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Autore: hazzas_wife    04/09/2013    0 recensioni
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La mia vita, in realtà, non era mai stata vita.
Ero diversa fino al midollo, ero diversa dal resto del mondo in qualunque cosa. All'asilo, le mie compagne giocavano con le Barbie, allegre e felici, ed io preferivo stare all'ombra di un albero a leggere un libro. Alle elementari, il 10lode era il numero più ricorrente sulle pagine del mio quaderno di matematica. Secchiona, mi dicevano. Mi avevano già bollata, marchiata a fuoco, avevo un segno sulla pelle impresso come un timbro ad inchiostro pressato sulla carta. Lo stesso era valso per le medie. Ero differente, alternativa. In tutto. Le mie compagne del liceo andavano alle feste, uscivano con i ragazzi e giravano per profumerie, negozi di abbigliamento e gioiellerie? Io stavo a casa a studiare, tentando di occupare il mio tempo nel modo migliore possibile. I cellulari di Candace, Mary, Jess, Mimì, Cicì e Coco erano sempre intasati di messaggi di persone nuove, di cui il 90% era di sesso maschile? Il mio aveva soltanto due numeri memorizzati in rubrica, 'MAMMA' e 'ALAN'.
Già. Alan. Il mio migliore amico.
Forse l'unica ragione per cui non ero ancora finita sottoterra, consumata dai vermi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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PREFAZIONE.
 

La mia vita, in realtà, non era mai stata vita.
Ero diversa fino al midollo, ero diversa dal resto del mondo in qualunque cosa. All'asilo, le mie compagne giocavano con le Barbie, allegre e divertite, ed io preferivo stare all'ombra di un albero a leggere un libro. Alle elementari, il 10lode era il numero più ricorrente sulle pagine del mio quaderno di matematica. Secchiona, mi dicevano. Mi avevano già bollata, marchiata a fuoco, avevo un segno sulla pelle impresso come un timbro ad inchiostro pressato sulla carta. Lo stesso era valso per le medie. Ero differente, alternativa. In tutto. Le mie compagne del liceo andavano alle feste, uscivano con i ragazzi e giravano per profumerie, negozi di abbigliamento e gioiellerie? Io stavo a casa a studiare, tentando di occupare il mio tempo nel modo migliore possibile. I cellulari di Candace, Mary, Jess, Mimì, Cicì e Coco erano sempre intasati di messaggi di persone nuove, di cui il 90% era di sesso maschile? Il mio aveva soltanto due numeri memorizzati in rubrica, 'MAMMA' e 'ALAN'.
Già. Alan. Il mio migliore amico.
Forse l'unica ragione per cui non ero ancora finita sottoterra, consumata dai vermi.
L'unico che all'asilo, non sorrideva alle bimbe Barbie-dipendenti, ma sorrideva a me, a ME, afferrava la sua copia di Tex e si appoggiava al mio albero preferito, iniziando a raccontarmi di quando mi avrebbe portata a vedere il Grand Canyon, e di quando mi avrebbe salvata dal drago cattivo e dal suo padrone, il mago Shocklan, sguainando la sua spada per liberarmi dalle funi che mi avvolgevano, e ricevendo, a termine dell'eroica impresa, un dolce bacio a fior di labbra.
L'unico che, quando alle elementari i bambini cattivi della mia classe mi rubavano la merendina gridando "Cicciona, CICCIONAAAAAA" divideva la sua con me, dicendomi di non ascoltarli, e di mettere qualcosa sotto i denti, altrimenti mi sarei ammalata. Se gli avessi dato retta, molto tempo dopo non avrei detto allo psichiatra di considerare l'anoressia 'la filosofia di vita che avevo adottato e che aveva dissipato il mio dolore' e non una schifosa, subdola malattia.
L'unico che, al ballo di fine anno, pur essendo io una primina e lui uno del terzo anno, mi aveva fatta ballare, e ballare, e ballare ancora. Un lento, un valzer, una salsa. Il nostro sguardo sempre incatenato.
Dopo il ballo, dopo una breve tregua di un anno, dopo uno spiraglio di luce che avevo intravisto alla fine del nero tunnel dell'anoressia, iniziò il buio più totale.
 

