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Autore: RubyChubb    11/03/2008    7 recensioni
Inserì cinquanta centesimi di euro nella macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette alcuni pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little Joanna’, suonò a basso volume nel locale. “Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei, “Mi piacciono molto i McFly!” Rise sornione. Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per chiedergli un autografo e… “Piacciono anche a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei, sorridendogli. No… La sua vita stava lentamente peggiorando. Lei non lo stava riconoscendo… --- Una città come le altre, una sosta dal lavoro. Quattro spigliati ragazzi inglese ed una cameriera timida... --- RubyChubb & McFly!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Rieccomi qua! Come avevo detto, torno con una fanfiction su un gruppo appartentemente quasi sconosciuto in questa sezione. I McFly!
Conoscete? A parte qualcuna di voi, sicuramente la stragrande maggioranza non li avrà nemmeno mai sentiti nominare.
Piccola bio: sono inglesi, età 23-21 anni, simpatici e deficienti. Per chi è fan come me, sono semplicemente i McFly.
Stile musicale: avete presente i Tokio Hotel? Tutt'altra cosa XD (ed anche meglio... ma questa è un'altra storia XD)

Voglio presentarveli! Questi sono i Mcfly! E' la mia foto preferita che ho di loro (pochissime) ma ne ho anche una in versione... più seria... XD
Adesso ve li presento uno ad uno:
Tom Fletcher: cantante e chitarrista, se sentite una loro canzone è quello con la vocetta nasale e un po' stridula! Ma è tanto dolce, con quella sua bazzetta prominente XD
Danny Jones: altro cantante e altro chitarrista.... non fatevi ingannare dal suo bel faccino, è quello con la voce dura, da rocker... già mi viene caldo a pensarci... tra i quattro, è il mio preferito, indubbiamente, anche se nulla tolgo agli altri!
Dougie Poynter: il piciulo del gruppo! Bassista, stupidino, tanto dolce a vederlo!
Harry Judd: batterista, begli occhi XD secondo me ha la faccia da stronzetto...

Tanto per farvi capire che i McFly non sono i Tokio Hotel su cui ho scritto tanto (ci corre un abisso immenso), vi linko alcuni video, sperando che vi appassionino perchè son veramente ganzi! (che termine antiquato...)

I video deficienti (perchè son davvero deficienti questi qua):
 
Fatta questa dovuta premessa, passo alla prossima.
Questa storia è un esperimento, una prova, mi sono detta "Voglio provare a spaziare oltre i Tokio Hotel" e visto che questi quattro dementi mi stanno anche più simpatici dei crucchi, mi sono buttata. Non li conosco bene caratterialmente, quindi ho dato una mia interpretazione al loro modo di essere. Se ci fosse qualcuno che li conosce meglio di me e storce il naso, chiedo venia!
E chiedo pardon anche per la banalità delle evoluzioni future della trama... ancora non sono arrivata alla fase: incastriamo la vita di uno di loro con un libro di fantasia che mi ha segnato la vita XD ad ogni modo, spero che vi interesserà. E se farà schifo ditemelo, perchè tanto ne son già sicura!
Ah! Altra cosa! I dialoghi tra " e " riportati in corsivo sono in italiano. Scusate, ma piuttosto che ripetere ogni volta in quale lingua si parlano i personaggi, sono arrivata  a questa squallida e banalissima conclusione. (ve l'ho detto, è un esperimento nato male)
Ecco, fine delle ramanzine, adesso si passa ai fatti!!!


