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Autore: natsu    09/03/2008    5 recensioni
Cos'è davvero successo il giorno in cui Kurapika trovò il pendaglio a forma di geco sull'isola della terza prova d'esame? La mia interprestazione di un episodio in cui si nasconde molto di più di un semplice esame per diventare Hunter.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fanfiction è in cantiere da un bel po’ di tempo, da quest’estate per la precisione (sono una lumaca ^-^), ma non riuscivo a trovare un finale adeguato. È la mia personale rilettura di un episodio dell’anime che deve aver colpito molto la fantasia a giudicare dalle storie di HunterXHunter che ho avuto modo di leggere….ma bhè spero che possa piacere.

I commenti sono sempre graditi, però evitate i pomodori…che macchiano!

 

 

 

 

 

OCCHI COLOR DI SCARLATTO

 

Di Natsu

 

 

 

 

L’eccitazione era palpabile.

 

Tutti i partecipanti che sostenevano l’esame per diventare Hunter si erano gettati a capofitto nella nuova sfida.

 

Con impegno ma anche con un pizzico di incoscienza e divertimento.

 

Dopo le difficoltà e i rischi che molti avevano affrontato per discendere la Torre, il compito loro affidato quella volta appariva al confronto un gioco da bambini.

 

Nel senso letterale del termine. Infatti, la coppia di simpatici vecchietti che gestiva l’hotel dove erano arrivati, li aveva arruolati per una vera e propria caccia al tesoro: teatro dell’impresa era l’insenatura che si stendeva ai piedi della rigogliosa foresta dove erano stati condotti.

 

In quella mattinata di sole le acque dell’oceano erano placide ma, senza dubbio, quando la tempesta soffiava le onde diventavano insidiosi ostacoli per i naviganti e, a giudicare dai relitti che costellavano il braccio di mare antistante la spiaggia, a volte anche mortali nemiche.

 

Molte di quelle navi affioravano solo parzialmente, la prua verso il cielo e l’albero maestro spezzato, altre invece riposavano sul fianco, altre ancora, sicuramente a causa di falle troppo grandi nella chiglia, erano affondate completamente nella baia. Nonostante la loro velatura fosse andata distrutta con bandiere di riconoscimento in cima all’albero di maestra, era evidente che si trattava di imbarcazioni di diverse nazionalità visti i colori diversi del fasciame e l’originalità delle polene ancora visibili. Una cosa soltanto accomunava quei rottami: le loro stive erano ancora cariche delle ricchezze imbarcate dall’equipaggio al momento della partenza.

 

Tesori inestimabili di cui si erano perse le tracce da anni o da decenni rivedevano la luce per mano degli aspiranti Hunter.

 

Certo, era difficile recuperare molti di essi a causa della profondità cui quei relitti si erano inabissati ma era comunque un piacevole diversivo immergersi alla loro scoperta.

 

Non a caso Gon e Killua erano i più entusiasti. I due si erano saggiamente divisi i compiti: mentre Gon recuperava gli oggetti in fondo al mare, Killua faceva la guardia la bottino evitando che qualcuno ne approfittasse per risparmiarsi la fatica della prova.

Ma non contava solo la capacità fisica di riportare in superficie l’oggetto, era anche necessario riconoscere il suo valore ed individuare tra molti il più pregiato. Così ogni volta che Gon riemergeva mostrando con gioia fanciullesca un nuovo tesoro, Kurapika lo valutava  con l’abilità di un critico d’arte mancato.

 

Così lo scettro dal manico d’oro tempestato di gemme sul pomello era il perduto scettro di re Giorgio.

 

E oh, la corona che il moretto si era infilato sul capo era la corona della regina Anya di cui nessuno sapeva più nulla da anni.

 

Di fianco a lui, Leorio ascoltava stupito le spiegazioni del biondo spostando alternativamente lo sguardo da ciò che Gon mostrava al biondino che parlava con tono saputo e assolutamente convincente.

