In
ogni tempo saresti bella, in ogni tempo io ti amerei
Accidenti, quanti Finn conosco!
A
Jaime piaceva osservare Cersei mentre correva verso la giostra dei
cavalli: era
così minuta, nascosta da un vestito pieno di pizzi e
roselline che si sarebbe
volentieri strappata via, ma non si faceva problemi a cacciare
eventuali
“intrusi” dal suo cavallo preferito –
quello bianco con il crine dorato, il più
regale. Le era affezionata così tanto che un giorno Jaime le
chiese se le
avesse dato un nome e lei, con espressione fiera, aveva affermato che
era “il
cavallo della regina”, non aveva bisogno di un nome.
“Regina”:
le bambine che andavano a scuola con loro sognavano di diventare
principesse,
ma su quel punto Cersei era sicura, lei era una regina. Forse il motivo
era
elevarsi sopra tutte le sue compagne, ricordando al mondo di essere la
migliore.
Nei
loro giochi, Jaime doveva stare al suo fianco, scegliendo il cavallo
più vicino
e sguainando una spada di plastica. Lo chiamava “il suo
fidato cavaliere”,
appellandolo di tanto in tanto anche come Lancillotto.
«Perché?»
Cersei
aveva alzato le spalle. «È il più
famoso, quindi dev’essere anche il più
coraggioso. E poi amava Ginevra che era la regina e io sono la regina.
Tu mi
ami?»
Suonava
come un ordine, ma a Jaime non dispiaceva. «Sei la mia
regina» le rispondeva
divertito.
Poi,
al termine di ogni gioco, Cersei lo ricompensava con un leggero bacio
sulle
labbra rosse. Guardando i loro amici, Jaime non era sicuro che tra
fratelli ci
si scambiassero baci, ma in fondo nessuno di loro aveva una sorella
regina.
*****
I
preparativi per la partenza erano quasi ultimati, ma Jaime non aveva
ancora
intenzione di lasciare la sua casa; ogni volta che il suo sguardo
incontrava il
letto dove dormiva la sorella, ogni sicurezza veniva messa in dubbio e
lui non
poteva far altro che indugiare sulla soglia. Cersei era immersa nei
sogni –
sognava forse di sposare il re? – e pareva beata, avvolta in
quei capelli
dorati che tanto spesso gli aveva permesso di accarezzare.
Doveva
andarsene. Le navi di Drake sarebbero salpate presto e non aveva senso
rimuginare ancora su ciò che stava lasciando: era un inglese
e per
l’Inghilterra doveva combattere.
E doveva
andarsene. Rimanere ancorato a
sua sorella sarebbe stato infantile – e folle, tremendamente
folle – perché quella non era la vita
che voleva per
lei, fatta di nascondigli, di rancore verso una morale cristiana che
sarebbe
solo dovuta bruciare sul rogo.
Ma se
non parto saremo noi a bruciare.
Afferrò
il suo unico bagaglio e diede le spalle al passato –
finché quello non tornò,
doloroso e vivifico come solo quell’amore insensato sapeva
essere.
«Vai?»
Le
gambe di Jaime tremarono appena mentre si costringeva a restare
immobile sulla
soglia, a non guardare sua sorella negli occhi.
«Salperemo
questa mattina.»
«Jaime.»
Fu
inutile: bastò sentire uscire quel nome dalla bocca di
Cersei per farlo
voltare, per porlo di fronte a ciò che stava abbandonando
– forse per sempre.
Sì, la cosa migliore sarebbe stato lasciarsi per sempre.
Il
bel volto della sorella era attraversato dal sorriso di chi ne sapeva
più di
lui. «Torna presto.»
Jaime
sorrise a sua volta. «Lo farò.»
Restare
lontano sarebbe stato più semplice, ma a Jaime Lannister la
semplicità non
piaceva proprio.
Giuro
che lo farò.
*****
Il
treno rallentò non appena giunse nei pressi della stazione.
Jaime riusciva a
sentire il clangore delle rotaie nonostante i passeggeri che si
agitavano
intorno a lui, affacciato al finestrino per vedere, oltre la nube di
fumo, la
folla in attesa.
Dov’era
lei?
Si
fece spazio per raggiungere un secondo finestrino, sperando
così di trovare sua
sorella. Qualcuno era già cominciato a scendere, la sacca
sulla schiena, e
correva incontro ai parenti che non vedeva da mesi ormai; sotto la
pioggia
scrosciante si scambiavano baci, strette di mano, abbracci
più o meno lunghi come
l’eternità. Solo una ragazza aspettava
apparentemente senza alcuna fretta, in
piedi sotto un cartello che recitava “Lions Tea”;
Jaime la vide e un sorriso si
accese sul suo volto.
Tipico
di Cersei.
Sua
sorella non sarebbe corsa da lui, non avrebbe scavalcato famiglie
riunite e
madri in lacrime per raggiungerlo e stringerlo come non faceva da
tempo:
avrebbe continuato ad attendere, facendo attenzione a non bagnarsi i
capelli e
il cappotto, finché lui non le fosse apparso davanti. Lo
sguardo che vagava tra
i passanti, però, tradiva la sua apprensione.
