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Autore: Alyss Liebert    07/09/2013    5 recensioni
Un bambino allegro, pieno di sogni e speranze è stato vittima delle discriminazioni contro la sua gente. Riconosceva di essere diverso dagli altri, voleva esplorare il mondo che lo circondava per imparare a rispettare le persone ed essere accettato.
Il suo clan venne sterminato pochi anni dopo per avidità e disprezzo. Ricordava i corpi senza vita dei suoi familiari, bruciati ed ammassati a terra come degli appestati, e i loro visi senza bulbi oculari...
"Quegli occhi scarlatti valgono una fortuna".
"Appartenevano ai figli del diavolo!".
Giurò vendetta a costo della vita, diventando un Blacklist Hunter per recuperare gli occhi dei suoi compagni e dare la caccia alla Brigata.
Il Kuruta si era incatenato nella parte più squallida della società, dove gli omicidi erano all'ordine del giorno e dove i frustrati diventavano peccatori.
Stavolta i problemi sorgeranno nella Mafia. In questa guerra Kurapika si renderà conto delle sue scelte sbagliate, dell'odio che lo ha accecato, di essere diventato un criminale.
Si risveglierà la sua parte malvagia e svanirà il suo buon senso. Non potrà contare sull'aiuto dei suoi amici e capirà di aver gettato la sua anima e giovinezza in un baratro dove non sarebbe più arrivata la salvezza.
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurapika, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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L’udienza
Capitolo 4: “Allenamento x Trappola x Illusione”.
 
 
 
 
“… Un impostore”.
Era l’unica cosa che Senritsu riusciva a pensare in quel momento.
Tremava, era agitata. Non riusciva a riflettere.
Una spia si era infiltrata nella villa ed era anche armata. Non sapeva perché avesse fatto questo e nemmeno cosa volesse quella persona.
Come avrebbe potuto avvertire Light? Era bloccata al piano superiore ed era meglio non farsi vedere, dato che quell’individuo pensava di essere rimasto da solo con il capo.
Era di sicuro in pericolo senza dei poteri utili per difendersi, però doveva fare qualcosa.
 
Pensò a Kurapika. Maledizione, non era lì con lei!
La sfortuna era riuscita a separarli proprio quando la giovane aveva più bisogno del suo aiuto.
La sua ragionevolezza la portò ad afferrare saldamente il suo cellulare, come se fosse l’ultima occasione per salvarsi.
Si sedette in un angolo del corridoio e digitò il numero di telefono del Kuruta. Lui poteva tentare qualche azione improvvisa per incastrare l’uomo; era sconveniente chiamare la polizia nella situazione in cui si trovava.
 
“Rispondi, ti prego…”, pensò speranzosa.
 
 
-*Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile*-.
 
Quelle parole furono come una doccia fredda.
Cosa significava? E adesso come poteva cavarsela?
La giovane osservò stizzita il suo cellulare, provando la voglia di sfogarsi su quest’ultimo.
“Dove sono andati quei due?”.
Il suo cuore venne colmato di preoccupazioni.
“E se… gli è successo qualcosa?”.
 
No… doveva essere ottimista. Lui e anche Neon erano al sicuro.
 
Basho era l’unico presente. Doveva svegliarlo, metterlo al corrente di quel problema e cercare di ideare con lui un piano efficace per smascherare l’intruso senza che scappasse.
 
 
Appena cercò di alzarsi, inciampò sul suo vestito; cadde a terra assieme al suo cellulare.
 
Shijo alzò di scatto la testa verso la rampa di scale.
Senritsu rimase immobile sul pavimento; non provò neanche a riprendere il telefono.
Il battito di quella persona cambiò. Aveva sentito la sua presenza, lo sapeva… e voleva morire.
 
“Oh… ci sono altre persone qui dentro”, pensò l’uomo abbandonando la maschera sul divano, “L’avevo calcolato”.
 
 
 
 
Vuoto. Silenzio. Senso di solitudine.
La ragazza percepì questi sentimenti. L’aura di quel signore era improvvisamente sparita, come se non fosse più presente all’interno dell’abitazione. Non riusciva ad ascoltare nemmeno il suo battito cardiaco.
Dov’era finito?
 
La giovane si alzò lentamente con sguardo stupito.
Doveva sentirsi più tranquilla o più sospettosa?
Riconosceva solo che l’aria era diventata parecchio strana, pesante, pungente. Faceva fatica a respirare.
 
Si avvicinò cautamente al primo scalino e cominciò a sporgere la testa verso il luogo dove il signore era seduto.
Spalancò gli occhi: nessuno era nel salone e Light non era ancora tornato.
Senza rifletterci ancora, cominciò a correre impaurita verso la camera di Basho.
Sì, stava correndo… ma per qualche strano motivo sentiva le sue gambe muoversi sempre più lentamente.
Era affaticata e sudata.
 
Un oggetto catturò la sua attenzione. Qualcosa di fronte a lei non quadrava.
L’enorme orologio appeso sopra la porta che conduceva alla stanza delle simulazioni emanava qualcosa di strano.
Il misterioso ticchettio la ipnotizzò. Sembrava che la lancetta dei secondi si fosse allentata.
 
Ad un tratto si fermò completamente.
Lo spavento che lei provò in quell’istante la fece voltare dall’altra parte.
Prima che avesse potuto rendersene conto, una mano le aveva già afferrato la testa.
La mora provò ad urlare, ma non ci riuscì; non ebbe neanche la forza di sbattere le palpebre. Fece appena in tempo a riconoscere il volto del nemico e poi la sua mente si bloccò.
Non sentì, né distinse più nulla.
 
Shijo ghignò. Poteva finalmente vedere in faccia un altro membro della famiglia che tanto odiava.
«Povera illusa… Credevi davvero che fossi così sciocco?», disse gustandosi l’espressione impaurita che la ragazza aveva fatto prima di essere immobilizzata.
«Ora che ho visto il tuo viso, sarà più facile sconfiggerti. Ma non è ancora arrivato il momento», concluse chiudendole gli occhi con le mani.
 
Un sonno profondo la sopraffece e lui fu costretto a sorreggerla.
La portò nella sua stanza e la adagiò sul suo letto. Passò velocemente le mani sopra la testa della giovane e una sorta di energia si sprigionò per qualche secondo.
Alla fine le diede un’ultima occhiata e sorrise.
«Dormi quanto vuoi, cara. Da questo momento… non ricorderai più niente».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Mezzanotte giunse e in città si riusciva solo a sentire il rumore del vento che faceva volare via le foglie e ripuliva la piazza.
 
La porta della villa di Nakamura si richiuse bruscamente a causa della forte folata d’aria fresca. Shijo tirò un lungo sospiro di sollievo e si distese sul divano dopo aver spento tutte le luci.
 
Nakamura lo raggiunse.
«Hai intenzione di restare qui stanotte?», gli chiese.
«Solo se hai una camera disponibile. La mia casa è troppo lontana», rispose con espressione assonnata.
«Com’è andata?», si interessò l’altro sedendosi sulla poltrona affianco.
«Stavo rischiando di essere scoperto».
«Ah, sì?».
«E sai da chi? Da una ragazza impicciona che ha l’aspetto un po’ strano».
«… Sarà colei che ha citato Light quando ci siamo incontrati», ipotizzò il collega.
«Comunque sono riuscito a scoprire dove quell’idiota nasconde i suoi tesori».
«A quale guardia del corpo ti sei rivolto?».
«Al grande Kenji! È un hunter veterano e sa come cavarsela con il Nen».
«È un vero peccato che non abbiamo fatto l’esame per diventare hunter», osservò il boss.
«Cosa vuoi? Noi non siamo leali! Preferisco prendere in prestito i poteri; è la mia specialità», rivelò.
 
Shijo era una di quelle persone che aveva nutrito delle capacità Nen fin da quando era piccolo. Con il tempo aveva scoperto di appartenere alla categoria della Specializzazione e il suo potere consisteva nell’assorbire temporaneamente qualsiasi tipo di Hatsu dagli hunter.
L’uomo diventava capace di usufruire di quelle potenzialità senza neanche allenarsi.
Questo gli veniva facile perché era da sempre stato appassionato di mentalità umana.
 
«Kenji è un manipolatore, vero?», gli domandò Nakamura.
«Sì e mi è servito tanto per intrufolarmi nella villa di Light. Mi è bastato rallentare o velocizzare il tempo a mio piacimento per fare una tranquilla perlustrazione della casa. Ora la conosco come le mie tasche», spiegò soddisfatto.
«E la ragazza?».
«Sono stato costretto a fermare il tempo e a farle dimenticare tutto. Ho usato lo Zetsu e l’In per celare la mia aura».
Nakamura alzò un sopracciglio.
«Perdona la mia ignoranza, ma so pochissimo riguardo a questi argomenti. Come hai fatto?».
«Devi sapere che un hunter può decidere di allargare il suo campo di Nen grazie all’En. Il luogo dove volevo che andasse indietro il tempo era la mente della ragazza; con lo Sho ho potuto estendere la mia aura su quest’ultima. Lei ricorderà solamente di essersi addormentata prima del mio arrivo».
«Eccellente!».
«Per quanto riguarda Light, ho tolto il disturbo dopo aver concluso il mio lavoro e avergli detto che mi sentivo meglio. Non ho usato le armi, per fortuna», concluse sorridendo compiaciuto.
«Bravo, sono orgoglioso di te».
Per fare in modo che il piano di Nakamura andasse a gonfie vele, era indispensabile sapere cosa Shijo avesse scoperto.
Gli era debitore, doveva riconoscerlo.
 
