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Autore: Cassandra Turner    09/09/2013    3 recensioni
[Questa fan fiction partecipa al Contest “Keep Calm and Ship Clato” indetto da Moustache sul forum di EFP].
Cato e Clove, gli spietati ragazzi del Distretto 2, assetati di sangue e desiderosi di arrecare onore e gloria al proprio Distretto: l'evoluzione del loro rapporto, da superiore a sottoposto a,infine, commilitoni. Compagni d'armi.
Dal testo:
'Lo tenne bloccato al suolo con il suo peso, il coltello pericolosamente vicino alla gola.
Lei adorava quell'arma.
Con uno scatto del polso aveva l'impressione di poter scagliare fulmini e saette: incanalava tutta l'energia nel polso e poi la rilasciava attraverso staffilate letali all'indirizzo di chiunque si trovasse sulla sua traiettoria.
Magico. Maledettamente pericoloso.'
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato, Clove, Katniss Everdeen
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'

impatto con il terreno sottostante fu talmente violento da toglierle il respiro. Il ragazzo del Distretto 11 le aveva prosciugato la vita con una pietra e ora il suo cuore si stava spegnendo  lentamente al centro del petto, come una candela che si consuma durante la notte più lunga e fredda del periodo invernale. Una notte senza luna né stelle: un buio infinito, spaventoso, nel quale si trascinavano le belve dagli occhi cremisi, bramose di sangue e carne con cui festeggiare l'ennesima notte nell'oscurità. Provò ad allungare una mano, ma questa sembrava il prolungamento di una statua di marmo che piange sangue e lacrime d'odio. Si ritrovò a tossire quella sostanza vischiosa dal sapore metallico. Rosso scarlatto. Rosso che deturpava il suo volto bianco, come un soldato spietato che abbatte i nemici, uno a uno, con un sorriso trionfante e lascivo sul volto ebbro di gioia e di una vittoria a lungo pregustata. 
‘Clove!’, l'urlo carico di dolore e ira la raggiunse nelle tenebre in cui stava lentamente sprofondando. Le fu vicino prim'ancora che si rendesse conto della sua presenza.
‘Clove’, stavolta il suo tono, rassegnato e arrochito dal tanto strepitare, la cullò dolcemente come la ninna nanna che sua madre soleva cantare quando i suoi occhi, scuri e cupi, facevano fatica a chiudersi. 'Eppure è così facile' pensò, mentre lottava con le ultime forze rimaste per non rimanere vittima dell'oblio che l'avrebbe trattenuta accanto a se da quel momento in poi. Spalancò la bocca per rispondere al ragazzo ma il sapore acre del sangue le impregnò la lingua, costringendola al silenzio. Si ordinò mentalmente di aprire gli occhi e ciò che vide la lasciò senza forze. Lo scontro con due proiettili, grigi come il cielo che s'incupisce all'arrivo della tempesta, le strapparono un brivido involontario. Gelo, marmo. 
Quegli occhi erano lo specchio di un'anima temprata da mille battaglie e dall'insopportabile fardello che gravava sulle spalle di un ragazzo maturato da poco. La bocca si piegò in una smorfia che Clove giurò di non aver mai visto assumere da quel ragazzo tanto arrogante e spietato. 
‘Resta con me’, sussurrò accecato dal dolore che gli serrava il petto in una morsa tremendamente soffocante. Clove lo conosceva abbastanza bene da dedurre che non fosse una disperata richiesta, bensì un ordine.
‘Stupida ragazzina, non provare ad abbandonarmi. Clove! Rispondi, te ne prego’. 
Un ciuffo biondo, imperlato di piccole goccioline di sudore, gli ricadde sulla fronte segnata da fatica e collera.

Clove guardò il cielo plumbeo che si stagliava alle spalle del ragazzo e pensò che, con quell'aria corrucciata e gli occhi minacciosi, sembrava tanto un angelo vendicatore. Era troppo stordita anche solo per parlare, così fece il primo gesto che le venne in mente. Le sue dita martoriate si sollevarono faticosamente, tremavano come le foglie sugli alberi al passaggio del vento. Tremavano come il suo cuore quando si rifiutava di guardare i suoi occhi, quasi come se temesse che avrebbe potuto inghiottirla in quel vortice grigio-azzurro, burrascoso come il mare inquieto che sguinzaglia le sue onde impetuose. Quelle onde la stavano affogando e strattonando verso uno scoglio che l'avrebbe privata per sempre della vista della luce del sole. Gli spostò con delicatezza il ciuffo dalla fronte facendo attenzione a non sfiorare la pelle ambrata e amante di quel sole tanto pericoloso. 
‘A-addio, comandante’ 
Non avrebbe pianto per lei; non ora che lei poteva vedere, comunque. Cercò disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi nel tentativo di non correre alla ricerca del gigante del Distretto 11 e trucidarlo con la lancia che scalpitava per profanare la sua carne che aveva osato sfidarlo. 
‘Ricordi, Clove? Era maggio e tu eri così piccola che sembrava stessi per frantumarti sotto il peso della spada...’