 

Si era incantato ad osservare quelle labbra che si schiudevano morbidamente. Le fissava muoversi senza realmente comprendere il significato dei suoni, registrando solo marginalmente che la corona che Killua aveva appena aggiunto al bottino era stimata per un valore di oltre cento milioni.

 

- Che cosa?- urlò all’improvviso, riscuotendosi dalla trance in cui era caduto. - cento milioni?- l’informazione era finalmente giunta ai suoi neuroni.

 

Attirato dalla prospettiva di trovare un oggetto altrettanto prezioso si decise a spogliarsi anche lui per tuffarsi, maledicendosi mentalmente per essersi distratto osservando il giovane Kuruta. 

 

Di nuovo… gli ricordò una vocina in un angolino della sua mente. Non era la prima volta che si sorprendeva a contemplare il compagno… e sorprendersi era proprio la parola giusta, perché all’improvviso si accorgeva che lo stava guardando senza sapere quando aveva cominciato né quanto era durato quel suo smarrimento.

 

Lo chiamava così ma in realtà era come un black out intorno  a lui o….no, no era come lo zoom di una macchina fotografica che ti permette di ingrandire un particolare. E in quei momenti il suo campo visivo si concentrava tutto su quelle labbra…

 

A volte si domandava se stava diventando pazzo…sapeva di persone che avevano un’ossessione per le gambe, per i piedi… ma per delle labbra, era possibile? Certo che però erano belle e ben delineate…

 

Ecco di nuovo! Ci stava pensando di nuovo….non era proprio possibile. Stava diventando matto.

 

- Questa prova può sembrare un gioco-, sentiva in lontananza la voce di Kurapika che non sembrava essersi accorto del suo turbamento – ma la ricerca dei tesori è alla base del mestiere di Hunter, è quindi indispensabile sapere riconoscere l’autenticità dei manufatti.-

 

-Tuttavia-, stava ancora parlando con quel tono deciso – tuttavia….non saprei affermare con sicurezza se quella corona sia autentica oppure no.   Ma Leorio mi stai ascoltando ?-

 

Colto di sorpresa dalla domanda, Leorio si riscosse infine dai suoi pensieri e fece per voltarsi verso il compagno: non si era però reso conto che le sue mani nel frattempo avevano sfilato la camicia e che ormai i pantaloni erano a metà coscia, e così facendo perse l’equilibrio e cadde in mare.

 

*   *

 

Si stava trattenendo a stento dallo scoppiare a ridere.

 

Un’anguilla si era avvinghiata intorno al braccio di quello stupido bagnato fradicio per il tuffo in mare…e non sembrava affatto intenzionata a spostarsi da lì!

E più Leorio agitava il braccio, più l’anguilla gli si stringeva intorno…uno spettacolo davvero impagabile!

 

Peccato però per tutta l’acqua che stava schizzando attorno.

 

E dal momento che non aveva intenzione di farsi una doccia né di trovarsi l’anguilla in faccia da quanto l’altro agitava l’arto occupato, decise di lasciarlo lì in buona compagnia e di proseguire lungo il fronte degli scogli.

 

Incredibile, lo sentiva ancora urlare contro quella bestiaccia eppure si era allontanato ormai da parecchi minuti. Se lo immaginava paonazzo in volto e con i polmoni prossimi a collassare…

 

Curiosa davvero la vita, stava ridendo divertito di un persona che non gli era affatto piaciuta all’inizio. Un tizio con un pretenzioso abito giacca e cravatta e l’aria strafottente. Ricordava ancora quella rabbia sorda che gli era montata in petto quando aveva rivelato al capitano del vascello partito dall’isola Kugira che il suo scopo era diventare Hunter per denaro. Non aveva mai sopportato le persone che erano pronte a tutto, anche a mettere in pericolo se stesse, solo per un desiderio così meschino.