Il moro si mise seduto sul divano e osservò il boss in faccia.
«Come sono andati i tuoi affari?», chiese curioso.
«Con Takahiro? Un gioco da ragazzi!», esclamò l’uomo, «È stato facile riuscire ad arrivare ad un accordo. L’unica cosa che vuole è lasciare il segno nel mondo della criminalità. Era un po’ riluttante ad accettare le mie proposte ma, non avendo avuto altra scelta, ha detto che avrebbe fatto del suo meglio. Domani verrà qui e si metterà all’opera», raccontò senza abbandonare il suo sorriso malefico.
«Quindi è dei nostri?».
«Lo spero per lui», rispose stringendo i pugni.
«E Satoshi? Kagamine?».
«Kagamine mi ha telefonato due ore fa. Con una sua guardia del corpo che sa usare il Nen… è riuscito a rintracciare il biondino mentre stava aiutando una ragazza a fare delle spese».
«Un’altra femminuccia?», domandò ironicamente.
«Sì. Non so perché, ma il ragazzo la chiamava “signorina”», rivelò.
«Forse è la figlia di Light», ipotizzò l’altro.
«Sono d’accordo… Ora mettiamo in atto la seconda parte del nostro piano», annunciò.
«Cosa accadrà?».
«Per riuscire nella nostra impresa, dobbiamo distrarli e far loro capire quanto sono influenzabili. Takahiro penserà a tutto».
«E Satoshi?».
«Oh, lui ha la parte migliore! È quello che si occuperà di organizzare la trappola; desiderava tanto compiere delle azione pazze e geniali allo stesso tempo».
«Li terrà occupati per molto tempo, giusto?».
«Ma certo… e il biondo comincerà ad avere un po’ di problemi», rivelò.
«In che senso?».
«Io l’ho detto: voglio scoprire cosa nasconde perché SO… che sta celando affari personali!», ripeté alzandosi dalla poltrona.
«Pensi che possa servirci per distruggere la famiglia?».
«Affermativo! E sai cosa ti dico? Non va bene indagare solo sui suoi interessi», cominciò a dire.
Mise le mani sul suo mento per riflettere e alla fine aggiunse: «La prima cosa da fare è controllare se nasconde qualcosa… relativo alla sua parentela».
«… Perché?».
«Riflettici! È l’unico membro di quella famiglia a non aver superato i vent’anni, non si sa niente sulla sua città natale e si comporta sempre in modo strano. A volte indossa dei vestiti parecchio insoliti che non ho mai visto in circolazione; non vuole che nessuno gli si avvicini e cerca in tutti i modi di non perdere la calma», elencò con sguardo determinato.
Di fronte all’espressione sorpresa del collega, lui continuò.
«Deve essere animato da un valido motivo per rischiare la vita tutti i giorni, sottoponendosi oltretutto ai voleri di quel bastardo di Light. Sembra… particolarmente felice di andare a recuperare quegli oggetti; è come se stesse cercando assiduamente una cosa importante».
«…Caspita, Nakamura! Sei un acuto osservatore!», sbottò il moro battendo le mani.
 
«Adesso devo scoprire se ha paura di sé stesso», affermò.
«Che genere di problemi avrà il ragazzo?».
Il boss fece una sonora risata.
«Niente di impegnativo, caro mio. Sarà una questione di… autocontrollo», rispose, «Mentre Kagamine lo stava spiando… gli ha fatto una sorta di maleficio».
«Attraverso il Nen della sua guardia?», chiese stupito.
«Sì. Diciamo che gli è bastato… toccarlo», disse strizzandogli un occhio.
 
La mente di Shijo si illuminò.
«Qui c’è lo zampino di Natsume, vero?».
«Esatto. Sai ciò di cui è capace, no? Sappi che da domani mattina Kurapika comincerà ad avere… dei leggeri disturbi», rivelò.
«Un altro scopo è renderlo indifeso, vero?».
«Non necessariamente. Ci penseranno gli uomini di Satoshi a tenerlo impegnato».
Voltò le spalle al suo collega e concluse dicendo: «La priorità è trovare il suo punto debole… attraverso un’illusione».
 
 
 
 
*****
   
 
 
 
Un sottile fascio di luce andò a posarsi sugli occhi ancora chiusi di Senritsu.
La ragazza era nel dormiveglia e faticava a svegliarsi completamente.
L’unica cosa che riusciva a sentire in quel momento era la voce poco nitida di qualcuno che la stava chiamando.
«Sen… Ehi, Sen?».
La giovane osservò improvvisamente la persona che era affianco a lei. Era spaventata e non sapeva neanche il perché.
«Ti sei svegliata, finalmente!», proruppe una voce maschile.
Lei si rilassò subito dopo aver riconosciuto il volto di Basho.
«Hai approfittato del sonno per saltare i tuoi impegni, eh?», continuò a dire.
La mora si mise seduta sul suo letto ed emise un leggero sbadiglio.
«Per quanto tempo ho dormito?».
«Ehm… quindici ore», rispose.
«Cosa?!», sbottò.
«È la verità. Sono le otto del mattino e hai fatto la Bella Addormentata dalle sei di ieri pomeriggio!», la informò ironicamente.
 
Senritsu si fermò a riflettere. Aveva un vuoto dentro la sua testa; non riusciva nemmeno a ricordare il momento in cui si era distesa sul letto.
Nella sua memoria c’erano Kurapika, Neon… e basta.
 
«Pensavamo che ti sentissi male», continuò l’amico.
«No, stai tranquillo. Avevo solo bisogno di riposare», spiegò sorridendogli.
«Beh, non è giusto! Noi abbiamo continuato a lavorare!», ribatté facendo l’offeso.
«Mi dispiace tanto…».
«Dai, sto scherzando!», concluse ridacchiando. Poi aggiunse: «Sai cosa mi ha raccontato il capo?».
«… No», rispose curiosa.
«Ha dovuto prestare attenzione ad un vecchio che era quasi svenuto di fronte alla nostra villa!», palesò.
«Davvero?».
«Sì, è successo proprio ieri. Come se non avessimo già altre faccende importanti…», si lamentò, «Mi sa che questa diventerà una casa di riposo».
«Basho, smettila!», ordinò cercando di non immaginarsi quella buffa situazione, «Anche tu un giorno avrai più di settant’anni!».
«Speriamo di arrivarci», precisò il giovane.
 
Per cambiare argomento, la ragazza gli chiese: «Sono tornati Kurapika e Neon?».
«Sì. Inoltre Kurapika ha fatto per tutta la notte il lavoro di perlustrazione», specificò il moro.
«Immagino che adesso sarà in qualche caffetteria…».
«No, si sta allenando nella stanza delle simulazioni! Pare che il capo voglia organizzare qualcosa di grosso per stasera, quindi questo terrà impegnato il nostro amico», la rassicurò facendole un simpatico sorriso.
 
Senritsu provò felicità nel sentire che il biondo non era andato da nessuna parte.
Si alzò velocemente dal letto dicendo: «Andiamo da lui e vediamo come se la sta cavando».
Non si era dimenticata del litigio che avevano avuto, però qualcosa le diceva che doveva andarlo a vedere.
«Ce la fai a restare in piedi?», chiese Basho parandosi di fronte alla giovane.
«Ho semplicemente dormito più del solito! Stai calmo», lo tranquillizzò.
 
 
I due si diressero verso la fine del corridoio, dove c’era una porta che conduceva alla stanza interessata.
Essa si trovava nei sotterranei della villa; poteva essere raggiunta sia tramite il piano terra, sia da quello superiore per ragioni di comodità.
Percorsero lentamente dieci rampe di scale, poiché quella zona era poco illuminata.
Alla fine giunsero di fronte ad una lastra di vetro realizzata con il Nen. Era antiproiettile e solo un Hatsu parecchio forte poteva riuscire a frantumarla.
Basho infilò una mano dentro un particolare oggetto che effettuava il riconoscimento mediante dei raggi laser.
L’accesso venne acconsentito e la lastra sparì per pochi secondi; i due fecero in tempo ad entrare nella stanza e poi il vetro riapparve dietro di loro.
 
Nessuno doveva sapere che all’interno della villa ci fosse un posto del genere; il Nen era presente in enorme quantità.
C’era un computer collegato ad innumerevoli cavi colorati che andavano ad unirsi ad una sorta di muro trasparente di En, il quale circondava il luogo dove avvenivano le simulazioni.
Quel campo di Nen mandava delle deboli scariche elettriche rosse se qualcosa andava storto; era l’unico modo, perché chi controllava il computer e chi era dentro la barriera non potevano mettersi in comunicazione.
 
«Eccolo lì!», disse Basho a Senritsu.
Una guardia del corpo stava maneggiando il computer e all’interno del campo di En c’era un Kurapika estremamente impegnato a combattere.
Aveva indosso la sua divisa nera e le uniche sue armi erano le spade gemelle.
Si stava difendendo bendato contro dei fantocci creati con il Nen.
Il suo aiutante gli aveva coperto gli occhi prima che avesse potuto cominciare; lo scopo della prova era affinare gli altri suoi sensi nel caso in futuro si dovesse ritrovare privo della vista.
I fantocci erano tremendamente silenziosi e Kurapika doveva concentrare parecchio il senso dell’udito per non essere attaccato di sorpresa.
Alternava momenti di quiete a scene di frequenti attacchi e difese. Era davvero molto agile e manteneva sempre un’espressione seria e attenta.
Non era facile riuscire ad infilzare quelle creature a causa della loro sorprendente velocità. Erano riuscite diverse volte a coglierlo di sorpresa, a infliggergli dei colpi abbastanza violenti e a fargli perdere le spade.
Era sudato, ma non si arrendeva. Sapeva difendersi bene anche a mani nude; sferrava calci, improvvisi destri e montanti.
Non perdeva tempo ad usare anche qualche mossa di arti marziali combinata con il Nen. Si serviva dell’Anbo, il passo oscuro, per celare la sua presenza e aggirare il fantoccio interessato; poi usava il Ko Kou Ken, il morso della tigre, per attaccarlo di sorpresa.
Muoveva il corpo secondo la sua volontà grazie al Fulmine-Pietra Focaia; riusciva persino a trattenere il respiro per diversi minuti.
Era diventato quasi un maestro.
 
Senritsu era rimasta letteralmente incantata dalla prontezza e dal modo di fare disinvolto del giovane.
Non sapeva perché, ma trovava il Kuruta particolarmente attraente in quel momento.
Il modo elegante con cui reagiva, con cui saltava, con cui usava le spade…
 
 
«… Sen?», la chiamò Basho.
La ragazza si accorse di essersi imbambolata.
«Scusa, ero distratta».
Lui la osservò perplesso e allo stesso tempo divertito.
«Stavi ammirando Kurapika?».
«Ma cosa dici?!», sbottò imbarazzata.
«Guarda che è normale! Anch’io penso che sia migliorato dall’ultima volta».
 
