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Autore: FrankieEternity    09/09/2013    1 recensioni
Cristina è bellissima, intelligente, popolare, felicemente fidanzata con Davide, il rappresentante del Liceo che frequenta. Almeno, così credono insegnanti, parenti ed amici. In realtà, però, la giovane nasconde un segreto.
Luca è un ragazza goffo, timido e spesso imbronciato, che crede nei sogni e spera in un futuro più roseo. Anche lui conserva un segreto: è perdutamente innamorato di Cristina e sa di non avere speranze.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, FemSlash
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Segreti

 

Capitolo 1

 

Riguardava vecchie foto, trafitto da un abbacinante raggio di luce. Erano fotografie del primo anno di Liceo: i suoi compagni di classe sorridevano, ma le loro espressioni apparivano rigide, forzate. C'era Tommaso Monfelchi, quell'odioso ragazzo. Capelli ricci scuri, sguardo vuoto e quel ghigno arrogante sempre stampato sul volto. Quanto lo odiava. Non faceva che prenderlo in giro. C'era Rosaria Pizzo, la sua compagna di banco. Occhialuta, con la bocca stretta ed il naso ricurvo. Era bruttina, ma simpatica. Parlava spesso con lei; sempre meglio che essere escluso, dopotutto. Poi, vide sé stesso. Si chiamava Luca Marrone. Era un tipo poco sveglio, piuttosto riservato e timido. Portava gli occhiali, aveva i capelli e gli occhi scuri e aveva sempre la testa fra le nuvole. I suoi interessi erano differenti rispetto a quelli degli altri ragazzi. Tutti ad interessarsi di automobili, di calcio, di ragazze. A lui piaceva molto la musica rock e gli piacevano i manga, ovvero i fumetti giapponesi. E gli interessava un’unica ragazza, che era pure in classe con lui. Cristina Bianco.
Il solo nome gli dava i brividi. Era una ragazza dalla corporatura magra, dal viso luminoso e chiaro, dagli occhi cerulei e dai lunghi capelli biondi, mossi, che le arrivavano fino al seno. Era famosa. Tutti la conoscevano. Qualsiasi ragazzo impazziva per lei. D’altronde, come dare loro torto? Pareva fosse uscita da un libro di fiabe, era una principessa. Al primo Liceo si fidanzò con il fratello di Tommaso, Davide Monfelchi. Beh, Davide era il rappresentante d’Istituto ed era il ragazzo più bello e popolare della scuola. Il loro fidanzamento fu accolto dal Liceo Scientifico Catullo come un evento prevedibile, scontato, poco rivoluzionario. La gente famosa si fidanza con la gente famosa, si sa. Cristina diventò ancora più nota. Era sulla bocca di tutti, ragazze e ragazzi. La maggior parte delle ragazze provava invidia nei suoi confronti, poiché era di straordinaria bellezza e grazia ed era riuscita ad ottenere l’amore di un tipo meraviglioso. Davide era un ragazzo serio, ma nello stesso tempo socievole e divertente. Parlava con una voce pacata, gesticolava molto e s’intratteneva spesso ad intavolare discorsi con ragazze della scuola. Quando conversava con qualcuno, gli teneva addosso quei suoi occhi magnetici e quel rapporto visivo traeva in inganno svariate fanciulle, convinte di piacergli. Riceveva dichiarazioni d’amore, lettere e regali, senza un motivo particolare. Lui e Cristina sembravano una coppia perfetta. Tuttavia, la loro relazione durò solo sei mesi. Quando Davide si diplomò, Cristina aveva appena completato il primo anno e la loro storia era così intimamente correlata all’esperienza liceale che non valeva la pena continuasse. Almeno questo era ciò di cui Luca era fermamente convinto. Inoltre, era dell’idea che lei mentisse. Aveva sempre quell’aria vaga, quella posa artificiale e rigida, come se ogni suo gesto fosse innaturale e frutto di un proprio schema razionale, che non poteva essere tradito. Luca era attratto da ciò che Cristina diceva, ma soprattutto da ciò che le parole non potevano mostrare.
La sua sicurezza probabilmente celava un’insicurezza profonda. Il suo sguardo colmo di mistero era l’elemento che faceva comprendere le sue paure mai dichiarate. S’era innamorato della notte, dopotutto, di una ragazza di cui tutti credevano di saper tutto ma di cui, a dire il vero, si conosceva poco e niente. Giravano pettegolezzi assurdi su di lei: chi diceva fosse stata a letto con cinquanta ragazzi, chi sosteneva avesse il cancro, chi diceva che vivesse in una grande villa con piscina. Luca non sapeva a chi credere. Lei non parlava di sé stessa. Si limitava ad aderire al ruolo che altri avevano deciso per lei, quello della ragazza bellissima e brillante. Non era semplicemente intelligente, per lui. Era un genio, una persona che era condannata ad essere continuamente superiore agli altri. Sembrava sentirsi a suo agio nei panni della persona forte e determinata che dava l’idea di essere, ma Luca era convinto che si sentisse spesso sotto pressione. Cosa ne sapevano gli altri? Magari segretamente, nella sua camera buia, piangeva lacrime amare e sentiva la solitudine come un vero e proprio macigno nel petto. O forse queste erano solo assurde congetture. Magari era felice, amava sentirsi addosso gli sguardi altrui. Sapeva di essere una studentessa capace e di essere anche una donna meravigliosa. Sì, perché ormai era una donna. Aveva compiuto diciotto anni. Per Luca era entrata ufficialmente nel mondo delle persone adulte. Lui, invece, era ancora un diciassettenne, sfigato e senza speranze di poter far breccia nel suo cuore.
Luca era soltanto uno scrittore, un sognatore, uno che vive di fantasia e non di realtà. Scriveva di Cristina, del suo amore per lei mai svelato, tenuto egoisticamente per sé. Le dedicava frasi d’amore, illustrando i suoi pregi e mettendo in luce anche le sue piccole imperfezioni che la rendevano ancor più desiderabile. Aveva un paio di lentiggini sul viso, probabilmente anche a causa della sua carnagione, e le sue mani avevano una bella forma, ma non erano molto curate. Si vedeva che si dedicava alle faccende domestiche. Spesso Luca fantasticava su ciò, se la immaginava come una perfetta donna di casa. Era il suo uomo, nelle sue fantasticherie, colui al quale lei dedicava attenzioni, colui che stringeva e baciava. Cristina era la dama, la fanciulla dal cuore nobile e dall’aspetto angelico, colei che necessitava di essere protetta ed amata da un uomo vero. Per Luca essere uomo non significava essere virile. Significava essere intelligente, dolce, sensibile, emotivo, in grado di amare con tutto sé stesso. Un vero uomo era un poeta. Non che lui lo fosse, si sforzava a malapena d’essere uno scrittore. Ma la scrittura era da sempre il suo unico veicolo d’espressione. Alle elementari faticava a parlare con i suoi coetanei, aveva pochi amici ed era colmo di insicurezze. Era timido e s’imbarazzava per qualsiasi cosa, anche la più insignificante. Tuttavia, aveva un unico ed infallibile modo per comunicare: scrivendo. Scrivere lo faceva star bene, gli faceva vedere il mondo da un’altra prospettiva. Lasciava impressi su un foglio le sue idee e i suoi dubbi, le sue aspirazioni per il futuro. In effetti, se gli chiedevano cosa volesse fare da grande, lui rispondeva: << Voglio fare lo scrittore. >>

