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Autore: Momoko The Butterfly    04/09/2013    3 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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Into the Madness



Capitolo 2
Il conforto di un cielo senza stelle
 

 
 
Il treno correva ad alta velocità sobbalzando in continuazione. E per Allen riuscire ad appisolarsi fu un'impresa. Alla fine, vinto dalla stanchezza che, comunque, lo carpiva già da qualche ora, si lasciò scivolare nei mondo dei sogni beato, infischiandosene persino del mezzo di trasporto che non lo voleva lasciare in pace.
Linalee non aveva obbiettato. Lo aveva lasciato riposare tranquillo, mentre in silenzio spostava i suoi brillanti occhi scuri sul paesaggio notturno che scorreva veloce attorno a loro. campi e, in lontananza, colline verdi inghiottite dal buio. Qualche boschetto qui e là, nessuna traccia di vita. Dormivano tutti a quell'ora, anche i più piccoli animaletti del sottobosco. Ma lei no. Nonostante il suo corpo sentisse il bisogno di rigenerarsi con una bella dormita, lei non era in grado di accontentarlo. Si sentiva sovrappensiero, persa in un mare di ricordi e sogni che la inquietavano. Al sol rimembrare il dolore e la sofferenza patiti durante lo scontro sull'Arca e la propria anima straziata urlare, scalciare, strepitare, pur di proteggere chi amava... ogni voglia di dormire era volata via, divorata dall'oscurità di quella notte senza stelle. Ricordava troppo bene la sensazione: il suo stomaco che s'ingarbugliava nervoso, le lacrime che, aggressive, si dibattevano per uscire fuori; le grida, le preghiere a quel Dio da lei tanto odiato ma che le aveva concesso di ritrornare alla Home, con tutti i suoi compagni sani e salvi. Un gesto di misericordia crudele, perché mai Lui si era tanto preoccupato di lei e dei suoi apostoli. Le sue erano come le insolite attenzioni di un padre disinteressato dei propri figli. Nulla accadeva per caso. Erano vivi per puro miracolo, ma non solo; per un motivo ben preciso.
E nel trovare una risposta a questo interrogativo grande quanto il mondo, non si accorse del graduale cambiamento di paesaggio. Le colline si sollevarono, persero l'erba, la sostituirono con le dure rocce impervie delle montagne. In breve tempo, il treno viaggiava su una stretta strada posta tra due colossi di pietra grezza. I sobbalzi erano diminuiti, così come la velocità. Erano passate più o meno cinque ore. Cinque orribili ore di viaggio, per Linalee, che quel tempo lo aveva speso tutto a riflettere.
Verso mezzanotte e un quarto, il treno si fermò in una stazione cittadina, alla quale i due Esorcisti provvisti di bagaglio scesero veloci, osservando poi il mezzo che li aveva condotti lì gettarsi nuovamente tra le rocce ed essere inghiottito dall'oscurità.
Si guardarono attorno, dirigendosi immediatamente verso un sottopassaggio che li portò all'entrata della stazione ferroviaria. Poche persone la popolavano, per lo più uomini d'affari e vagabondi. Nulla di speciale. Si avviarono all'uscita e lì venne loro incontro una strana figura, completamente coperta da un lungo cappotto beige che gli copriva anche la testa. Aveva l'aria giovane, assorta. Per questo non si accorse degli Esorcisti, finché non furono questi a rivolgergli la parola. Al sol sentirsi osservato s'irrigidì, raddrizzando la schiena e incollando le braccia al corpo come se fosse stato in presenza di un'animale feroce. Ma a quel punto fece un profondo inchino, trattenendo il respiro.
- Sono mortificato! Spero possiate perdonare la mia distrazione, Nobili Esorcisti! - esclamò, profondamente dispiaciuto.
Già, i Finder ne nutrivano molta di stiva verso di loro. Per alcuni si trattava semplicemente di lecchini o ruffiani, per altri di persone realmente rispettose.
Allen fu il primo a intervenire, dato che Linalee pareva un po' assente. Prese per le spalle il ragazzo e lo fece rialzare, calmandolo e dicendogli che non aveva fatto nulla di male.

- Piuttosto - gli domandò, per spezzare quell'imbarazzante discorso - Come ti chiami?

Il giovane parve sorprendersi, preso alla sprovvista. Evidentemente non era abituato a quel genere di trattamenti. E subito ricordò il viso dell'Esorcista albino. Era abbastanza noto, tra gli atri Finder, per aver compiuto imprese pregne di eroismo, ma soprattutto per l'essere una persona molto altruista, attenta al bene di tutti. E questo non potè che accrescere la profonda ammirazione che aveva per lui.

- Mi chiamo Albin, al vostro servizio!

Allen sorrise, presentandosi a sua volta. Venne poi il turno di Linalee, la quale disse il suo nome in modo molto sobrio e pulito, come sempre. E Albin pensò che ciò che gli avevano detto i suoi superiori sui mitici apostoli di Dio era sbagliato. Non erano affatto duri, irraggiungibili, legati alle tradizioni e al rispetto. Sembravano proprio persone qualunque, degli amici con cui ridere e scherzare. Compagni uniti per un unico destino, e un unico obbiettivo.
Ma si ricompose all'istante, nel ricordare il motivo per il quale era stato mandato lì lui solo. A dire la verità aveva un po' paura, non aveva mai assistito in solitaria degli Esorcisti, era sempre rimasto nell'ombra come semplice recluta. Ma si era impegnato, aveva dato tutto sé stesso ed ora poteva vantarsi di essere un'assistente di quei fantastici guerrieri che tanto idolatrava. Veloce, senza indugiare oltre, frugò nel proprio cappotto alla ricerca della lanterna che si era nascosto addosso in caso di necessità. La tirò fuori, ci mise dentro la giusta quantità d'olio e l'accese. Il bagliore spezzò il buio, creando un alone di luce che trasmise sicurezza e protezione in quel mondo dominato dalle tenebre.
I tre iniziarono poi ad avviarsi, a piedi, lungo il sentiero indicato da Komui, che pareva passare prorprio accanto alla stazione, inerpicandosi nel più fitto dei boschi.