 

Ma invece di ignorarlo come faceva sempre in simili occasioni, era quasi arrivato ad aggredirlo fisicamente. Se non fosse stato per Gohn si sarebbero sicuramente battuti sulla tolda della nave sotto la pioggia battente…e le cose forse sarebbero andate diversamente.

 

E proprio l’atteggiamento protettivo, pur mascherato da grugniti e rimproveri, nei confronti di Gohn l’aveva convinto della bontà di fondo di Leorio.

 

Si era quindi costretto a concedergli un’altra possibilità, a prendersi del tempo per osservarlo meglio…scoprendosi con sorpresa a suo agio in sua compagnia.  

 

Si divertiva come non gli capitava da tempo.

 

Il suo sguardo si era perso sul mare abbracciando la distesa d’acqua, quando fu irrimediabilmente attratto da un ‘insenatura tra le rocce dove giaceva, rovesciata sul fianco, un nave.

 

Probabilmente una tempesta l’aveva spinta verso gli scogli più bassi e lì si era arenata, intrappolata dalla sabbia, dal momento che non era affondata né completamente né parzialmente ma era semplicemente così, appoggiata sul fondale. Aveva subito dei danni, l’albero maestro si era spezzato e al momento non ne rimaneva che la base, ma la chiglia sembrava intatta.

 

Ed era rossa.

 

Pur senza pennone non poteva non riconoscerla.

 

Era una nave della tribù dei Kuruta.

 

La sua tribù.

 

*   *

 

La manopola della doccia era stata aperta al massimo e l’acqua scorreva calda, quasi bollente in realtà.

 

I pugni delle mani serrati lungo i fianchi e il volto rivolto verso il getto d’acqua, Kurapika non sembrava infastidito dalla temperatura ormai elevata.

 

- Oh, ma questo è un portafortuna della tribù dei Kuruta -, l’anziano esaminatore era parso sorpreso quando gli aveva mostrato il gioiello che aveva ritrovato tra i rottami della nave.

 

L’aveva rigirato due, tre volte con attenzione quasi a voler scrutare più da vicino quell’oggetto così raro e pure così caratteristico: un geco d’oro tempestato di rubini lungo tutto il suo dorso.

 

- Peccato però che non abbia un gran valore…- aveva aggiunto, restituendogli il gioiello.

 

Non era per quello che si era rivolto a lui e glielo aveva  detto senza esitazione:

 

- Non ho infatti alcuna intenzione di cederlo, volevo solo sapere da lei da quanto tempo la nave dalla chiglia rossa si trova nella baia.-

 

L’anziano signore non aveva saputo offrirgli alcuna risposta. La nave era già lì quando lui e la moglie erano giunti sull’isola.

 

Si era sentito così vuoto in quel momento, sconfitto. Un altro tassello del suo passato che non riusciva a collocare al suo posto.

 

Con un gesto brusco chiuse la manopola e si avvolse nell’asciugamano azzurro che aveva appoggiato sul lavabo. La spessa spugna gli accarezza il corpo sodo con delicatezza, ma lui non prestava alcuna attenzione a quella piacevole frizione.

 

Si sentiva ancora vuoto.

 

E questo lo rendeva inavvicinabile. E tagliente con tutti, anche con gli amici.

 

Per questo apostrofò malamente anche Leorio che in quell’istante entrava nella sua stanza, la loro in effetti, dal momento che aveva fatto a cambio con il ninja, senza bussare.

 

Fortunatamente si era appena infilato la sua cappa azzurra, ma solo qualche secondo prima e l’avrebbe visto avvolto solo nella spugna da bagno! Si accorse improvvisamente che tale possibilità lo turbava più di quanto avrebbe dovuto, in fondo erano entrambi uomini e non avrebbe dovuto avere alcun problema a farsi vedere così.

 

Un piccolo brivido gli serpeggiò lungo la nuca.