Lo diceva come se fosse naturale, come se in un mondo che s’avvia ineluttabilmente verso lo sfacelo avesse ancora senso narrare. Lui ci credeva e continuava a credere nel suo sogno. Non l’aveva mai detto ai suoi genitori, l’avrebbero preso per pazzo. Loro avevano una mentalità così chiusa e all’antica. Suo padre Salvatore faceva l’idraulico e aveva provato più e più volte ad insegnargli i trucchi del mestiere. Tuttavia, il figlio era un disastro. Era proprio negato. Ciò lo faceva imbestialire. Più e più volte imprecava contro di lui ma soprattutto contro la moglie, colpevolizzandola per avergli dato un unico figlio, strano ed incapace. Suo padre diceva che era una checca. Allora Luca pensava di esser nato nell’epoca sbagliata e nella famiglia sbagliata. Insomma, anche i suoi compagni di classe credevano fosse una checca. Luca non comprendeva il senso delle loro affermazioni. Insomma, soltanto perché era taciturno, perché era negato nelle attività pratiche e perché era una persona molto creativa doveva sentirsi dare del gay. Non aveva nulla contro gli omosessuali, ma non gli piaceva essere preso per ciò che non era. Insomma, ben venga l’amore. Siano due persone dello stesso sesso o di sesso diverso, Luca non aveva nulla in contrario. Ma lui era eterosessuale e si era sempre sentito attratto solo dalle donne. Non avrebbe mai potuto immaginare nulla di differente nella sua vita.
Sua madre Assunta era remissiva, completamente in balia di suo marito, al quale non riusciva in alcun modo ad opporsi. Subiva la sua aggressività in silenzio, senza alcun segno di resistenza. Spesso parlava a Luca con dolcezza. Gli diceva che avrebbe dovuto fare del suo meglio per accontentare suo padre.