- State vicini alla lanterna, Nobili Esorcisti - raccomandò loro Albin, con l'aria sicura di chi è pronto a rischiare il tutto per tutto per proteggere i propri colleghi da qualunque pericolo. Così era cresciuto, orfano, in quella comunità di non eletti dove ognuno pensava all'altro, e viceversa. I legame più forte lo si stabiliva coi compagni, e mai con sé stessi. E a quel punto nemmeno i cannoni degli Akuma potevano cancellare quel legame indissolubile creatosi tra gente comune, gente che andava avanti con le proprie sole energie ma che aveva visto nell'amicizia, nell'unione, il vero potere per sconfiggere il male. Una catena che mai si sarebbe spezzata, era la divisione Finder. Non un cumulo di mosche pronte a morire per niente, come un certo altro Esorcista aveva affermato. Sì, lui c'era quella volta in cui Yu Kanda parlò impunemente di loro come pedine sacrificabili, niente più che scudi, strumenti per loro, che erano i veri guerrieri. Avrebbe voluto alzarsi, dargli una bella lezione, ma s'era contenuto. Era in grado di sopportare abbastanza da conservare quell'onore che lo contraddistingueva, che mai gli avrebbe permesso di compiere una tale scorrettezza verso un superiore. E sì, erano deboli, inermi. Non possedevano certo l'Innocence, ma i loro cuori erano puri quanto quella divina materia di Dio a loro preclusa.

- Ci siamo quasi - avvertì ad un certo punto, quando ormai stavano camminando da un'ora buona. Il bosco era fitto, e aldilà della luce della lanterna Allen e Linalee non riuscivano a vedere nulla. E la cosa li inquietava. Senza nemmeno le stelle in cielo a far loro da guida, erano come un mero residuo di purezza in un mondo depredato della propria luce, oscuro e sinistro. I territori inesplorati attorno a loro li rendevano agitati, con la guardia alta, pronti a scongiurare all'istante anche il più piccolo attacco da parte di Akuma.
Notarono però qualcosa di strano in quell'innaturale silenzio; in quell'apatia agghiacciante che li circondava. E subito si affrettarono a esporsi a vicenda i propri pensieri.

- Come mai il misterioso fenomeno di cui si parlava non si è ancora verificato? - Linalee parve preoccupata. Si strinse ad Allen, nel tentativo di reprimere i timori che quel bosco sconoscuto instillava nel suo essere. E l'albino fece altrettanto. Non che avesse paura o volesse fare l'eroe. Trovava semplicemente quella situazione tutta molto strana, e mantenere il gruppo intatto era fondamentale per evitare sfortunati incidenti, come spesso gli era capitato in passato. Dopo aver compiuto qualche altro passo, Albin si fermò. Pareva essersi lasciato soggiogare anche lui dall'ambientazione spettrale nella quale si erano coraggiosamente immersi, seppur in modo avventato.

- Se per voi non rappresenta un problema, proporrei di trovare un rifugio qui vicino.

Allen osservò Linalee. E pensò che lei, in quel posto, sarebbe durata decisamente poco. La conosceva, non era molto simpatizzante per i luoghi solitari e lugubri come quello. acconsentì deciso all'idea del Finder, ma impose di trovare un luogo sufficentemente sicuro per riposare. L'altro annuì, e con il poco olio rimanente nella lanterna si misero alla ricerca di una grotta, una radura, un qualunque angolo di bosco in cui sarebbe stato facile per loro recuperare le forze e riflettere sulla missione.
Non ci volle molto per trovare quella che a prima vista parve l'entrata di una galleria di pietra, naturale, che trovava la sua formazione nella pancia di un grosso pezzo di roccia, probabilmente parte della montagna. Vi si addentrarono, e fortunatamente la trovarono deserta. Un goccioliò insistente echeggiava al suo interno, e il perché fu presto svelato. Enormi stalattiti ricoprivano il soffitto, e le gocce di condensa scendevano fino a tremolare incerte sulle punte, per poi gettarsi in un viaggio di sola andata verso una pozzanghera d'acqua salmastra che le aspettava proprio sotto di loro, sul pavimento di roccia scavato dal tempo.
Il gruppo si sistemò vicino all'entrata, in modo che anche da lì potessero tenere d'occhio la situazione all'esterno. Allen e Albin andarono a cercare rametti secchi, e Linalee accese un piccolo fuocherello con quello che restava della fiamma nella lanterna. Fortunatamente il Finder portava con sé delle riserve, quindi non dovettero preoccuparsi di rimanere al buio per le ore successive.
Allen propose ai due di riposare, data l'ora tarda, e così fecero. Si appisolarono tutti quasi contemporaneamente, tanto erano stanchi. E non si risvegliarono per un bel po'. Persino Linalee, nonostante tutte le preoccupazioni, non si accorse di essersi lasciata trasportare tra le braccia di Morfeo...
 

