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Autore: HuGmyShadoW    10/03/2008    3 recensioni
Camilla è una ragazza assolutamente normale: normali capelli castani, normali occhi marroni, normale famiglia, vita normale... ma con una grande e talentuosa passione per le fan fiction, che le farà realizzare il suo più grande sogno per mezzo di un fortuito concorso: incontrare i Tokio Hotel! Ovviamente, al "fatidico giorno", nonostante l'emozione, Bill con lei si dimostrerà smagliante, Georg sempre in vena di battute, Gustav gentile come al solito, e Tom... be', Tom forse non sarà come Milla se l'era immaginato... Perchè in fondo, niente è mai ciò che sembra...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*2*

Salii, non con qualche difficoltà, sul macchinone austero e importante. D’altronde, quante altre volte avevo avuto la possibilità di scarrozzare in giro con una limousine? Uhmm, fatemi pensare... Be’... nessuna! Normale quindi che mi sentissi un po’ impacciata.
Il decrepito (e probabilmente bicentenario) autista aspettò che mi sistemassi per benino sul chilometrico sedile posteriore, poi, con un impercettibile cenno della testa, mi chiuse la portiera, e un attimo dopo era già attaccato al volante e ingranava con furia inaspettata la marcia. Partimmo con uno scatto da Formula Uno, ed io, ancora a bocca spalancata, sbalordita dalla vastità dell’auto, mi morsi accidentalmente la lingua!
Lacrimando e tentando di non imprecare come uno scaricatore di porto, iniziai a sventolarmi una mano davanti alla bocca per placare il bruciore, e alzando gli occhi luccicanti allo specchietto retrovisore, notai lo sguardo scandalizzato dell’autista che mi fissava quasi fosse una malata di mente.
Sorrisi, ancora con la lingua dolorante tra i denti, ma probabilmente ottenni l’esatto effetto contrario di rassicurare l’uomo sulla mia totale assenza di disturbi psicologici, perché quello mi guardò ancora peggio. Rossa d’imbarazzo, mi voltai velocemente dall’altra parte.
Il paesaggio correva rapido oltre il trasparente finestrino dell’elegante macchina scura, e i miei pensieri con lui. Fino ad un mese fa non avrei mai pensato di poter solo sognare una simile fortuna! Eppure, ero io, ora, che stava per incontrare i miei idoli, io che avrei passato una giornata coi Tokio Hotel!!! Che impressione avrei dato loro?
Tentai di guardarmi da fuori con sguardo oggettivo...

Sono abbastanza bassa per la mia età. Una scatoletta di fagioli e un biscotto, diceva sempre mamma, cioè un metro e sessanta scarso per quindici, banali anni. Madre Natura avrebbe potuto impegnarsi di più, diciamocelo...
Non sono né anoressica né obesa, faccio parte della “classica via di mezzo”, più tendente al paffuto, a dir la verità: le mie “guanciotte da criceto” sono diventate la mia condanna, perché, chissà come mai, sono sempre state il passatempo preferito di nonne e parenti vari! Che stress!
Nonostante gli ipocriti complimenti di mia madre durante le mie infinite e logorroiche litigate con lo specchio, non assomiglio in alcun modo a quelle attrici hollywoodiane, bionde, dagli occhi azzurri, senza mai un grammo di troppo che cita lei, anzi! I miei capelli sono banalmente castani, impossibili da districare se la notte hanno baruffato col cuscino o se solo gli girano... Sono abbastanza particolari! Tutti la padrona cioè...
Forse (e almeno questo me lo concedo!), i miei occhi sono la più bella parte del mio corpo: marroni, ma marrone intenso, quasi nocciola col brutto tempo e di una sfumatura dorata col sole! Una piccola nota di imprevedibile nella mia vita completamente prevedibile...
Insomma, non sono assolutamente nulla di speciale.  

Distolsi lo sguardo dal riflesso abbagliante di una vetrina, che luccicava invitante dall’altro lato della strada. Ora, sicuramente, i miei occhi sarebbero stati di un brillante color miele d’acacia.
Eravamo fermi ad un semaforo da qualche minuto, e la mia impazienza cresceva di secondo in secondo. Mi sporsi avanti e battei leggermente con le nocche sullo spesso vetro che mi separava dall’autista. Niente. Quello non si voltava.
Riprovai, un po’ più decisamente. Ancora niente. Mi schiarii la voce e provai a chiamare:
-Scusi... Mi scusi! Sa per caso quanto ci vorrà ancora…? Scusi!!-.
Alla fine, rinunciai. Probabilmente era mezzo sordo.
“L’importante è che non sia anche mezzo cieco, se no siamo proprio messi bene...”, pensai sarcasticamente, incrociando gambe e braccia.
Per scaramanzia, però, quando scattò il verde, feci per bene attenzione che infilasse la corsia giusta e non salisse per qualche marciapiede, seminando il terrore tra gli innocenti pedoni. Una vera scena da film horror... “L’autista pazzo”...
Rabbrividii e mi tolsi dalla testa quei pensieri cinematografici poco educativi.
Mi riappoggiai al sedile di pelle e chiusi gli occhi, massaggiandomi le tempie. Cercai di convincermi ancora una volta ad accettare la realtà: stavo veramente per conoscere i Tokio Hotel. Proprio quei Tokio Hotel. Bill, Tom, Georg e Gustav. Oddio.
Ma cosa gli avrei detto? Come? E se mi avessero sbattuto la porta in faccia? O mi avessero trovato antipatica, petulante, puntigliosa, bisbetica, noiosa, ributtante...?
No, be’, ora non esageriamo! Tutto, ma ributtante no!!! Vabbé che potevo anche avere una forte somiglianza con una pelosa scimmia lillipuziana del Congo, ma a quello ancora non ci arrivavo!