 

Due erano sempre stato i suoi punti di forza: si era impegnato per costruirsi una vasta cultura dicendosi che erano indispensabile per proteggersi dalle insidie del mondo, e aveva lavorato a lungo anche su se stesso per cercare di conoscersi al meglio e sfuggire così alle insidie che gli uomini potevano tendere.

 

Conosceva il mondo e conosceva se stesso. Ed era veloce a ragionare, e questo gli aveva spesso salvato la vita.

 

Ora non era molto diverso.

 

La consapevolezza lo aveva colpito tanto velocemente che Leorio stava ancora cercando di scusarsi per la sua irruzione.

 

La risposta era così chiara…e allo stesso tempo così sconvolgente e pericolosa.

 

Non poteva assolutamente. Doveva andarsene.

 

Forse avrebbe ferito Leorio ma davvero, in quel momento non poteva fare diversamente.

 

- Anche se siamo conoscenti, questo non giustifica la tua mancanza di buone maniere – aveva utilizzato il suo tono più tagliante e, prima che l’altro potesse ribattere qualunque cosa, si era sistemato il pendaglio a forma di geco nella cappa e aveva lasciato la stanza.

 

 

*    *

 

Era sicuro di aver visto un balugino dorato al suo collo poco prima che se ne andasse.

 

Non aveva potuto distinguere che cosa l’aveva provocato ma era quasi sicuro che si trattasse del gioiello che aveva ritrovato quella mattina.

 

Il vecchio aveva detto che era un portafortuna della tribù dei Kuruta. Più di una volta lo stesso Kurapika aveva orgogliosamente ricordato la sua appartenenza a quel clan distrutto dal Ragno, ma mai, prima di quel giorno, si era comportato in quel modo.

 

Freddo. Cattivo.

 

Le sue parole, il tono con cui le aveva pronunciate lo avevano colpito, tuttavia, ciò che l’aveva veramente sconvolto era l’espressione dei suoi occhi mentre gli parlava.

 

Erano spenti. Quell’azzurro placido capace di riflettere il cielo di una giornata di primavera era privo di qualunque riflesso. Vuoti.

 

Pur non essendo ancora un medico, sapeva che le malattie dell’uomo si dividevano in due categorie, quelle del corpo e quelle dello spirito: certo, il suo desiderio era quello di curare le ferite visibili ma non poteva  neppure ignorare quelle invisibili.

 

E quegli occhi vuoti avevano acceso in lui un’ansia soffocante. Per questo aveva deciso di seguirlo fuori dall’edificio, e poi lungo la costa, fino a raggiungere un relitto dalla chiglia rossa. Per assicurarsi che stesse bene e magari

 

non sapeva neanche lui.

 

In ogni caso, un medico non abbandona i suoi pazienti. Soprattutto un amico – ma quanto gli sembrava fuori luogo quella parola - non ne abbandona mai un altro, e qualunque cosa ne pensasse quest’altro lui non si sarebbe fatto intimidire.

 

La tolda della nave su cui aveva visto salire Kurapika stava marcendo, divorata dalla termiti e rosa dalla salsedine, ma facendo attenzione a non inciampare nelle travi sconnesse si avventurò lungo la scaletta che un tempo doveva condurre sotto coperta.

 

Un intenso odore di cherosene aleggiava nell’aria.

 

Con una tanica di benzina in mano, Kurapika stava ricoprendo il pavimento con il liquido infiammabile. Il rumore dei suoi passi lo aveva interrotto un istante, aveva visto i muscoli delle sue  spalle irrigidirsi in allerta, ma aveva ben presto ripreso il suo lavoro senza dir nulla.

 

Lo stava ignorando…oppure, semplicemente, l’aveva accettato lì?

 

Nonostante sperasse fosse così, non era per natura tipo da accettare un silenzio prolungato, specie se così carico di tensione.

