Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: AlfiaH    06/09/2013    5 recensioni
Breve fanfiction fem!UsUk. Perchè il fandom ha bisogno di più UsUk e più yuri.
//In un attimo ricordò quello che era successo, insicura che fosse stato tutto un sogno e convinta di trovarsi nel suo amato letto, nelle sue amate stanze a Londra. Si alzò di scatto mettendosi a sedere, nel panico, non sapeva che ore fossero, da quanto tempo si trovasse lì, quanto tempo avesse dormito, se la stavano cercando, di chi fosse quella casa. Aveva solo un gran mal di testa probabilmente dovuto al fuso orario – o dalle botte che aveva preso - .
Notò delle fasciature sulla coscia, appena sotto l’inguine, quel maniaco aveva infilato le sue disgustose unghie nella sua delicatissima carne. Arrossì; qualcuno doveva averla medicata mentre dormiva.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
My Hero, My Princess

- Perchè non mi dai il tuo numero?... Facciamo due chiacchiere…-
Un uomo, vestito di jeans e giacca scura, si avvicinò ulteriormente alla bionda coi codini con un sorriso marpione stampato in faccia e la mano tesa, mentre i suoi amici sghignazzavano alle sue spalle con una sigaretta tra le dita. Come era finita in quel postaccio, non riusciva proprio a spiegarselo. I suoi genitori erano partiti per l’America un paio di mesi prima con la certezza che, una volta terminato l’anno scolastico, la loro amata figlia li avrebbe raggiunti nella loro casa a New York. E lei aveva aspettato all’aeroporto, per delle ore, anche, senza che nessuno andasse a prenderla, col cellulare scarico, le gambe indolenzite, i bagli perduti e il pessimo umore che aumentava minuto dopo minuto. Come potevano essersi dimenticati di lei? Erano sempre così impegnati i suoi, avrebbe dovuto aspettarselo, ma non avevano nemmeno avuto la decenza di mandare un autista e adesso ci si mettevano anche gli incontri poco raccomandabili con gente poco raccomandabile – come tutti gli americani -, d’altronde. Non aveva davvero voglia di sopportare quei tizi, stanca, stressata, spossata e arrabbiata com’era. Avrebbe fatto fare loro una brutta fine dì lì a poco.

-Stammi lontano, pervertito! –
Urlò Rose, infatti, colpendo duramente l’importunante teppista con la sua borsa di Burberry – che aveva pagato un bel po’ di sterline quando ancora viveva nella sua amata Londra – con tutta la forza che possedeva, rischiando di sgualcirne il manico. Non se lo sarebbe mai perdonato. Tentò di superarlo, allora, mentre era impegnato ad imprecare nel suo – orribile – dialetto, ma gli altri due presenti la bloccarono, strattonandola per le spalle. La ragazza ringhiò un insulto e si dimenò mentre l’arma le veniva strappata e lanciata sul terreno polveroso con rabbia. La guardò rammaricata; quella borsa costava più di quei tre idioti messi assieme.

-Ehy! Lasciatemi! Non sapete con chi avete a che fare! Vi manderò in galera! – 
Provò a ribellarsi, prima che uno schiaffo le facesse volare via gli occhiali, lontano, facendola ammutolire. Quell’essere l’aveva colpita senza alcun riguardo mentre gli altri due continuavano a tenerla ferma per le braccia esili, sporcando il vestito azzurro, anch’esso costosissimo, vanificando tutti i suoi tentativi di correre via. La trascinarono in un vicolo vicino, con la forza, provò a chiedere aiuto, ma l’uomo la colpì ancora prima di esserle addosso.