1. A Pregnant Man

 

Uscì, sbattendo involontariamente contro un signore in un cappotto verde oliva e cappello del medesimo colore.
Fai attenzione!”, sbottò l’uomo, “Dove guardi quando cammini?
Dal tono di voce che quell’uomo aveva usato capì che, oltre che essere molto incazzato, sicuramente gli aveva posto una domanda…
Ma lui era inglese al cento per cento, d’origine purosangue, stallone di paese monarchico… e non conosceva la lingua dell’altro. Non parlava nessuna lingua tranne l’inglese. Ah!, voulez vous coucher avec moi era sufficiente per poter dire di conoscere anche il francese. Quindi, anche se sicuramente quella era stata una domanda retorica, non seppe cosa rispondere.
“Ops… uhm… mi scusi…”, borbottò poi, lasciandolo perdere.
Camminò, coprendosi la gola con una spessa sciarpa nera, senza una meta precisa. Aveva solo fame, doveva riempirsi lo stomaco con qualche cosa, qualsiasi cosa commestibile, ed era quindi in cerca di un luogo dove poter fare colazione.
Si era alzato prestissimo per i suoi solito orari, ma non aveva molto tempo da perdere. Gli altri tre erano rimasti in hotel, nelle loro camere, forse avrebbero dormito fino alle quattro del pomeriggio ma lui, anche se aveva dei solchi giganteschi sotto gli occhi, arati alla perfezione dai continui spostamenti, si era costretto a svegliarsi.
Non ne aveva mai parlato veramente, ma aveva una certa passione per quel posto, per quella città. Per gli altri, era solo una delle tante altre in cui dovevano suonare… e ad essere sincero anche per lui. Non era interessato tanto alla storia, ai quadri, alle statue o al panorama, ma al fatto che, da piccolo, c’era già stato in vacanza e voleva vedere se tutto era ancora come se lo ricordava.
Quando gli avevano chiesto perché voleva anticipare l’arrivo in quella città ad una settimana prima il giorno del concerto, costringendo tutta il quartetto a piantarsi in quell’hotel, aveva detto: perché sono famoso e me lo posso permettere! Aveva poi tirato fuori un sorriso sornione ed avevano capito che la sua non era una pretesa da star della musica, ma solo una richiesta per lui speciale.
E poi gli altri erano voluti rimanere per forza bloccati per altrettanto tempo a Parigi, solo per visitare a fondo il quartiere del Mouline Rouge, quindi glielo concessero senza troppe storie. Lui, che non aveva potuto godere a fondo di quella vacanza francese, aveva chiesto la sua rivincita.
Erano verso la fine del tour promozionale del loro nuovo quarto album, durato sei mesi, che li aveva portati a suonare in quegli ultimi giorni anche in posti dove non erano mai stati. Non che avessero l’intenzione, con quegli shows, di allargare la loro platea. Più che altro quelle date erano state fissate, così come era successo per l’esibizione che ci sarebbe stata di lì a pochi giorni, grazie ai fans sparsi qua e là in tutta Europa, che si erano uniti grazie a petizioni per internet.
Non era necessario che si nascondesse molto, lì non era come in Inghilterra, dove tutti avevano memorizzato nella loro mente ogni singolo tratto del suo viso. Potevano dirsi ancora del tutto sconosciuti. Oltretutto, i loro video non giravano sulle loro televisioni nazionali, quindi si sentiva abbastanza tranquillo.
Prese i Rayban che teneva nella tasca del suo piumino verdognolo e li indossò, per paura di spaventare qualche fanciulla autoctona con il suo viso stanco. Si passò una mano tra i capelli biondastri spettinati e si intrufolò in una mandria di tedeschi, cercando di farsi strada tra di loro.
Voleva trovare un localino di suo gusto, ma non sapeva dove cercarlo. Ma soprattutto non sapeva nemmeno se esistesse veramente qualcosa che lo soddisfacesse. Voleva qualcosa di piccolo, di informale, dove una simpatica cameriera indigena gli avrebbe potuto servire…