 
La simulazione terminò e il Kuruta uscì dal campo di Nen mentre si stava asciugando la fronte sudata con un fazzoletto.
Quando si accorse della presenza dei due amici, si avvicinò a loro.
«Buon giorno», li salutò abbozzando un sorriso.
«Caspita, ti sei proprio sfogato! Chi hai immaginato che fossero i fantocci?», chiese Basho.
«Nessuno. È stato un semplice allenamento», rispose foderando le spade.
Subito dopo osservò Senritsu.
«Come stai?».
«Bene. Ero solo molto stanca…», rispose timidamente.
«Meno male», concluse facendola arrossire.
«Scusatemi ancora: non vi ho aiutati a lavorare».
«Tranquilla».
«Hai usato un tipo di Nen avanzato per combattere?», domandò Basho.
«Sì, anche… Non voglio rischiare di usare le mie catene; potrei, ma mi costa tanto», rivelò il biondo.
 
Il ragazzo aveva finalmente deciso come usare la catena dell’indice.
Di fronte al nuovo lavoro non poteva utilizzare la sua arma più potente solo contro la Brigata.
Era incredibile sentirglielo dire, ma il Ragno non era il problema principale.
Kurapika decise di rompere il suo giuramento attuando un’altra condizione.
La lama di Nen era sempre conficcata nel suo cuore; infatti, se non voleva essere ucciso dal suo stesso potere, doveva usare la Locked Chain.
Essa aveva all’estremità una spada diversa dalle altre: possedeva una lama più grossa, meno appuntita e il manico era circondato da aghi.
Dato che la precedente condizione era troppo delicata per essere rimossa, lui impose una regola: ogni volta che si sarebbe trovato di fronte ad un nemico molto più potente e praticante di Hatsu, avrebbe potuto usare al 100% ogni catena con la successiva diminuzione della sua durata vitale.
Un giorno in cui la usava corrispondeva ad un giorno di vita perso. La Locked Chain andava ad aggrovigliarsi attorno alla lama che aveva nel cuore, bloccando la condizione della quinta catena tutte le volte che usava il Nen contro un nemico qualsiasi.
Un’altra pecca era che Kurapika non sapeva ancora quanto sarebbe vissuto.
Se il giorno della sua morte fosse stato quello seguente e lui avesse usato in quel momento l’Hatsu, sarebbe deceduto all’istante.
Era un rischio che doveva correre, ma ormai non gli interessava più niente.
 
Senritsu non era mai stata d’accordo con la sua scelta e perciò a volte lo chiamava “folle”; la sua perseveranza l’avrebbe portato alla rovina.
 
 
Il ragazzo cominciò ad incamminarsi verso l’uscita della stanza.
«Vado a farmi una doccia», disse ai due.
«Io credo che andrò a dare una mano al capo», annunciò Basho.
«Vengo con te! Voglio rendermi utile!», esclamò Senritsu.
«… No, lascia stare».
Il moro temeva che Light stesse organizzando qualcosa per la faccenda di Nakamura e a lei non doveva ancora dire niente.
«Perché?», chiese la giovane irritata, «Cos’altro non devo sapere?».
«No, no… Non riguarda il discorso di prima. Il fatto è che… ti vedo pallida», rispose anche se non era la verità.
«Non sarei dovuta rimanere così tanto a letto».
«Questo ti ha resa ancora più abbattuta. Quindi, per evitare che tu possa confondere il blu con il verde, è meglio che vada a rinfrescarti!», le propose cercando di farla ridere.
«… Va bene, ma dopo verrò da te», gli promise.
«Come sei tosta! Ehi, Kurapika, cosa dobbiamo fare con lei?».
 
Appena si girarono, videro che il Kuruta non era più nella stanza. Se n’era andato assieme all’altra guardia senza aspettarli.
«Beh, ci ha lasciati?», domandò Basho sorpreso.
«… Forse era stufo di sentire le nostre discussioni!», ipotizzò la mora.
«Quando mai? Lui non è il tipo che si strugge per questi problemi!», la corresse, «Si sta comportando in modo strano, sai?».
«L’ho notato…».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Una volta che ebbe chiuso a chiave la porta del bagno, il Kuruta si mise di fronte allo specchio; rimosse frettolosamente la sua maglietta troppo aderente e fastidiosa, poi si guardò.
Aveva una ferita abbastanza profonda sull’avambraccio; sentiva delle terribili vampate di calore in tutto il corpo.
Continuava a perdere sangue, ma non ricordava di essere stato attaccato dai fantocci con armi bianche da taglio.
Bruciava come se fosse già stato disinfettata. Non doveva addirittura tentare di sfiorare il suo braccio.
 
Cercò di non pensarci e si convinse che dopo una doccia si sarebbe sentito meglio. Il sangue si sarebbe coagulato con o senza l’aiuto dell’alcol.
Dopotutto aveva ricevuto dai suoi vecchi avversari dei colpi peggiori…
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Basho bussò alla porta dell’ufficio del capo. Voleva sapere perché non si era ancora fatto vivo.
Le uniche informazioni che Light aveva accennato erano: organizzare un eccellente piano per quella sera e arrivare ad un accordo con un suo collega di Tokyo attraverso quel sito Internet.
 
«Chi è?», chiese il signor Nostrade.
«Sono Basho. Posso entrare?».
«Certo, vieni pure», rispose fin troppo serenamente.
 
Il capo era euforico. Fece sedere l’interessato su una sedia e cominciò subito a dirgli: «Avremo tante cose da fare stasera!».
Il ragazzo non riusciva a comprendere il motivo della sua felicità.
«Dovremo lavorare molto?», chiese annoiato.
«Sì, ma potremo ottenere tanti preziosi oggetti!».
Il moro sospirò: Light non riusciva mai a pensare ad altro.
«Perché Kurapika non è con te?».
«Ha trascorso l’intera mattinata ad allenarsi e adesso deve essere sotto la doccia», spiegò.
«È un vero peccato. Ho fatto tanti affari stamattina con il mio collega!».
«Non si sa niente di Nakamura?».
«No, figurati. Starà cuocendo nel suo stesso brodo!», esclamò con ottimismo, «Non ti fissare troppo su quell’incapace. Se continueremo a collezionare cose rare, dimostreremo a Nakamura la nostra indole impavida».
 
Il giovane non riusciva a tranquillizzarsi per le sue parole; anzi, riteneva più opportuno non fare gli esibizionisti come quell’uomo.
 
«Allora… cosa faremo?», domandò dubbioso.
«Parteciperemo ad un’asta e saremo raccomandati dal mio collega», annunciò.
«Per avere cosa?».
Light diede un’ultima occhiata alla discussione avvenuta tramite la chat e poi spiegò: «Si tratta delle corde vocali della cantante Aika Yukimura. Lei era una donna con delle incredibili doti canore e metteva l’anima per scrivere i testi delle sue canzoni. Purtroppo morì nel 1945 sul palcoscenico per un colpo di pistola causato da un pazzo geloso della sua voce. In seguito, però, si scoprì che lei era una hunter; aveva infuso il suo Nen nelle corde vocali prima di morire, in modo che la sua voce venisse sempre ricordata. Si dice che, quando queste vengono liberate dalla teca di vetro dove sono contenute, una persona riesca ancora a sentire quella melodia soave che lei riusciva a creare mentre cantava».
Stava narrando la storia con estrema ammirazione.
«Esse hanno un inestimabile valore… ed io le voglio per mia figlia», concluse sicuro.
 
Basho aveva forse ascoltato metà del suo racconto. Quelle cose gli importavano davvero poco, però doveva mantenere la bocca chiusa ed evitare di protestare.
 
«Quindi il suo collega ha organizzato l’asta?», tagliò corto.
«Esatto e, visto che mi conosce, potrà mettere da parte la lealtà e cercare di farci vincere in cambio di una soddisfacente ricompensa. Quell’oggetto sarà mio!».
«Però gli altri potrebbero accorgersi dell’inganno. In questo modo verremmo detestati ancora di più», ribatté il giovane.
«Basho… tu non hai ancora capito come funzionano le cose. Nella Mafia non esiste la giustizia; ci si fa strada con gli imbrogli e, se è possibile, con qualche alleanza. Ma al primo posto c’è il nostro benessere; è meglio diffidare dalle altre persone».
«Però noi siamo già ricchi e benestanti! Non sarebbe meglio se puntassimo tutti i soldi possibili?».
«Hai ragione, ma in questo periodo non siamo nelle condizioni di elargire un’eccessiva somma di jeni. Riconosco che siamo tenuti abbastanza sotto controllo», rispose.
“Oh, allora ha un po’ di sale nella zucca!”, pensò il ragazzo. Aveva fatto quella domanda solo per metterlo alla prova.
«Io, tu, Kurapika e Senritsu siamo gli invitati. L’asta si terrà a mezzanotte precisa in un edificio dove io non sono mai stato, però Sato mi ha descritto precisamente come raggiungere il luogo. Guiderò io l’auto», concluse.
Basho rimase sbigottito. Davvero voleva far partecipare la ragazza?
«Scusi, ma… ci deve essere anche Senritsu? E se incontrassimo  Nakamura?».
«Sarebbe ora che anche lei venisse a sapere la questione. Tuttavia è impossibile che possa combinare danni in mezzo a tutta quella gente», replicò convinto.
 
Perché… perché il moro continuava a non sentirsi rilassato?
Aveva un brutto presentimento. Era la prima volta che gli succedeva questo.
Nessuno era mai stato più ottimista di lui… però non poteva nascondere il timore che qualcosa stesse per andare storto.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nakamura stava aspettando con ansia l’esito del piano di Takahiro.
Per ragioni di privacy l’uomo non doveva essere osservato mentre faceva le sue indagini.
Al boss costava tanta fatica obbedire ai voleri di un individuo appena reclutato, il quale sarebbe poi stato abbandonato a sé stesso quando non avrebbe più avuto bisogno della sua presenza; i trucchi degli hacker non dovevano essere copiati da nessuno, dato che era l’unica cosa che sapevano fare.
 