Totalmente immersa nei miei assurdi e affatto consolanti pensieri, non mi accorsi di essere arrivata a destinazione finché non ci sbattei contro, nel vero senso della parola!
Arrivati davanti all’elefantesco albergo dove mi avrebbero ricevuta i Tokio Hotel (sì, proprio loro!), l’autista, dando modo di dimostrare ancora una volta la sua leggendaria finezza, diede in una frenata colossale, che mi spiaccicò la guancia contro il finestrino.
Dolorante, gemetti debolmente, mi scollai e mi misi a massaggiare la mascella: che male!
Un attimo dopo, il “vecchiaccio” si materializzò alla mia portiera, che immediatamente aprì, e con un mormorato “prego” mi invitò a scendere.
Inviperita, barcollai fuori senza ringraziarlo, ma quello non ci fece caso.
Mi scoccò un’occhiata significativa, dopodiché si avviò tranquillamente verso l’entrata.
Gli trotterellai senza indugi.
Una volta varcate le maestose porte di legno massiccio, mi lasciai sfuggire un fischio sommesso: quel posto era enorme! I ragazzi si trattavano bene, non c’è che dire!
L’ometto non mi lasciò nemmeno il tempo per riprendermi dallo shok, troppo abituata alla piccole cose, che mi incitò a seguirlo su per una maestosa rampa di scale.
Un tappeto color bordò ricopriva gli eleganti gradini di marmo, e un corrimano avorio scivolava accanto a me. Mi sentivo tanto Cenerentola!
Dopo la scalinata, che l’autista superò senza sforzo e che a me troncò il respiro e la milza, passammo attraverso un paio di stanze vuote, qualche corridoio e uno sgabuzzino, fino ad arrivare davanti alla porta di quello che aveva tutta l’aria essere un salottino dei ricevimenti. Perfetto...
L’uomo, con un elegante gesto della mano, mi fece segno di entrare, ma io impallidii:
-Oh! Lei... lei non viene?-.
Quello scosse la morbida testa lanuginosa. Forse dovevano pagargli gli straordinari se apriva bocca.
Incominciai a sudare freddo e a tormentare con le dita il borsone che avevo portato da casa.
Ah, giusto! Non potevo certo andare lì dentro così!
Mi schiarii debolmente la voce.
-Mi scusi... Ehm... Io dovrei cambiarmi... Non c’è un bagno qui?-, chiesi guardandomi attorno. Avevo preferito portarmi da casa i vestiti eleganti, perché odiavo viaggiare in auto con qualche abito da sera: mi prudevano da morire! Tanto, appena arrivata avrei avuto un sacco di tempo per la mia abituale “trasformazione”, pensavo.
Illusa.
-I signorini la vogliono vedere ora!-, gracchiò infine con una vocetta acuta l’autista.
Sobbalzai, presa alla sprovvista, e deglutii, completamente nel panico.
-Ma... No-non sono truccata, i miei capelli sono proprio... guardi come sono vestita!-, strillai istericamente, indicandomi.
L’ometto sembrò passare attentamente ai raggi X la mia semplice maglietta di cotone azzurro pallido, i jeans scuri, lunghi alla caviglia e le mie vecchie scarpe da ginnastiche, soffermandosi un momento di più sul mio viso, senza una traccia di rimmel, matita o lucidalabbra, e sui miei capelli, sciolti e spettinati come sempre.
Un sorrisetto gli attraversò il volto rugoso, stendendogli la pelle sulle guance, e nuovamente parlò:
-Oh, andrà più che bene abbigliata così. Adesso deve proprio entrare...-, e ghignando, abbassò la maniglia, rivelando uno scorcio raffinato di poltrone, tavolini e... piedi!
Paralizzata dalla rabbia, arrossii come una rapa bollita, ma dando ascolto al mio orgoglio, strinsi forte fra le dita le cinghie del mio inutilizzato borsone e marciai verso la porta aperta a testa alta. Passandogli accanto, alzai il dito medio all’autista, che mi guardò scandalizzato prima di chiudere la porta.
“Beccati questa!”, pensai. Almeno avevo avuto la mia rivincita.

La stanza in cui mi trovavo era circolare, e quasi totalmente foderata di un polveroso velluto rosso. Tavolini rotondi dalle gambe corte erano sparsi qui e lì, accompagnati da sedie imbottite, ugualmente basse. Volsi lo sguardo tutt’intorno, e per poco non ebbi un infarto dalla sorpresa.
Abbarbicati su quattro di quelle minuscole poltroncine, le lunghe gambe che spuntavano da sotto le tovaglie, i Tokio Hotel prendevano beatamente il the, conversando amabilmente tra di loro.
I. Tokio. Hotel.  
La borsa atterrò con uno schianto secco sul pavimento, soffocato appena dalla moquette.
Quattro paia di occhi si voltarono all’istante a guardarmi, curiosi.
Arrossii violentemente, e non poté non tornarmi in mente l’espressione beffarda di quell’odioso autista...
“Cazzo!”.

***

Che ne pensate? Se volete (e potete) recensite, così posso capire cosa vi è piaciuto di più o di meno... Danke!
Baciotti! :*





   
 
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