Le parole di Cato la riportarono indietro di una decina di anni e un mezzo sorriso, stanco, fece capolino sul suo volto. La sua mente si stava sforzando di ricordare per distrarla dal freddo alito della morte che le lambiva il collo con un ritmo calcolato e continuo. Sentiva il freddo strisciarle lungo la gola come un serpente di ghiaccio, il cui veleno è letale e potente come la Morte.

 

 

K

C'

 

era una bambina, adesso, al suo cospetto.

Lo scenario triste e melanconico dell'Arena lasciò il posto a un luogo acceso da colori e dalle grida dei ragazzi che si allenavano all'Accademia. Al compimento dei diciotto anni, un tributo maschio e un tributo femmina si sarebbe offerti per partecipare all'edizione annuale degli Hunger Games. I tributi del Distretto 2, i Favoriti, erano sin dagli otto anni rigorosamente chiamati al dovere e alla disciplina: in futuro sarebbero stati il motivo principale di orgoglio e fama per il Distretto.

Clove aveva sei anni: ancora troppo pochi perché potesse entrare a far parte dell'Accademia. Eppure, in quegli occhi così vivi e profondi s'intravedeva già la determinazione di chi non intendeva in alcun modo essere sottomesso. In punta di piedi spiava barcollando quel ragazzino biondo, dalla furia cieca, che brandiva una spada e colpiva il manichino, modulando a intervalli regolari la forza e la velocità. 
Era magnetico il suo modo di muoversi. 
A Clove ricordava tanto quell'ibrido che l'anno prima era stato inserito nell'Arena per fronteggiare gli ultimi tributi rimasti. 
Un incrocio fra un leone e una pantera: audace e temerario come un felino. 
Si muoveva agilmente, colpendo prima con una mano e poi con tutte e due, intraprendendo una danza ipnotica dalle cadenza misteriose ed esotiche. 
La testa del manichino volò a parecchi centimetri di distanza e Clove non riuscì a trattenere un gridolino di profonda ammirazione. 
Cercò di riparare al danno portandosi entrambe le mani alla bocca ma il ragazzino biondo come il grano si era già voltato e aveva guardato nella sua direzione. 
Pregò ai piedi di spostarsi ma essi parvero improvvisamente fatti di cemento armato. 
‘Chi sei? Che cosa ci fai qui?’,il tono arrogante che usò la disarmò per un attimo e accese in lei il grande desiderio di staccargli la testa come lui aveva fatto con il manichino. La violenza del pensiero che l'aveva colta le diede abbastanza coraggio da rispondere: ‘Il mio nome non è un affare che ti riguarda e poi,’ proseguì con tono freddo che poco si addiceva a una bambina ‘se speri di intimidirmi, ti sbagli di grosso.’ 
La collera che saettò nello sguardo di Cato lo resero ancora più simile all'ibrido che aveva popolato per tanti mesi i suoi incubi e i suoi sogni proibiti. 
Ferocia. Sangue. Morte. 
Le parole le ronzarono in testa come aghi inseguitori e si affievolirono quando il biondo rispose ancora più incollerito: ‘Non lo ripeterò ancora una volta, sciocca. Mi stavi spiando, è così?’
Gli occhi di Clove si ridussero fino a diventare due fessure che trasudavano una pura e sanguinolenta ostilità. 
‘Qualcuno ha problemi a gestire la rabbia’ lo canzonò con un sorrisetto beffardo, ‘...e per quanto mi riguarda, non ho bisogno di spiare qualcuno, soprattutto se il suddetto è più debole e meno abile di me nel maneggiare una spada.’
'Stavolta mi uccide sul serio', pensò continuando a tenere lo sguardo fisso nel suo in un chiaro atteggiamento di sfida. Cato si avvicinò, avvolto dall'aura di predatore, pronto a scattare e spezzare il collo alla sua preda con un solo gesto.

Si trovavano uno di fronte all'altra adesso. 
Lui svettava di parecchi centimetri e sovrastava con la sua altezza la figura minuta ma ugualmente agile della bambina. 
Contrariamente a tutte le aspettative, Cato le porse la spada.
‘Mostrami ciò che sai fare, se sei tanto brava come dici’. Il tono perentorio con cui lo disse non ammetteva repliche. 
Clove afferrò l'elsa della spada e si incamminarono fianco a fianco in religioso silenzio finché non si ritrovarono di fronte al manichino. 
Cato si fece da parte per permetterle di muoversi. 
La bambina sollevò la spada, ma il suo corpo vacillò sotto il peso dell'arma. Una risata mal trattenuta proveniente dalla sua sinistra la costrinse a mordersi il labbro inferiore per evitare che altro veleno fuoriuscisse dalla sua gola. 
Chiuse gli occhi e lasciò che gli altri sensi si abituassero al buio improvviso. 
Mosse diversi passi prima di arrestarsi, il respiro lento e regolare e un'espressione concentrata sul volto.