Dopo un po’ Takahiro uscì dalla stanza dove stava lavorando e raggiunse l’uomo nel corridoio.
«Finalmente! Ci hai messo troppo tempo», lo rimproverò Nakamura.
«Mi dispiace, però è andato tutto alla perfezione», gli comunicò.
«Racconta».
«Sono riuscito ad identificare il volto di un collega di Light proveniente da Tokyo. Attraverso il tuo account del sito mi è venuto facile scovare un suo status dove aveva accennato all’organizzazione di qualche evento non ancora dichiarato. In questo modo ho approfittato della sua persona per ingannare il Nostrade», disse cercando di ricordare tutti i passaggi.
«E sei riuscito a farlo cadere nella trappola?».
«Sì. Ho scoperto la password e l’e-mail che utilizza nel suo account e ho avuto un’interessante conversazione con quell’ingenuo di Light. Crede veramente che stasera ci sarà un’asta; nel luogo che gli ho indicato, invece, dovrebbe trovare qualche brutta sorpresa», concluse.
«Ottimo lavoro… Ma cosa succederà se quel suo collega dovesse leggere i messaggi che tu gli hai mandato attraverso il suo profilo?», chiese scettico.
A Takahiro sfuggì una lieve risata e, provando una sensazione di superiorità, rispose: «Ho cancellato il suo account e ho mandato un virus al suo computer. Non riuscirà neanche ad accenderlo».
«Però… potrebbe telefonare a Light», lo avvertì per accertarsi che ogni cosa stesse proseguendo per il verso giusto.
«Non si immaginerà mai che lui è in pericolo per causa sua. Cosa ne sa? E comunque io so il suo indirizzo. Non impiegherei molto tempo per ucciderlo se dovesse scoprire tutto».
 
Nakamura non trovò più altre domande per contrastarlo.
Era rimasto sbalordito; pensava che quell’uomo fosse soltanto un intemperante che voleva scaricare il suo odio ammazzando delle persone, ma in fondo gli rimaneva ancora un barlume di razionalità.
Quel tipo non era assolutamente da sottovalutare.
 
«Perfetto, mi complimento con te. Adesso tocca a Satoshi e ai suoi uomini», disse il boss entusiasta.
«Mi dici cosa accadrà ai Nostrade?».
«Perché proprio adesso?», insistette, «Questa sera vedremo tutto dal vivo, non preoccuparti».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Venne l’una del pomeriggio. Tutti i membri della famiglia Nostrade erano seduti nell’enorme tavolo della sala da pranzo per cominciare a mangiare.
Nonostante la voracità con la quale Light stava assaporando la sua bistecca, la fame e l’allegria non sembravano tanto contagiose.
Gli altri non si scambiavano una parola e alcuni avevano lo sguardo perso nel vuoto. C’era chi si lasciava sottomettere dall’ansia e chi non aveva neanche il coraggio di meditare.
Basho aveva il morale a terra per la discussione avuta con il capo.
Come faceva quell’idiota a non comprendere la gravità della situazione?
 
Si accorse che Senritsu lo stava osservando; non poteva restare immune al dolce sorriso della ragazza.
Era sempre stata molto apprensiva, ma nessuno sapeva confortare gli amici meglio di lei.
 
Osservò successivamente Kurapika, il quale era seduto affianco a lui.
Rimaneva sempre imperturbabile e posato anche in queste situazioni; pareva addirittura che si stesse gustando la sua porzione.
Il moro non sapeva se provare invidia o semplicemente disprezzo.
 
Riflettendoci, era inevitabile che il biondo si stesse distraendo dai problemi dopo aver bevuto più di mezzo litro di vino.
 
Subito dopo notò una strana fasciatura all’altezza del polso; se ne rese conto solo in quel momento perché il biondo era solito indossare camicie a maniche lunghe.
«Cosa ti sei fatto, Kurapika?», chiese indicando l’avambraccio del giovane.
Quella domanda catturò l’attenzione di Senritsu.
«Mi sono tagliato», mentì il Kuruta.
«Sul serio? Accidenti!», esclamò considerando le probabili dimensioni della ferita, «Come hai fatto a causarti un danno del genere?».
«Succede, Basho. Evidentemente hai più fortuna di me», rispose senza osservarlo.
«Ma adesso stai meglio?», s’intromise Senritsu.
«Per ora sì».
 
Il loro discorso venne interrotto da un sonoro sbadiglio di Neon.
«Che stanchezza…», si lamentò, «Papà, quando potrò avere quelle corde vocali?».
«Domani mattina le vedrai, tesoro», rispose Light mentre le stava versando una bibita nel bicchiere.
«Ma… se devono diventare di mia proprietà, perché non posso partecipare all’asta?».
«Te l’ho già spiegato. Potresti correre dei rischi peggiori di quelli che ti sono capitati un anno fa».
«Ormai sono grande e so difendermi. Voglio avere quell’oggetto! Devo andare a quell’asta!», affermò la ragazza infastidita.
«Per ora pensa a rilassarti. Sei ancora troppo piccola per capire».
A quel punto Neon non riuscì a trattenersi.
«E allora perché Kurapika può seguirti? Siamo coetanei, ma a lui permetti tutto!».
 
Le sue proteste svegliarono di colpo il ragazzo da quel leggero stato di ebbrezza.
I suoi nervi si accesero e fissò la giovane indispettito.
 
Light cercò di difenderlo a modo suo.
«Non è lo stesso, cara. Lui ha una mente ingegnosa, sa usare bene il Nen, è forte, è audace, è agile…», elencò.
«Vorresti forse dire che io sono stupida?», sbottò offesa.
«No… però lui è più scaltro».
 
Kurapika si morse il labbro inferiore con rabbia.
Cosa diamine stava dicendo? Ma che razza di padre era?
Non poteva paragonarlo a sua figlia; stava solamente alimentando la gelosia della ragazza.
Neon si comportava così ed era viziata perché molto probabilmente non aveva ricevuto amore dal capo, oppure a quest’ultimo non avevano insegnato come volere bene.
Lui sapeva cosa significava non avere l’affetto e gli incoraggiamenti dei genitori; i loro parenti potevano essere ingrati o anche deceduti, ma i sentimenti che provavano i due erano gli stessi e in un certo senso Neon gli faceva pena.
 
Appoggiò delicatamente la forchetta sul piatto e disse: «Signorina Neon, tuo padre si è spiegato male».
Lei osservò il biondo incuriosita.
«Nella famiglia vali più di me e il signor Nostrade tiene molto alla tua incolumità», continuò, «Io sono una guardia del corpo, quindi posso permettermi di rischiare la vita. Tu sei la figlia del capo e la tua salute vale prima di ogni altra cosa. Lo vuoi capire?».
 
Lei rimase toccata dalle sue parole. Il suo discorso era davvero più maturo di quello del padre.
 
«Approfitta del fatto che hai la tua famiglia vicina… e ritieniti fortunata per quello che hai».
La ragazza annuì con imbarazzo; si sentiva allo stesso tempo messa in soggezione.
 
Senritsu osservò il viso di Kurapika: stava di nuovo contemplando il suo piatto, ma aveva un’espressione avvilita.
Capì che parlare di questioni familiari gli causava dolore; avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo sorridere.
 
Light non perse l’occasione di dare aria ai denti.
«È esattamente quello che volevo dire! Non penso ci sia bisogno delle tue specificazioni», rivelò provocando il risentimento del giovane.
«Però non finisci mai di sorprendermi! Dopotutto… ti ho scelto per questo», proseguì.
L’interessato si decise di degnarlo di uno sguardo.
«Ormai tu sei il mio braccio destro; non dimenticarlo», gli ricordò con fare preminente.
«Non si preoccupi. A cos’altro vuole che pensi?».
 
Il Kuruta mise fine alla discussione con quel semplice quesito. Si aspettava che il capo avrebbe taciuto; anche lui era la causa della sua rovina.
 
Aveva ormai perso il conto del numero di chiamate che gli aveva fatto Leorio a partire dalle sei del mattino.
Comprendeva l’inquietudine dell’amico, ma quest’ultimo doveva intendere che Kurapika era diventato talmente pericoloso da aver accumulato innumerevoli persone che avrebbero potuto intercettare ogni sua singola conversazione.
 
 
Tutt’ad un tratto, mentre stava riflettendo, gli venne un capogiro; dovette sorreggere la testa con le mani.
Sentiva caldo, molto caldo; sembrava che le sue vene stessero per scoppiare.
Una fitta improvvisa alla guancia lo sorprese. Il braccio cominciò a dolergli di nuovo.
 
Tutti si resero conto del suo volto sofferente.
«Kurapika, cos’hai?», domandò Basho spaventato.
«Ti senti male?», chiese Senritsu con agitazione.
«Sto… bene», rispose con fatica per il troppo malessere.
Stava cominciando a sudare.
«Sei sbiancato!», esclamò Light.
«… Vado un attimo a rinfrescarmi», mormorò sparendo dal salone e lasciando tutti preoccupati.
 
 
Entrò velocemente nel bagno e si osservò di nuovo allo specchio.
Un’altra ferita si era aperta sulla sua guancia sinistra e la fasciatura che aveva intorno al suo braccio destro si era riempita di sangue.
Provò a lavarsi il viso più volte; aveva la pelle secca e desiderava tanta acqua fresca.
Quando fece per asciugarsi, si accorse che l’asciugamano era già macchiato.
Non ricordava di essere stato in quelle condizioni l’ultima volta che l’aveva usato.
I suoi occhi tornarono a concentrarsi sulla sua immagine riflessa nello specchio.
Delle orrende macchie purpuree gli erano apparse sulla fronte, sul mento, sulle gote…
Com’era possibile?
Sentiva l’epidermide estremamente delicata e fragile.
E se avesse preso qualche infezione?
 
Prese coraggio e con la mano sinistra toccò la parte della guancia ferita.
Chiuse gli occhi e la strusciò sul suo viso.
 
Che strana sensazione… Era come se le sue dita avessero perso la sensibilità.
Aprì di nuovo gli occhi. Si rese conto di non essere sereno perché le sue iridi si erano improvvisamente tinte di scarlatto.
Con enorme lentezza posò lo sguardo sulle sue mani.
 
Cominciò a tremare.
Vide solo rosso, rosso sangue… e frammenti di una pelle che pareva lacerata.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«EUREKA!», tuonò all’improvviso Takahiro.
Nakamura rimase tanto stupito quanto spaventato.
«Insomma, che succede?!».
Il moro apparve nel suo ufficio.
«Ho fatto una scoperta interessante», lo informò soddisfatto.
«Riguardo a cosa?».
«… Agli interessi di Light».
 