- Tenetela ferma -, ordinò ai compagni l'uomo, posando con poca delicatezza una mano sulla sua coscia e tirando su la gonna velocemente, tra le proteste della ragazza che non si era ancora ripresa dal colpo. Si sentiva intontita, la faccia bruciava, probabilmente aveva un labbro spaccato, aveva paura, adesso, nonostante continuasse a minacciarli in malo modo, senza però abbassarsi a supplicare. Non che non le fosse passato per la mente.Vide il ragazzo abbassarsi la zip dei pantaloni e trattenne il respiro, gli occhi chiusi, maledisse il giorno in cui aveva deciso di andare a vivere in America, i suoi genitori, la scuola, la sua sfortuna, i francesi, e quei tre che le stavano facendo passare il quarto d’ora peggiore della sua vita.
Poi qualcosa successe, ma lei non sentì nulla, al di fuori di un profondo tonfo e un gemito. Forse ce l’aveva corto, si ritrovò a pensare e aprì gli occhi per rendersi conto di ciò che stava succedendo: l’uomo era steso di fronte a sé, privo di sensi, con un evidente livido sulla faccia mentre una figura, anch’essa bionda, lo colpiva con una… Mazza da baseball? Non fu esattamente sicura di ciò che vide.
- Lasciatela andare! – Tuonò il nuovo arrivato, l’espressione contratta in una smorfia cattiva, rivolgendosi ai due che la tenevano per le spalle che non esitarono a soccorrere il loro compagno malridotto. Poi tutto si fece sfocato.


Quando Rose aprì gli occhi, inconsapevolmente si stava muovendo. Non sapeva bene in che modo, ci mise un po’ a realizzare come fosse possibile, ma stava avanzando e qualcuno la teneva in braccio, trasportandola di peso. Socchiuse appena gli occhi, inspirando il dolce profumo che emanava quella persona – gelato alla vaniglia, probabilmente – ancora stordita dalla brutta esperienza; qualcuno l’aveva salvata, un eroe coraggioso era corso a trarla in salvo. Poggiò la testa sul suo petto e divenne paonazza in volto nel sentirlo morbido e rotondo, coperto da una giacca marrone
-Ma tu hai le tette… – Sussurrò piano, ma appena si rese conto di ciò che aveva detto l’inglese arrossì e tentò di riformulare la frase, senza successo. Infondo, nonostante avesse subito un tentato stupro – non riusciva nemmeno a pensarci – e ora si trovasse tra le braccia di una sconosciuta – dal seno considerevole -, era pur sempre una gentildonna e quello non era un linguaggio appropriato per la sua persona. Inoltre la ragazza aveva cominciato a guardarla in modo abbastanza perplesso, probabilmente non era in grado di capire l’imbarazzo dell’altra né aveva vagamente formulato l’ipotesi che potesse essere spaventata nel ritrovarsi assieme ad un’estranea.
- Sono una ragazza, è ovvio che ce l’abbia! Ora non preoccuparti, sei al sicuro. –
- B-Beh… Dove… Dove mi stai portando?... – Si rese conto solo allora di quanto si sentisse sperduta, lontana da casa sua, da sola, in una città straniera piena di persone straniere, il viso che ancora le faceva male, le labbra che sembravano non voler smettere di tremare. Anche se le avesse detto il nome di una strada, non avrebbe comunque capito.
La biondina accennò un sorriso per rassicurarla, uno di quelli caldi e accoglienti e Rose non potè fare a meno di poggiare di nuovo la testa sulla sua spalla, arrossendo appena, stanca di quella giornata, incapace di tenere gli occhi aperti. Tanto peggio di com’era andata non poteva andare, sperava almeno di aver trovato una persona amica, nonostante non nutrisse così tanta fiducia nelle persone in generale. In quel caso avrebbe fatto uno sforzo.
- Tranquilla. Ti porto a casa. – 


