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Autore: _eco    08/09/2013    9 recensioni
[Post Mockingjay] [Everlak]
Peeta ha solo otto anni, ma pensa già che gli occhi di Katniss Everdeen siano i più belli che abbia mai visto.
[Questa storia partecipa alla Challenge Multifandom e Originali con il prompt #101 Occhi]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Negli occhi di lei.
[Peeta Mellark/Katniss Everdeen]
To Deb with love - ma LOL - <3
Katniss Everdeen ha l'andatura rapida di un furetto, soprattutto quando, al suono della campanella, si fionda fuori dalla classe e percorre a grandi passi il cortile, inoltrandosi poi nello stradone che conduce al Giacimento. Per questo Peeta Mellark, otto anni appena, grandi occhi azzurri e riccioli biondi che gli incorniciano il viso pieno e roseo, arriva in panetteria con il fiato corto, ogni volta. Per anticiparla.
Peeta Mellark sa che Katniss Everdeen, per imboccare lo stradone che porta al Giacimento, passa per il negozio di famiglia. Sa anche che, a differenza di tutti i suoi compagni di scuola, non si concede il lusso di gettare un’occhiata furtiva e sognante alla vetrina stracolma di dolcetti invitanti e ben glassati. Tuttavia, gli piace accucciarsi in un angolo della panetteria, affacciando la testa di tanto in tanto, nella continua speranza di scorgere la sua figura oltre la vetrina, a metà strada tra un muffin e una fetta di torta alle mele.
È un pomeriggio di fine Marzo. Il 23, per essere precisi: a fine giornata, Peeta si premurerà di controllare il calendario e accertarsene, perché vorrà ricordare alla perfezione la data del giorno in cui Katniss Everdeen ha lanciato più di una semplice occhiata alla vetrina della panetteria.
Peeta quasi ruzzola dentro il negozio, il respiro affannoso, ciocche scomposte di riccioli biondi sparsi un po’ a caso sulla fronte.
- Ti alleni per le gare di corsa, Petee? – gli intima suo fratello, ridacchiando divertito, un sacco di farina caricato sulle spalle ancora esili, da ragazzino.
- Sì. – biascica Peeta, lasciando cadere sul pavimento lo zainetto. – Così ti batterò di sicuro. –
Ma Peeta sarà secondo anche in quello. Secondo a suo fratello, al forte, rapido, scattante Koba Mellark. Non lento, non incapace, ma semplicemente secondo.
- Ci sono dei pasticcini appena sfornati sul bancone. Ce la fai a metterli in vetrina? –
Peeta non se lo fa ripetere due volte. Può lavorare, così da aiutare suo padre nella gestione della panetteria, e può anche starsene acquattato vicino alla vetrina.
Mentre dispone i pasticcini sulle mensole di legno, con un ordine che lascia già trasparire la sua vena artistica, getta lunghe e attente occhiate oltre la lastra di vetro lucido che lo separa dalla strada.
Sta per adagiare un muffin con gocce di cioccolato fondente su una carta da forno colorata, quando la scorge. Un’ombra che avanza rapida sulla strada, che si allunga in passi svelti. L’ombra di una bambina dalle trecce nere che scendono lungo le spalle magre.
Il petto di Peeta quasi esplode, quando la bambina rallenta il passo e si volta, come incantata dall’affascinante accozzaglia di colori  - glassa azzurra, verde, rosa acceso – che il ragazzino sta distribuendo con cura sulle mensole di legno, in bella vista.
Riesce a distinguere il gioco di luce che il sole si diverte a creare, riflettendosi nelle iridi grigie di Katniss.
Peeta ha solo otto anni, ma pensa già che gli occhi di Katniss Everdeen siano i più belli che abbia mai visto. Persino più di quelli di Tammy Hill. Non osa nemmeno immaginare cosa direbbe Joph, il suo migliore amico, se glielo confessasse, se gli dicesse di preferire gli occhi grigi di una del Giacimento a quelli azzurro cielo di Tammy Hill.
Perciò, custodisce questo piccolo segreto dentro di sé. Mentre Katniss, qualche metro più in là, nel bel mezzo dello stradone che conduce al Giacimento, rimane quasi ipnotizzata a fissare i dolcetti in vetrina, Peeta si domanda se si ricordi del pasticcino che le ha fatto trovare all’angolo del suo banco di scuola, qualche mese fa.
Vorrebbe uscire dalla panetteria e offrigliene un altro. Anche due. Tutti quelli che vuole. Ma c’è sua madre in negozio, e Peeta teme che possa accorgersene e impedirgli di continuare a lavorare vicino alla vetrina; e comunque, non è nemmeno tanto sicuro di avere il coraggio di percorrere i pochi metri che lo separano da Katniss senza arrossire o iniziare a balbettare – cosa insolita per uno come lui.