Gwen si risvegliò improvvisamente.
Il perché e il come si fosse addormentata non le era chiaro, e forse non c'era nemmeno. In verità, non vi era nulla di anomalo in quel comportamento; semplicemente, le capitava da anni, e credeva ormai di aver passato gran parte della sua vita dormendo, facendo un sogno assurdo. O almeno lo sperava. Pregava sempre nel proprio cuore che che alla fine si svegliasse e scoprisse che aveva solo fatto un orribile incubo. Che lei ci fosse ancora. Che le sorridesse, le parlasse. Ma no, non era stato un sogno. Era accaduto veramente. E il sangue e le lacrime s'impressero vivi, furenti nella sua mente per ricordarglielo. Il mondo era buio e lei.. ne faceva parte ormai. Era diventata un'ombra schiava della solitudine e dell'eternità cui era stato sottratto il diritto alla vita.
Si rannicchiò contro un angolo freddo e umido della stanzetta nella quale era stata rinchiusa, le ginocchia lacerate dai tagli, le braccia piene di abrasioni, graffi. E se li era inferti tutti da sola.
Fissò un punto nell'oscurità, a caso, con quegli occhi che non vedevano niente ma immaginavano. Oh, sì. Almeno questo, potevano ancora farlo. In un'alone di luce soffusa e fittizia, frutto della sua mente che tentava di dare un senso al nulla, vide emergere il suo viso, assieme ai suoi occhi blu, o forse grigi, o forse trasparenti; al suo sorriso che si contorceva seguendo le movenze del buio, ingannatore e fasullo. E a quella corta chioma castana, che pareva dissolversi ghermita da artigli invisibili.
Tese una mano, come per afferrare quell'illusione distorta dal tempo e dall'oscurità. Pensava che se fosse riuscita a prenderla, Cari sarebbe tornata da lei. Oh, era così semplice. Bastava solo afferrare quell'immagine davanti a lei. Solo questo.
Solo... questo...
Ma non servì a nulla. Come la punta delle sue dita sfiorò quel volto immaginario, esse presero a sfigurarlo in maniera orribile. Caddero i capelli, uno per uno. Gli occhi blu o grigi o trasparenti si sciolsero come neve al sole e gocciolarono a terra. E quel viso tanto tondo, bello, dolce, iniziò infine a deteriorarsi, riempirsi di rughe, raggrinzirsi fino a che... non si spaccò. Come un vaso di porcellana caduto, le sue gote si frantumarono e cascarono al suolo, scoprendo un'orribile teschio umano, la cui tempia destra presentava un foro della grandezza di un proiettile. Da esso cominciò a sgorgare fuori del sangue, sempre di più, sempre di più...
Gwen si ritrovò il respiro mancarle, preda di un'illusione di cui lei stessa era artefice. Cadde al suolo e si contorse nel tentativo di prendere fiato, ma si sentiva la gola impastata da qualcosa, bloccata. Annaspò alla ricerca d'aria, graffiandosi il collo in un disperato gesto di liberarsi da quel peso soffocante. Stava affondando; affondava in un mare rosso e denso, impossibile da risalire. Gli occhi d'ambra iniziarono a chiudersi, lenti, carichi di dolore. I suoi movimenti erano sempre meno scattanti, perdevano d'efficacia, si stavano ammutolendo. Si ritrovò agonizzante sul pavimento, solo una sottile stilla di vita ancora la teneva ancorata a quel mondo, a quell'inferno dal quale lei voleva disperatamente andarsene. Non oppose più resistenza. Forse, questa volta, sarebbe riuscita a morire. Finalmente...

La porta della cella prese a cigolare, sinistra.
Tyki la aprì lentamente, come gli aveva raccomandato il Lord, per non spaventare la loro improbabile ospite. La luce invase gradualmente la stanza, e fu solo quando l'ebbe inondata tutta che se ne accorse. La sciagurata giaceva a terra priva di sensi. Con inaspettata prontezza di riflessi, le fu subito addosso, prendendola e scuotendola con molto poco garbo. E fu allora che la vide: un lungo lembo di stoffa del vestito, non troppo grosso, era annodato in modo distratto attorno al suo collo. Si lasciò scappare un ringhio nervoso mentre usava i suoi poteri per farglielo passare attraverso e liberarla. E con somma soddisfazione, mista alla volontà di finirla con le proprie mani, la vide riprendere a respirare all'improvviso, a pieni polmoni.

"Che problemi ha questa qui?!" si chiese, allarmato, mentre ricordava le parole del Lord deliberatamente rivolte a lui, come a volerlo vittima di un altra stupida beffa.

 
- Bada che non le succeda niente, eh, Tyki-pon! 

Solo ora capiva il reale senso di quelle parole, e il significato di quella dubbia preoccupazione. Quella sciocca aveva appena cercato di suicidarsi.
 



Un tremito leggero scosse la terra, mentre un timido rimbombo appena percettibile si diffuse tra gli alberi, i quali scuoterono le loro chiome sospinte da una forza invisibile.
Allen socchiuse gli occhi all'improvviso, vedendo il suo sonno disturbato. Constatò con disappunto che il sole non era ancora sorto, e che la notte fosse più nera del buio stesso. Neanche una stella brillava in cielo Si chiese cosa fosse stata quella scossa, ma i suoi sensi erano ancora affievoliti dal sonno e ipotizzò di essersela immaginata. A volte succedeva: sognava di cadere, e gli sembrava talmente reale che poi non sapeva spiegarsi quando si risvegliava nel proprio letto, al sicuro da ogni pericolo. Eppure, ne era certo, fino a pochi miseri istanti prima la terra tremava sotto i suoi piedi. Che buffo mondo, quello onirico.
Si risistemò nel suo cantuccio, portandosi la coperta fin sulle spalle. Sebbene fosse già primavera, faceva ancora un freddo terribile, soprattutto in montagna. Prima di riappisolarsi, diede un'occhiata veloce ai suoi compagni, per assicurarsi che dormissero quieti. Linalee stava bofonchiando qualcosa, ma non ritenne di doverla svegliare; non pareva agitata. E invece Albin..