Sorridendo
ancora, Jaime si sistemò il capello e afferrò il
borsone, unico passeggero
rimasto in quel treno per “casa”. Avrebbe potuto
recare la scritta “Londra”,
“Parigi” o “Edimburgo”, ma per
gli uomini che tornavano dalla Grande Guerra il
significato era uno solo.
Lentamente
il soldato scese dal treno e sotto la pioggia incontrò gli
occhi verdi della
sorella. Avrebbe potuto rischiare – qualcuno avrebbe notato
la palese
somiglianza tra loro? – ma la determinazione con cui Cersei
rimase immobile gli
fece capire.
Aspetterò.
Ho aspettato settimane, mesi,
sto aspettando da una vita. Aspetteremo di essere soli.
«Bentornato»
lo salutò Cersei con un sorriso beffardo –
“Hai visto? Sei tornato. Avevo
scommesso su di te. Ti amo. Corriamo a casa. Voglio baciarti ora e
tutte le
notti a venire.”
Jaime
sorrise allo stesso modo.
*****
Avvolta
da quel vestito di mussolina porpora e oro, i ricci capelli acconciati
con
eleganza, Cersei sembrava essere a proprio agio; agli occhi di chiunque
sarebbe
parsa una ragazza – una donna, ormai - di nobili natali e mai
nessuno avrebbe
potuto immaginare la sua ascesa dal basso, da una condizione che aveva
cercato
in tutti i modi di lasciarsi alle spalle.
«Come
mi trovi?»
Jaime
si avvicinò alla sorella, che osservava il proprio riflesso
attraverso il
lucido specchio verticale, e le scostò una ciocca di capelli
biondi dal collo.
«Bellissima» rispose, baciandole leggermente la
pelle scoperta. «Sarai perfetta
come dama di compagnia della regina.»
Lo
sguardo di Cersei incontrò quello del fratello un attimo
prima che lui la
voltasse e premesse le labbra contro le sue; gli cinse le spalle con le
braccia
per aggrapparsi a lui e Jaime la strinse a sé con
più forza, respirando il suo
respiro. Un rumore poco distante li fece sussultare, ma nella stanza
non c’era
nulla.
Cersei
interruppe il fratello prima che potesse riprendere a baciarla.
«Non qui, non
ora. Robert potrebbe arrivare in qualsiasi momento.»
«Me
ne sbatto, di quel Baratheon di merda. Se voglio baciarti, lo
farò.»
«Metteresti
a rischio tutto ciò che abbiamo fatto per arrivare fin
qui.» Questa volta la
spinta di Cersei fu più forte. «Non
perderò la mia nuova condizione per un
bacio.»
Sordo
alle sue parole, Jaime la strinse di nuovo, lasciando che lei si
divincolasse
per qualche secondo senza ottenere risultati. Fece scivolare una mano
sul suo
seno. «E per qualcos’altro?»
Forse
sua sorella mormorò un rifiuto, ma Jaime non lo
udì; riprese a baciarla,
determinato e percorso dall’adrenalina di poter essere
scoperti in qualsiasi
momento.
Ne
sarà valsa la pena.
*****
Cersei
Lannister non si arrendeva mai, neanche per un momento.
Era
Jaime quello debole.
Quello
che aveva passato le notti degli ultimi vent’anni –
da quando il grembo della
madre li aveva ospitati – rannicchiato accanto alla sorella,
le dita
intrecciate nelle sue; non vent’anni, forse dieci, forse un
po’ di più, erano
quelli in cui Jaime aveva smesso di chiudere occhio la notte. Cersei
dormiva
beata tra le sue braccia, con la scusa di avere troppa paura per
restare sola –
una scusa a cui Jaime non aveva mai creduto, e non capiva
perché suo padre
fingesse di non conoscere sua figlia – mentre lui fissava il
soffitto,
donandole di tanto in tanto casti baci sulla fronte e addormentandosi,
sfinito,
soltanto quando arrivava mattina.
La
consapevolezza di essere condannati all’Inferno non era
più terribile
dell’immagine di un unico giorno senza Cersei, ma nella
seconda metà della sua
vita – quando si era accorto che l’affetto che
provava per lei non era quello
di un fratello – aveva temuto di non essere ricambiato e quello era stato il suo inferno personale.
Finché
Cersei, una notte, non aveva spostato il volto per permettergli di
baciarle le
labbra.
La
recita dei bravi fratelli era andata avanti fino a quel giorno,
alternandosi a
notti di sincerità in cui i loro corpi si stringevano e
univano, tornando uno
solo come era stato fin dall’inizio. Poi, un mattino, la
guerra.
Se
ne parlava da anni ormai, ma quanto poteva essere considerata
realtà per due
persone che la vivevano ogni giorno, combattendo e perdendo contro i
propri
sentimenti?
