene appropriare veramente.

I suoi capelli corvini, vagamente violentati da qualche ciocca bionda, sembravano splendere, al riflesso bianco e sacro della luna, agitati dalla brezza marina, portatrice di sogni e profumi esotici.

Gli occhi, ormai persi in quell'immensità di cielo, che baciava dolcemente la superficie marina, erano più vivi che mai, tinti di un nocciola scuro, che spiccava particolarmente sulla pelle resa ancora più sbiadita dalla luce lunare, splendente e intoccabile.

Una sottile melodia si perse nel vento, finendo chissà dove, cercando di tornare dov'era, ma le note sono fatte per volare, per librare nell'aria, solleticate dalla luce del sole, cullate dal dolce suono dell'aria in movimento. Quella figura stava cantando una canzone tanto bella quanto triste, e sembrava che le onde del mare si infrangessero sulla riva per conoscere la prossima nota, la prossima strofa che fuoriusciva da quelle labbra così sottili e inviolate, eppure così vissute.

Le mani sfioravano la sabbia, cercando un sostegno a cui appoggiarsi, per poi tornare ad abbracciarsi, l'una nell'altra, sulle ginocchia del ragazzo.

Era veramente un momento magico.

Per lui, per gli altri, per tutti quegli elementi in fibrillazione, nonostante l'anomala tranquillità di quella notte. Ma la tranquillità, prima o poi, cessa, e quella era l'ora.

Sospirando silenziosamente, si alzò, si scrollò gli ultimi resti di libertà che gli restavano, riprese in mano il casco e gli stivali e si avviò verso la sua moto, lasciata a godersi tranquillamente quell'orgia di emozioni, sensazioni, talmente impalpabili da sembrare irreali.

Pochi secondi dopo, la tranquillità lasciò il posto malvolentieri alla frenesia, all'adrenalina, all'agilità di quella creatura troppo bella e silenziosa per essere vera.

La strada era una, una soltanto, e non avrebbe dovuto far altro che seguirla...ma solo se fosse stato veramente pronto.

E quella notte lui scelse la sua strada, scelse da quale parte del bivio andare, e non avrebbe dovuto far altro che seguire il suo cuore, via via fino a destinazione, o verso un'altra meta sconfinata, questo dipendeva solo da lui.

E a noi non resta che far altro che seguirlo da lassù, insieme alla sua stella gemella, la stessa che lo accompagnò per 19 anni, coccolandolo e picchiandolo, ma che lo segue ancora, senza mai perderlo di vista, accompagnando il suo cuore e guidando la sua moto con un debole ma chiaro assolo di chitarra, che solo lui poteva sentire.

 

-Vai...corri per la tua strada...e non voltarti mai...Bill, fratellino mio...

  
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