Se il biondo era feroce e pericoloso come una pantera, lei dai passi agili e dalla grazia quasi eterea sembrava un cobra cullato dal dolce suono di un incantatore. 
Colpiva con eleganza ma poca precisione i punti vitali e poi si ritraeva velocemente come se l'avversario inanimato potesse a sua volta attaccarla. 
Prima di avere il tempo di scagliarsi ancora una volta in avanti, una presa possente sul polso la costrinse a frenare il suo assalto. Riaprì gli occhi sorpresa e scocciata dall'interruzione e il peso della spada la costrinse a riabbassare di colpo il braccio. Il dolore che si propagò fino alla spalla, un po' per la spada e un po' per la presa ferrea del ragazzino, le strappò un gemito che non sfuggì alle orecchie del biondo.
‘Non male; ma hai ancora tanto da imparare, bambina’ proferì con lo spirito di felino che ancora gli ruggiva nel petto.
‘Non male?’ osservò scettica ‘e smettila di chiamarmi bambina o giuro che ti ritroverai un paio di coltelli conficcati nel cuore prima ancora che tu possa accorgertene!.’ Si liberò da lui con uno strattone e lo fissò con gli occhi scuri fiammeggianti di rabbia. 
Stavolta fu il ragazzo a sollevare il sopracciglio con evidente scetticismo: ‘Coltelli?’ e poi come se fosse sopraggiunta un'idea all'improvviso continuò: ‘Magari potresti allenarti con me finché non avrai l'età adatta per entrare all'Accademia.’
La proposta aleggiò nell'aria assieme alla diffidenza e a una certa tensione che metteva all'erta entrambi. 
‘Ci penserò.’ Il tono stranamente remissivo e calmo con cui rispose lo spiazzò per alcuni secondi e lo lasciò incredulo. 
Si ricompose in fretta e sibilò:’Ci penserò, comandante’
‘Comandante?’
‘Se dovrò insegnarti a combattere, dovrai chiamarmi comandante. D'ora in poi sarai sotto la mia guida, ragazzina.’
Clove annuì concitatamente; il giubilo che aveva provato quando il biondo le aveva proposto di essere il suo maestro e l'adrenalina che percorreva le sue vene, la stavano stordendo con una sensazione afrodisiaca che non aveva mai provato prima di allora.

Adrenalina. Scontri. Sangue.
‘Inoltre’, proseguì lui con tono di superiorità, ‘mi aspetto che tu segua alla lettera i miei ordini. Farò di te una macchina da guerra, degna del Distretto che un giorno dovrai rappresentare. Chiaro?’
Clove annuì di nuovo, le guance ancora arrossate per la fatica e i capelli scompigliati che le incorniciavano l'incarnato roseo e delicato, quasi inadatto a uno spirito tanto violento e irrequieto come il suo. 
Si rivolse a Cato con rispetto, accompagnato da una velata impazienza: -Quando si comincia?-
‘Domani. Stesso posto, stessa ora. Non tardare...’
‘Clove’,rispose prima che lui potesse domandarle il suo nome ‘Mi chiamo Clove.’ 
‘Cato.’ La guardò di rimando aspettando che dicesse qualcosa, ma lei si limitò a fare un cenno d'assenso, piuttosto ambiguo, come se avesse udito già tante altre volte il suo nome.
L'innaturale silenzio che calò poco dopo fu spezzato dal fragore dei passi di Cato che risuonò per tutto il cortile circostante.

 

k

 

L

a scena mutò di colpo.

 Cato era ancora accanto a lei, armato fino ai denti del suo malcelato distacco: trincerato dietro a una maschera che ne mutilava fastidiosamente i lineamenti.
Sentiva, al confine tra la vita e la morte, la leggera pressione che i polpastrelli del ragazzo stavano esercitando sulla sua carne scossa, sfinita dallo strazio e dall'agonia di una morte senza fine né inizio.