Takahiro condusse l’uomo nella sala d’informatica, aprì una fra le pagine che aveva utilizzato per fare le sue ricerche ed ingrandì un’immagine per mostrarla al boss.
«Ma che diavolo…?», sbottò.
Vide degli strani contenitori pieni d’acqua, dentro i quali erano stati messi dei bulbi oculari con le iridi rosse.
Era una tonalità molto accesa, simboleggiava la passione.
Magnifica da osservare…
 
«Cosa sarebbero?», chiese Nakamura incredulo.
«Gli occhi scarlatti, una delle sette meraviglie del mondo. Appartenevano ai membri della tribù dei Kuruta; essi vennero sterminati per il loro prezioso dono. Si diceva che i loro occhi cambiassero colore quand’erano in preda a forti emozioni», spiegò.
«… Quindi è una razza estinta?».
«Così pare».
«E cosa c’entra questo con Light?».
«Ho trovato questa foto indirizzata solo ad alcuni amici sul suo profilo; risale agli inizi di quest’anno. Pare che lui sia parecchio interessato a collezionarli per sua figlia», gli fece notare.
 
Il boss li scrutò attentamente.
«Kuruta…», ripeté.
«Cosa c’è?».
«Sei sicuro che non ci sia in mezzo qualche altro membro della famiglia?».
«Non lo so, però Light ha dichiarato che è l’oggetto più strabiliante che sia mai riuscito a prendere. Credi che possa essere un’informazione importante?».
L’uomo continuava a scrutare quegli occhi.
«È possibile, ma andrebbe contro le mie supposizioni», rivelò pensando a Kurapika.
«In che senso?».
«Non avevo nessun sospetto riguardo ad alcuni segreti che condividono quell’idiota e sua figlia. Inoltre è probabile che siano solo interessati agli occhi e basta», lo contraddisse.
«Allora dai un’occhiata qui».
Nakamura osservò l’album di fotografie di Light e la maggior parte di esse raffiguravano quei bulbi oculari.
«Ci sono due possibilità: o sono degli ossessionati… sono i protagonisti della faccenda», ipotizzò Takahiro.
«Vuoi farmi credere che discendano da quella tribù? Sono stati tutti massacrati! Piantala di fantasticare e fai la persona seria», si adirò l’altro, «Light è un pazzo e basta».
«Ma tu stesso un giorno mi hai detto di essere convinto che la figlia possa nascondere qualcosa!», affermò il moro.
«È vero, però non è detto che c’entri con questi affari».
«Dunque, cosa mi dici della moglie di Light stranamente deceduta?», lo stuzzicò.
«… Adesso basta! Ho altre idee!», esclamò il boss sbattendo le mani contro la scrivania.
«Si può sapere cos’hai?».
«Per ora non posso dirti niente. Tu pensa solo al piano!», concluse seccato.
 
Detestava quando qualcuno lo contraddiceva.
Il biondo era la sua priorità. Non sapeva se fosse a conoscenza di questi avvenimenti, ma doveva dimostrare i suoi sospetti.
Quel bastardo non poteva passarla liscia.
 
Osservò di nuovo l’immagine che era davanti a lui. L’informazione di Takahiro non doveva essere considerata futile, ma avrebbe riflettuto sulla questione in un altro momento.
«Occhi scarlatti, eh? Interessante!».
 
Lasciò la stanza in preda a mille pensieri che vorticavano nella sua mente.
L’ultima cosa che sentì furono le previsioni del tempo per quella sera.
 
-Temporale in arrivo. Zona più a rischio: quartiere di Chiyoda. Forti precipitazioni. Vento fino a 40 km/h da nord. Temperatura massima: 17°. Si raccomanda di rimanere a casa al caldo-.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Andiamo», ordinò Light.
Da un’auto nera parcheggiata di fronte ad un edificio fatiscente uscirono il signor Nostrade, Kurapika, Basho e Senritsu.
Tutti tranne Senritsu indossavano delle divise di un bel color ceruleo scuro; lei era vestita con una tunica viola.
Il vento impetuoso che stava soffiando già da due ore li investì bruscamente.
Era ormai giunta la mezzanotte e il gelo terribile che stava opprimendo la città intirizzì i corpi dei quattro; le punte dei loro nasi erano completamente congelate e faticavano a scandire anche solo una parola.
«Facciamo in fretta. Sto per diventare un ghiacciolo!», si lamentò Basho.
 
La ragazza osservò turbata la costruzione: il colore sbiadito dei muri, le profonde crepe e la completa assenza di illuminazione facevano sembrare la struttura quasi diroccata.
«Siamo certi che sia il posto giusto?», chiese scetticamente.
«Sato mi ha dato queste indicazioni; non mi sono sbagliato», confermò il capo.
«Intanto entriamo: ho freddo!», ripeté Basho con angustia.
«Sono d’accordo», affermò il Kuruta, «È inutile esitare proprio adesso e non è neanche il momento di crogiolarsi nelle nostre ragioni; mi pare più pericoloso rimanere qui fuori».
«Già. Sta pure iniziando a piovere», constatò Light, vedendo le gocce d’acqua che stavano cominciando a bagnare l’asfalto.
Aleggiava inoltre un penetrante odore di acquerugiola, il quale fece loro comprendere che presto le condizioni meteorologiche sarebbero peggiorate.
 
Nessuno eccepì l’idea di mettersi al sicuro. Dopo aver attraversato quella strada stranamente deserta, giunsero di fronte all’enorme porta d’ingresso.
Light bussò tre volte servendosi del batacchio di legno, ma non ci fu una persona che venne ad accoglierli. Provò lui stesso a muovere la maniglia, ma non successe niente.
«Sono sordi?!», sbottò adirato.
«Forse si entra da un’altra parte», presuppose Senritsu.
«Non ci sono altre porte», ammise Basho scrutando la mappa dell’interno dell’edificio.
«Capo, le consiglio di telefonare al suo collega: potrebbe esserci qualche errore», consigliò Kurapika.
«Ma tu un attimo fa non eri d’accordo con me sul fatto di non indugiare?», domandò il moro confuso.
«È diverso. Prima non ho badato all’aspetto fisico del luogo; siccome ora nessuno si sta facendo vivo, c’è da preoccuparsi», spiegò.
«Però…».
Si bloccò quando osservò il biondo in faccia.
Non si era reso conto che aveva due cerotti sulla guancia sinistra.
«Oggi vuoi proprio farti del male, eh?».
«… Non sono affari tuoi», rispose con un’espressione improvvisamente cupa.
«Mi scusi», concluse l’amico ironicamente e allo stesso tempo stranito.
 
 
Ad un tratto i quattro udirono un fastidioso cigolio: la porta interessata si stava aprendo in una maniera esageratamente lenta.
La cosa che più li fece rabbrividire fu la mancata presenza di un individuo che la stesse spingendo.
 
Senza stare a rimuginare troppo su quegli stani avvenimenti, varcarono l’ingresso e subito dopo vennero inglobati nell’oscurità del luogo.
 
La porta si richiuse alle loro spalle.
Il buio si impadronì della loro vista; non riuscivano a scorgere nessuna finestra, dove penetravano i deboli raggi della luna, e i loro occhi non si abituavano.
Rimasero in silenzio; l’unica cosa che ognuno percepiva era il respiro del suo compagno più vicino.
«Ci siete tutti…?», azzardò a dire Basho.
«Sì, ma tutto questo non vi sembra parecchio strano?», domandò Senritsu intimorita.
«EHI! C’è qualcuno? Ma che razza di comportamento è questo?», protestò Light.
Dopo aver ottenuto come risposta il suo eco, esclamò: «Dannazione!».
«Dobbiamo cercare di proseguire noi», decise Kurapika.
«Sei impazzito? Io non mi so orientare; non vedo nemmeno la mappa e sono a corto di accendini», controbatté il moro.
«È vero. Non ci siamo preparati», ammise la ragazza.
«Cos’ altro pensate di fare, allora? Rimanere qui immobili come statue?», sbottò il biondo impazientemente.
«Certo! Ti sfido a non andare a sbattere la faccia contro la parete o qualche spigolo!», commentò ancora l’amico.
«Kurapika ha ragione», s’intromise il capo, «Non imbamboliamoci; propongo di muoverci. Avranno avuto problemi con l’impianto».
«Prevedo grosse fatiche…», mormorò Basho.
 
Il gruppo cominciò ad avanzare silenziosamente, facendo attenzione a dove metteva i piedi.
Non erano a conoscenza della strada che stavano prendendo; volevano solo trovare un luogo illuminato che avesse potuto tirarli fuori da quella specie di labirinto.
Nessuno aveva ancora avuto l’occasione di sfiorare la fredda superficie del muro e, se allungavano le mani, esse non andavano a posarsi su alcun tipo di materiale.
Questo fatto diede loro maggiore sicurezza; iniziarono infatti ad accelerare il passo.
 
Il posto ricordava tanto a Kurapika il tunnel che gli aspiranti hunter avevano dovuto percorrere nella prima prova per raggiungere la tanto agognata uscita.
La loro resistenza psicologica era stata duramente ostacolata e molti erano stati lasciati là dentro a morire come dei disgraziati.
Lui era scampato da quel pericolo, perciò era giusto che anche in quelle circostanze tenesse i nervi saldi.
 
 
Ad un certo punto si fermò.
Un brivido gli percorse la schiena: qualcosa non quadrava.
Trattenne il respiro e ascoltò.
 
Spalancò gli occhi: non riusciva più a sentire i passi dei suoi amici e del capo.
Si erano bloccati nel suo stesso momento?
«… Ci siete?», chiese con voce incredibilmente flebile. Quella scoperta lo aveva messo all’erta.
 
Nessuna risposta.
Prese coraggio e cominciò ad urlare i loro nomi, uno per uno.
Provò a spostarsi, ma gli sembrava di rimanere sempre in quello stesso punto così maledettamente lugubre.
 
Era rimasto da solo. Una piccola distrazione era bastata per separarlo dai suoi compagni.
Non sapeva cosa fare… né come comportarsi.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nel frattempo Nakamura, Takahiro e un’altra persona si erano riuniti nella stanza che si trovava all’ultimo piano della villa del boss.
Avevano lo sguardo puntato su un grande specchio di forma ovale. Tenevano accesa una candela.
«Rokuro, dove si trovano adesso?», gli domandò l’uomo incuriosito.
«Il ragazzo biondo è ancora nel corridoio principale. Il suo amico ha imboccato la strada verso la zona est dell’edificio. Light e quella strana tipa sono in una delle stanze della zona ovest», lo informò.
«Dannazione, non sei riuscito a separare quei due!», protestò.
«Tranquillo. La trappola funzionerà comunque», lo rassicurò.
 