CAPITOLO 1.
 
"Siria? Mi stai ascoltando?"
La noiosissima voce del mio noiosissimo professore di algebra mi distolse dai miei pensieri. Avevo mangiato un dolce al cioccolato per colazione. Un cornetto alla Nutella aveva più di 600 calorie? Se sì, ero decisamente OVER. Dovevo andare in bagno a mettermi due dita in gola il prima possibile, per essere di nuovo al pari con la dieta. Tutti dicevano che non avevo bisogno di perdere peso, che ero già abbastanza magra così com'ero.
"Sì Professor Collins. Stava illustrando brillantemente le equazioni subinomiali di primo grado, che differiscono da quelle di secondo grado per.."
"VA BENE, VA BENE, basta così. Ma mi meraviglio comunque di te. In un anno che frequenti i miei corsi, ti ho trovata distratta una sola volta. E questo perchè nel pomeriggio dovevi organizzare il funerale del tuo amato padre, PASSATO OLTRE."
Enfatizzò la parola 'passato oltre' talmente tanto che se avesse detto 'morto', sarebbe stato meno doloroso.
Morivo dalla voglia di dirgli quanto era stronzo, e cattivo.
E che mio padre non era morto, ma era disperso in guerra, e che era stata dichiarata soltanto la MORTE PRESUNTA.
Ma papà voleva una figlia modello. Come ero sempre stata fin quando lui era stato con noi. Non avrebbe voluto che gli rispondessi.
E dovevo continuare ad avere quei voti che rasentavano la perfezione, perchè lui fosse orgoglioso di me.
Quindi mi morsi la lingua, costringendomi ad ascoltare il resto della lezione, e attendendo trepidante il suono della campanella.
 