 

- Oserei dire che l’importuno non abbia imparato nulla delle buone maniere-non aveva saputo evitare il sarcasmo. Calcando soprattutto sull’importuno, aveva voluto fargli male, provocargli quel sottile ma intenso dolore che aveva provato quando l’aveva trattato come un semplice conoscente.

 

E qualcosa aveva provocato perché il corpo di fronte a lui si era lievemente afflosciato come sotto un peso, prima che la sua voce un po’ stanca gli chiedesse qualche cosa per accendere. Sempre senza voltarsi aveva accettato il fiammifero che gli stava porgendo e l’aveva gettato davanti da sé. Immediatamente il vecchio relitto aveva preso a bruciare, il legno avvolto da brevi fiammelle che alimentate dalla leggera brezza si erano trasformate in violente fiammate.

 

Sugli scogli assistettero immobili all’agonia della nave, ascoltando il fasciame gemere dolorosamente nella morsa del fuoco mentre l’aria crepitava di scintille rossastre.

 

Contro il cielo al tramonto, sembrava un’immensa pira funeraria accesa in ricordo di sconosciuti morti.

 

- Rossi…- la voce di Kurapika si innalzò nostalgica nel silenzio – occhi rossi, occhi color di scarlatto…in preda a forti emozioni gli occhi dei Kuruta diventano così - non si stava rivolgendo a nessuno in particolare, ricordava soltanto continuando ad osservare il rogo.

 

- Alcuni dicono- proseguì pianamente - che non vi sia nulla di più bello che occhi color di scarlatto, occhi che rimangono impressi nell’animo di chi ne incrocia la scintilla.-

 

Mentre pronunciava le ultime parole si era tolto dal collo il pendaglio dorato a forma di geco e si era soffermato a fissarlo intensamente, perso nei suoi pensieri. Poi improvvisamente l’aveva lanciato nell’aria in direzione della nave restituendolo al suo giusto posto.

 

L’avevano intravisto un istante mentre cadeva, i rubini color di scarlatto rifulgenti sull’orizzonte, pegno della promessa di giustizia di un giovane uomo biondo.

 

In quel momento il suono di una sirena aveva interrotto la quiete della sera, provocando la fuga di decine di stormi di gabbiani che si erano alzati in volo punteggiando di bianco l’arancio del cielo.

 

-Il suono della sirena che accompagna le esequie…- aveva mormorato Leorio.

 

 

*    *

Erano rimasti a lungo a contemplare il rogo che si consumava, lentamente.

 

In silenzio, l’uno a fianco dell’altro, avevano visto il mare incendiarsi per il riflesso delle fiamme sull’acqua mentre il sole moriva all’orizzonte e nascevano le prime stelle.

 

Poi, quando l’ultima scintilla si era spenta cessando di illuminare di luce i loro volti, erano ritornati all’albergo.

 

Nessuna parola era stata detta tra loro, nessuno dei due ne aveva avvertito la necessità. Kurapika non aveva aggiunto nulla e Leorio non aveva chiesto nulla, si era limitato a stargli vicino pur avvertendo  nuovamente la necessità quasi dolorosa di fare qualcosa …di abbracciarlo

 

Ma proprio quell’appoggio discreto, quella calorosa presenza, avevano scaldato il giovane dagli occhi acquamarina. Il suo compagno forse non si rendeva conto di quando sostegno gli stava dando, di quanto fosse difficile trovare una persona che condivida con te la malinconia di un addio.

 

Era una fortuna così rara.

 

Lui l’aveva trovata, perché Leorio era con lui.

 

Però non voleva che si preoccupasse troppo.

 

Così, una volta aperta la porta della loro stanza, si voltò verso di lui e con un tono che sperava apparisse tranquillo gli disse che poteva fare per primo la doccia, se lo desiderava: per un istante avvertì su di sé il suo sguardo scrutatore, quasi volesse accertarsi delle sue reali condizioni, ma poi, forse convinto, aveva scosso la testa in assenso ed era entrato in bagno.