Takahiro era rimasto strabiliato. Con il Nen di quello sconosciuto erano riusciti a creare un portale nello specchio.
Attraverso l’oggetto potevano tenere d’occhio tutti gli spostamenti dei quattro senza che loro se ne accorgessero.
Era come se stessero controllando ogni avvenimento da una videocamera di sorveglianza.
 
«Ora viene la parte migliore», continuò a dire Rokuro.
«Senti un po’… Tu sei una delle guardie del corpo di Satoshi?», gli chiese con atteggiamento diffidente.
«Esatto», fu la risposta.
«E come fai a…?».
«Silenzio!», ordinò Nakamura, «Ti spiegherò tutto dopo. Ora godiamoci la scena».
«Ma… dove sono ora Satoshi, Shijo e Kagamine?».
Ricevette come risposta un sorriso a trentadue denti.
«Che domande! A casa di Light, no?».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Basho si era perso.
Non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli altri.
Era infuriato con Kurapika e Light. Se non si fossero mossi dal luogo, probabilmente avrebbero potuto evitare quel guaio.
Purtroppo Kurapika era il braccio destro del capo e quest’ultimo si fidava ciecamente di lui.
Considerava che il Kuruta fosse troppo saccente, anche se gli voleva comunque bene.
 
Qualcosa catturò la sua attenzione.
Scorse una finestra in lontananza; era una bellissima sensazione per i suoi occhi.
Si avvicinò ad essa e si mise ad ascoltare il rumore della pioggia che scrosciava con violenza, producendo un fragore continuo.
I fulmini e i tuoni si alternavano e l’ululare del vento metteva in netto contrasto le condizioni del tempo esterne con la quiete del luogo in cui il giovane si trovava.
 
All’improvviso un fascio di luce lo abbagliò. Si voltò di scatto e vide incastonati sui muri della stanza degli enormi specchi che emanavano una strana energia.
Loro erano i responsabili di quel subitaneo chiarore.
 
Basho poté finalmente osservare quel posto: era deserto, non c’erano oggetti preziosi o mobili d’arte.
Pezzi d’intonaco erano ammassati sul pavimento pieno di polvere; insetti di ogni tipo e ragnatele dominavano gli angoli delle pareti.
Quell’edificio sembrava proprio abbandonato. Come poteva la Mafia usufruire di un simile orrore per fare delle aste così importanti?
Il ragazzo era rimasto schifato e quegli specchi così lucidi e perfettamente integri gli incutevano ancora più terrore.
Ne toccò uno e provò una strana impressione.
Non era un materiale comune…
 
 
Mentre era assorto nei suoi pensieri, una losca figura apparve alle sue spalle.
Fece appena in tempo a vedere la sua immagine riflessa e poi si scansò prontamente dalla sua posizione.
Schivò per un soffio un pugno di quell’individuo; la sua mano andò a colpire i pavimento, frantumando una mattonella.
 
Basho appoggiò sgomentato la schiena contro il muro mentre lo osservava rialzarsi.
Era dotato di una forza fuori dal comune, ma aveva la corporatura simile a quella di un umano.
Il nemico lo scrutò in faccia. L’altro notò il suo viso nella penombra: i suoi occhi erano completamente bianchi e sporgenti per l’assenza di iridi e pupille, la sua enorme bocca con i denti aguzzi saltava subito all’occhio e la pelle sembrava putrefatta.
 
«E tu… chi diavolo sei?», domandò disgustato.
La risposta di quell’essere fu un feroce ruggito. Subito dopo se lo ritrovò affianco; non fece neanche in tempo ad accorgersi del suo dislocamento che l’avversario gli mollò un potente sinistro, il quale lo colpì in pieno viso e lo fece strisciare a terra di qualche metro.
 
Fu un’azione inaspettata. Basho rimase disteso a terra in posizione prona; non era svenuto, ma aveva perso la sensibilità nel lato destro del suo viso.
Non poteva nemmeno accorgersi che stava sanguinando.
Si sentì successivamente afferrare per le gambe. Venne sbattuto brutalmente contro il muro e la vista gli si annebbiò.
La testa cominciò a girargli e le sue ossa mandarono fitte lancinanti.
Maledisse sé stesso per non essersi portato delle armi. Contro quel mostro così rapido il suo Nen era inutile.
Ma cosa poteva sapere? Non andava in giro con delle pistole durante aste o cerimonie.
Il problema era che verosimilmente lui e gli altri erano stati imbrogliati dal collega del capo per un motivo ignoto.
Era una trappola, non c’era ombra di dubbio. Doveva sopravvivere.
 
Quando la sua vista acquistò più nitidezza, vide le grosse fauci di quell’essere vicine al suo viso per azzannarlo.
In mezzo secondo afferrò una piccola trave di legno e la infilò fra i denti superiori ed inferiori per bloccargli la mandibola.
Non perse altro tempo. Si risollevò con fatica e, dopo aver impiegato il Kou sulla sua gamba destra, gli sferrò un calcio che fece urtare la sua faccia contro la parete, immobilizzandola.
 
Il suo nemico era al momento fuori gioco e lui doveva riflettere.
La finestra era troppo piccola per tentare la fuga e lui stesso non voleva abbandonare i suoi amici.
Uscire dalla stanza significava automaticamente immergersi nel vuoto e nell’oblio; inoltre non sapeva da dove quel mostro fosse giunto.
Doveva sconfiggerlo… ma come?
Si toccò la guancia dolente; sembrava che avesse un livido di grandi dimensioni.
 
L’avversario riuscì a liberarsi e spezzò in due la trave, ma le schegge affondarono inaspettatamente nelle sue gengive.
Cominciò a sputare sangue e a gemere per la sofferenza.
Basho ne approfittò subito per agguantare un altro pezzo di legno. Concentrò tutta la forza che aveva in corpo e si scagliò contro di lui.
«SEI FINITO!».
Lo colpì violentemente sulla nuca. La potenza usata fu tanta da fargli girare la testa di 180 gradi.
«Questa volta ti ho spezzato l’osso del collo!», esclamò Basho.
Il sorriso scomparve dalle sue labbra appena vide quella creatura alzarsi in piedi. Schioccò velocemente le ossa e la sua testa si raddrizzò, tornando ad osservarlo.
“… Illeso?”, pensò il ragazzo stupito.
L’avversario lo immobilizzò a terra con un veloce balzo e cominciò ad assestargli ripetutamente dei pugni sulla schiena.
Il giovane cercò di focalizzare la sua mente sul ritmo dei colpi che stava ricevendo.
Riuscì a bloccare un attacco per poi rifilargli un paio di gomitate sul mento, stordendolo.
Usò tutta la forza necessaria per sollevarlo e scaraventarlo con rabbia fuori dalla stanza.
Accadde però una cosa insolita. Appena il nemico si rese conto della situazione, le sue unghie crebbero fino a diventare acuminate. Riuscì a fermarsi e a mantenere in equilibrio il corpo affondando gli artigli sul duro pavimento.
 
Il moro capì che per qualche strano motivo aveva paura di evadere dal luogo dove stavano combattendo; forse nemmeno poteva farlo.
Gli tornarono alla mente quegli specchi; la luce che stavano esalando era diventata sempre più accecante.
E se quel mostro riuscisse a lottare con il loro aiuto? C’era di sicuro qualche stregoneria.
 
Aveva capito come sbarazzarsi di quell’individuo, ma prima doveva distrarlo.
 
«Shippuu Jinrai», sussurrò chiudendo gli occhi e rimanendo in uno stato di concentrazione.
La creatura provò ad aggredirlo in tutti i modi possibili, ma Basho parava ogni offesa o schivava gli assalti. Era diventato padrone della situazione.
Aveva usato l’Uragano-Tuono, ossia la capacità di percepire i movimenti dell’avversario e reagire in maniera automatica.
 
Era il momento. Afferrò un bastone e ne aumentò le proprietà intrinseche con lo Sho.
Si gettò sull’essere  e affondò l’oggetto nel suo petto, centrando perfettamente il cuore e il polmone sinistro.
Il nemico lanciò un urlo acuto; si accasciò a terra, affliggendosi per quella pena inimmaginabile.
Non era deceduto all’istante. Questo confermò i suoi sospetti.
 
«È giunta la tua ora!».
Con un pugno frantumò uno specchio e venne colpito da un’ondata maligna di energia Nen.
Ne ruppe uno per volta fino a quando vide il suo nemico svanire di fronte a lui.
Aveva vinto. Il trucco era stato smascherato.
Quella creatura era uscita da uno degli specchi e per opera di un Hatsu si nutriva della loro energia.
Non sapeva chi avesse architettato quel piano, ma doveva trovare i suoi amici e avvertirli prima che fosse troppo tardi.
I vetri non avevano perso la luminosità, così prese qualche frammento e si avventurò in quel pericoloso posto.
 
 
 
 
*****
  
 
 
 
Tremore, sudore, agitazione.
Il Kuruta non riusciva a parlare; ciò che stava vedendo non gli sembrava vero.
Da un lungo specchio appeso all’altezza del suo viso era appena uscita una persona che lui conosceva benissimo.
Quei capelli grigi e scompigliati, la sua costituzione robusta e la pelle scura, quei vestiti, quel tatuaggio…
Non poteva essere.
 
Ubo.
 
Cosa ci faceva lì? Non l’aveva ucciso un anno fa? Era il membro del Ragno… in carne ed ossa.
Un nuovo sentimento di rabbia avvampò dentro di lui, soprattutto per il sorriso di scherno che gli stava rivolgendo.
 
C’erano solo loro due. Il resto non importava.
Gli specchi che prima stavano circondando il ragazzo erano spariti di colpo.
Non vedeva il pavimento; c’era il vuoto sotto i suoi piedi… ma quell’essere ignobile non si azzardava a sparire dalla sua vista.
 
«… Cosa ci fai tu qui?», riuscì a chiedere inasprito, «Io ho seppellito le tue sudice membra a York Shin. Come diamine hai fatto a ritornare in vita?».
 
Non ottenne nessuna risposta. Ubo continuava ad osservarlo… e rideva, rideva sguaiatamente.
Il Kuruta andò su tutte le furie.
Non si stava comportando nel suo solito modo; non gli era venuto in mente il sospetto che quello non fosse il vero numero undici della Brigata.
In lui albergava solo collera e frustrazione.
 