                                                                                                                                ****
 
"..Di conseguenza, dopodomani mi aspetto che tutti voi consegniate una brillante tesina sui tipi di equazioni affrontati quest'anno. Ci rivediamo dopo la pausa pranzo. Potete andare."
Grazie al cielo. Uscii dalla classe a passo svelto e testa china, come ero solita fare, per dirigermi verso la classe dove Alan aveva appena terminato il corso di letteratura inglese.
Lo vidi uscire con il foglio dei compiti assegnati dalla McBartey in mano, lo sguardo sconsolato, come se già sapesse che quella noiosissima analisi comportamentale del modello di personaggio di Shakespeare gli avrebbe sottratto un intero pomeriggio, passato sui libri invece che al parco con gli amici.
Lui era popolare, intelligente, simpatico, bello, ambizioso e modesto.
Era il genere di persona che piaceva a tutti, e che non veniva mai giudicata in modo negativo dagli altri, indipendentemente da cosa facesse.
Era il genere di persona che io avevo disperatamente voluto essere, da sempre, ma che non ero mai stata capace di imitare, come se fosse stato un ruolo troppo difficile da interpretare senza una spessa maschera ed una buona dose di menefreghismo.
Quando alzò lo sguardo mi vide subito, e mi sorrise in quel modo che conoscevo bene. Mi si avvicinò in fretta, tirando fuori dallo zaino i suoi 'spuntini' in modo baldanzoso, come un prestigiatore che estrae il coniglio dal cappello a cilindro.
"Buongiorno signorina. Oggi la casa, per pranzo, offre crackers al rosmarino, torta di mele, yogurt al cioccolato e sandwich di tonno. Cosa sceglie? La invito a mangiare qualcosa, perchè le ricordo che ieri sera ha cenato a casa del sottoscritto, e il mio cane ha ingurgitato quantità di cibo nettamente superiori a quelle che ha ingoiato lei. Una scodellina di lattuga scondita non può essere una cena sufficiente per un essere umano, le pare? Oggi deve compensare."
Era sempre stata la sola persona che si era mai preoccupata di quello che mangiavo, di quello che evitavo e del perchè non mangiavo qualcosa. Sapeva bene della mia malattia, e sapeva altrettanto bene che io non la consideravo tale. Lui la vedeva come un'ossessione per la magrezza. Io più come il bisogno di perdere ancora quattro o cinque chiletti.
Pesavo trentasei chili. Probabilmente il suo cane pesava il doppio. Ma io non volevo mai sentire ragioni su quello che gli altri dicevano a proposito del mio corpo, e mi limitavo ad assecondarli promettendo loro che mi sarei sforzata di mangiare di più.
"Mi dispiace declinare la sua offerta, gentile inserviente, ma penso che per oggi mi basterà una bottiglietta di Pepsi. Sa, non vorrei ingrassare." conclusi, e mi avvicinai ai distributori automatici stringendo una monetina in mano. Con il tempo avevo imparato che le bevande gassate aiutano a dare un senso di appagamento e di sazietà, in modo da poter saltare i pasti più facilmente.
Lui mi seguii, e appoggiò la mano destra sulla mia spalla.
"Oh gentile donzella, ma la mia non era una richiesta. Era più... un ordine, ecco."
Sentii uno strano rumore metallico, e poi SBAM, una mano colpii il mio fondoschiena.
Mi voltai verso Alan, con la bocca spalancata in un'indispettita 'o' muta.
Vidi i suoi occhi brillare, e approfittando del fatto che io non capissi cosa stava succedendo, mi infilò una cucchiaiata di yogurt nella bocca ancora aperta.
"Chiudi. E deglutisci."
Assaporai la vellutata freschezza dello yogurt, e l'aroma del cioccolato, che per un attimo quasi mi stordirono.
Ma poi ripresi lucidità.
Non dovevo cedere ai piaceri del cibo. Dovevo resistere ancora a lungo.
"Lei è proprio un inserviente cattivo." gli risposi, assumendo un'espressione imbronciata.
"Cattivo ma irresistibile"
Su questo dovetti dargli ragione. Era stronzo, quando voleva. E terribilmente incurante delle regole e del giudizio delle persone. Per non parlare della sua sigaretta sempre accesa, del suo vizio di farmi il verso e dei suoi sorrisi abbaglianti.
Però il bene che nutrivo nei suoi confronti, superava comunque quello che era umanamente possibile.
"Ehi Walker" fece un ragazzo della sua età, passandogli accanto e assestandogli una bella pacca sulla spalla, "ci vieni alle selezioni delle cheerleader? Ho sentito che parteciperà anche Sandy Robinson. Cazzo Walker, quella ragazza ha due.." incrociò il mio sguardo pieno di disappunto, e si affrettò a correggersi "...OCCHI assolutamente penetranti."
Alan si girò prima verso di me, poi verso di lui, e nuovamente verso di me.
"Ti dispiace?" mi chiese, domandandomi con lo sguardo un silenzioso permesso.
"Vai. Davvero, nessun problema"
Prima se ne andava e prima potevo cercarmi con calma un gabinetto in cui vomitare.
Difatti lui non sembrò molto convinto della mia reazione.
"Sicura? Questo però lo finisci." e mi mise in mano il vasetto di yogurt.
"Oh beh.. Non era poi così schifoso e insapore come sembrava. Vedrò cosa posso fare" gli risposi, e lo rassicurai: "Starò bene, vedrai. Vai dalla Robinson e dalle sue sexy gemellone." gli sorrisi maliziosa.
Lui scoppiò a ridere, ed il suo amico iniziò a tossire forte, rosso in viso.
"Allora ciao, dolce Siry."
Poi, insieme si allontanarono, parlottando di Sandy Robinson e delle sue tette che, a detta loro, avrebbero presto fatto il giro del mondo.
 
