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Autore: Ceci Princessofbooks    03/09/2013    3 recensioni
Seguito di "Doctor's Lullaby": un altro piccolo momento di tenerezza con Spock, Bones e il piccolo alieno che hanno salvato. Perché anche gli scienziati sanno raccontare le fiabe, e guarire le ferite.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Heart's Bonds'
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Seguito di “Doctor's Lullaby”e seconda avventura del mio piccolo alieno e della coppia più adorabile dell'Enterprise. Non chiedetemi che cosa accadrà dopo, perché non lo so:ma abbiate fiducia.


Scientist's Tale


L'uomo scivolò oltre l'angolo, i sensi tesi, i muscoli pronti. Dal corridoio proveniva solo silenzio, ma sentiva ancora i suoi passi, un'ombra di movimento intrappolata dalle pareti bianche. La sua preda era lì. Doveva fare piano, però, perché era una preda scaltra, e imprevedibile; sapeva che avrebbe avuto solo una possibilità.

Si protese, in ascolto,attendendo; ed ecco, leggero come neve, un sussurro dall'incavo del muro di fronte a lui. Un respiro.

L'uomo sorrise: era stata una caccia lunga, ma ormai aveva vinto. Non poteva più sfuggirgli.

Si chinò, preparandosi allo scatto. In quel momento dalla conca venne un sussulto, un mormorio d'allarme: ma era troppo tardi.

L'uomo si gettò avanti, e ghermì la preda.

-Tana per Arshanan!-

Bones strinse tra le braccia il corpo guizzante del bambino, mentre tutti e due scoppiavano a ridere; il dottore gli scompigliò i capelli, un sorriso immenso e trionfante sulle labbra. -Ah, è inutile, mio giovane amico. Sappi che ti sei messo contro il miglior giocatore di acchiapparella di tutta la Georgia!-

-Non vale!- trillò il ragazzino, tentando di sgusciare via dalla presa del suo cacciatore. -Tu sei più forte, e sei più vecchio!-

-Ah! E tanti saluti al mio orgoglio...-replicò Leonard, depositando il bimbo al suo fianco e rialzandosi con una smorfia.Gli ultimi giorni con Arshanan e Spock erano stati tra i più belli della sua vita, ma le ore di giochi e corse gli avevano lasciato su di lui una mappa di stiramenti e chiazze doloranti. Tuttavia, ne era valsa davvero la pena: erano trascorsi anni da quando si era sentito così libero, così importante, così se stesso, se si eccettuavano i momenti in cui operava o in cui era con Spock. Ma se in quegli attimi sentiva che la sua mente e il suo cuore venivano guariti, ora era lui a poter curare quello di un altro, e fare ciò per cui, in fondo, sentiva di essere nato: medicare le anime e i corpi degli altri uomini. Sapeva che quel ragazzino non avrebbe potuto restare per sempre sulla nave, senza un tutore, senza una scuola; ma il primo scalo era ancora lontano, e quegli attimi troppo preziosi.

In quell'istante, un'alta figura diritta e familiare svoltò verso di loro; Spock si fermò, incerto se mostrarsi compiaciuta o perplessa di fronte alla scena poco ortodossa di fronte a lui. -Dottore, Arshanan. Mi sembrava di aver udito degli inconfondibili richiami di battaglia.-

Bones gli lanciò un'occhiataccia poco convinta. -Non ti hanno mai insegnato a giocare ad acchiapparella, Spock? Occorrono riflessi, nervi saldi e rapidità di pensiero. Molto Vulcaniano.-

-Dubito che correre fino a sfinirsi per scambiarsi goffi colpi e frasi insensate sia un comportamento degno della ma gente, Dottore.-

McCoy sbuffò e poi, approfittando della sua natura di umano incoerente, sfiorò la bocca ben disegnata del Primo Ufficiale con la propria. -Va bene, come vuoi tu. Tanto ho vinto io, no?-

Arshanan gli tirò la magli, il broncio risentito che lo faceva assomigliare infinitamente a Leonard -Non è vero!-

Mentre i due continuavano a dibattere sulle rispettive capacità di cacciatore, Spock si sorprese ad osservarli, nell'incanto luminoso e inspiegabile e pauroso che lo coglieva sempre di fronte al suo dottore: per qualche motivo, gli tornò in mente suo padre, le austere passeggiate tra le alte ombre del loro palazzo, il contegno che mantenevano entrambi. Per lui non c'erano mai stati quegli scherzi arruffati, quei giochi selvaggi; e per un momento immaginò cosa avrebbe voluto dire averli per sempre di fronte a sé, assieme a quelle due creature così diverse e così irripetibili.