Fish and Chips!
Sì, aveva deciso, voleva rovinarsi il fegato con una porzione di fish and chips di prima mattina, alle nove. Solo che era scettico sulla possibilità di trovare un posto che glieli cucinasse a modo.
In Italia…
A Firenze…
All’ombra del Duomo, si trovò a pensare: ma dove cazzo li vado a cercare i fish and chips in Italia?
Si sentiva come una donna incinta. Doveva mangiarli, altrimenti suo figlio sarebbe nato con una voglia di fish and chips sulla faccia. Già lo impensieriva il fatto che avrebbe sicuramente ereditato la fastidiosa zeppola che lo tormentava da sempre equesto era un ‘handicap’ che includeva prese per il culo per tutta la vita.
Afferrò per un braccio un ragazzo che gli passò vicino.
“Scusami, parli inglese?”, gli domandò.
Quello lo guardò.
“Sì.”, disse, con aria titubante.
“Sai dove posso mangiare i fish and chips?”, gli chiese.
Questo si strinse nelle spalle e si allontanò.
Era ovvio.
Lo chiese ad altre cinquanta persone, sembrava uno psicopatico, tanto che dovette desistere:  spesso aveva trovato un poliziotto a guardarlo con aria sospetta…
Doveva ricordarselo: mai farsi venire la voglia di fish and chips in Italia.
Non gli interessavano le bontà culinarie che la città poteva offrirgli perché, come un bambino viziato, si era fissato con quel piatto tipico inglese. E voleva mangiarlo.
Tornò sui suoi passi, affranto e incazzato come poche altre volte.
Voleva mangiare fish and chips!
Camminava a testa bassa, imbronciato, tornava verso l’hotel. Ripercorse la stessa strada che aveva fatto all’infruttuosa andata ma, dopo poco, si trovò a chiedersi dove fosse. Si stava trovando in mezzo a bancarelle e turisti con i portafogli in mano, certamente da tutt’altra parte della città rispetto all’ubicazione del suo hotel…
Ma cacchio!
Non era capace nemmeno di ricordarsi le strade! Era il caso di domandare informazioni, ma intorno a sé tutti erano turisti come lui… forse, però, se si aggirava fuori da quel concentrato di spendaccioni e venditori, avrebbe trovato qualche indigeno del luogo…
Sbucato in un vicolo, vide un’insegna. E nella sua mente ripiombò il ricordo dei fish and chips.
“Bingo!”, esclamò ad alta voce, impaurendo una vecchiettina che, nelle sue vicinanze, stava portando fuori il cane a fare i suoi bisogni.
Con occhi luccicanti, ringraziò il culo sfacciato che nella sua vita lo aveva sempre riempito di buone opportunità come quella.
Guardò l’insegna del locale. ‘Strictly English
E cosa potevano dargli da mangiare in un posto come quello, se non fish and chips, pudding e compagnia bella?
Entrò dentro, rincuorato dal dolce calore emanato dal riscaldamento e si guardò intorno. A dispetto di ciò che recitava l’insegna, quello pareva una tavola calda americana degli anni cinquanta sessanta. Era stato catapultato in un Happy Days italo-inglese per caso?
