Il passato di una senza-voce

Un'altra umiliante giornata di lavoro.

Sto correndo in una foresta. Il vento mi scompiglia i capelli e sento il suono della mia voce risuonare nell’aria. Gli uccelli stanno cantando. Cantano la melodia che io stessa gli ho insegnato, che specie meravigliosa la ghiandaia imitatrice. Arrivo davanti ad un lago e smetto di correre, mi fermo a guardare il mio riflesso nell’acqua. C’è qualcosa di sbagliato nel mio aspetto, ma non riesco a capire cosa. I capelli corvini ricadono sulle spalle, il naso è fino e all’in su, gli occhi verdi e le sopracciglia fine che tendono verso l’alto, tutto è come dovrebbe essere. Poi me ne rendo conto. E’ il mio abbigliamento.
Driiiiiiin.  Il suono della sveglia mi riporta alla realtà, e la realtà è che non potrò mai più correre nei boschi da quando sono vestita così, da quando sono vestita da senza-voce. Mi alzo dalla mia branda nel dormitorio dei servi di Capitol City  al piano -10 del centro di addestramento dei tributi e mi vesto velocemente per evitare di essere guardata dagli altri, che come me stanno per iniziare un’altra deprimente giornata di lavoro. Non è molto che la lingua mi è stata… beh, amputata… e diciamo che sento molto la sua mancanza. Ogni anno a noi senza-voce viene affidato un piano diverso per fare in modo che gli stilisti e gli accompagnatori dei tributi non si affezionino a noi. Non succederebbe comunque. Sono qui da due anni e nessuno mi ha mai rivolto la parola se non per ordinarmi di fare qualcosa. Quest’anno mi è stato affidato il quarto piano, ovvero il distretto 4. Mi sistemo i lunghi capelli neri in una crocchia dall’aria elegante, essere una senza-voce non significa obbligatoriamente  che debba rinunciare a prendermi cura del mio corpo e del mio aspetto, tutte le altre del mio dormitorio si sono lasciate andare, e mi fa sentire un po’ ribelle distinguermi dal gruppo. Esco dalla stanza, prendo la chiave magnetica del quarto piano attaccata al muro con un chiodino accanto alle altre e me la infilo nella tasca della tunica rossa. Prendo lo squallido ascensore riservato ai servi di Capitol City, perché è questo che siamo realmente, e salgo fino al piano del distretto quattro. Tutti stanno facendo colazione e ne approfitto per infilarmi inosservata nella prima stanza che mi trovo di fronte. Odio avere tra i piedi quelli che lavorano per “rendere ancora più grandiosi” (o almeno è questo che pensano di fare) quegli stupidi giochi, gli Hunger Games. La stanza in cui sono entrata deve essere quella del tributo maschio di quest’anno. O almeno spero, dato che ci sono dei boxer verde-mare ai piedi del letto. Li guardo un po’ perplessa e cerco dentro di me la forza di raccoglierli e metterli nel cesto della biancheria sporca. Alla fine prendo le mutande con la punta delle dita e cerco di tenerle il più lontano possibile dal resto del corpo mentre le lancio schifata nel cesto accanto alla porta. Sto per disfare il letto quando la porta si apre, e vedo entrare un ragazzo. E’ bello, alto, con dei capelli bronzei e gli occhi color acqua-marina. Mi guarda un po’ imbarazzato e io faccio altrettanto.
–Ciao, io sono Finnick!  

Allora vi è piaciuta?? :D E' il primo capitolo della mia prima ff quindi vi chiedo di lasciare una recenzione e di essere sinceri, accetto tutte le critiche! Pubblicherò un capitolo ogni giovedi dato che tra poco iniza la scuola e purtroppo non avrò più molto tempo per scrivere. Per il resto spero che la storia vi piaccia e vi appassioni come ha appassionato me mentre la scrivevo! Buona lettura e possa la fortuna sempre essere a vostro favore!