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Autore: ronloveshermione    07/09/2013    0 recensioni
Cosa succede se metti in una classe ragazzi e ragazze? qualcuno di loro sicuramente finirà per innamorarsi. Ma cosa succede quando due amici si innamorano della stessa ragazza? e quando una ragazzi scopre di essere innamorata del ragazzo della sua migliore amica?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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IX - Rimorsi
 
Se ami sai quando è il momento di fare una cosa, perché senti un pugno allo stomaco, un tormento al cuore, un pensiero fisso che non ti lascia dormire. Ma quando si mettono da parte le sensazioni o i sentimenti, come si fa a scegliere, a decidere come passare la propria vita?
Siamo come sabbia nel deserto, come gocce nel mare, come meteore che vediamo passare e poi svanire: siamo brevi istanti. Non importa quanto tempo stiamo al mondo, ma come decidiamo di passarlo. E se al momento di scegliere crediamo di fare la cosa giusta, nonostante non ci renda pienamente soddisfatti, un giorno potremmo pentircene?
Nessun rimpianto, nessuno rimorso… non penso proprio!
 
Guardo la mia immagine riflessa allo specchio: non mi contiene tutta, giusto lo spazio che serve ad incorniciarmi il volto. Ho il viso stanco, segnato dalle lacrime che continuamente sgorgano silenziose dai miei occhi e che instancabilmente tiro via con il polsino del maglione che adesso è impregnato anche del mio odore. Gian me lo ha lasciato tenere, ma io voglio tornarglielo: non voglio più avere niente di suo.
«Marica quanto ci stai?» mamma richiama la mia attenzione e io cerco rapidamente di ricompormi.
«Esco subito mamma!» mi asciugo la faccia e tiro lo sciacquone.
«Dai che devo attaccare la lavatrice!» giro la chiave nella serratura e me la immagino mentre si scansa con la sua cesta di roba da lavare. «Che hai? Stai male?»
«No mamma, stai tranquilla.» Mi solleva il mento e mi fissa negli occhi con lo sguardo di chi sa quello che vede e vorrebbe aiutarti. «Non è niente mamma, solo un po’ di raffreddore…»
«Si, certo! Levati quel maglione che comincia a puzzare e mangia qualcosa che stai per sparire.» io annuisco con il capo, ma non con la mente, mentre mi chiudo la porta di camera mia alle spalle. Mi infilo le cuffie, mi lascio scivolare con la schiena sull’anta del mio armadio e ricomincio la mia attività preferita: piangere di dolore e di rabbia.
 
Quando io e Gian eravamo in gita avevamo fatto qualcosa che chi ama fa senza problemi: ci eravamo fatti travolgere dalla passione e io mi ero lasciata andare, concedendomi a lui senza troppi ripensamenti, nonostante fosse la prima volta. Dopo quella volta al nostro ritorno tra noi non era successo niente di fisico: quello che era successo in Germania restava in Germania. Io avevo avuto qualche ripensamento e avevamo passato l’ultimo periodo a litigare in modo pesante e ripetitivo. C’era amore, ma io non volevo fare sesso. Mi ero pentita di essermi concessa senza pensarci su due volte, senza nemmeno stare insieme sul serio, senza sapere se una volta rientrati in Italia le cose sarebbero cambiate. Non era colpa sua, ma stava succedendo tutto nella mia testa che mi faceva tanto male da voler urlare.
La mattina, poi, era il momento che più detestavo perché significava andare a scuola e incontrarlo, vederlo, dover parlare e finire con il litigare ancora e ancora. L’ultima volta gli avevo lanciato in faccia un diario e lui mi aveva quasi sbattuta contro la lavagna: io ero impazzita, lui era diventato aggressivo, noi eravamo finiti in presidenza con una nota sul registro e tanto di rimprovero da parte del preside.
Adesso ogni mattina entro in classe a testa bassa, butto la zaino a terra, mi siedo al mio posto, fisso il muro. Ogni tanto prendo appunti, ma per la maggior parte del tempo ho la testa da un’altra parte e l’esempio lampante è il voto preso nell’ultimo compito di italiano: mai così basso, mai così umiliante soprattutto perché tutti sapevano il motivo di questo mio calo di attenzione.
Oggi è un giorno come gli altri, da affrontare senza troppi problemi: presente con il corpo, assente con la mente. Così posteggio, prendo l’occorrente dal cofano e mi avvio in classe, pronta ad affrontare una nuova lotta.
 