Si limita, dunque, ad agitare la mano in cenno di saluto.
Katniss sussulta, brutalmente sorpresa, quando il palmo ben aperto della signora Mellark si abbatte sulla guancia del suo compagno di classe, sulla pelle rosea – ora rosso pomodoro – del bambino che le ha regalato quel delizioso pasticcino a forma di stella.
È ancora troppo piccola per capire quale sia la genesi della morsa che le attanaglia lo stomaco, ma, a distanza di qualche anno, imparerà che c’è un modo per definire questa sensazione: senso di colpa.
Non ha nemmeno ricambiato il suo saluto. E deve sicuramente essere successo qualcosa di terribile perché la signora Mellark arrivasse a picchiare suo figlio.
Né sua madre né suo padre hanno mai alzato le mani su lei o Prim. Una sola volta, sua madre le ha dato una sculacciata per essersi nascosta quasi una giornata intera dietro il cespuglio di caprifoglio, nel Prato. Sulle prime, Katniss ha pensato che Helen Everdeen fosse la peggiore madre del mondo, ma poi, quando suo padre l’ha presa in disparte e le ha spiegato quanto la donna si fosse preoccupata per la sua scomparsa, ha capito e ha smesso di essere arrabbiata con lei.
Katniss Everdeen non sa, però, che a Peeta è bastato far cadere giù il vassoio di pasticcini per beccarsi uno schiaffo in pieno viso.
 
 
Peeta Mellark smette di piangere. E non perché si è ormai abituato al pizzico di mille pungiglioni che penetrano nella carne contemporaneamente; nemmeno perché si è rassegnato al fatto di non poter più dipingere.
Peeta Mellark smette di piangere nell’esatto istante in cui l’ultima goccia di veleno annienta il ricordo che più di tutti ha cercato di proteggere, che ha persino tentato di dimenticare lui stesso, pur di non vederlo alterare e falsare da quei mostruosi ibridi ronzanti.
Peeta Mellark smette di piangere quando anche l’ultimo brandello della sua Katniss viene spazzato via, quando la bambina dai grandi occhi grigi e le trecce corvine si maschera di un ghigno malvagio.
È colpa di Katniss se si è preso quella sberla in faccia. È colpa sua se sua madre l’ha odiato, quel giorno di fine Marzo.
 
 
Ogni tanto, capita che Katniss lo aiuti in panetteria, specie di primo mattino o a fine giornata, di ritorno da una battuta di caccia. Non impone più a se stessa di prendere un certo numero di prede. Anzi, non caccia quasi più. Non come faceva un tempo, almeno, quando quest’attività era solo un modo – l’unico modo – per nutrire la sua famiglia.
Adesso trascorre pomeriggi interi a passeggiare per i boschi, il passo felpato che si muove con una grazia che le appartiene solo quando si trova sotto una cupola di foglie e rami intrecciati fra loro, la faretra in spalla, più per il piacere di sentirla sbattere lievemente contro la schiena che per la reale esigenza di usufruirne. Di tanto in tanto, avvista uno scoiattolo che, furtivo, si arrampica da un albero all’altro. Allora si ricorda delle frecce, dell’arco, si ricorda dell’ebrezza che provava ogni volta che lo impugnava e sentiva di poter controllare qualcosa. Si ricorda anche che sino a qualche anno fa quello scoiattolo poteva essere uno dei pasti migliori che avrebbe potuto offrire a sua madre e a Prim.
Certamente, sa che adesso il frigorifero di casa sua è pieno di quel giusto indispensabile che le consente di non morire di fame. In più, quando Peeta viene a farle visita, quasi ogni sera, le porta sempre un pacchetto di focaccine al formaggio ancora calde, che lei ha sempre l’istinto di non divorare subito, quasi temesse di non poterne mangiare mai più. Allora, con una lieve carezza sul viso, Peeta le ricorda che non deve più preoccuparsi di questo. Di morire di fame.
Il sole splende nel cielo limpido e sembra divertirsi – come un tempo – a creare affascinanti giochi di luce con la vetrina della nuova panetteria.
Quando Peeta l’ha inaugurata, qualche tempo fa, si è quasi sorpreso di come quella palla di fuoco i cui raggi si riflettevano anche sulla vecchia vetrina sia rimasta uguale, di come abbia assistito, immutata, a tanti drastici cambiamenti.