‘Non porterai mai onore al tuo Distretto.’
Il calcio la colpì in pieno volto e le fece perdere momentaneamente il contatto con la realtà. Indietreggiò di qualche passo, sempre barcollando, e la furia che covava nei meandri più inesplorati del suo animo divampò ancora una volta come un incendio.
Il labbro spaccato e malamente ridotto le doleva terribilmente, senza contare lo sforzo innaturale che i suoi muscoli stavano compiendo per permetterle di reggersi ancora sulle sue gambe. Erano passati circa sei anni dall'incontro con il furioso e prepotente ragazzo che la stava colpendo senza sosta in un combattimento che si protraeva, ormai, da ore. 
Brutus, il loro allenatore, li aveva congedati verso mezzodì. 
Cato la colpì al petto e la ragazzina pensò che fosse una belva, assetata di sangue e indomabile come i suoi occhi perennemente beffardi. Era cresciuto ancora di parecchi centimetri e la sua costituzione, forte e robusta, era in procinto di plasmarsi del tutto da lì a poco. 
Imbattibile e Violento. 
Un secondo pugno allo stomaco la fece accasciare su se stessa. Non gli avrebbe permesso mai di avere il controllo sul suo corpo e sulla sua mente.
Si slanciò di colpo con tutto il suo peso sul ragazzo, in modo da sbilanciarlo e acquistare attimi preziosi per raffinare la sua tattica nel corpo a corpo.
Caddero insieme rotolando sul prato, accanto all'Accademia.
Sollevò il braccio e sferrò un pugno all'altezza degli zigomi del ragazzo.
Prima che potesse rincarare la dose, il biondo le bloccò il polso. 
Lo scricchiolio che riempì l'aria fu in grado di gelare l'atmosfera attorno a loro, così diversi e così sorprendentemente simili. 
Clove ebbe l'impressione che il tempo stesse rallentando, ma il dolore era così straziante che la sua vista si oscurò di colpo. 
Avrebbe voluto urlare ma il respiro le si era mozzato in gola.
‘Stenditi, avanti.’
L'ordine del ragazzo le giunse ovattato, quasi fosse distato chilometri da dove si trovavano loro.
‘Mi hai spezzato il polso. Sei un idiota!’ 
La furia cieca le restituì i sensi. A volte sembrava che solo la collera potesse tenerla ancorata al Distretto, altrimenti la sua mente avrebbe potuto percorrere galassie e mondi per giorni.
‘L'ho sempre detto che sei una bambina perspicace! E poi, sbaglio o mi hai colpito in volto? Siamo pari, adesso.’ ribatté tranquillamente l'altro, giocherellando distrattamente con una ciocca della sua capigliatura bionda. 
‘Pari? Saremmo pari se ti rendessi incapace di procreare! Come ti è saltato in mente?’ sbottò e il tono stridulo che uscì dalle sue labbra le fece rimpiangere di aver aperto bocca.
‘Ti conviene andare in infermeria, soldatino’
Senza attendere la sua risposta la sollevò dal prato senza il minimo sforzo.

Passò un braccio attorno alla vita della ragazza e la sostenne finché non ebbe la certezza che non sarebbe crollata. 
Clove avanzò di qualche passo, da sola, ma la voce del ragazzo la costrinse a voltarsi nuovamente.
‘Non mi saluti, soldatino?’
Clove tese il braccio, quello sano, come lui le aveva insegnato tanto tempo addietro. Si batté la mano stretta a pungo sul cuore e un sorriso ironico le increspò le labbra screpolate, desiderose di acqua e refrigerio.
I legionari romani, le aveva spiegato Cato, avevano un saluto che consisteva nel battersi il pugno o la mano destra sul petto, quando ci si rivolgeva a un superiore.
Quel gesto continuava a ricordarle che doveva impegnarsi sempre più duramente se voleva raggiungere lo stesso livello di combattimento del biondo.
Sentiva le guance scottare per l'umiliazione e l'ira repressa.
‘Ti ucciderò prima o poi, Cato. è una promessa’
Tenne ostinatamente lo sguardo rivolto verso un punto indistinto alle spalle del ragazzo, evitando intenzionalmente quegli occhi di ghiaccio che ribollivano di fuoco.
‘Non se ti uccido io, prima.’ incrociò le braccia al petto, per nulla colpito dalla sfrontatezza della ragazzina.
La strana sensazione di possessione e repulsione lo investì un'altra volta; gli accadeva spesso ultimamente: il desiderio di farle del male e proteggerla nello stesso istante lo colpiva come una mandria di tori inferociti. 
Si scambiarono una strana occhiata, torva, entrambi volti a controllare la propria corazza. 
Rabbia. Sangue. Dolore. Desiderio di gloria e quell'onore che avrebbe potuto renderli immortali a tutti gli effetti. 
‘Vai’ sussurrò, sforzandosi di tenere a bada il suo tallone d'Achille.
Tempo prima, Brutus gli aveva rivelato che gli ascessi d'ira avrebbero potuto costargli cara la vita, un giorno. 
Un guerriero, per quanto valoroso e scaltro, aveva bisogno di saper dosare la sua forza e esercitare un ferreo controllo sulle proprie emozioni.
A volte Clove sembrava più abile di lui nel mascherare ciò che provava.
La ragazzina fece un cenno d'assenso e andò via rapidamente, lontano da lui e da quel fuoco che scaturiva quando si trovavano nella stessa stanza.
Prima o poi li avrebbe uccisi entrambi, di questo era sicura. 
Il sorriso folle sul volto della dodicenne era spaventoso quanto le gelida perversione e la determinazione che si annidavano nei suoi occhi, scuri e incredibilmente grandi.

 

 

k

 

 

Ricordi, Clovely (*) ?Il giorno della Mietitura?’