Gli occhi azzurri ed indifesi di Bones incontrarono i suoi, e come sempre il loro calore e la loro luce gli tolsero il respiro. -Devo tornare in Infermeria adesso, o Christine verrà a trascinarmi lì per l'orecchio.- una scintilla di preoccupante divertimento gli sussultò nello sguardo. -Ehi, ragazzo, perché non ti fai scorrazzare un po' per la nave da Spock? Nonostante le apparenze, sa un mucchio di cose interessanti.-

Talvolta il primo Ufficiale dimenticava perché fosse così facile litigare con Leonard. -Io non credo sia una buona...-

-Quindi vuoi dire che sai di essere terribilmente noioso?-

-In realtà io non condivido tale giudi...-

-Bene, allora dimostralo! – il sorriso del dottore indusse in Spock il simultaneo impulso di baciarlo e di stordirlo con una presa Vulcaniana.

Poi il ragazzino sollevò il viso, la curiosità e il timore che gli bruciavano i grandi occhi d'ametista, e in Spock qualcosa di profondo e di segreto si sciolse.

Annuì, le mani raccolte compostamente dietro la schiena. -Molto bene, allora. Ma solo per una breve passeggiata.-

Il sorriso di Bones perse la sua impronta malandrina, per farsi più vero, più adulto. -Starete benone, Spock. Fidati di me, per una volta.- si inginocchiò di fronte ad Arshanan. -E tu fai il bravo, mi raccomando. O se no lo zio Spock mi farà dimenticare chi sono a forza di rimproveri.-

Il piccolo annuì, con una solennità molto simile a quella del Primo Ufficiale. -Stai tranquillo, zio Leonard.-

-Molto bene, allora vi lascio- sospirò Bones -mi raccomando, non mandate all'aria il ponte e non andate a letto tardi.- Strinse la mano di Spock, le dita magre e sensibili. -Ci vediamo dopo.-

Un attimo, e McCoy stava marciando lungo il corridoio con le sue falcate frettolose.

Il Primo Ufficiale e il ragazzino si osservarono in silenzio, entrambi guardinghi e pronti alla fuga.

-Ciao- salutò, circospetto.

-Salve a te- rispose meccanicamente Spock.

Altro silenzio; ma aveva angoli più smussati, questa volta.

Il Vulcaniano serrò le labbra, mentre la sua nobile mente vagliava febbrilmente i luoghi, le occasioni e le persone che avrebbe potuto mostrare al giovane Arshanan. Avrebbe voluto avere accanto Bones: i suoi modi tempestosi e sbrigativi sembravano adattarsi perfettamente al desiderio di cose concrete e presenti che bruciava il piccolo: le parole del Primo Ufficiale erano troppo lontane, le sue strade troppo distanti e cristalline per non strappare un brivido. Spock, per una volta, si dolse davvero della sua implacabile ragione. Nelle settimane che erano trascorse dall'epidemia e dal momento in cui aveva cominciato a vivere con loro, il Primo Ufficiale aveva studiato attentamente il bimbo, con la stessa mescolanza di stupore e ammirazione che gli suscitava Leonard, e aveva imparato ad apprezzarne davvero la compagnia. Solo che non sapeva come dimostrarglielo.

L'idea venne d'improvviso.

-Vieni con me.- propose, indicando verso l'ascensore -credo di poterti mostrare qualcosa di interessante.-


Il ponte d'osservazione era vuoto, immerso nel silenzio vellutato del pomeriggio. Arshanan trotterellò dietro Spock, guardando le mura di titanio, un fioco splendore grigio nella luce azzurrata delle lampade a soffitto. Non c'era nulla: solo pareti, un lucido pavimento bianco, due o tre scomodi sedili scuri. Il ragazzino arricciò il naso, perplesso. -Ma qui non c'è niente.-

Il primo ufficiale si voltò, e nel suo sguardo solenne sfarfallò una scintilla di divertimento. -Deduco che la pazienza non sia neppure una tua virtù. Troppo tempo con il Dottore, immagino.-

Il bimbo sbuffò, e sul suo volto si dipinse un cipiglio tempestoso molto simile a quello di Bones. -È solo che non capisco perché siamo venuti qui.-

-Aspetta un istante, e lo saprai.- Il Vulcaniano proseguì, fermandosi accanto ad un pulsante argenteo. Con un gesto silenzioso, lo spinse.