Poi, gli venne da pensare ai suoi musi ispiratori, i Beach Boys: ce li vedeva bene a passare il loro tempo in un locale del genere e si mise l’anima dubbiosa in pace.
Non era molto affollato, ma comunque diverse persone occupavano i tavoli rettangolari, contornati da poltroncine gialle a forma di cavallo, che occupavano almeno tre quarti delle pareti del locale. Aretha Franklin gorgheggiava la sua celeberrima Think e notò sorridendo una donna sulla quarantina, bionda e molto giovanile, al di là del lungo bancone lucido, che stava preparando un espresso canticchiando le parole del ritornello.  Poi vide un ragazzo sbucare dalla finestrella sul muro vicino a lei: si scambiarono quattro parole e lei si allontanò, sostituita dopo qualche secondo da quello stesso ragazzo… più che un ragazzo era una montagna di muscoli. Aveva due spalle che erano almeno il doppio delle proprie…
Era meglio spostare la sua attenzione altrove, piuttosto che innervosirlo con il suo sguardo incuriosito.
Il menu stava inerte sul tavolo su cu si era seduto e lo prese, mettendosi a spulciare la lista. A parte qualche incursione della cucina italiana, era tutta roba tipicamente inglese: dal pudding al thè, dai muffins alla crema di piselli, ma non si soffermò molto su queste voci. Con occhio di lince individuò presto i fish and chips tanto desiderati.
Pronti per ordinare?”, gli domandò una squillante voce italiana.
“Ehm… inglese?”, le chiese, quasi con ovvietà.
“Oh, sì, certamente!”, fece la ragazza, dandosi una pacca sulla fronte, “Allora, cosa vuoi ordinare?”
Eccolo, il momento più bello della sua giornata.
“Fish and chips!”, disse, con orgoglio, “E the alla pesca.”
La ragazza lo guardò perplessa, poi si annotò tutto sul suo taccuino.
“In prospettiva di ulcera forante, eh?”, ironizzò poi, stringendo il blocco note al petto.
“Sai, in Inghilterra quando nasciamo ci regalano un posto in lista per i trapianti di fegato.”, le rispose, sulla stessa scia.
“Tra dieci minuti sarà tutto pronto!”, rispose lei, dopo che la sua risata si fu esaurita.
E si allontanò, con la sua preziosa ordinazione.
Lanciò qualche occhiata in giro. Vecchi vinili al muro, fotografie di moto d’epoca, una vecchia radio sopra un tavolinetto, colori pastello ovunque. Nel pieno degli anni sessanta!
Poi, l’occhio cadde su un juke box. A vederlo, quello doveva essere proprio un reperto di antiquariato, non si sarebbe stupito se dentro ci avesse trovato dei vecchi 45 giri! Si frugò nelle tasche, in cerca di qualche euro e lo trovò tra un paio di sterline e un pence. Si avvicinò alla macchina e si mise in cerca di una canzone di suo piacimento.