"Dov'è?" si chiese, mentre si alzava.
Il Finder mancava all'appello. Le sue coperte erano in ordine, senza una piega. Pareva non averci mai dormito. Allen si guardò attorno, e nonostante il buio riuscì a vederlo. Era proprio all'entrata della grotta, seduto a terra a gambe incrociate, e fissava assorto il paesaggio addormentato davanti a lui. In silenzio, senza farsi percepire, si portò al suo fianco con aria serena.

- Non riesci a dormire? - gli chiese, in tono amichevole.

L'altro scosse la testa.

- Affatto, mi sono offerto di fare la guardia.

Allen lo rassicurò, con un sorriso.

- Non devi preoccuparti, Albin. Qui in giro non ci sono Akuma.

Il Finder parve stupirsi, certo di essersi perso qualcosa. Di solito era abituato a basarsi sulle tracce nel terreno, sull'odore, sull'aspetto del paesaggio, per accertarsi della presenza di quei demoni. Ma mai aveva sentito qualcuno dire con tanta naturalezza quelle parole. Gli Esorcisti erano davvero straordinari.

- E voi come lo sapete? - chiese, divorato dalla curiosità.

Allen scostò i capelli dal viso e mostrò al compagno l'occhio sinistro, attraversato dalla cicatrice maledetta.

- Vedi - spiegò calmo, come se in qualche modo vi fosse abituato - Con questo posso vedere le anime degli Akuma anche a chilometri di distanza.

Albin strabuzzò gli occhi, osservando quel segno rossastro tanto bizzarro. E tutto ciò che seppe dire fu "Wow". Qualcun'altro, al posto suo, avrebbe reagito con riluttanza alla vista del pentacolo; qualcun'altro, invece, ne avrebbe avuto paura. Ma lui no. Lo trovava interessante, per nulla malvagio. E più tempo passava assieme a quell'Esorcista, più sentiva dentro di sé crescere quello stesso calore e conforto che provava con i suoi compagni. La cosa lo rese felice, onorato. E perciò obbligato più che mai a fare tutto il possibile per salvaguardare la vita di quei preziosi amici appena ritrovati.

- Siete davvero forti, Nobili Esorcisti - asserì, come perso in una fantasia - Capisco perché la Divina Innocence ha scelto voi come sua portavoce.

L'albino sorrise ancora, malinconico. I ricordi della prima volta in cui il suo braccio sinistro si era attivato gli tornarono alla mente. Il pensiero di Mana, suo padre, dilaniato dai sui artigli; del Conte; della sua ingenuità..
No, non doveva pensare a cose simili. Era diventato Esorcista per questo. Non doveva rimpiangere le scelte del passato, poiché esse lo avevano portato lì. Aveva conosciuto tante persone speciali, ed aveva imparato a considerarle come una famiglia. Erano loro, adesso, la cosa più impotante da proteggere. E l'Innocence era solo uno strumento, per preservare quel mondo in bianco e nero che solo lui era in grado di vedere.

- Infondo... - mormorò, cercando di diminuire l'aura eroica nella quale Albin li aveva immersi - ... Non siamo poi così for...

Un tremito scosse rapidamente la montagna. Allen bloccò la frase all'improvviso, mentre si rialzava di scatto.

- Che sia... ?!

Albin tentò di sollevarsi, ma un'altra scossa più potente delle altre lo fece barcollare e cascare nuovamente a terra. L'Esorcista lo aiuto ad alzarsi ed insieme corsero verso Linalee, svegliandola. La ragazza aprì gli occhi all'istante e si alzò alla velocità della luce.

- Che succede?! - gridò, perché la terra tremava e, rimbombando, copriva in modo orribile qualunque altro suono.

- L'Innocence! - gridò Albin, mentre si aggrappava alle pareti irregolari della grotta per non inciampare.

Allen fu velocissimo, prese per mano i compagni e insieme si avviarono veloci fuori dalla grotta. Non sarebbe stato sicuro rimanervi dentro, specie se poi le macerie fossero crollate loro addosso. E con orribile sconcerto assistettero ad uno spettacolo impossibile. Il terrendo sotto i loro piedi, ma più di tutti le montagne in lontananza... stavano ondeggiando. Ondeggiavano come fogli di carta e gli alberi, le rocce, i ruscelli seguivano quel movimento assecondandolo. Gli animali scappavano impazziti, correndo ovunque, uno stormo massiccio di uccelli si levò in volo e scomparve all'orizzonte. E fu allora che lo videro: il potere di quell'Innocence tanto bizzarra quanto devastante. Ogni elemento che ondeggiasse assieme al terreno prese a scivolare seguendone le ampie piege generate, spostandosi. Gli alberi sebravano quasi galleggiarvi sopra, mentre scorrevano lenti su quel terreno blando, in continuo movimento. Allen, Linalee e Albin persero ogni appiglio e caddero a terra. Le onde si fecero più intense, dividendoli e trasportandoli ognuno in una direzione diversa. Tentarono di chiamarsi, di attivare l'Innocence perfino, ma fu tutto inutile. La grotta nella quale avevano dormito migrò altrove, sostituita a un pugno di abeti, e i tre si persero completamente di vista...