 

Quando sentì l’acqua cominciò a scorrere Kurapica si decise finalmente a prepararsi per la notte: a quel pensiero un nuovo piccolo brivido, intenso come quello del pomeriggio, gli attraversò la schiena.

 

Quella sensazione di attesa pur così piacevole lo stava mettendo a disagio. Non gli piaceva non avere controllo su di sé e sulle sue emozioni. Ma nemmeno gli piacevano i bugiardi.

La verità era che aveva paura, paura di quello che avrebbe potuto pensare Leorio di lui.

 

Non voleva che quella pace che aveva faticosamente raggiunto con il gruppo gli fosse strappata via per un suo impulso irragionevole, per nessun motivo al mondo.

 

La migliore soluzione era ignorare.

 

Perso nei suoi pensieri non si era reso conto che nel frattempo l’acqua aveva smesso di scorrere e che la porta del bagno si era aperta.

 

- Ehi Kurpika…-.

 

La voce un po’ preoccupata di Leorio lo fece sussultare, facendolo voltare di scatto. Tuttavia, quello che vide lo bloccò sul posto.

 

Di fronte a lui, Leorio non si era ancora rivestito. In effetti non si era nemmeno completamente asciugato, viste le piccole gocce d’acqua che gli scivolavano dolcemente sulle spalle e lungo il petto  delineando al loro passaggio la forma di quei pettorali sodi e ben definiti.

 

E a lui piacevano così, non troppo muscolosi.

 

Una vampata di calore gli incendiò lo stomaco nell’istante in cui si rese dei suoi pensieri.

 

Stava giusto sperando di non essere miseramente arrossito quando tutto il suo autocontrollo esplose in mille pezzi, accorgendosi che quelle perverse goccioline erano catturate ad una ad una dal grosso asciugamano che Leorio si era avvolto intorno alla vita…

 

….lo stesso asciugamano che aveva utilizzato lui quel pomeriggio!

 

Quella stoffa azzurrina che aveva frizionato la sua pelle ora stava accarezzando…le cosce forti - e si stava censurando – dell’uomo di fronte a lui.

 

Cosce forti…uomo…

 

Il suo cervello non riusciva a pensare ad altro e i suoi occhi certo non lo aiutavano.

 

Ora sì che sarebbe morto carbonizzato…sentiva distintamente le sue guance bruciare…

 

Per l’imbarazzo …e la paura.

 

Non voleva assolutamente che Leorio capisse.

 

E in quel momento non gli venne in mente nient’altro se non colpirlo violentemente in volto, fingendo una rabbia inesistente per nascondere il vero motivo del suo rossore.

 

- Come ti sei permesso di prendere il mio asciugamano! –

 

Si era messo ad urlare sperando di coprire così i battiti assordanti del suo cuore ma la sua voce si spense di fronte alla luce di quegli occhi castanti.

 

Brillavano di … maliza?

 

Una strana agitazione gli salì in gola…improvvisamente sapeva che doveva muoversi.

 

Sapeva che doveva far finta di niente e mettersi a dormire.

 

Con un ultimo sforzo si costrinse a voltargli le spalle e a dirigersi verso il letto.

 

Ma non aveva fatto nemmeno un passo che due forti braccia si avvolsero intorno alla sua vita e un petto caldo gli aderì alla schiena.

 

Leorio lo aveva stretto a sé, obbligandolo a godere del calore ustionante del suo corpo nonostante la barriera dei vestiti.

 

- Non avere paura…- gli sussurrò contro il collo.

 

Le sue braccia erano scivolate ancor più strettamente intorno al corpo del biondino impedendogli di liberarsi. Sapeva che se lo avesse lasciato anche solo per un istante Kurapika si sarebbe allontanato da lui. E poi avrebbero fatto finta di nulla, si sarebbero infilati nei rispettivi letti spegnendo la luce, e tutto sarebbe rimasto com’era.

 

Perdendo la possibilità di… cambiare.