… no, non era possibile…
Non ci poteva credere…
E dire che pensava che nei juke box ci potessero essere solo i dischi di Johnny Cash o di Barry White! Adesso lì, in mezzo a tanti altri, c’era proprio Motion in the Ocean, il loro terzo album! Wow, anche i McFly erano entrati a far parte degli artisti da juke box.
Ora potevano anche ritirarsi, andare in pensione.
Inserì cinquanta centesimi di euro nella macchinetta e, dopo aver capito come quel coso funzionasse, premette alcuni pulsanti e la canzone da lui scelta ‘Little Joanna’, suonò a basso volume nel locale.
Sì, da quel momento in poi sarebbe stata proprio una bella giornata: era in Italia, a Firenze, una città bellissima. Stava per mangiare fish and chips, nel juke box c’era un loro cd e nell’aria ascoltava la canzone che aveva scritto per la sua ragazza di sempre, Giovanna. Nome per altro italiano! Beh, poteva essere più fortunato di così?
Tornò al suo tavolo e, nel giro di pochi minuti, gli fu servito il suo the e il suo piatto.
“Grazie!”, disse con entusiasmo alla ragazza che aveva preso l’ordine e che lo stava servendo in quel momento.
“Hai scelto una bella canzone!”, gli disse poi lei, “Mi piacciono molto i McFly!”
Rise sornione.
Sì, la sua vita stava nettamente migliorando! Aveva davanti a sé una loro fan, che stava sicuramente per chiedergli un autografo e…
“Piacciono anche  a te vero? Sono dei grandi!”, gli chiese lei, sorridendogli.
No…
La sua vita stava lentamente peggiorando.
Lei non lo stava riconoscendo… Forse doveva togliersi gli occhiali da sole, lei lo avrebbe capito che si stava trovando davanti Tom Fletcher, chirattista-pianista-voce dei McFly.
Li prese per l’asta destra e li levò dagli occhi.
“Sai che suoneranno in città? Sicuramente sarò in prima fila a cantare a squarciagola.”, disse lei, senza degnarlo di uno sguardo.
Altra correzione, la sua vita stava velocemente peggiorando.
Mica voleva per forza che lei si stendesse ai suoi piedi implorandolo per una prestazione sessuale fugace –richiesta che per altro non avrebbe acconsentito di soddisfare, era un ragazzo deficiente ma fedele- però… Insomma! Un po’ d’amor proprio ce l’aveva anche lui! Poteva capire che in Italia erano tutto sommato sconosciuti ma questa ragazza si stava dimostrando essere una loro fan!
Meglio lasciar perdere, non voleva farsi venire il malumore e odiava comportarsi da diva.
“Sai che anche io mi chiamo Joanna come la canzone?”, disse poi la ragazza, annuendo.
“Davvero?”, le fece, lievemente disinteressato, mentre mangiava il primo boccone di fish, “Ma tu non sei italiana?”
“Sì, italianissima.”, disse lei, annuendo, “A mia madre piaceva il  nome Giovanna, a mio padre la versione in inglese… e per fortuna ha vinto lui!”
Jo! C’è un’ordinazione pronta  per te!”, si sentì chiamare la ragazza.
Un momento!”, fece lei, che poi tornò a lui, “Beh, è stato un piacere conoscerti!”
“Tom.”, le disse, porgendole la mano.
Ma lei niente. Proprio doveva essere cieca come Mister Magoo per non riconoscerlo.
Pazienza, disse a malincuore.
Poi un pensiero gli stuzzicò la testa… un tipico McFly-pensiero: idiota, stupido, il solito scherzo da prete. La riprese prima che si voltasse per tornare al suo lavoro.
“Questi fish and chips sono fantastici! Non appena i miei amici si sveglieranno, li porterò a mangiare qui!”, le disse, con la bocca impastata tra una patata fritta e un pezzo di pesce.
Era poco elegante parlare con la bocca piena, ma lui era inglese e queste cose si perdonavano sempre ai britannici come lui.
“Beh, allora vi aspetto, ci conto!”, disse la ragazza, sorridendo felice.
Chissà che faccia avrebbe fatto trovandoseli in piena formazione davanti agli occhi! Che simpatica ragazza, pensò Tom, concentrandosi poi sulla sua colazione. Un po’ scema, ma simpatica.
Quei fish and chips erano davvero fenomenali, sembravano importati direttamente dall’Inghilterra, da quel locale vicino a casa sua, appena svoltato l’angolo. Sicuramente, il proprietario di questo ‘Strictly English’ era inglese, non c’era dubbio, solo i suoi connazionali sapevano fare il fish and chips così buoni.
Per sua stessa volontà, il piatto finì prima che lui fosse sazio e ne rimase alquanto deluso. Solo allora si dedicò al suo the alla pesca e, dopo il primo sorso, si pentì amaramente di quella scelta. Ma che idiota che era stato!
Come si poteva mangiare fish and chips e metterci dietro il the alla pesca?
Era una scelta tipica di  Tom Fletcher.
E lui chi era?
Tom Fletcher!