 


Tyki non riusciva a capacitarsi del fatto di essersi portato dietro Gwen. Il Conte era stato evasivo, aveva risposto alle sue domande per metà e la cosa lo mandava in bestia. Poi, perché proprio lui? Da quando in qua era diventato il baby-sitter di quella povera svitata?!
Dal momento in cui le aveva salvato la vita, non l'aveva più degnata di uno sguardo, certo che, se mai lo avesse fatto, l'avrebbe sicuramente eliminata all'istante. Si sentiva preso in giro, sfruttato. E dalla sua stessa 'famiglia' per gunta. Già, Tyki era infuriato con loro come mai lo era stato in vita sua, tant'è che pensò di essere diventato lui il nuovo Noah della rabbia. Insomma, quale piacere poteva esserci nel trascinarsi dietro la nuova arrivata?

 
- Ho bisogno di verificare alcune cose .
 
Questo fu tutto ciò che il Conte rivelò, prima di tornare a dedicarsi al maglione che stava cucendo amorevolmente. Lo aveva liquidato con una missione di poco conto, che sarebbe servita a rivelare i poteri della Follia, e... nient'altro. Sicuramente aveva qualcos'altro in testa, un piano secondario che lui non era abbastanza qualificato per conoscere. Si chiese se c'entrasse qualcosa con quell'Innocence che stavano andando a recuperare. Era tutto troppo strano e lui non brillava certo per intelligenza. Infine, si decise: avrebbe lasciato che la situazione si evolvesse da sola, che le intenzioni del Lord gli parissero più chiare, prima di agire. Voltò lo sguardo verso Gwen. Procedeva con l'andatura elegante di una giovane donna, insolitamente calma e composta rispetto a prima. Indossava un abito lungo, stretto in vita, con una ampia gonna che si muoveva sinuosa. Le avrebbe dato non più di una ventina d'anni. I capelli bianchi contrastavano enormemente col grigio della sua pelle, tanto oscuro e sinistro. La testa era ancora fasciata, con qualche macchia rossastra che traspariva, vivida. La donna pareva muoversi tra gli alberi come se fosse stato uno spettro, una figura evanescente, eterea, non appartenente a quel mondo. Lasciava che il vento, il fruscio delle foglie, il calpestio sull'erba morbida le scivolassero addosso, senza badarvi, senza dar loro peso. O forse... senza opporvi resistenza.
D'improvviso, si fermò. Le sue orecchie avevano captato un rumore in lontananza. Si guardò attorno, tra la selva e il buio della notte che stava già cominciando a schiarire, illuminandosi dell'oro delle prime luci dell'alba. E lì lo vide: un daino. Timido, guardigno, aveva le orecchie ritte sulla testa e il muso che zigzagava a destra e a sinistra, in cerca di pericoli. Come si accorse della presenza di Gwen, si bloccò e rimase a guardarla, come incantato. La ragazza fece lo stesso. I due si fissarono a lungo, poi l'animale tastò il terreno con le lunghe zampe e successivamente si allontanò. E tutto quello che lasciò fu un'interminabile senso di inquietudine nel cuore della Noah, la quale istintivamente allungò una mano nella sua direzione, come una bimba che non voleva che se ne andasse. Ma come lo fece, l'altro braccio scattò e lo immobilizzò, quasi stritolandolo.
E Gwen si disse che no, non poteva. Non poteva prenderlo; toccarlo. Perché, ne era certa, se lo avesse fatto quella povera creatura sarebbe... sarebbe..
Nella mente le apparve il viso di Cari. Quella bambina tanto cara a cui lei aveva donato i suoi ricordi, i suoi pensieri; i suoi sentimenti. Quello stesso viso che aveva visto nella sua cella, al buio e al freddo. Quello la cui pelle si era disintegrata come porcellana, rivelando quell'orripilante teschio dal quale era sgorgato fuori come una fontana un mare di sangue, facendola quasi annegare. E capì. Era stata lei a sfigurare quel volto. Con la sua stessa mano, la stessa che ora fremeva per acchiappare anche il povero daino.
No, non poteva. Non poteva uccidere anche quel povero animale.
Perché... sì. Non c'erano dubbi.
Era stata lei. Lei aveva ucciso Cari.
Dopo l'incidente, la sua memoria era andata frammentandosi in miliardi di pezzi, alcuni dei quali si erano persi. Erano svaniti nei più remoti angoli della sua mente; invisibili, imperscrutabili, erano la chiave di quel passato che lei aveva involontariamente cancellato ma che bramava così tanto di riottenere. Eppure... non aveva senso. Sentiva qualcosa di sbagliato crescere in lei. Come un'onda, che proagandosi le faceva marcire il cuore: senso di colpa. Un orribile senso di colpa, che le faceva male al petto, la paralizzava e vanificava qualunque tentativo di far riaffiorare i ricordi perduti. In qualche modo, era già giunta ad una conclusione che non aveva altre vie di fuga. Nella sua testa c'era Cari e poi... il rimorso. E lo aveva capito solo in quell'istante. Perché quei sentimenti potevano significare solo una cosa: era lei l'artefice. L'assassina della sua migliore amica.
Il peso del suo corpo divenne insostenibile. Si lasciò cadere a terra, raccogliendo i lembi del vestito perché l'avvolgessero, e stringendosi successivamente nelle spalle affondando le unghie nella stoffa delle maniche ampie.
Freddo.
Improvvisamente, lo avvertiva. E in qualche modo le pareva famigliare.
Ma certo. Anche quel giorno aveva sentito lo stesso gelo nelle ossa. Il terrore della morte. L'odore del sangue. Il volto pallido, sudato; un'arma in mano.
Doveva essere stata sicuramente una pistola. Sì. Esattamente. Lei l'aveva in mano e...
Aveva sparato.
Contro chi... ?
Contro... chi... ?