L’inglese strinse le palpebre e schiuse le labbra nel sentire il calore sfiorarle e la luce infastidirle. Mugolò appena e si portò una mano sul viso, nel tentativo di oscurare il sole, tastando qualcosa di ruvido all’altezza dello zigomo.
Un cerotto.
In un attimo ricordò quello che era successo, insicura che fosse stato tutto un sogno e convinta di trovarsi nel suo amato letto, nelle sue amate stanze a Londra. Si alzò di scatto mettendosi a sedere, nel panico, non sapeva che ore fossero, da quanto tempo si trovasse lì, quanto tempo avesse dormito, se la stavano cercando, di chi fosse quella casa. Aveva solo un gran mal di testa probabilmente dovuto al fuso orario – o dalle botte che aveva preso - .
Notò delle fasciature sulla coscia, appena sotto l’inguine, quel maniaco aveva infilato le sue disgustose unghie nella sua delicatissima carne. Arrossì; qualcuno doveva averla medicata mentre dormiva.
Si guardò attorno e scese dal letto, la camera era tappezzata di poster di supereroi strani, cantanti vestiti in modo discutibile, uno soprattutto spiccava per grandezza, un giocatore di baseball, probabilmente, con la mazza stretta tra le mani e un cappello messo al contrario. Impossibile non notare, poi, la bandiera a stelle e strisce appesa appena sopra la scrivania sulla quale si faceva spazio un’ improbabile lampada a forma di alieno. Sentì la porta cigolare e puntò subito lo sguardo sulla figura che faceva capolino, dagli occhi color del cielo, che non esitò ad entrare, appurato che ormai la britannica era sveglia.
- Hey, ti sei svegliata, principessa! Come stai? –L’americana le sorrise gioviale, richiudendosi la porta alle spalle e porgendole un vassoio con dello strano cibo e della coca cola. Rose evitò di chiedersi da quale povera bestia provenisse quell’hot dog.
- Starei meglio se tu evitassi di sbraitare come se non ci fosse un domani a quest’ora. –Rispose, acida come al solito, distogliendo lo sguardo e storcendo le labbra in una smorfia, sussurrando un “che schifo”.
- In realtà sono le cinque del pomeriggio -, puntualizzò l’altra, sedendosi sul bordo del materasso – Sul serio, come ti senti? –La sua espressione sembrava preoccupata, le labbra lievemente inclinate all’ingiù, mentre poggiava la mano sulla sua e l’inglese la ritraeva, stizzita. Stava male, terribilmente, ma dopotutto cosa poteva saperne, quella? Non aveva certo passato ore ad aspettare persone che nemmeno si erano ricordate di lei, persone importanti, indaffarate.
- È questo il vostro modo di accogliere gli ospiti? L’ospitalità americana? Potevo rimanere a casa. Ma infondo sono stata fortunata, no? Non erano armati, anche se in questo paese di merda è perfettamente legale esserlo. No, non sto bene. È stato il giorno peggiore della mia vita. –Incrociò le braccia al petto, ignorando il linguaggio scurrile che aveva usato – dannazione, ne aveva il diritto - ed assottigliò gli occhi: senza occhiali non riusciva perfettamente a vedere, ma su quell’hot dog dovevano esserci almeno tre chili di maionese.
- Mi dispiace -, commentò semplicemente l’americana, mordendosi le labbra. In altre occasioni avrebbe difeso la sua nazione senza pensarci due volte, ma il quel caso i suoi discorsi patriottici sarebbero stati inappropriati. – Dovresti denunciarli! - Continuò, determinata, nonostante l’espressione amareggiata. L’inglese però scosse la testa.
- Ho già i miei problemi. Non mi serve anche questo grattacapo. Se i miei lo sapessero, non esiterebbero a rispedirmi a casa. –
- E non vuoi tornare a casa? – domandò perplessa l’altra, inclinando la testa, mentre la Londinese si mordeva le labbra. Lei amava la sua Inghilterra, la amava tutta, persino la consistenza del terreno inglese non poteva essere paragonato a quello di qualsivoglia altra nazione, ma la verità era che si sentiva tremendamente sola. Non lo avrebbe mai ammesso, ovviamente, ma l’idea di passare le vacanze assieme ai suoi genitori la rendeva felice, che fosse in America, in Siberia o a Londra. Non importava.
- Non è questo il punto -, borbottò, – non voglio e basta. Non usate coltello e forchetta dalle vostre parti? –