Clovely.
Aveva usato poche volte quel soprannome e tutte le volte per infliggerle umiliazione e ricordarle il suo ruolo da sottoposto. Stavolta il tono roco e privo di scherno la convinsero della sofferenza, quasi palpabile, del biondo.
Riuscì a sollevare gli angoli della bocca in un vago cenno d'assenso.
L'hovercraft era arrivato silenziosamente quel giorno di due settimane prima: il cielo si era oscurato all'improvviso e Cato e Clove l'avevano visto solcare i cieli con una rapidità sconcertante per un veicolo così grande. 
La luce aveva illuminato i loro volti per qualche istante prima di sparire al di là dell'Accademia. Avevano sorriso entrambi, complici. 
Cato si era alzato in piedi, il panorama che si estendeva a rotta di collo gli aveva sorriso di rimando. 
‘Ci siamo’, aveva detto, sfregando tra loro le mani.

‘È il momento che aspettavo da quando sono entrato all'Accademia. Quest'anno sarò io a ricoprire d'orgoglio il mio Distretto’
I suoi occhi grigio-azzurri si erano accesi e le pelle del volto scottava, quasi come se fosse febbricitante per l'emozione.
In seguito la sua risata cristallina riempì il silenzio di mille sfumature diverse.
‘Non essere così sicuro di vincere, Cato. Quando avrò diciotto anni riuscirò a oscurarti con i miei coltelli. Sempre che tu sia ancora in vita per goderti lo spettacolo.’
Si alzò a sua volta, con calma, e Cato ebbe il tempo di soffermarsi sulle forme tondeggianti della vita, sul seno appena accentuato e quei tratti femminili che si erano assottigliati con il passare del tempo.
La luce nei suoi occhi era rimasta invariata: folle e spietata.

‘È ora di andare, Clovely.’
La ragazza digrignò i denti per il fastidioso soprannome e si affrettò a seguirlo lungo il sentiero che avrebbe portato in piazza.
Altri ragazzi e ragazze si trovavano nello stesso luogo, stretti nei loro abiti più belli, i capelli ordinatamente pettinati e l'aria arrogante di chi ha la certezza assoluta di essere un Favorito. Il tempo sembrò dilatarsi mentre le labbra di colui che reggeva il microfono recitavano le parole che venivano udite ogni anno , come consuetudine, in onore degli Hunger Games. I giochi della fame. Spietati. Crudeli.
‘Prima le signore, ovviamente’
Le sue parole di dispersero nell'aria mentre il suo braccio vagava nella boccia di vetro tra i numerosi nomi ammucchiati tutti insieme. 
Lentamente sollevò la mano e tra le dita spuntò il nome di colei che avrebbe svolto la funzione di tributo per il secondo distretto di Panem.
Clove sentì molte ragazze trattenere bruscamente il fiato.
'Senza midollo' osservò, alzando gli occhi al cielo coperto di batuffoli bianchi come la neve. 
‘Clove Mitchell’ e poi ancora: ‘Vieni qui, cara!’
Nessuno fiatò;nessuno ad offrirsi al posto suo.
Il suo cuore si arrestò per un istante.
Non riuscì a trattenere un sorriso di pura gioia e ostentò la sua camminata sicura e altezzosa finché non fu arrivata sul palco. 
Finalmente si era presentata l'occasione per dimostrare a Cato di che pasta era fatta; avrebbe rispettato il giuramento una volta per tutte.
Si perse nei suoi folli piani e in quei sogni a occhi aperti che a volte ci danno l'impressione di poterli sfiorare con un dito.
Fu richiamata da un colpetto di tosse.
Si era a malapena accorta del ragazzo che le stava tendendo la mano. Cercò di darsi un contegno e si preparò allo scontro inevitabile con lo strato di ghiaccio dei suoi occhi. Sorrisero entrambi fiaccamente mentre le loro mani si sfioravano e poi si stringevano nella morsa letale di un alligatore.
L'increspatura diabolica sul volto di Cato costrinse il suo cuore a pompare il sangue più velocemente del normale nella sua cassa toracica. 
‘Che vinca il migliore, Clovely.’ sussurrò mentre il mondo attorno a loro andava in frantumi. 
‘Ci puoi giurare, comandante’ ammiccò lei di rimando allargando a dismisura un sorriso che di allegro aveva ben poco. 
S'incamminarono l'uno accanto all'altra in direzione opposta alle vite che si stavano lasciando alle spalle. Le loro dita si sfiorarono mentre il sole, tinto di rosso, si coricava dietro ai monti all'orizzonte.