 

Non sapeva ancora se il cambiamento sarebbe stato in meglio o in peggio …ma era convinto che ne valesse la pena.

 

Di rischiare…per quello che sentiva dentro di lui.

 

-         Sai…non puoi ingannarmi- riprese a voce bassa, morbida.

 

Kurapika aveva smesso di dibattersi, irrigidendosi all’istante.

 

-         Anche se cerchi di nasconderlo, l’ho visto nei tuoi occhi.-

 

Come scottato, il corpo snello tra le sue braccia cercò ancora di rompere la stretta ma lui non glielo permise. Desiderava rassicurarlo, non voleva che avesse paura…aveva già sofferto abbastanza quel giorno e quelli prima ancora. Ma doveva stare a sentirlo. Così, pur trattandolo fermamente con la mano sinistra, prese ad accarezzargli dolcemente il ventre con piccoli movimenti circolari, tranquillizzanti, come per rassicurare un bimbo che sta male.

 

- Adoro i tuoi occhi azzurri, sono limpidi come il mare…- mentre parlava non aveva smesso di accarezzarlo e poteva finalmente sentire la tensione abbandonarlo- …ma sono gli occhi color di scarlatto che mi hanno imprigionato.

 

Evidentemente il biondino era ritornato padrone di sé, perché quando parlò la sua voce uscì decisa anche se un po’ spezzata, forse per lo sforzo…forse per altro.

 

-         Tu non sai cosa stai dicendo, questi occhi sono la mia maledizione – gli disse.

 

-         Sei tu che non sai cosa stai dicendo, o meglio che non ricordi cosa mi hai detto oggi davanti al relitto che bruciava…- mormorò ancora, le labbra appoggiate al lobo dell’orecchio del compagno e i suoi fili biondi contro la guancia – tu mi hai detto che gli occhi color di scarlatto rimangono impressi in colui che ne incrocia lo sguardo…-

 

Il soffio caldo della voce di Leorio gli stava solleticando il padiglione auricolare, spedendogli una cascata di brividi lungo la schiena. Stava perdendo coscienza del suo corpo, completamente abbandonato a quel bozzolo di calore che lo avvolgeva.

 

-         I tuoi occhi color di scarlatto mi sono rimasti impressi…- a quelle parole non poté trattenere

il gemito che gli sfuggì dalle labbra, mentre socchiudeva gli occhi alla carezza di quelle dita che dal ventre erano risalite sulla guancia per soffermarsi infine sul mento chiedendogli silenziosamente di voltarsi verso di lui. Le accontentò girandosi nell’abbraccio, tenendo però lo sguardo basso velato dallo frangia, un po’ per timore un po’ per gioco: desiderava che gli parlasse ancora…per sapere se anche lui…

 

Ma il suo bruno compagno non sembrava d’accordo, desiderava finalmente incrociare il suo sguardo, trovare conferma della luce che vi aveva scorto prima e il fatto che il biondino ancora si nascondesse gli fece temere di essersi sbagliato, di avere sbagliato tutto.

 

-         Kurapika..- lo chiamò infine – …dimmi qualcosa…-

 

Decisamente patetico, non era neppure riuscito a non sembrare puerile.

 

Si era quasi deciso ad abbandonare quel corpo, così caldo e dolce – buffo, quanto si sentisse bene contro di lui – quando due stelle cerulee si sollevarono incerte su di lui.

 

Chiedevano una conferma, sospese tra speranza e timore…

 

E lui non seppe più trattenersi.

 

Si curvò sul compagno poggiando le labbra sulle sue.

 

Finalmente, qualcosa era cambiato.

 

 

 

Fine (?)

 

 

Nota conclusiva: non ho inserito la lemon perché non mi sembrava appropriata in questa one-shot, tuttavia, chissà, potrei aggiungere un epilogo un po’ più caldo!!!!! Ditemi voi. Baciotti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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