Dopo aver fatto un salto al bagno delle ragazze per fare i miei 'bisognini' e per sbarazzarmi dello yogurt, mi diressi verso il campo di lacrosse. Volevo andare a sedermi sugli spalti, in compagnia di un buon libro. Non avevo pensato che però la selezione delle cheerleaders sarebbe avvenuta proprio sul campo 'di battaglia'.
Volevo comunque starmene una mezz'oretta sola in santa pace, senza Alan, il suo amico o Sandy Robinson.
Passai il dito sulla costa del libro che stringevo in mano.
I caratteri dorati e svolazzanti recitavano pomposamente "Jane Eyre"
Capivi che un libro era interessante, apprezzato e famoso persino dal modo in cui egli stesso si presentava, dal fatto che, se ne avessi avuti molti altri poggiati sullo scaffale di una biblioteca, avresti scelto in ogni caso quello, per l'eleganza e la sobrietà con cui si pavoneggiava, vistoso ma non pacchiano.
Mi immersi nella lettura, ma dopo pochi attimi, qualcosa mi colpì alla nuca. Un aeroplanino di carta, con un biglietto.
"GIRATI"
Mi voltai e vidi Alan seduto nella fila di sedie superiore alla mia, con un sorriso beffardo.
"Qualcosa mi dice che non hai finito il tuo yogurt"
Attese una risposta che non arrivò.
Ma il mio silenzio fu più eloquente di tante parole.
Improvvisamente cambiò espressione. Sembrò stanco, distrutto, affaticato. Si passò una mano fra i capelli e mi guardò dritto negli occhi.
"E' questo Siria?"
Lo guardai, non ben sicura di aver capito cosa intendesse.
"E' questo quello che vuoi davvero? Ti comporti come se non avessi capito davvero qual è il problema."
"Sono io il problema. Sono i miei chili di troppo, il problema. E' la fame che mi impedisce di dormire di notte, il problema. E' questa dieta infinita ed inutile, il problema. E' questo stramaledetto spazio tra le cosce, che non si decide ad aumentare di ampiezza. Il problema sono gli sguardi della gente. Indirizzati ad una cicciona."
Alan si mise a ridere.
Dio, l'avrei preso a ceffoni.
"Come pensavo. Non hai la minima idea di quale sia il problema."
Si alzò, e venne a sedersi accanto a me.
Osservò la mia gamba sinistra, la percorse e accarezzò con lo sguardo.
Poi afferrò il mio ginocchio. E lo strinse. Tra pollice ed indice.
"Lo vedi ora? Le tue articolazioni hanno la grandezza di albicocche. Quando fai il bagno in piscina e ti metti il costume da bagno, ti si vedono le costole. Avevi una terza di seno, in seconda media, o mi sbaglio? Me lo avevi detto tu stessa quella mattina, così fiera di non aver più bisogno di un reggiseno imbottito. Dov'è finito? Dov'è finita quella pancetta che tutti noi amavamo? Quel po' di ciccina sotto le ascelle? I polpacci tonici di quando facevi latino americano, di quando eri una ragazzina pimpante e ambiziosa che progettava di partecipare ai mondiali di latino americano a Blackpool?
DOVE?"
Mi gridò contro, all'improvviso.
"Rispondimi"
"E' morta, Alan. E' morta insieme al suo grasso, alla sua voglia di cibi unti e fritti, alle prese in giro dei suoi compagni. Alle speranze di rivedere suo padre, al sogno di poter diventare una ballerina professionista."
"Rivoglio la mia migliore amica. Quella vera. Quella che amavo."
La voce rotta dal pianto, le lacrime che gli bagnavano le gote.
Mi amava. Lo sapevo. Io e lui avevamo preso l'abitudine di dircelo a vicenda nei momenti di difficoltà, da quando avevamo cinque anni.
Come se sapere di avere qualcuno a tuo fianco che, nonostante tutto, ti amava, ti avrebbe aiutato a stare meglio.
"Ti amo."
Gli dissi.
"Anche io ti amo"
"Io di più."
"Ma io ti ho amata per primo."
E rimanemmo abbracciati sugi spalti per tutto il pomeriggio. Incuranti della pioggia che cadeva, del fatto che fosse ora di rientrare in classe. Di Sandy Robinson e del mondo intero.
 
Aveva detto che mi amava, e mai era sembrato più falso. Ma al contempo, mai era sembrato più sincero.
Mi amava.
E per il momento, mi sarei fatta bastare questa certezza.
 
 
 
  
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