Allungò istintivamente la mano e delle catene apparvero su di essa.
«Rispondimi… o non esiterò a farti a pezzi di nuovo!».
 
Basho, Senritsu, Light… Chi erano? L’odio per un nemico era il primo da reprimere.
 
Ad un tratto qualcuno gli parlò.
-*Sono queste le catene con cui l’hai ucciso?*-
 
Il biondo si voltò da ogni parte, ma non c’era traccia dell’uomo a cui apparteneva quella fredda voce.
«Chi sei? Vieni fuori!», sbottò adirato.
-*Non posso*-, fu la sua risposta, -*Sono la tua coscienza*-
 
Dopo aver analizzato quel tono così incredibilmente pacato, le frasi che diceva e la maniera con cui lo faceva ragionare, comprese finalmente chi era la persona che cercava.
 
«Kuroro…», sussurrò mentre una goccia di sudore gli solcava la fronte e una guancia.
Cosa ci faceva lui nei suoi pensieri? Eppure credeva di aver messo da parte l’orgoglio.
«Lurido verme…», mormorò a denti stretti, «Stai zitto e mostrami dove ti trovi! Oppure non hai il coraggio di farti vedere?».
 
-*Mi fai solo pena*-, replicò con fare irrisorio, -*Non sei cresciuto per niente. Ho davanti ancora il bambino di sempre*-
 
Il Kuruta si tappò le orecchie infastidito. Quella voce stava diventando profonda e penetrante.
«Non voglio sentire… un’altra parola da un bastardo che adora sporcarsi le mani».
Girò la testa per andare ad incontrare il volto di Ubo, ma non lo vide più. Era rimasto di nuovo solo in quel baratro… con il nemico della sua gente.
 
-*Mi pare che anche tu provi un piacere sorprendente nell’uccidere le persone*-
«… Lo faccio per una giusta causa», ribatté.
-*Io so che ti sei scaricato tutte le colpe per il massacro del tuo clan*-
 
Il giovane sbarrò gli occhi.
-*Dopotutto, come ho detto prima, sono la tua coscienza*-
«BASTA!», urlò liberando la sua catena del giudizio.
-*Vuoi che ti rinfreschi la memoria?*-  
 
Tutto intorno al biondo divenne bianco. Gli apparve poi di fronte un enorme alone grigio.
Non provò ad avvicinarsi e restò immobile ad osservare.
 
Con suo stupore vide i volti dei suoi genitori. Stavano litigando; sua madre non smetteva di piangere.
 
-*Vuoi sapere perché erano così inquieti?*-
Kurapika deglutì in attesa di una risposta.
-*Tuo padre non era mai stato d’accordo sul fatto di mandarti nel mondo esterno, giusto?*-
Il ragazzo strinse i denti. Lo sapeva, se lo ricordava. Non gli interessava neanche come avesse fatto Kuroro a venire a conoscenza di quegli avvenimenti.
 
-*Si stavano sgolando per te… e per i tuoi capricci da viziato*-
 
Comparve improvvisamente il viso di un bambino molto caro al Kuruta.
«P-Pairo…», emise incredulo.
Il suo compagno giaceva a terra in lacrime. Era terrorizzato da qualcuno.
Si manifestarono delle persone incollerite che gli stavano tirando addosso dei sassi.
Fiotti di sangue uscivano dalla sua bocca.
 
-*A causa della tua indole testarda e combattiva sei uscito allo scoperto assieme ai tuoi occhi scarlatti. La gente ha avuto modo di conoscere il tuo lato demoniaco, ma ha scaricato al tuo migliore amico tutte le colpe*-
 
Un altro ricordo, un’altra immagine.
Kurapika vide sé stesso da piccolo che stava salutando i suoi cari prima di partire alla volta del mondo esterno.
 
-*Ti ricordi perché sei stato promosso? È stato grazie alla bugia del tuo amico e tu non hai avuto il coraggio di raccontare come stavano veramente le cose*-
 
Una breve pausa di silenzio.
 
-*Li hai abbandonati nelle nostre mani*-
 
Le sue gambe cedettero. Il ragazzo chinò la testa fino ad incontrare il pavimento.
La disperazione lo oppresse… perché il suo avversario non stava mentendo.
«Vattene…», riuscì a scandire con gli occhi lucidi, «Sparisci dalla mia testa…».
-*Non ti è bastato?*-, chiese ancora l’interlocutore.
Davanti agli occhi si materializzò Ubo assieme a Pakunoda.
-*È vero che noi siamo stati i responsabili della fine della tua gente, ma non saremmo venuti a conoscenza dei vostri preziosi occhi se tu non avessi abbandonato il tuo mondo*-
 
Il biondo vide i momenti in cui aveva ucciso i due.
-*Hai fatto esattamente il nostro stesso gioco. Non avevi pensato alle conseguenze che sarebbero ricadute su di noi, nonostante fossi a conoscenza degli errori che anche tu avevi commesso*-
 
La testa gli stava scoppiando.
Quelle parole erano come mille pugnalate per il suo cuore, il quale venne colmato di tristezza.
Impiegò tutta la sua volontà per non far cambiare il colore del suoi occhi e per ricacciare quella maledetta voglia di piangere.
 
-*E i tuoi amici? Li hai messi in pericolo per il tuo egoismo. Hanno rischiato la vita per salvare una persona… dal cuore di pietra*-
«MERDA!», gridò, «Tu non sai assolutamente niente!».
-*Guarda in che condizioni ti sei ridotto…*-, continuò l’altro, -*Non puoi spostarti da questa città senza il consenso del tuo capo. Devi sottostare a tutti i suoi ordini. Ti sei imprigionato da solo ed è impossibile seguirci*-
«Smettila…».
-*Hai dedicato la tua vita alla vendetta… per infognarti nella più bassa società*-
«Non è così…».
-*Sei inutile. I tuoi parenti staranno ridendo di te*-
«NO!».
 
Il suo battito cardiaco era frenetico. Le sue catene vibravano a ritmo di esso.
-*Ti sei macchiato di sangue; dentro di te c’è un assassino che aspetta solo di essere risvegliato*-
Sollevò lo sguardo come ipnotizzato.
-*Sei un mostro…*
Si avvicinò allo specchio dove Ubo era apparso.
-*SEI UN MOSTRO!*-
 
Smise di respirare. L’immagine che vide lo spiazzò.
Non era riflesso il volto di Kurapika, ma un orrendo teschio imbrattato di sangue.
Era davvero lui? Come poteva vedere se non aveva gli occhi?
 
Osservò le sue mani.
Poteva vedere le falangi. Era come se la sua pelle si stesse liquefacendo, non lasciando più tracce di essa.
 
Cacciò un urlo, pervaso da sgomento e sconforto.
Stava impazzendo.
 
«NO! KURAPIKA!».
 
 
 
Successe tutto in un attimo.
Fu come se il Kuruta si fosse svegliato da un incubo. Si ritrovò nella stessa stanza dove tutto era iniziato.
Osservò gli specchi e notò che erano stati frantumati da qualcuno.
 
«Kurapika, stai bene?».
Riconobbe l’amico Basho. L’aveva salvato appena in tempo, ma non riusciva a smettere di ansimare.
«Hai gli occhi rossi», lo informò, «Cos’è successo?».
 
Il biondo stentava a capire.
L’unica cosa che importava era il suo corpo.
 
«Non guardarmi: sono orrendo», disse coprendosi il viso.
«Che cosa?! Guarda che sei sempre lo stesso!», ribadì l’altro.
Sentita quell’affermazione, il ragazzo si calmò e decise di guardarsi.
Stava bene; non era cambiato e non era sporco di sangue.
 
Una cosa tornò nella sua memoria. Si tolse la fasciatura e i cerotti; con grande meraviglia non vide nessuna cicatrice.
Le sue iridi tornarono del loro colore naturale e tirò un sospiro di sollievo.
«Che succede?», chiese il moro.
«Ero ferito; anzi, lo credevo», rispose incredulo.
«Ho capito: anche tu sei stato vittima di un’illusione!».
«… Illusione?», ripeté sconvolto.
«Prima sono stato attaccato da una creatura orripilante», raccontò mostrandogli i lividi, «Poi ho scoperto che avevano a che fare con uno strano Nen infuso in quegli specchi. Loro creano le illusioni e, se non ti avessi svegliato, saresti rimasto per sempre prigioniero».
 
Il giovane ripensò al conflitto che aveva avuto pochi minuti fa. Sembrava tutto così reale, demoralizzante, opprimente, soffocante…
Le sue intime paure erano rivenute a galla.
 
Chi poteva mai possedere un Nen così potente?
 
 
Mostro…
Quella parola continuava a riecheggiare nella sua testa.
 
«Ehi, Kurapika?», lo richiamò Basho.
«Perdonami… Sono un po’ confuso…».
«Qualsiasi cosa abbia provato, ricordati che è stata solo un’illusione», lo tranquillizzò.
Il Kuruta annuì senza aggiungere niente.
Basho continuò.
«Non perdiamo tempo: dobbiamo cercare gli altri».
Gli mostrò il frammento di uno specchio.
«Prendilo: ti aiuterà a vedere meglio. È capace di propagare una luce incredibile!».
«… Grazie».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«AIUTATECI!», continuò ad urlare Senritsu.
Uno di quei colossi stava massacrando di pugni Light, senza evitare di sbatterlo a terra.
«Scappa… Senritsu».
«NON VOGLIO!», gridò con le lacrime agli occhi.
 
Vedendo che la situazione non cambiava, si alzò in piedi e cominciò a lanciare addosso alla creatura tutte le cose pesanti che trovava sul pavimento.
 
All’improvviso l’essere abbandonò la presa sull’uomo per dedicarsi a lei.
La ragazza indietreggiò atterrita.
 
«Non mi intralciare…», le ordinò con una voce oltre tombale.
Sollevò una mano.
«… sottospecie di ratto», concluse.
 
Senritsu chiuse gli occhi atterrita.
Quella creatura aveva mollato un pugno… ma come mai non sentiva dolore?
 
Ebbe il coraggio di tornare ad osservare la situazione e vide con suo stupore che una figura davanti a lei l’aveva protetta.
 
«K-Kurapika!», esclamò.
Il Kuruta si era messo in mezzo appena l’avversario aveva sferrato il colpo e l’aveva ricevuto con tutta la potenza che era stata trasfusa nel suo braccio.
L’azione era stata abbastanza rapida e il biondo non si era concentrato abbastanza per rinforzare il corpo con il Nen.
 