Katniss è intenta a sistemare alcuni pasticcini sulle mensole di legno, con un’abilità sicuramente inferiore rispetto a quella del bambino che tempo addietro rimase a osservare mentre smistava piccoli tortini su fogli di carta colorata. Quasi sente lo sciocco del palmo solido della signora Mellark contro la guancia di un Peeta ancora bambino.
Peeta sta lucidando il bancone con un canovaccio umido, ma il movimento circolare che compie con il braccio diventa quasi automatico per lui, sebbene il marmo sia già splendente e ben pulito. È intento a osservare Katniss, che gli dà le spalle. Si sofferma sulle sue mani sottili, la pelle olivastra, che indugiano, incerte, su dove posizionare i singoli pasticcini. In lui nasce un moto di tenerezza mista ad affetto.
Scorge due luccichii che ad intermittenza risplendono sul vetro, messi in risalto dalla luce del sole. Vi riconosce le iridi grigie di Katniss.
Peeta ha quasi vent’anni, ormai,  e crede che gli occhi di Katniss Everdeen siano i più belli che abbia mai visto. Non ricorda, però, di averli ritenuti tali già all’età di otto anni – più belli persino di quelli di Tammy Hill. Il veleno degli aghi inseguitori ha annientato anche questo.
Non ebbe mai nemmeno il coraggio di confessarlo a Joph. Solo una volta ci andò vicino, quando borbottò qualcosa sul fatto che gli sarebbe piaciuto avere gli occhi grigi invece che azzurri.
Ma grigi ce li hanno quelli del Giacimento, gli rispose quello con un’evidente espressione di stizza in volto.
Lo so, annuì Peeta.
Katniss ripone in fretta un pasticcino sulla mensola, poi, la destra che assicura il vassoio tra il braccio e il petto, agita la mano sinistra con un lieve impaccio.
Sembra che stia salutando.
Sta salutando.
All’improvviso, nella mente di Peeta si fa strada il ricordo che più di tutti ha tentato di proteggere, quello che ha cercato di annullare da sé prima che gli aghi inseguitori lo scovassero. Arriva a lui velato da un’accecante patina arancione-dorata, che brilla, luccica e quasi lo stordisce. Vede il ghigno malvagio stampato sulle labbra sottili di Katniss, la scia crudele che attraversa i suoi occhi grigi, avverte la guancia destra avvampare, come se la mano di sua madre l’avesse colpita proprio un attimo fa.
Aldilà della vetrina, sul ciglio della strada, intravede una figura minuta avanzare a passi lenti e incerti verso la panetteria. Scorge l’avidità, il desiderio nei suoi grandi occhi chiari.
Peeta ha ormai imparato a distinguere i ricordi veri da quelli falsati, tuttavia non riesce a impedire a se stesso di dirlo.
- Non dovresti farlo. Non dovresti salutarla. Cadranno i pasticcini. La mamma si arrabbierà.  –
Non è Peeta a parlare. Non è nemmeno quell’essere depistato e alterato, ormai irrimediabilmente avvelenato dai pungiglioni degli aghi inseguitori, che si è insinuato a forza dentro di lui.
A parlare è il bambino di otto anni che si beccò uno schiaffo in pieno viso per aver fatto cadere un paio di pasticcini. Per aver salutato Katniss Everdeen oltre la vetrina della panetteria.
Katniss si volta e capisce subito che Peeta sta vedendo qualcosa che lei non riuscirà mai a guardare. Lo intuisce dai suoi occhi azzurri, velati da una cortina che, così come la vetrina separa loro dalla strada, divide lui dalla realtà che lo circonda. Ci mette un po’ per capire. Poi, come un sassolino che emerge in superficie, ecco affiorare il ricordo di un pomeriggio di Marzo.
Katniss si chiese a lungo perché mai la signora Mellark avesse schiaffeggiato Peeta a quel modo. Le mensole di legno le avevano impedito di veder ruzzolare per terra i pasticcini, e davvero non riusciva ad afferrare la ragione per cui Peeta si fosse beccato quel ceffone.
Per averla salutata? Be’, era possibile. Nessun bambino del villaggio faceva amicizia con un ragazzino del Giacimento.
Adesso capisce tutto, e si chiede come possa aver fatto a non pensarci prima.
I pasticcini! Peeta li fece cadere involontariamente per salutarla.
Katniss gli si avvicina a passo felpato, come fa quando deve catturare una preda. Gli sfiora un braccio con le dita lunghe e sottili.
- Non cadranno. – gli assicura. – E nessuno si arrabbierà. -
Si prende il tempo di cui ha bisogno, prima di aggiungere altro. Tira un sospiro rumoroso che le svuota i polmoni.
