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Autore: Ciribiricoccola    13/03/2008    3 recensioni
Sogno ad occhi aperti....
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANDY

CANDY CANE

(Zucchero filato)

 

Alzò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo avidamente: era uno speciale sui Tokio Hotel, l’ennesimo che comprava in un mese, e mai che avesse letto uno di quegli articoletti ipocriti e scritti coi piedi, no, aveva sempre e solo guardato le immagini, estasiata, sospirante e con gli occhi che le brillavano.
Aveva distolto lo sguardo da un intenso primo piano di Bill per guardarsi intorno, nella grande piazza che era. Aspettava che lui arrivasse, lo avrebbe riconosciuto subito dal suo passo pesante, dalla sua sagoma nera. Ancora non c’era. Era in ritardo.
Sospirò, leggermente ansiosa, e tornò alla sua contemplazione. Per quanto gli occhi cartacei di Bill sembrassero dirle di stare tranquilla, lei non ci riusciva. Però doveva, cavoli!
Mentre continuava a sfogliare lentamente in mezzo ai rumori delle macchine, della gente, sotto il sole pigro di Aprile, pensava a quanto lui, grande e grosso, fosse timido con lei.
E lei, piccoletta, lei doveva spronarlo!
Le venne da sorridere: la situazione era buffa e tenera, da tanto non le capitava di sentirsi qualcosa come lo zucchero filato nel cervello, nel cuore, nello stomaco… era tutto un pensare e ripensare a lui, a quanto era contraddittorio, a quanto era bello, a quanto erano dolci gli SMS che le mandava.
Che belle mani che aveva… appena lo aveva visto per la prima volta, gli aveva guardato le mani ed aveva pensato: “Questo è un chitarrista”. Le era rimasto il dubbio perché sapeva che lui suonava la chitarra, ma non sapeva se la sua fosse passione o un semplice passatempo.. ma poco le importava, le sue mani erano comunque bellissime, peccato che le avesse strinte una volta soltanto, per dire “Piacere, Silvia”.
La sua mano, piccola con le unghie lunghe, aveva strinto senza troppa convinzione la sua, dalle dita affusolate, grande, curata. Quelle mani facevano a cazzotti con tutto il resto: il piercing al sopracciglio, i capelli dritti tenuti su col gel, lo sguardo un po’ torvo, la voce bassa… aveva sorriso lei, intenerita da tanta timidezza, o forse diffidenza che appariva come timidezza, chiusa in un ragazzo che, se avesse voluto, avrebbe usato come giavellotto qualunque malintenzionato che le si fosse avvicinato.

 Lei guardava Bill… altissimo, gracile, con quella faccia da bambino… e aspettava Andrea, robusto, gli occhi seri e scurissimi, e forzuto.
Avrebbero potuto avere solo una cosa in comune: la timidezza. Ma Bill di sicuro non si presentava tenendo gli occhi bassi e fissi sul marciapiede!
Sorrise lievemente mentre pensava a tutto questo, sbuffando un po’ per l’attesa… non era certo una novità che lui fosse in ritardo! Ovviamente erra inutile rinfacciarglielo, non sarebbe mai arrivato puntuale a un appuntamento, quindi tanto valeva adattarsi. Valeva anche per una fiscalista come lei.

 Quando Andrea arrivò, lei aveva già messo in borsa la sua rivista e si stava godendo il tepore del sole sul viso coperto dagli occhiali; quando l’ombra di lui le coprì la luce solare, si accorse del suo arrivo e gli sorrise.
“Ciao..” gli disse alzandosi e togliendo gli occhiali. Due occhi verdi lo fissarono con un’espressione strana che lo imbarazzò un po’.
“Ciao..” ricambiò timidamente “E’ tanto che aspetti?”
“No, tranquillo… andiamo?”
“Sì, sì… si fa un giro…”