- Cari... - un mormorio, una inutile supplica per autoconvincersi di non essere la reale colpevole. E invece... Un lampo di luce parve come disorientarla, trasportarla in un'altra dimensione. Si sentì sospesa, il suo spirito aveva abbandonato il corpo e vagava solitario in quel mondo d'ombre che era la sua malandata memoria. Vide delle immagini. Le sue mani; sangue. Sangue ovunque. Sul pavimento... su di lei... Ma non era il suo. Era di...

- Padre..

Ma quella tremenda visione non si fermò. C'era qualcun'altro a terra, accanto a lui. Una bimba. Si era avvicinata, desiderosa di scoprirne l'identità. Aveva scostato delicatamente quel volto e...
Trasalì, orrendamente sorpresa, allontanando immediatamente la mano. Le lacrime irruppero violente, in un unico istante di sconcerto. Quella bambina... era lei. Quello a terra era il suo stesso cadavere.

Si prese la testa tra le mani; un improvviso dolore aveva preso a divorarla, espandendosi ovunque, sempre più insopportabile. Si sentiva soffocare, aveva la gola secca, la vista annebbiata. Come in balia di un incubo. Uno di quelli dai quali preghi di poter uscire con tutto te stesso, anche a costo di passare la nottata insonne. Eppure per lei era tutto reale. Quella visione.. non mentiva. Si era guardata le mani. E gli occhi le si erano spalancati all'inverosimile. Era una pistola quella che aveva tra le dita?! E proprio sulla sua superficie liscia parve incrociare il suo riflesso. E il terrore crebbe in lei sempre più forte, impetuoso. Quello... quello non era il suo riflesso.
Cos'era quell'ombra?!
No... quella non era lei... quell'immagine non era la sua! E quel sorriso agghiacciante... a lei non apparteneva!
Ebbe paura. Si sentì invadere dal terrore. Il cuore prese a battere, irregolare. Il respiro s'appesantì. E la testa cominciò a farle male, male, troppo male perché potesse contenersi...

Gridò.
La testa divenne troppo pesante, afflitta da ricordi avvolti nella menzogna e nel sangue. Gridò e pianse, squarciando il silenzio imposto dalla tiepida alba di quel nuovo giorno. Le lacrime scesero, impetuose, come in una tempesta: senza sosta, violente. Quasi ansiose di scappare. Perché lei da quel giorno non aveva mai più pianto. Aveva rinchiuso il suo cuore in una gabbia, ed ora... quel sentimento molto simile al rimorso l'aveva liberato. E faceva male.
Un altro grido isterico, privo di freni, s'insinuò come un'improvvisa folata di vento tra gli alberi, i quali scoterono le loro chiome angosciati.

Tyki si fermò, voltandosi verso di lei. In un primo momento ci rimase di stucco. Per lui quella situazione era completamente inaspettata. Non era preparato a simili evenienze. Non era preparato a niente. Eppure riuscì a reagire, seppur in modo brusco, scocciato, e ad avvicinarsi alla Noah per ordinarle di darsi un contegno.

- Hey! - la richiamò, ma la lei non osò accorgersi di lui. Fu allora che allungò una mano sulla sua spalla per voltarla. E avrebbe voluto non averlo mai fatto. Gwen si girò di scatto verso di lui, e in quell'istante qualcosa gli sfiorò la spalla. Fu troppo veloce e non ebbe il tempo di rendersi conto di nulla, ma quando si girò vide una lama scura, grezza e appuntita conficcata in un tronco dietro di lui. Inorridito, si allontanò e rimase in silenzio a fissare quella figura esile, minuta, che lentamente s'alzava. Ma c'era qualcosa di strano ora. Emanava una strana sensazione di... inquietudine, angoscia... Paura. Era opprimente, pesante, insostenibile perfino per Tyki, il quale non poté fare a meno di indietreggiare e chiedersi cosa diavolo fosse quella cosa. Perché era impossibile che fosse un'essere umano. O una Noah, perfino.
E fu a quel punto che l'udì.
Una risata. Inizialmente un semplice risolino, un rantolo poco più che accennato, acquistò ben presto sostanza trasformandosi in uno sghignazzo agghiacciante, innaturale; mostruoso. E lì Tyki avvertì una strana sensazione: un istinto omicida che si propagava da quella ragazza ad una velocità impressionante. Non riuscì a muoversi, era come bloccato da quella morsa di terrore involontario che si rifiutava di provare, ma che il suo corpo ammetteva per lui. Soltanto un'altra volta aveva avvertito un'aura così pericolosa. E ciò riportava a galla in lui spiacevoli ricordi.
Era consapevole di non correre rischi; di essere intangibile per chiunque non avesse posseduto dell'Innocence. Eppure... era comunque in allerta. C'era qualcosa di sbagliato in Gwen Grey. E lui lo aveva capito sin da subito; ora i suoi sospetti erano più che fondati. La sua sola presenza era un'ostacolo per le percezioni, una continua fonte di malsana inquietudine. Indietreggiò ancora. Voleva andarsene. Non gli importava cosa sarebbe successo alla nuova Noah, non più. Gli ordini del Conte divennero parole insignificanti, prive di importanza. Quello che poi avrebbe detto in merito non gli interessava. Voleva solo allontanarsi da lei, non doverla più rivedere.
Raccolse tutta la sua forza di volontà per voltarsi, darle le spalle. Un gesto avventato, che mai avrebbe fatto in presenza di un nemico; o almeno, uno con cui valeva la pena scontrarsi seriamente. Ma la naturalezza, la facilità con cui si voltò diede a pensare che infondo la sua parte Noah non rifiutasse completamente la ragazza, cosa che invece la sua metà umana faceva. Non la sentiva come un pericolo per lui stesso, no. Solo una agghiacciante presenza dalla quale avrebbe fatto meglio a star lontano. Per questo s'affrettò a mettere il primo piede davanti all'altro, per andarsene, fino a che...