Alla terza ora abbiamo religione, un’ora inutile perché tanto nessuno ascolterà. Io sicuramente mi metterò a leggere qualcosa per l’ora successiva, magari con una canzone che mi rimbomba in testa evitando di distrarmi. Stamattina mi sono alzata tardi e ho preso dalla sedia le prime cose che erano lì: un pantalone di tuta, una maglietta un po’ scollata e IL maglione. Così Gianluca ha passato le prime tre due ore a fissarmi, senza poter dire nulla perché la prof di mate aveva lo sguardo costantemente puntato su di noi. Al cambio dell’ora si era alzato e mi era venuto accanto chiedendo di parlare, ma io ho scosso la testa e l’ho invitato gentilmente ad andare in un bel posto.
«Fatti ricoverare, pazza!» mi aveva detto, raggiungendo la sua sedia. Io mi ero limitato a mostrargli un dito, il medio, mentre però a mia insaputa la prof varcava la porta dell’aula.
«Ehm, ehm… Marica, metti il dito al suo posto.»
«Certo prof!» e faccio una risata diabolica verso Gianluca.
«Ora che tutti gli animi sono placati, possiamo iniziare la lezione. E non chiedetemi di fare altro: oggi vi divido in gruppi e fate un lavoro su uno dei Sacramenti: la Confessione. Ognuno prenderà l’altro per confessore e poi vi cambierete i ruoli.» i miei compagni protestano, io nemmeno faccio lo sforzo di aprire bocca: è così disperata che non riesco a contestare questo suo programma di oggi. «Il primo gruppo è quello degli animi più accalorati: Bertazzi e Santamaria.» Cazzo, ora vorrei tirarlo in testa a lei il diario. Ma allora è vero che i prof oltre ad essere scemi sono pure sadici.
«Prof, per favore, non potrei andare in biblioteca a studiare?» cerco di evitarmi questo compito.
«Bertazzi non si discute, altrimenti lo sai dove ti mando? Prima da un vero confessore e poi dal preside per il gesto di poco fa che ho volontariamente ignorato. Quindi prendi quello che ti serve e spostati al posto di Bartolini.»
«E che cazzo però prof! Non capite proprio niente voi!» sbrocco: non ce la faccio più!
«E no Bertazzi, vai fuori! Guarda, nemmeno la nota ti metto: devi solo sparire dal mio campo visivo prima che io possa pentirmi di qualche azione. E tu Santamaria fai quello che vuoi, puoi pure evaporare per me!»
 
Attraverso le lenti dei miei occhiali da sole il mondo sembra più rosa. È una sensazione bellissima, perché anche in una giornata nuvolosa tutto sembra più bello, sembra che il mondo ti sorrida.
Osservo le nuvole scorrere su di me, le guardo mentre vangando cambiano forma: è una cosa che ho sempre adorato fare sin da bambina, quando con mio padre giocavano ad indovinare che forma avevano e vedevamo sempre qualcosa di diverso. Ora non vedo nessuna forma in particolare, ma questa posizione mi svuota la mente e per un momento mi fa sentire serena.
Per un momento dicevo, perché improvvisamente un’ombra si allunga su di me.
«La prof ti aveva detto di evaporare: l’invito vale anche per me.» Non tollero che mi si disturbi in questo momento di pace dei sensi.
«Vorrei che mi restituissi il mio maglione.» Mi metto a sedere e lo guardo negli occhi.
«Sai cosa vorrei che mi restituissi tu?» Fa un mezzo sorriso, come quando si vuole contestare quello che si è appena sentito, ma non fa in tempo ad aprire bocca. «Vorrei che mi restituissi la mia verginità, grazie.» Lui non risponde, si fissa la punta delle scarpe, con cui fa dei cerchi sul terreno. «Ma come vedi, non puoi restituirmela, quindi mi terrò il tuo maglione.»
«Perché?»
«Come perché? Vuoi fare il medico e non sai che una volta persa non si può più riavere indietro?»
«Perché siamo diventati così?» mi guarda negli occhi, anche se sono schermati dalle lenti lui riesce a istaurare un contatto visivo.
«Sapevi che non volevo farlo e intanto ti sei spinto oltre.»
«Non mi pare che tu ti sia rifiutata…»
«Ti avevo implorato di fermarti! Ma tu hai continuato e io ho perso la forza di volontà!» mi tirò su gli occhiali perché voglio che guardi i miei occhi tormentati. «Lo sai che cosa sei?» Gian scuote la testa e io continuo «Sei l’errore più grande della mia vita, ma sei anche la cosa migliore che mi sia capita. E ogni giorno vivo con questo tormento, perché sarebbe successo ma quello non era il momento.»
«Marica, non si può piangere sul latte versato e non si può tornare indietro nel tempo. Più che chiederti scusa non posso fare.» mi prende le mani e me le stringe. Provo a liberarle, ma non ci riesco proprio. «Ti prego: torniamo insieme.»
«Quando mai siamo stati insieme io e te?» Gian sgrana gli occhi. «Fisicamente si, lo siamo stati. Ma sentimentalmente? Affettivamente? No! È questa la cosa che mi tormenta: sei il mio rimorso!»
  
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