 Lei faceva tante domande per spronarlo a parlare, lui rispondeva prima titubante, poi sempre più sciolto, e intanto le loro gambe camminavano tranquille tra la gente, più quelle di Silvia, i cui passi erano leggeri e senza preoccupazioni.
Avevano camminato così tanto da non accorgersi di essere arrivata alla zona più periferica della città, piena di palazzi un po’ grigi e tristi, circondati da viuzze e piccoli spazi verdi con i soliti scivoli e altalene di rito. Silvia si mise a sedere su un’altalena e si dette una leggera spinta per iniziare a dondolare mentre parlava con Andrea, in piedi davanti a lei, a pochi passi di distanza.
Lo guardava sorridendo, e si divertiva vederlo così burbero e tenero: abbassava lo sguardo appena incrociava i suoi occhi e continuava a parlare piano.
“Andre” gli chiese, cercando di nascondere un po’ della sua timidezza e sentendosi tanto ragazzina “Non dici niente?”.
Andrea la guardò, un po’ dispiaciuto, un po’ in imbarazzo, e rispose a sua vola: “E tu? Non dici nulla?”
“Sei bello”.
Non sapeva neanche come avessero fatto quelle parole a uscirle fuori di bocca in maniera così naturale. Arrossì un po’ mentre continuava a dondolarsi sull’altalena.
Il ragazzo, intanto, era diventato tre volte più rosso di lei e stava balbettando un “Grazie” che sembrava rivolto ai fili d’erba del prato secco sotto i loro piedi. Silvia balzò giù dall’altalena con un piccolo salto e gli fu davanti.
“Scusa, non volevo dir…” cominciò a dirgli con una risatina.
“No, no, non importa, cioè, sì, importa, però, capito, insomma…” tartagliò Andrea, facendo un passo indietro.
E lei, automaticamente, fece un altro passo verso di lui, impertinente.
“Scusa, è che…” continuò lui, prima che Silvia lo interrompesse con un bacio fulmineo ma schioccante sulla guancia. La guardò un po’ interdetto, ma sorrise e ricambiò, baciando più i suoi ricci che la sua guancia; Silvia ricevette con calma il bacio, senza spostarsi, e si godette l’istante in cui il calore penetrante ma non invadente della bocca di Andrea le scaldò la guancia.
Poco dopo, stavano tornando verso il centro, verso la fermata del bus che Silvia doveva prendere per tornare a casa.
“Perché non prendi la macchina, pacca?!” la rimproverò scherzosamente Andrea, ricevendo come risposta una smorfia disgustata e un energico scuotimento di testa.
“No” rispose semplicemente, dandogli uno scappellotto sulla mano per poi impossessarsene e stringere il suo lungo indice dall’unghia corta; le sembrava di essere tornata una bambina a spasso con la mamma. Lui le prese tutta la mano e continuò a camminare tranquillamente, sembrava più sereno, meno teso.
Una volta arrivati alla fermata, aspettarono che arrivasse il bus; Silvia se ne stava con le braccia incrociate sul petto e batteva distrattamente un piede per terra; dopo diversi secondi, riuscì a staccare gli occhi da un punto fisso su cui si era incantata senza motivo e si volò alla sua destra, ma Andrea non c’era più.
Non fece neanche in tempo a pensarlo: un paio di braccia passarono sotto le sue e le circondarono gentilmente la vita e sulla sua spalla; nell’incavo del suo collo, Andrea appoggiò la sua testa.

 Silvia sentì il suo cuore accelerare spaventosamente i battiti, ma si limitò a sorridere dolcemente e ad appoggiare le sue mani su quelle del ragazzo, lasciandosi quasi sovrastare dal suo corpo.
“Era ora!” dicevano i suoi occhi, che intanto stavano fissando davanti, sorridenti.
Il bus, inopportuno come poche volte, arrivò a interrompere quel momento, e la gente cominciò a salire sul bus vuoto; lo avrebbero riempito come al solito, lasciandola in piedi, ma stavolta non le importava.
Certo, le importava di salire, visto che l’autista sembrava avere fretta.
“Devo andare…” disse girandosi verso Andrea, senza sciogliere quell’abbraccio.
Andrea annuì e tolse le mani dalla sua vita per prenderle la mano e baciargliela; Silvia arrossì, chiedendosi cosa mai stesse pensando la gente che passava, e stava per voltarsi per salire sul bus, quando si fermò, come se si fosse ricordata qualcosa all’improvviso.
Ricordando una vecchia figurina vista sul diario di una sua amica, rappresentante due bambini che si scambiavano un bacino innocente vestiti in stile anni ’50, si allungò e rifilò un bacio a stampo sulle labbra di Andrea per poi correre sul bus, il cui autista aveva iniziato a premere più volte sulla frizione, come per metterle fretta.
Andrea rimase un attimo stupito, poi sorrise e, senza neanche diventare un peperone in viso, la salutò con la mano, quella mano che aveva strinto la sua.
Con il batticuore e pensieri in testa come: “Ma non gli ho detto ciao, cretina!”, Silvia trovò un posto a sedere vicino a una vecchina e ricambiò il saluto con la mano per poi accendere il suo onnipresente lettore MP3. Lasciò che la canzone iniziasse…

 She will always be my sunkissed trampoline!
She goes up and down in my heart,
Turned into jelly beans…

 Sorrise divertita mentre il bus partiva, e sentì il sapore di buono della bocca di Andrea, mescolato alla sensazione strana che aveva nello stomaco: una enorme matassa di zucchero filato rimbalzava pacificamente nel suo stomaco, facendole sfoggiare quel sorriso tanto ebete quanto opportuno.

 

 

Ringrazio Silvia (RubyChubb) per avermi fatto conoscere i McFly, in particolare “Little Joanna”, che ho citato nella one- shot. Ho scritto ascoltandola a ripetizione e ha funzionato!

Questa storia è inventata dalla sottoscritta, anzi, precisamente sognata a occhi aperti…

 

 

 

   
 
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