- Mi lasci sola?

Si voltò. Non avrebbe dovuto farlo. Che stupido.
Gwen lo stava fissando intensamente, con quei suoi occhi d'oro tanto brillanti, tanto accesi che quasi la dipingevano come una malata di mente. Sorrideva. Forse non se ne rendeva nemmeno conto però.
Tyki non aprì bocca. Tentò di parire superiore rivolgendole uno di quei suoi sguardi sprezzanti che amava sfoderare per mascherare le sue reali preoccupazioni. Serio, freddo, apatico. Non era lui ma funzionava.
La Follia ridacchiò ancora, barcollando nella sua direzione. Il Noah del piacere non si mosse, perfettamente intangibile.

- Tu sai... - cominciò a parlare Gwen, col tono freddo e inquietante di un assassino - ... Quanti anni sono passati?

Alzò la mano. Poi l'altra. Sollevò ed abbassò le dita, sommando i numeri a voce alta.
Uno... due... tre... cinque.... otto...

- Quindici - concluse, col palmo sinistro aperto in direzione del Noah - Quindici anni di buio. Quindici anni di silenzio. Quindici anni di solitudine, passati ad aspettare.

Venne scossa da un tremito, drizzando la schiena all'improvviso.

- Oh! Ma ad aspettare cosa? - aggiunse tra sé e sé civettuola. Quel macabro sorriso tornò sulle sue labbra dopo qualche secondo con la risposta - Non me lo ricordo più...

Tyki cominciò a sentirsi oppresso. Voleva andarsene, ora più che mai. Eppure... non ci riuscì. Qualcosa lo bloccò sul posto, incapace di smuoverlo. E si stupì non poco quando capì di cosa si trattava. Paura?

- Tu... lo sai?

Non rispose. Ignorò anche quella domanda. Disse a sé stesso di far finta di nulla. Tentò di concentrare le forze per allontanarsi.

Gwen si accucciò per terra. Allungò una mano sul terreno e delineò i contorni di una strana forma lunga, dalle estremita appuntite. E lì accadde qualcosa. Qualcosa che rese Tyki molto più nervoso che in precdenza.
Tutti i Noah possedevano dei poteri. Ogni memory era contraddistinta da un'abilità sovrannaturale che andava oltre ogni comprensione umana. Lui aveva il diritto di scegliere cosa toccare. Road manipolava la dimensione onirica. Cheryl usufruiva del dono della telecinesi, come Jasdevi di quello di render reale ogni loro fantasia. Pensava che, essendo una Noah a metà, Gwen non fosse in possesso di alcuna capacità particolare, che fosse incompleta. Così ogni sua convinzione venne distrutta, non appena vide la ragazza mettere in luce quella che riconobbe come il suo spaventoso potere. La figura tracciata sul terreno iniziò a scurirsi, indurirsi, a compattarsi sempre più. E quando fu diventata della consistenza di una pietra, lentamente la ragazza la raccolse e vi passò sopra le dita, studiandone ogni piega, ogni irregolarità. Quello che aveva in mano era una roccia. Una roccia della forma di una lama.
A prima vista Tyki non ne fu certo. Eppure gli parve di comprendere le parole del Lord, rivolte poco prima di partire.

 
- Ho bisogno di verificare alcune cose .
 
Quindi... era questo? Era davvero questo quello che il Conte aveva voluto 'verificare'?
Si trattava davvero delle capacità di quella svitata?!
Non ebbe il tempo di chiederselo. Gwen parlò nuovamente, col tono di chi è affranto da una brutta notizia.

- Non lo sai... ?

Poi, tutto accadde troppo rapidamente. La Noah lanciò la pietra appuntita contro il fratello, che non pensò affatto di schivarla. Anzi, si sentì anche abbastanza irritato, oltre che sorpreso. Come aveva potuto attaccare un suo alleato?! Non sapeva se si trattasse della sua malattia mentale, o di chissà che... Ma così dimostrava di essere una grossa stupida. Probabilmente il Conte avrebbe visto il suo più come un atto di tradimento, ma lui no. Non gli importava minimamente, e l'unica cosa che davvero gli arrecava disturbo era il fatto di essere stato preso di mira. Ma era conscio che in ogni caso, sarebbe stato tutto inutile. Quella mossa blanda, prevedibile, lui aveva già avuto modo di vederla e schivarla - anche se per caso -. Quindi non si mosse, rivolgendo alla Follia uno sguardo duro, severo come solo lui era in grado di fare.

Ma fu un errore. Un madornale errore. E Tyki se ne rese conto solo nell'istante in cui vide la lama piantarsi nel suo braccio. Sulle prime rimase come paralizzato, incapace di realizzare quanto appena successo. E invece il dolore arrivò e lui vide e sentì il sangue macchiargli i vestiti candidi della divisa. Fu un gesto involontario inginocchiarsi a terra, stringersi la ferita e tentare di tirar via l'oggetto contundente, resistendo al male sempre più grande, insopportabile.
E non si accorse di quanto Gwen si fosse avvicinata a lui. Avvertì solo una flebile sensazione di pericolo; l'istinto gli disse di andarsene. Ma.. non ne fu capace.
La Noah si inghinocchiò di fronte a lui. Il suo respiro calmo, il suo sorriso innaturale e... quegli occhi. Quei maledettissimi occhi d'oro. Le bende sulla fronte presero a sanguinare più copiosamente, e qualche goccia scese sul suo viso di cenere, sinistra. Quando una le arrivò alle labbra, la leccò con soddisfazione, passando la lingua lentamente, davanti a Tyki come se il suo intento fosse impressionarlo. Ma quando non lo vide battere ciglio, qualcosa in lei scattò, come una molla, un ingranaggio. Il pugno si sollevò, dirigendosi verso il Noah, ma questo fu più rapido e si scostò un secondo prima di venir colpito. Non seppe dire perché lo avesse evitato. Ma di una cosa era certo: non era più lo stesso. Quella pazza gli aveva fatto sicuramente qualcosa. Anche la prima volta, quando il dardo gli aveva sfiorato la spalla... lui se n'era accorto. La divisa si era scucita. Lei era riuscita a colpirlo.
Ma come diavolo aveva fatto?!
Sentì la vista annebbiarsi. Stava continuando a perdere sangue e quei movimenti repentini certo non lo aiutavano. Doveva agire, anche se ora non era più sicuro di sapere con chi avesse a che fare. L'aveva sottovalutata, quella strega.
Gwen si rialzò. Il suo pugno si era fracassato sul terreno, creando un piccolo solco. Ora sanguinava. Ma lei non vi badò, e si voltò verso Tyki, fissando i propri occhi d'ambra sui suoi. Un sorriso sghembo si allargò ancora sul suo volto, mostrando i denti bianchi macchiati di rosso.