k

L'

armatura del color dell'oro si adattava perfettamente al corpo di entrambi. Sguardo fiero e portamento arrogante di chi non conosce riposo né tantomeno pietà. Un combinato micidiale per i ragazzi del Distretto 2: pronti a spargere sangue in nome dell'onore che tanto andavano predicando.
Capitol City era un tripudio di colori, un caleidoscopio di novità e stranezze che si amalgamavano perfettamente ai suoi abitanti.
Gli occhi di tutti i presenti erano puntati sull'ultimo carro della fila: il Distretto 12. 
La ragazza e il ragazzo in fiamme. 
Clove si mosse a disagio sul carro accanto a lui; di rimando il ragazzo le intimò di continuare a sorridere e non mostrarsi infastidita. L'afa e la calca cominciavano a giocarle brutti scherzi e dovette costringersi a rimanere lucida perché il biondo non vedesse i primi segnali della stanchezza che la stava torturando.
‘Ricordati chi sei, Clovely: una guerriera.’ sibilò Cato con una punta di rabbia nella voce calma e limpida. La ragazza fece uno sforzo immenso per trattenersi dallo spintonarlo giù dal carro e brontolò: ‘Ci sto provando, dannazione. Ma il confetto biondo vestito di rosa da capo a piedi non aiuta di certo il mio povero stomaco!’
Clove giurò di averlo sentito ridacchiare ma il vociare che si levava dalla folla sovrastava qualsiasi altro suono.
‘Io trovo che sia... affascinante.’ Appunto.
Lo sbuffo irritato che le sfuggì non passò inosservato al ragazzo che colse l'occasione per rifilarle una gomitata.
‘Ahi. Certo, se ti piace il genere: sorriso accattivante e neuroni tenuti assieme da glitter e lip gloss.’
Il fastidio che aveva provato quando gli occhi di Cato si erano posati sulla ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi da cerbiatta le aveva ridotto lo stomaco alla dimensione di un pugno.

Strinse le mani in modo quasi convulsivo e piantò le unghie nei palmi per impedirsi di allungare una mano verso quella del ragazzo accanto a lei.
I cavalli che trainavano i carri si fermarono di botto e un uomo canuto dal completo nero, il Presidente Snow, cominciò il suo discorso di benvenuto ai tributi. 
‘Se sei gelosa, bastava dirlo, Clovely’sussurrò Cato in direzione della ragazza, attento a non farsi scoprire.
Quella arrossì di botto, sentiva le mani pruderle e la bestia dentro di lei si stava dibattendo per uscire allo scoperto.
Sorrise in modo forzato e ribatté serafica: ‘Vedremo se sarò gelosa quando vi avrò ucciso entrambi.’
Un'occhiata ammonitrice da parte del loro mentore, Cassius, li costrinse a mettere fine a quella discussione che di li a poco sarebbe degenerata. 
Puntarono lo sguardo sulla figura di Snow e attesero pazientemente che terminasse il suo discorso.

 

D

avanti ai suoi occhi i carri si stavano dissolvendo per lasciare spazio a una situazione differente. 
Quella era lei.
I lunghi capelli scuri erano tirati all'indietro e raccolti in una morbida crocchia, il lungo vestito arancione, invece, fasciava la sua figura esile ma energica.
Il corsetto era ampio davanti e stretto in vita, sembrava la corolla di un fiore che si schiude in primavera, di cui le api sono fatalmente attratte grazie al color ambrato che tanto ricorda il miele.
Glimmer; ecco come si chiamava la ragazza bionda dal quale Cato non riusciva a togliere gli occhi di dosso. 
Un prepotente moto di rabbia la travolse e fu costretta a sostenersi al ripiano di marmo della cucina per prevenire il rischio di un assassinio la notte prima dell'inizio dei Giochi. Tremava dalla collera e le sue dita si flettevano in modo spasmodico attorno ai bordi del ripiano.