Jaime
era sempre stato il fratello debole, così fu Cersei a dover
decidere. A
convincerlo a dormire in un albergo, lontano da una casa che ricordava
costantemente il loro legame di sangue; a lavarsi con cura, tagliare i
capelli
e vestirsi con gli abiti migliori, come avrebbe fatto lei; a portare
con sé un
contenitore piccolo e trasparente, ben nascosto nella tasca della
giacca.
La
guerra, era chiaro a entrambi, non li avrebbe mai riuniti: non si
trattava di
restare divisi per qualche giorno o qualche mese o qualche anno, ma per
tutta
la vita. E Cersei non aveva intenzione di vivere con il ricordo di un
fratello
che non avrebbe potuto rivedere.
Il
portiere diede loro le chiavi della camera numero tre, assicurando che
si
trattava della migliore dell’albergo.
«Vi
porterò il caffè, domattina» si era
offerto, e Jaime aveva annuito senza
neanche udirlo, perché la sua mente era lontana, concentrata
sulla mano che
teneva quella di Cersei davanti a qualcuno che non era loro.
Per
un giorno, agli occhi di una sola persona, erano stati due amanti.
Sarebbe
bastato per sempre.
*****
Jaime
si svegliò, trafelato. Si portò una mano alla
fronte per asciugare il sudore,
tossendo e rizzandosi a sedere sul letto.
Quel
sogno era stato così reale… Poteva sentire ancora
le sensazioni di paura e
angoscia, di sicurezza e dubbio, di ineluttabilità che lo
avevano attanagliato
in ogni momento del sogno. Sembrava passato così tanto
tempo, eppure erano solo
le sei del mattino e la sveglia non era ancora suonata. Si
guardò intorno,
ricordando dopo qualche secondo che sua sorella non dormiva nella sua
stanza.
Doveva
fumare, doveva fare qualcosa.
I
pensieri si raccolsero nella sua mente senza che glielo avesse
ordinato, mostrandogli
la maestosa nave di Francis Drake, gli appartamenti privati della
regina
Vittoria, il conflitto mondiale alle porte; aveva sognato anche di
essere un
cavaliere, come nei giochi che lui e Cersei facevano da piccoli, e che
Robert
Baratheon era il re. Sua sorella… sua sorella era la regina,
già – come poteva
essere altrimenti? Avevano fatto iniziare una guerra per nascondere il
loro
amore e poi… poi… Jaime non riusciva a ricordare
come finiva quella parte del
sogno.
«Cazzo…»
Affondò
la testa tra le mani, pensando che l’alcol della sera
precedente dove avergli
dato alla testa.
No, non
si tratta dell’alcol.
Se
davvero si era ridotto così per Cersei, aveva bisogno
d’aiuto. Nel frattempo,
poteva trovarlo in un pacchetto di sigarette e in un’altra
bottiglia di birra.
«Mi
distruggerai, Cersei…» sussurrò al
nulla, lieto che sua sorella non potesse
sentirlo.
Questa... cosa è stata "colpa" di Finn, che ha osato fare il compleanno in questi giorni. Non si fa, Finn, non si fa!
... come non si consegna un regalo di compleanno due giorni dopo, ma la mia puntualità è rinomata, ormai.
Allora! Cosa c'è da dire su questa storia?
È una sorta di spin-off della mia nuova long AU, Rabbit heart and Lion heart, ambientata ai giorni nostri; mi sono ispirata inconsciamente a Fallen di Lauren Kate - e dico "inconsciamente" perché me ne sono accorta solo mentre scrivevo la storia, ma è sempre giusto dare i dovuti crediti.
I prompt che l'hanno ispirata sono stati forniti dalla stessa Finn:
- giostra
- domande in sospeso (c'era davvero? Vabbè, facciamo che erano abbastanza implicite!)
- immagine
- tradimento
- Albergo ad ore (Herbert Pagani)
La prima scena si svolge in un tempo non ben definito, nel corso del '900; la seconda nel 1500, la terza al termine della Prima Guerra Mondiale, la quarta nel 1800 e la quinta durante la Seconda Guerra Mondiale. In ogni occasione, Jaime e Cersei sono inglesi, nonostante la mia storia AU (e quindi l'ultima scena) sia ambientata idealmente in America del Nord (non posso neanche parlare di Stati Uniti, avendo completamente stravolto la cartina dell'America, ma vabbè).
C'è altro da dire? Sicuramente, ma mi dimentico sempre qualcosa, quindi credo che finirò con l'augurare di nuovo (in ritardo) tanti auguri a Finn e con il chiedermi perché, da shipper Jaime/Brienne, finisca sempre a scrivere di Jaime/Cersei.
Ma in fondo la so, la risposta.
(No, mi dispiace, non è "Solo l'amore vero", ma "Mi piace l'angst")
(Come se con Jaime/Brienne non ci fosse abbastanza angst)
(Ma almeno Brienne lo ama)
(Basta, la chiudo qui)
Spero che la storia vi sia piaciuta!
Medusa, a Lannister