Un rivolo di sangue gli uscì dal labbro inferiore, ma non si curò di quel particolare.
«Cerchi rogne?», fu la fredda domanda che pronunciò al nemico.
«Levati di mezzo», rispose l’altro ruggendo.
«Ti metterò a tacere una volta per tutte», disse prima di sparire.
Si materializzò dietro di lui e quest’ultimo venne colpito da una raffica di calci alla nuca che gli fecero perdere l’equilibrio.
Un colpo più violento lo fece sbalzare contro il muro. L’urto causò molte crepe sulla parete.
 
«Non ti permettere mai più di insultarla!», concluse.
«Kurapika, lascia stare! Andiamo via!», lo implorò Senritsu.
«Mi rifiuto. Doveva portarti rispetto», ribatté facendola arrossire.
«Fatevi da parte!», li avvertì Basho e in meno di cinque secondi tutti gli specchi furono spezzati.
Anche quella creatura svanì come previsto.
 
«Ma cos’hai fatto?», chiese stranito il capo.
«Ora ve lo spieghiamo».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«Leorio, non farlo! È una pazzia!», esclamò Gon.
«Tutte le cose che fa sono pazzie…», lo corresse Killua.
«Perché mai? Mi sono stufato!».
 
I tre stavano avendo una discussione a casa del moro. Quest’ultimo in particolare sembrava davvero preoccupato.
Aveva indossato un impermeabile ed era in procinto di uscire fuori.
 
«Mi volete impedire di andare da Kurapika?».
«Hai visto quanta pioggia c’è? È pericoloso!», spiegò Gon.
«E se andrai a casa sua, le guardie esterne ti sbatteranno fuori a calci», aggiunse Killua.
«Non possono permettersi: sono suo amico».
«Non c’entra. Tu non sei un mafioso e, se Kurapika sta affrontando in questo momento degli affari delicati, non può lasciarti entrare», ribatté lo Zaoldyeck.
«Ma non si tratta di “questo momento”! È da un po’ di giorni che non ci sta degnando di una telefonata», sbraitò.
«Hai capito che lavoro sta facendo? Dimenticati il Kurapika che spiega meglio di un’enciclopedia!».
«Mi sa che tu stai diventando più antipatico di lui».
«Non litigate!», ordinò Gon, «Sono sicuro che ha un buon motivo per non risponderci. Magari sta passando un brutto momento…».
«Devo sapere cosa sta succedendo!», insistette il più grande.
«Leorio, non ti intromettere. Non capisci che è pericoloso immischiarti nelle sue faccende?», gli domandò Killua.
A quel punto il moro sbuffò e con un veloce scatto spalancò la porta.
«Vado a casa sua», ripeté deciso.
«Aspetta! A questo punto sarebbe meglio se venissimo con te!», propose Gon.
«No, gli parlerò io. Non seguitemi», concluse abbandonando la stanza.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
«È così che stanno le cose?!», sbottò Light.
«Sì, sembra incredibile, lo so…», concordò il Kuruta.
Senritsu notò che aveva ancora le labbra insanguinate.
«Mi dispiace tanto…».
«Non è stata colpa tua», la rassicurò sorridendole. Poi si rivolse al capo: «Sta bene?».
«Niente di rotto, per fortuna… ma ho dolori dappertutto», rispose, «Chi diamine ci ha teso questa trappola?».
«Secondo me il suo collega non c’entra. Che motivo avrebbe per tradirla?», lo fece riflettere Basho.
«Lo so, ma su chi altro posso riporre i miei sospetti?».
 
Ad un tratto squillò il cellulare di Light.
Il signor Nostrade vide che la chiamata proveniva da casa sua.
 
«Pronto?».
«Finalmente riesco a contattarla!», proruppe una sua guardia del corpo.
Sentiva la sua voce parecchio distante e l’uomo non era tranquillo.
«D-Daiki, sei tu? Che succede?».
«È terribile! Non so come sia potuto accadere…».
«CHE COSA?».
«Capo… la nostra villa è…».
 
Non sentì più nulla: era caduta la linea.
«MALEDIZIONE!», tuonò.
«Cosa le ha detto?», chiese Kurapika.
«Niente, non ho capito una parola! Non c’è campo in questo dannato posto!».
«Ha almeno accennato a qualcosa?».
«Sì… alla villa. Era spaventato».
Tutti si alzarono immediatamente in piedi.
«Dice sul serio?», domandò Basho guardingo.
«Perché vi dovrei mentire?... Oddio, a casa c’è anche Neon!», si ricordò.
«Dobbiamo uscire da questo luogo!», affermò Senritsu.
«Chiunque ci abbia fatto un simile scherzo, ha voluto certamente distrarci per poter combinarne una delle sue», ipotizzò il Kuruta.
«Sì, muoviamoci! Questa storia non mi piace per niente!», concluse il capo.
 
Grazie alla catena della pressione di Kurapika individuarono l’uscita e si precipitarono fuori dall’edificio.
Furono subito investiti da una folata di vento e dalla pioggia.
Si moriva dal freddo e ad ognuno di loro cominciarono a battere i denti.
Era quasi impossibile camminare.
 
«Ehi…», emise all’improvviso Basho.
«Che c’è?», chiese Light.
«… Dov’è la nostra macchina?».
 
Tutti gettarono subito lo sguardo al parcheggio: la loro auto era sparita.
L’avevano di sicuro rubata.
 
 
 
Il piano era stato studiato bene.
Erano rimasti sotto la pioggia, infreddoliti e feriti, con un senso di impotenza che stava consumando lentamente il loro animo.
 
 
 
 
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Finalmente parla l’autrice:
 
Salve a tutti, carissimi.
La ritardataria ha aggiornato! ^^’
Non uccidetemi, per favore… *si ripara dai pomodori*
Questo capitolo ha superato in lunghezza tutti gli altri; le mie dita non si muovono più secondo la mia volontà. Il prossimo non sarà così…
Sapete che l’ho anche accorciato? xD In teoria si sarebbe dovuto concludere con i quattro sfortunati che tornavano alla villa, ma poi sarei arrivata alla cinquantesima pagina di Word…
Non ho potuto postarlo prima perché ho avuto un sacco di impedimenti; inoltre sono molto giù di morale.
A Settembre tutti ricominciano a lavorare… ed io non ne ho voglia! T_T
Quanto vorrei passare le giornate a scrivere… Lo farei anche a costo di ammalarmi!
Parliamo del capitolo.
Mi sento realizzata solo perché ho imparato a fare la “e” maiuscola accentata! *-*
Vi avevo detto che non sarebbe stato tutto così facile. Il Nen di Shijo è molto potente e per il mio nuovo personaggio ho in mente tante cose! È il mio preferito fra i quattro (mi piace addirittura più di Nakamura).
Attenzione, però: se scelgo un personaggio come antagonista, non significa che lo detesti.
Vi dico solo che ho sempre provato antipatia verso i protagonisti di un libro (sono strana, ahaha!). Forse è questo il motivo per cui adoro il tenebroso comportamento di Kurapika!
Ho passato intere nottate ad elaborare l’assurdo piano di Nakamura; non so neanche come abbia fatto il mio cervello a non scoppiare! :P
C’è stata molta azione. Mi sono inventata il potere della quinta catena di Kurapika, poiché Togashi è ancora impegnato a contare le pecorelle.
Sappiate che questa dura condizione potrebbe costargli molto cara…
I poteri Nen degli altri saranno spiegati in seguito (e se questa trappola vi è sembrata incredibile, non è ancora successo niente).
Basho ha avuto il suo momento di gloria in stile “Io sono leggenda”, ma ora i quattro sono rimasti senza la macchina…
Vi ricordo che Nakamura poteva assistere ad ogni loro peripezia!
E Leorio? Sta andando proprio nella villa dove è successo qualcosa di strano, eh? xD
Per gli scontri ho fatto un luuuungo ripasso delle tecniche Nen. Non ricordo così facilmente le cose…
Nell’illusione dove Kurapika ha creduto di parlare con Kuroro, ho scritto parecchi spoiler sul film Phantom Rouge (facendoli diventare melodrammatici).
Se non sapete chi è Pairo o se non siete a conoscenza della faccenda del mondo esterno, mi dispiace. Però negli avvertimenti ho scritto “Spoiler”, quindi sono giustificata! xD
Un consiglio: non dimenticatevi le parole che Kuroro ha detto sul Kuruta. Potrebbero non rivelarsi delle menzogne…
L’ultimissima cosa! Nel capitolo precedente i nomi di quei bambini pestiferi non erano stati scelti a caso. Ecco i significati…
Ichiro: primo figlio
Jiro: secondo
Masami e Masumi: nomi simili per le gemelle
Goro: quinto
 
Un grazie di cuore a:
♥ Chichi Zaoldyeck
♦ Crazyforever
♣ Faith Yoite (la scena che desideri sarà nel prossimo capitolo)
♠ FireFist23
♫ Hiroto49 (lo stesso vale per te con la scena di Leorio)
♪ M_Kurachan (ex Madara_Minato)
♥ Queen of the Night
♦ Raine93
♣ I lettori anonimi
♠ La gentile collaborazione di Hisoka. Mi ha permesso di usare questi simboli (♥♦♠)
 
Vi voglio bene. Una semplice recensione o una visitina mi fanno sempre tornare il sorriso sulle labbra! ^^
Grazie ancora e aspetto i vostri commenti.

 
 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«Come fai a non ricordarti quello che è successo?!».
 
«Chi sarebbe questo Kuroro?».
 
«Non so quale sia l’utilità delle sue catene. Se gli prendessi in prestito i poteri, potrei scoprirlo».
 
«Solo perché non mi aveva dato quello che volevo, le ho alzato le mani come un rozzo villano! Non posso perdonarmelo…».
 
«Mi dispiace… ma il suo collega è…».
 
«Non mi avete mai detto niente! Che razza di gruppo è il nostro?».
 
«È strano, ma… perché ho voglia di ammazzarlo?».
 
«Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. A volte chi sceglie di aiutare una persona, lo fa solo per i suoi biechi scopi… e può  rivelarsi un abile traditore».
 
«Kurapika… Sei stato tu?».
 
 
 
 
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Un bacione a tutti,
Scarlet Phantomhive.
 

 
  
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