Avrebbe ucciso prima lei; poco ma sicuro. E poi, sarebbe stato il turno della Ragazza in Fiamme che aveva ottenuto un punteggio migliore del suo durante le prove d'addestramento. Impensabile.
Ritrasse le dita dal ripiano e dopo essersi assicurata di aver scaricato tutta la rabbia, spostò lo sguardo sull'orologio da parete. 
Era mezzanotte passata e lei non riusciva a chiudere occhio, come del resto, supponeva, tutti i tributi: il vestito dell'intervista era ancora stretto attorno al suo corpo come una seconda pelle di tulle e petali di fiore, di cui ci si libera durante la muta.
Uno spostamento d'aria improvviso la fece sobbalzare.
‘Da quando ti spaventi per cosi poco, soldatino?’
Il cuore continuò a galoppare come un cavallo imbizzarrito.
‘Che ci fai ancora sveglio, Cato?’, gli domandò, la vocina petulante ridotta a un sussurro. 
‘Potrei farti la stessa domanda, Clove’ 
Clove. Nessuna inflessione nel tono della voce mentre pronunciava il suo nome.
‘Pensavo a casa. Intendo, ai miei fratelli e a quanto saranno orgogliosi di me quando farò ritorno.’ La sicurezza che trasudava da ogni poro era una trappola letale per uno sciocco e un'esaltazione estatica alla follia. 
Cato le si avvicinò e dopo averla agguantata per la mano, la stessa del polso che molti anni prima le aveva spezzato, la condusse al divano bianco al centro dell'immensa stanza. Si sedettero l'uno vicino all'altro, lungi dallo sfiorarsi accidentalmente o dal mostrare eventuali segni di cedimento. 
‘La nostra strategia, Clove, sarà la seguente: ci schiereremo con i ragazzi del Distretto 1 e del Distretto 4, siamo i Favoriti dopotutto. Molti avranno timore di noi e ciò ci permetterà di riportare un grosso vantaggio su di loro.’
Clove asserì poco convinta e con gli occhi ancora fissi nel vuoto gli domandò: ‘E la Ragazza in Fiamme? Non mi sembra il tipo che si fa intimidire.’
Cato si prese qualche minuto per formulare una risposa adeguata e soddisfacente: ‘La troveremo insieme. E una volta tolta di mezzo lei e gli altri Favoriti, ci batteremo per il nostro Distretto.’ 
Sorrisero entrambi, avvolti dalla penombra e dal sinistro silenzio che era calato su di loro. 
‘Sei davvero sicura che farai ritorno a casa?’ osservò ironicamente alludendo alla sua forza che lei di certo non poteva eguagliare. 
Lei captò il sottinteso e scattò con prontezza, stavolta occhi negli occhi: ‘Non mi fai paura. Né tu, né la bambolina bionda.’ 
Fece per alzarsi ma il biondo la strattonò fino a farla ricadere sul divano in mezzo ai cuscini. Aveva le narici dilatate e respirava affannosamente come se avesse corso. 
Sollevò una mano e Clove chiuse gli occhi di scatto, per la prima volta a corto di parole. Un fremito di paura le percorse la schiena.

Il ragazzo sciolse con lentezza agonizzante la crocchia e i capelli scuri si sparsero a raggiera a lambirle la schiena e le spalle.
Aprì gli occhi, stordita dal profumo di muschio e pioggia del ragazzo. Incatenò gli occhi ai suoi e di nuovo, a distanza di anni, quel grigio incantatore irretì il cobra indomito che giaceva dentro di lei.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo e il biondo continuava ad avvicinarsi, sempre di più, senza mai abbandonare il contatto visivo con i suoi occhi.
‘Vis et Honor’soffiò a un palmo dalle sue labbra.
Il respiro del biondo s'infranse sul viso di Clove, che sentì una vampata di calore affluirle su per le guance. 
‘Prima regola, soldatino’
Regola? Ma di cosa stava parlando?
‘Mai abbassare la guardia.’
Si sentì strattonare per i capelli e il secondo dopo la moquette del pavimento era incredibilmente vicina al suo viso.
Il sapore metallico del sangue le invase prontamente il palato e la lingua.
Si girò di scatto, infuriata, e rifilò a sorpresa un calcio sul polpaccio a colui che ghignava divertito.
Il sorriso si spense sulle sue labbra e lasciò posto a una vaga smorfia di dolore. 
Approfittando della momentanea distrazione del ragazzo, Clove si scagliò contro il suo petto brandendo un coltellino che aveva avuto modo di trovare nella cucina accessoriata come poche.
Lo tenne bloccato al suolo con il suo peso, il coltello pericolosamente vicino alla gola.
Lei adorava quell'arma.
Con uno scatto del polso aveva l'impressione di poter scagliare fulmini e saette: incanalava tutta l'energia nel polso e poi la rilasciava attraverso staffilate letali all'indirizzo di chiunque si trovasse sulla sua traiettoria.

Magico. Maledettamente pericoloso.
‘Ultimo desiderio?’ sibilò divertita all'orecchio di Cato.
Inaspettatamente il ragazzo scoppiò a ridere e la sua risata s'infranse sul collo di Clove. Tutte le sue terminazioni nervose erano in procinto di esplodere per la troppa adrenalina. Lasciò cadere il coltello rabbrividendo involontariamente; prima che potesse divincolarsi dalla presa del ragazzo, questi aveva già poggiato le labbra sulla pelle sensibile del collo.
Clove si ritrasse di scatto e fissò accigliata quegli occhi offuscati dalla stanchezza e dal desiderio; lui si alzò con la ragazza ancora seduta sul suo addome. 
‘Non avresti dovuto chiederlo, soldatino’
Si avvicinò sempre di più alle sue labbra, annullando quella distanza che negli ultimi giorni li aveva messi a dura prova. La distanza era stata incolmabile, ardua de debellare; una partita di scacchi senza vincitori né vinti che si protraeva in un'estenuante corsa contro il tempo. Con le labbra poggiate sulle sue, il profumo di muschio e terra bagnata che le riempiva i polmoni e la mano caldo del ragazzo tra i capelli, Clove pensava che comprendere i gesti del ragazzo era come cercare di decifrare un verso di una poesia che non aveva un significato preciso, ma mille; buttarsi a capofitto nell'ignoto con le guance arrossate e il cuore che scalpita. Era come il salto dallo strapiombo dritto nel mare.
‘Stringimi’mugolò lui sulle sue labbra. 
Clove non se lo fece ripetere e con le braccia tremanti per l'emozione circondò la vita del ragazzo in una morsa che tolse il respiro a entrambi.
Tanti ghirigori di fuoco circondavano la loro pelle a stretto contatto, sembravano brillare di luce propria e illuminare la tetra penombra in cui erano immersi. 
Si sentiva sospesa, come se una sottile cordicella la stesse tenendo sollevata al di sopra di Capitol City. Ciò che sentiva ogni qualvolta le labbra di Cato tracciavano una scia umida lungo la pelle, le facevano desiderare che non terminasse mai, quella lenta e squisita tortura. I respiri di entrambi si susseguivano a scatti, rapidi e traditori. Cato strinse tra le mani il volto della ragazza e lo spasmo che le suscitò quel contatto fu l'equivalente di un pugno alla bocca dello stomaco.

