“Ma che è quello lì?”

“Non lo so, ma è inquietante.”

“Mi chiedo come abbia potuto la nobile Shelly accogliere un tipo del genere.”

Guidato da quelle parole, mi girai e lo vidi. Se ne stava alla finestra, chino su sé stesso, con una mano premuta sull’occhio fasciato ma ancora sanguinante.

Non so ancora se fu per compassione o per semplice curiosità, fatto sta che non riuscivo a distogliere lo sguardo da quell’albino che guardava fuori appoggiato al vetro con l’espressione più triste che avessi mai visto.

Così presi coraggio e mi avvicinai. Sentivo la tensione irrigidirmi i muscoli, ma la tentazione era troppo forte.

“Se lo strofini è peggio.” dissi, cercando di mascherare il tremore della mia voce. La sua mano pallida, però, continuava imperterrita a tastare l’occhio, macchiandosi di un rosso scarlatto, finché un lembo della fasciatura non cedette e gli ricadde sul viso.

“Aspetta, ti aiuto.” scattai, e feci per riaggiustargli la fascia.

Con un gesto repentino, il dorso della sua mano colpì la mia guancia così forte da sentirla andare a fuoco. Caddi a terra perdendo gli occhiali, mentre sentivo il mio viso avvampare per il dolore e la vergogna.

“Non ho bisogno del tuo aiuto!” mi rispose una voce carica d’odio e disperazione. Quando finalmente riuscii a trovare gli occhiali a tastoni, me li rimisi sul naso facendo finta che non fosse successo nulla.

“M-mi dispiace. Io... non so come scusarmi, davvero.” balbettai, chinando la testa “Io sono Reim, piacere di conosc...”

“Non me ne frega niente di chi sei, capito?” il ragazzo scese dalla finestra, mi scoccò un’occhiata furibonda e si dileguò a passo svelto, mettendosi a posto la benda alla bell’e meglio sotto gli occhi increduli dei presenti.

Mi rialzai massaggiandomi la guancia che mi bruciava. Nonostante mi avesse trattato in quel modo indegno, non riuscivo proprio ad essere arrabbiato con lui.

Forse perché, nel profondo del cuore, immaginavo come avesse poter sofferto quel ragazzo così scontroso di cui non conoscevo nemmeno il nome. Mentre lo guardavo uscire, non potevo fare a meno di provare tenerezza nei suoi confronti, e dentro di me sapevo che un giorno, chissà quale e quanto lontano, sarebbe cambiato. Forse saremmo persino potuti andare d’accordo.

Mi affacciai alla finestra e lui era lì, sotto un albero, a guardarsi con l’unico occhio rimasto la mano insanguinata.

D’un tratto, da un cespuglio spuntò la piccola Sharon Rainsworth che, saltellante, gli si avvicinò porgendogli un fiore ed esclamando:”Tieni! Questo l’ho preso per te!”

Il ragazzo alzò lo sguardo sulla bambina, e indugiò per un istante.

Fu in quel momento che successe qualcosa che mi colmò di una gioia totalmente inaspettata: l’albino prese il fiore con le punta delle dita e, per la prima volta, lo vidi sorridere.