- Nessuno ti prenderà a schiaffi. – mormora a fior di labbra.
Si alza sulle punte dei piedi e posa un bacio leggero sulla fronte di Peeta.
Suo padre le ha insegnato che significa rispetto. E il rispetto è solo una delle tante sfumature dell’amore. Significa esserci, promettere di non andare via.
Spesso, quando era ancora vivo, Jillian Everdeen baciava Helen sulla fronte.
Peeta abbassa le palpebre e le tiene così per un paio di secondi. Katniss inizia a temere seriamente che possa mettersi a urlare, che possa rannicchiarsi su se stesso e darsi colpi in testa – come ha già fatto un paio di volte. –
Sì, teme anche che Peeta, così vicino a lei, possa farle del male.
Quando il ragazzo sbatte le palpebre più volte, così che le sue lunghe ciglia bionde s’incastrino fra loro, Katniss concede a se stessa di riprendere a respirare.
- Penso che le farebbe piacere assaggiarne uno. – ipotizza, indicando il vassoio mezzo pieno di pasticcini, che adesso è abbandonato sul bancone, accanto al canovaccio umido. – Alla bambina, laggiù. – chiarisce Katniss con un sorriso.
Peeta annuisce, ma nel suo sguardo c’è ancora qualcosa che sembra distaccarlo dalla realtà.
Katniss cerca di non curarsene. Qualche minuto, e Peeta tornerà quello di prima. È sempre così.
Si mette a scrutare con attenzione i pasticcini rimasti, poi ne prende uno fra le mani, le labbra che modellano un’espressione di pura sorpresa.
Avverte un tuffo al cuore, una strana, piacevole, quasi dolorosa fitta al petto.
- Una volta me ne facesti trovare uno uguale sul banco. Ricordi? – chiede tutto d’un fiato, mostrandogli il tortino a forma di stella.
Peeta sembra confuso e al contempo dispiaciuto. Vaga fra i ricordi, costringe se stesso a cercare anche tra quelli del Peeta depistato, quelli che luccicano in maniera accecante e che gli provocano continui tremiti alle mani. Ma non trova niente che abbia a che fare con un banco di scuola, con un pasticcino amorevolmente incartato e regalato anonimamente ad una bambina dalle trecce corvine.
Riesce soltanto a sentire il bruciore alla guancia destra.
- Non importa. – conclude Katniss, una nota di delusione mista a tenerezza nella voce. – Sappi solo che rientra nelle cose per cui non ti ho mai ringraziato. – dice poi, un’espressione colpevole negli occhi.
Peeta ha quasi vent’anni e pensa ancora che le iridi grigie di Katniss siano le più belle che abbia mai visto.
Anche se non ricorda di esserne stato certo già all’età di otto anni.
Anche se il suo lato depistato continua a ripetergli che è colpa di quella bambina dagli occhi cattivi se si è preso la sberla.
 
Quando Katniss esce dalla panetteria per dare alla loro piccola cliente il pasticcino a forma di stella, Peeta avverte una fitta al petto. Dolorosa in un modo che non gli dispiace.
La bambina strabuzza gli occhi al vedere il grazioso tortino e le iridi chiare iniziano a irradiare felicità, quando addenta la pasta morbida al cacao.
È un flash, un’immagine che va via ancor prima di presentarsi, ma Peeta riesce a coglierla in tutti i suoi particolari.
C’è una bambina dalle trecce scure, accucciata sulle scale del cortile scolastico, lo zaino mezzo sbrindellato accanto a lei, un pasticcino a forma di stella tra le sue mani magre.
C’è un guizzo di gioia che le attraversa lo sguardo. La prima cosa di cui Peeta si accorge è che quegli occhi grigi e grandi non hanno nulla a che fare con quelli pregni di crudeltà e cattiveria che gli aghi inseguitori si sono divertiti a costruire.

Angolo autrice:
Bene, non so da dove l'abbia tirata fuori.
So solo che amo i child!Everlak, e che, boh, Peeta depistato è l'amore e io lo adoro e Katniss è una brutta cattivona che lo fa soffrire.
No, ho sparato un mucchio di cavolate. Katniss, ti voglio bene. LOL
What?! D:
Okay, tornando seri. Ringrazio Deb - la dedica ci stava, altro che! - per aver seguito in diretta la stesura della shot.
E niente, questa potrebbe considerarsi il seguito - o il prequel? :o - della shot "Venti passi". Questo è il link:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2078077
Però se non la leggete non vi cambia la vita. Cioè, credo che capirete lo stesso LOL
Spero.
Vado.
Un abbraccio a chiunque abbia letto! <3
S.

 
  
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