Il contatto tra le loro labbra si fece più ardito e le unghie di Clove si conficcarono con forza nelle braccia muscolose del ragazzo. Se le avessero chiesto il suo nome, Clove era certa che non avrebbe saputo rispondere con esattezza.
Il suo primo bacio aveva il sapore della pioggia, delle mille goccioline che crollano dal cielo con intensità sempre maggiore. Il suo primo bacio aveva il sapore del sangue.
Sale e ruggine. 
Cato le aveva morso un labbro, nel chiaro tentativo di marchiare la ragazza che stringeva con impeto al suo petto. 
Lei lo morse di rimando per dissuaderlo dal cercare di esercitare una qualsiasi forma di autorità sul suo corpo e sulla sua mente.
Non gliel'avrebbe mai permesso, al costo della sua stessa vita.
Lui la strinse maggiormente a sé, le ciglia lunghe che sfioravano gli zigomi della ragazza. Socrate diceva che il dolore e il piacere regnassero nell'uomo in periodi differenti ma che fosse pressoché impossibile separare l'uno dall'altro.
Baci e morsi si susseguivano come le scene di un film d'azione; violenti, possessivi, affamati. 
Si separarono poco dopo, entrambi arrossati e leggermente ansanti. 
I marchi sulla loro pelle erano pulsanti e ancora ben visibili al chiaro di luna.
Seguirono vari minuti di silenzio, in cui si ritrovarono stretti l'uno all'altra, troppo orgogliosi e sconvolti per proferir parola.
L'orologio a pendolo, che segnava le due, li colse in flagrante e li riscosse dai loro pensieri. Clove fu la prima ad alzarsi, seguita subito dopo dal ragazzo. 
‘Questo non cambia le cose. Se non morirai prima, sarò io ad ucciderti, Cato’
ripeté sibillina una volta che si furono separati. 
Il biondo sbuffò infastidito per l'ostinazione con cui la ragazza ribadiva le sue idee. Mentre percorreva a grandi falcate la distanza che lo separava dalla sua camera da letto, le urlò di rimando: ’Non se sarò prima io a ucciderti, Clovely.’
La ragazza voltò le spalle al punto in cui lui era stato risucchiato dall'oscurità e si abbassò per raccogliere da terra il coltello che le era sfuggito dalle mani.
Aveva bisogno di riposo se voleva vincere i settantaquattresimi Hunger Games.

K

‘C

 

love! Clo’
Cato non terminò mai il suo nome: la maschera di orrore in cui si era tramutato il volto della ragazza parlò chiaro per entrambi. 
Una freccia andò a ricongiungersi con la possente schiena del biondo.
Cato cadde ricurvo accanto a lei mentre la macchia di sangue si andava espandendo come le ramificazioni raccapriccianti di un albero interamente forgiato dal sangue. 
Alzarono gli occhi nella stessa direzione per vedere di sfuggita la Ragazza in Fiamme e la sua faretra che            sparivano nella foresta, tra gli enormi alberi e la vegetazione rigogliosa. 
Infine, aveva adempito al suo giuramento, si erano annientati a vicenda.
‘C-Cato...’sussurrò sfinita mentre il mondo si dissolveva come la rugiada che evapora il primo giorno della stagione più calda dell'anno.
Lui allungò un braccio, accostandolo a quello della bruna. Affiancarono gli avambracci scambiandosi una reciproca stretta al di sopra il polso. 
Un saluto gladiatorio, da pari.
‘Addio, commilitone’

Compagni d'armi.

Si spensero insieme, come le stelle più luminose del firmamento, unite e temprate dallo stesso ardore e fuoco vitale. Nell'Arena riecheggiò solo un rimbombo di cannone che designava non uno, ma due gladiatori.

 

 

 Fine.

 

 

 

 

 

 

(*) Clovely = Dall’inglese ‘lovely’ che sta a significare ‘delizioso’, ‘adorabile’. Cato usa questo soprannome per infastidire Clove, la quale è ben distante dal concetto di adorabile.

  
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