- Capisco… Non ti daranno più fastidio, vedrai! Gli ho dato una bella lezione! E quello si mangia con le mani. Io, comunque, sono Emily!- 
- Con le mani? – Inarcò un sopracciglio e sospirò. Ormai era andata, le toccava mangiare quello schifo per non essere scortese. Lo era già stata abbastanza gratuitamente, quella ragazza l’aveva soltanto aiutata. – Rose Kirkland. Ad ogni modo… Insomma, penso… Penso che dovrei ringraziarti. Non volevo essere sgarbata, ero parecchio arrabbiata e mi sono sfogata su di te, mi dispiace. Quegli uomini potevano essere armati e tu ehm… - Fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste. Non era un granchè quando si trattava di chiedere scusa né quando era necessario ringraziare qualcuno. Non era abituata. – Mi hai salvata. Poteva accadere qualcosa di molto brutto e sei stata coraggiosa, quindi… Grazie, Emily. –
Si sforzò nel pronunciare quell’ultima frase e addentò l’hot dog, mandandolo giù con un sorso di coca cola. Il sapore non era così male, dopotutto.
- Non c’è di che! Eri in difficoltà, era mio dovere darti una mano. Infondo sono un eroe! –
- Un’eroina -, la corresse prima di dare un altro morso a quello che in Inghilterra avrebbero chiamato spazzatura.
- “Eroina” sembra un diminutivo. Io sono un eroe, un grande eroe! E ho salvato la mia principessa! -Emily sorrise e Rose rischiò di strozzarsi. Poteva giurare di aver sentito il proprio cuore fare una capriola e il cibo risalirle su per l’esofago mentre l’americana tentava di aiutarla battendo con la mano sulla sua schiena.
- Stai bene? –
- Smettila di ridere! Stavo per soffocare, non è divertente! Tutta colpa di questo cibo malsano. –
- Questo cibo è ottimo, ma un’inglese non può comprendere! – Protestò la statunitense, cercando di smettere di ridere, mentre l’inglese mandava al diavolo quella schifezza americana e si puliva le mani, prima di rifarsi i codini.
- Comunque se mi dici dove abiti, ti riporto a casa, principessa! –
- Se mi dici dove siamo, vengono a prendermi loro. E piantala con questo soprannome. –
- Siamo a Brooklyn! –Per poco Rose non si strozzò di nuovo, stavolta con la saliva. Come diavolo c’era arrivata a Brooklyn? Maledetto tassista e maledetto dialetto NewYorkese.
- … Capisco. Grazie per l’informazione. Come fai a vivere in questo quartiere? È orribile. –L’americana alzò le spalle – Siamo tutti amici, qui. E poi ci sono i campi di baseball! – Sorrise, lanciandole il suo cellulare – che l’inglese non riuscì ad afferrare al volo - .
- Oh. Ti ricomprerò la mazza, mi dispiace che si sia rotta… Te lo devo. –
- Non importa! –Passò un’ora, forse due, prima che qualcuno andasse a prenderla.
Si erano scambiate i numeri ed Emily l’aveva accompagnata alla porta dopo che la nobildonna le ebbe messo a soqquadro il bagno per “darsi una sistemata”. Era stato breve il loro incontro ma in quel piccolo lasso di tempo la vivace biondina era riuscita a farla sentire a casa più di quanto non ci fossero mai riusciti sua madre e suo padre, si era preso cura di lei, nonostante fosse una sconosciuta.
Poi l’americana l’aveva bloccata sull’uscio.
- Ci rivedremo? –
- Certo. Devo ricomprarti la mazza da baseball, l’hai dimenticato? –In un attimo, per un solo istante, le loro labbra si erano sfiorate. L’eroe si era chinata e aveva baciato la sua principessa, dicendole addio.
- Promesso? –Lei però era scappata, imbarazzata, raggiungendo l’auto che l’attendeva fuori.
Allora si era portata le dita alle labbra, persa ad ascoltare il battito del suo cuore.

- Promesso. - 
 

 #Angolo della disperazione

TADADADAAAN. 
L'ispirazione non mi aiuta in questo periodo. Nemmeno un pò. Però volevo scrivere qualcosa prima che cominciasse la scuola.
E per non far fare le ragnatele al mio profilo di EFP, anche.
Avevo scritto questa storia tempo fa ma la cancellai perchè non mi piaceva. Non che adesso mi piaccia, ma è migliorata!
Era da un pò che volevo pubblicare qualcosa sulle mie due piccole bimbe <3 Sono così dolci ;w; NIRFVNRIVFGR <33
Vabbeh. Mi schioppo. Lo so, ho due long da finire. ARGH. 
*Sparge biscotti e fugge*
 
 
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: AlfiaH