 

Annodò i capelli biondi su se stessi e li fermò come sempre con una grossa pinza color lilla.
“E’ pronto il tavolo sette?”, chiese Joanna, affacciandosi alla finestrella della cucina, dalla quale passavano le ordinazioni ed i piatti pronti.
“Momento!”, disse una voce maschile.
“Andiamo! Sei in ritardo!”, esortò il ragazzo in camice bianco, che stava preparando quello che gli era stato richiesto.
“Palle di sorella…”, borbottò il cosiddetto cuoco.
“E non ti puoi nemmeno liberare di me!”, esclamò lei sorridendogli sfacciatamente, con la lingua fuori dalle labbra.
Il ragazzo sbuffò, asciugandosi il lieve sudore con il polso, preparando un altro sano hamburger con insalata e patate fritte. Dette un’occhiata al piatto: era tutto regolare, niente fuori posto.
“Tieni! Sanguisuga!”, disse alla sorella cameriera, che prese il piatto e lo portò al tavolo. Aveva trenta secondi liberi, prima di dover tornare su una nuova ordinazione.
Appoggiò i gomiti sulla soglia di marmo della finestrella e, a pungi serrati, vi mise la testa sopra, guardando la sua piccola sorella prendere un’ordinazione, sorridente.
Lui lavorava lì da tempo ormai, stimava un paio di anni, forse anche tre. Lei solo da pochi mesi, ma si era adattata bene. Erano molto diversi, sia nell’aspetto fisico che nel comportamento: lui era un tipo molto sportivo ed atletico; Jo era goffa e impacciata. Lei imparava le cose al volo, lui aveva bisogno di pratica. Lui cucinava, lei bruciava le pentole. Lei gli rifaceva il letto, lui puliva il bagno. Lui era spesso impulsivo, lei era tutto sommato docile. Lui sapeva giocare di squadra, lei era piuttosto una giocatrice solitaria.
Vivevano insieme e la convivenza non era per niente facile, ma piuttosto che starsene ancora dai loro genitori, avrebbero preferito vivere sotto un ponte… Entrambi, avevano avuto dei validi motivi per fare le valige ed andarsene e nessuno dei due aveva mai criticato l’altro per questo.
Dal suo canto, aveva lasciato gli studi dopo il diploma: non era mai stato interessato diventare tanto acculturato, era un tipo pratico che voleva dedicarsi semplicemente a tre cose nella sua vita: lavoro, sport e amici… E donne, uno dei pilastri portanti della sua voglia di indipendenza. Ma era meglio non riflettere molto su questo argomento…
Si era diplomato in una scuola che suonava come liceo scientifico, ma non ne era molto sicuro. Forse aveva passato gli anni perché fisicamente faceva paura ai professori… E poi un giorno, mentre camminava per Firenze, aveva trovato appeso alla porta dello Strictly English il cartello ‘Cercasi cuoco’.
Aveva pensato: Perché no? La pasta in bianco e la frittata le so fare abbastanza bene.
Ed era stato assunto. Il cuoco che lo aveva preceduto gli aveva insegnato i trucchi del mestiere e si era appassionato. Così, era riuscito a trovare un lavoro che lo soddisfaceva, che sapeva fare con cura e costanza, che lo pagava sommariamente molto bene e che lo liberava dalle cinque di sera in poi, quando poteva dedicarsi al…
Un piatto posato poco gentilmente sulla soglia lo distolse dai suoi pensieri.
“Miki! Due muffins al cioccolato!”, strombettò Joanna, sventolandogli un’ordinazione sul naso.
“Palle di sorella…”, le ripetè, prendendola ed accartocciandola.
Lui, tra quelle quattro mura e quei sei fornelli, era il padrone.
Lei, al di fuori della cucina, era la padrona della sala.
Entrambi, a casa, padroni dell’appartamento. E giù a prendersi sempre a cornate! Erano fratelli e questo era quello che si supponeva che i fratelli facessero sempre: litigare.  Ma nessuno di loro si era mai lamentato di questo, soprattutto perché dopo cinque minuti di male parole si chiedevano sempre scusa.
Sì, i fratelli erano fatti per litigare, ma anche per volersi bene…
E poi avevano i loro bei grattacapi quotidiani per potersi prendere troppo sul serio quando tornavano a casa! Più che discussioni furibonde, i loro erano semplici pretesti per sfogarsi…
Ecco, anche i muffin al cioccolato erano pronti. Spruzzò sul piatto, per smorzare un po’ lo scuro del dolce con il bianco pallido della porcellana, un filo di sciroppo al cioccolato, creando dei cerchietti simpatici. Prontamente, non appena appoggiò i due piatti sul ripiano di marmo le mani veloci di Jo li presero e li portarono a destinazione.
Altri minti di pausa.