- Fuggi... - un sussurrò accennato, un'affermazione rivolta più a sé stessa che al Noah - Fuggi...

E continuò a ripetere 'fuggi', col tono di domanda ma senza il punto interrogativo. Una frase a metà, sospesa, proprio come lei

Fuggi... !

Si chinò in avanti. Poi di nuovo dritta. Il vestito seguiva i suoi mvimenti, fluido. E a quel punto si portò le mani alle bende. Le tastò con minuzia, iniziando poi a strololarle. Il sangue le colò sulla faccia.

Fuggi, **** !

Le quattro stigmate vennero portate alla luce. Nere come il buio, avvolte da quel cremisi così denso, brillante...

- Fuggi... - ripeté. Ma si rese conto che quella frase... non era sua. Qualcuno... gliel'aveva detta, molto tempo prima. Ma... chi?

Fuggi, Gwen!

 
Un risolino. No, non se lo ricordava proprio. Però, nel frattempo... poteva svagarsi con il Noah.

- "Fuggi, Gwen" - pronunciò, apatica, pensierosa, rivolta a Tyki - Chi è stato a dirmi questo?

Ma in un attimo si ricompose, come se si fosse accorta di un dettaglio inaspettato. Subito dopo, cominciò ad avanzare in direzione del suo bersaglio.

- Chi se ne frega.

Tyki si rialzò. E si maledì. Da quando era diventato un simile pappamolle?! Tese un braccio e in un lampo una miriade di Tease fuoriuscirono dal palmo, creando una massa nera e impenetrabile.

- Tsk!

Le farfalle si compattarono in aria e poi si scagliarono come un vortice di ombre su Gwen. La ragazza non mosse un dito per evitare il colpo; venne completamente sommersa.
Il Noah ne aprofittò e s'insinuò nella boscaglia. In quel momento avrebbe tanto voluto un gate del Conte a portata di mano. Si fece strada tra gli alberi ed estinse sul nascere qualunque gemito, ben sapendo che l'avrebbero potuto sentire. In un primo momento fu sicuro di averla avuta vinta. Nessuno sfuggiva alle Tease, specialmente se si trovavano in gruppi tanto numerosi. Le aveva viste divorare tanti di quegli Esorcisti... che era praticamente impossibile che potessero perdere, a maggior ragione contro una Noah a metà.
Ma quando udì delle esplosioni in lontananza a stento trattenne un'imprecazione. Perché, ne era certo, non si trattava di Gwen. Quella bastarda doveva aver trovato il modo di distruggere i suoi golem!

- Dannazione... !

Non aveva più tempo. O trovava il modo di tornare sull'Arca o se la sarebbe vista molto brutta.


 
Angolo di Momoko ¬

  Allora, gente! Siamo già al secondo capitolo, e io dovrei spararmi. Dieci pagine! XD Non credevo avrei mai potuta arrivare a tanto, e sappiate che se avete letto tutta questa manfrina vi adoroH. Venendo al capitolo... niente, è stato un parto come al solito e comincio già a odiare il nuovo editor.  Mi dispiace, ma col vecchio stavo da Dio. Speriamo lo mettano da qualche parte, così torno a impaginare ben bene il testo come avevo appena imparato a fare! *La solita sfiga*. Ma stiamo calmi, calmi, ommmmmmmm... *Re...si...sti....*
Bene! Parlando del capitolo, perdonatemi se vi sembra confuso. Ho cercato di rendere attraverso il testo il casino mentale di Gwen, anche se mi sa che non l'ho reso proprio alla perfezione. Perdonate la novellinaggine (?), prometto che saprò rimediare! Grazie ai vostri meravigliosi commenti (e a tal proposito ringrazio di cuore La Strega di Ilse e KH4 per aver recensito i capitoli precedenti!) ho potuto vedere dove andavo peggio ed esercitarmi, spero che nonostante tutto il capitolo non vi abbia deluso!^^
Be'... insomma... Ultima cosa, poi giuro che sparisco T^T Alcuni di voi si saranno trovati interdetti leggendo, quindi preciso: dal prologo, a questi primi capitolo è trascorso un certo lasso di tempo, pari a quindici anni (come giustamente Gwen fa notare xD). Tranquilli, il salto temporale non è messo a caso, tutto avrà un senso e dato che mi piace incasinarmi la vita creare enigmi, presto verrete a conoscenza del reale passato della protagonista ;)
Per commenti, insulti, minacce, sono sempre qua ;A; Un bacio e a prestooo,

Momoko <3

 
 
   
 
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