Il ragazzino incrociò testardamente le braccia.-Io continuo a non veder...Oh.-.

Uno dei muri schiarì lentamente, fino a diventare diafano come garza; e dietro risplendeva lo spettacolo più stupefacente che avesse mai visto.

Il cielo era buio, ma di un buio vivo, diverso: un buio profondo e liquido che palpitava come un fiume, incendiato dai riflessi d'argento delle galassie. Sciami di stelle correvano nell'oscurità, come un branco di cavalli fulvi e luminosi. E la notte, l'immensa notte eterna dello spazio, pareva un occhio smisurato e senza fondo, che spalancava per lui le sue meraviglie, e i suoi orrori.

-Ma è...- sussurrò, premendo il naso contro la parete trasparente -...è bellissimo!-

Spock annuì, compiaciuto che la sua idea avesse incontrato il favore dell'interessato. Osservò le braccia dinoccolate e goffe di Arshanan, la morbida nube di capelli chiari, gli occhi spalancati, così nudi di fronte alla bellezza ed al dolore. Riconoscendo quegli occhi, sentì un tepore inconfondibile invadergli lo stomaco, e non volle altro che proteggere tutti e due, il suo dottore e quello strano bambino solo: entrambi così generosi, così fragili, così insostituibili. Si avvicinò, non sapendo come conservare l'incanto, come non premere sulle ferite. -Quando avevo all'incirca la tua età, mio padre mi portava spesso sulla torretta nel giardino della nostra casa, all'Ossevatorio, soprattutto nelle notti d'estate. Rammento che restavamo lì per ore, nel freddo dorato della sera, mentre mi indicava i nomi delle costellazioni e mi raccontava le leggende da cui erano nati. Molte le ricordo ancora.-

Si fermò, sorpreso per primo dalla facilità con cui quel segreto gli era sfuggito. Ripensò al profumo di legno e polvere del giardino, alla cadenza ordinata dei passi di suo padre, alla mappa di valli e incavi bui in cui si trasformava il suo volto nelle tenebre. Ripensò alla sua voce fluida che intrecciava scienza e mito, e alla sensazione di completezza, di piena comprensione che avviluppava Spock i quei momenti. Con un sussulto, rivide la sicurezza con cui allora si affidava a suo padre, la fiducia di ferro nelle sue parole e nella sua saggezza. Quando quella fiducia si era spezzata, i frammenti gli si erano conficcati nella carne, fino al nucleo indifeso e sfavillante del suo essere; e continuavano a fare male.

Si accorse solo in quel momento di aver attratto il volto del ragazzino; lo guardava attentamente, mordendosi il labbro. E quando aprì la bocca, disse l'unica cosa che avrebbe potuto lenire le ferite del Primo Ufficiale. -Allora puoi raccontarle anche a me, le storie delle stelle?-

Spock voltò il capo, preso alla sprovvista. I ricordi continuavano a bruciare, sotto la pelle, come schegge; parlarne li avrebbe solo conficcati più a fondo. Ma quel bambino aveva graffi più recenti, più esposti, e non sapeva ancora come proteggerli dal mondo. Aveva il dovere di aiutarlo a medicarli, o almeno a evitare che si avvelenassero. Perché potessero guarire meglio dei suoi.

Allungò il braccio, puntando il dito verso un groviglio di scintille cremisi. -Quella è la costellazione dell'Arpista.- iniziò, e fu sorprendentemente dolce essere lui a raccontare, con una giovane mente che voleva apprendere; nel profondo delle ossa, in un modo di cui lui stesso non si accorse, Spock promise però che questa volta sarebbe stato diverso. -Viene chiamata così dagli abitanti della galassia, ed è addirittura venerata da una setta di Gorkien. Vi sono molti miti intorno alla sua nascita, ma uno dei più interessanti è sicuramento quello dei Dandarii di Damarat. La leggenda narra che una volta, prima che la Grande Luce rinnovasse il mondo, una giovane musicista...-.

Il Primo Ufficiale continuò mentre, senza accorgersene, anche le sue ferite pulsavano meno. Fu in quel momento che il dottor McCoy passò accanto alla porta, a dir poco sbalordito. Quando però osservò dalla porta l'uomo e il bambino, la stessa espressione severa e intensa sul viso, non poté né volle trattenere un sorriso.

Borbottando qualcosa sui Vulcaniani e le loro inaspettate sdolcinatezze, si allontanò lungo il corridoio.


   
 
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