“Arianna, ti dispiace se da oggi in poi anticipo la fine della giornata un quarto d’ora prima? Domani parto per la partita…”, le chiese, trovandola come sempre vicino alla macchinetta del caffè a mangiarsi le unghie per la voglia di fumare, “Se faccio sempre tardi agli allenamenti mi cacciano dalla squadra… magari inizio prima alla mattina...”
“Sì, Michele, va bene.”, rispose lei, frettolosamente.
Arianna era la proprietaria dello Strictly English. Era una simpatica donna sulla sua quarantina, un po’ troppo bionda e forse anche un po’ troppo giovanile, ma era una brava donna con le palle. Una che sa che cosa vuol dire lavorare, pensava Michele, e che era anche capace di far girare le scatole ai propri dipendenti.
 “Dai, vai a fumare, prendo io il tuo posto.”, le disse, sorridendole.
La donna si illuminò a festa. Bastava però molto poco per farla contenta. Soprattutto, era sufficiente poterle permettere di allontanarsi dalla sua solita postazione, dietro al bancone del bar, per farla fumare. Malediceva sempre quel ministro della salute che aveva vietato il fumo nei luoghi pubblici!
“L’ho sempre saputo che dietro ai tuoi muscoli c’è un cuore d’oro!”, gli fece, scomparendo in una nuvola, appunto, di fumo.
Michele uscì dalla cucina togliendosi il camice bianco sporco e si mise dietro al bancone a guardare i clienti. Era febbraio, il locale era praticamente quasi vuoto, ma comunque lì dentro sembrava di essere in tutt’altra nazione. Non era un genio nelle lingue, ma sapeva che quella parlata dalle quattro bionde al tavolo cinque erano sicuramente svedesi.
“Stai sbavando.”, lo riprese Jo, dandogli un piccolo colpo con i fianchi, “E poi sono tutte lesbiche, secondo me.”
“Meglio!”, esclamò Miki, strusciandosi le mani.
“Fratello pervertito.”, borbottò Jo, “Placati gli ormoni con questa ordinazione.”
Miki sbuffò, prendendo il foglietto. Lesse e strabuzzò gli occhi.
“Fish and chips alle nove di mattina?!?”, esclamò, “Addirittura con the alla pesca! Ma chi è l’imbecille che si mangia queste cose?”
Jo sorrise complice e glielo indicò con un cenno della testa.
Era un ragazzo con i capelli innaturalmente biondi, tenuti su a mò di cresta, che se ne stava pacificamente al suo tavolo, alla sinistra del locale. Picchiettava le dita sul tavolo e pareva fischiettare a tempo di musica.
Little Joanna’ dei McFly, un gruppo inglese che piaceva molto a Jo, stava infatti risuonando nell’aria calda del locale.
“Per caso ti ha chiesto come ti chiami e, per provarci, ti ha messo questa canzone sdolcinata?”, le fece, perplesso.
“Zitto scemo!”, lo riprese Jo, “L’ha messa prima di saperlo!”
“Mh…”, fece, rigirandosi il foglietto tra le mani.
“E non essere sempre geloso del fatto che i McFly abbiano scritto una canzone per me!”, continuò Joanna, “Mentre ai Michele come te non dedicano mai niente!”
“Ma per piacere…”, le rispose, tornando verso la cucina, “Stai al bancone, Arianna è fuori a fumare.”
Lanciò una nuova occhiata al ragazzo, in tralice.
Tipo strano, si disse, con quei capelli alla candeggina.
Eppure…
Lo fissò intensamente, come se quel gesto potesse dare una risposta alla domanda che aveva in testa. Lo aveva già visto prima?
No, si disse, era solo una cazzata. 
Era un turista come tutti gli altri.



Eccoci qua! Fine del primo capitolo, introduzione dei miei due personaggi, Joanna e il fratellone Miki, e di Tom Fletcher, il mento del gruppo (più che la mente).
Ringrazio tutti quelli che leggeranno questa storia, sia quelle che mi hanno promesso di farlo (so chi siete... XD) sia quelle che saranno semplicemente attirate da una novità. Credo infatti di essere la vera prima a pubblicare qua su di loro! E se non lo sono... piaceroni comunque!


Cosa importantissima che stavo dimenticando!!! Ecco qualche foto della Joanna che ho in mente: Joanna1 e Joanna2
Questa ragazza è realmente esistente, si chiama Joanna Newsom ed è una musicista. Spero non sia un reato usare la sua faccia per uno dei miei personaggi! Altrimenti, rimuovo ogni fotografia. La sua immagine non è usata a scopo di lucro e Joanna Newsom non mi appartiene.

Il titolo della storia è ispirato alla loro primissima canzone: Five colours in her hair... no scopo di lucro!

That wierdo with four guys in her hair...

   
 
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