"Che donna stupida" pensava lui. Insomma, invece di curarsi dei suoi bisogni, di ciò che era, voleva farlo assomigliare a suo padre?
"No, mai. Non sarò mai mio padre" si diceva il giovane. "Non sarò mai un essere bruto, rozzo, privo di spessore come lui."
Piuttosto, preferiva diventare di colpo omosessuale. Gli sarebbe piaciuto, dopotutto. Svegliarsi una mattina e di punto in bianco scoprire di essere innamorato di un ragazzo. Avrebbe potuto far sentire ancora peggio suo padre. Già odiava sé stesso per avere messo al mondo un figlio talmente fuori dalle righe, figuriamoci se fosse capitata una cosa simile. Magari il giovane avrebbe trovato il pretesto per scappare di casa e perdere qualsiasi contatto con la sua famiglia. Si sarebbe trasferito lontano, magari a Londra, a New York o a Tokyo. Tutte e tre le metropoli erano per lui affascinanti. Invece, dov’è che si trovava? In un paese di merda della provincia di Napoli. Il posto peggiore dove nascere, dopotutto. Ogni mattina era svegliato da una puzza nauseabonda di bruciato. Non era come una casa nella quale d’improvviso scoppia un incendio o come un bosco i cui alberi bruciano. Erano rifiuti bruciati. Sui giornali li chiamavano roghi tossici. Che schifo dover respirare ogni giorno aria di merda. Per non parlare della gente del suo paese. Era una massa informe di individui senza un obiettivo nella vita. Una serie di falliti raggruppati in unico paesino. A Napoli già si viveva meglio, Luca ne era convinto. Ogni tanto ci andava con qualche amico, quei pochi che aveva. Gli piaceva camminare in quel vero e proprio museo a cielo aperto, seppur mal curato. Gli piacevano i grandi negozi e l’aria di città. Sapeva di poter essere, almeno in parte, stimolato da quell’ambiente. Le persone erano molto più cordiali e affidabili. Luca era nato a Napoli, ma cresciuto nel suo paese senza significato. A Napoli c’era la sua casa e forse anche la sua anima. Cristina aveva vissuto un paio d’anni a Napoli, anche se era originaria di Roma. Infatti, s’esprimeva in maniera differente dal resto dei compagni. Sua madre era di Roma e le aveva insegnato il romano. Lo sapeva parlare perfettamente. Tuttavia, quando parlava in italiano, sembrava non esserci in lei alcun influsso dialettale. Forse aveva studiato dizione. Magari in futuro sarebbe diventata una perfetta doppiatrice, chi lo sa. La vita è imprevedibile.

Luca era ancora chino ad osservare quelle fotografie di quattro anni prima. Lì avevano tutti ancora il volto innocente proprio dei bambini e l’espressione disorientata. Nella foto, era venuto malissimo. Sembrava che il suo viso fosse quadrato, anche se ciò non corrispondeva al vero, i suoi occhi erano spenti, privi di entusiasmo. Richiuse le fotografie in un cassetto e si sdraiò sul letto. Erano le sei del pomeriggio, ma era già buio. Maledetto inverno! Chiuse gli occhi per qualche istante, ripensando a Cristina. Rivide la sua pelle nivea ed immaginò i suoi ricci scossi dal vento. Era una bellissima immagine. Lei che tanto somigliava ad una fata, o forse ad un essere soprannaturale, che stava al freddo e si lasciava tormentare dalla furia del vento impetuoso. Sembrava non temere nulla. Sembrava avere sempre tutto sotto controllo. Luca s’addormentò, stretto nella sua felpa, deliziato da quelle visioni vivaci e dolci.

***

Il giardino era immenso e pieno di fiori. Cristina lo osservava dalla finestra della sua camera, chiedendosi quand’è che l’avrebbero fatta uscire. I suoi genitori erano troppo apprensivi.
<< Con quel freddo >> le dicevano, << la tua pelle si rovinerà. Evita di uscire, se non per necessità. >>
Ma Cristina voleva uscire. Non ne poteva più di star rinchiusa lì, seppur in quella dimora ampia ed accogliente. Anche la sua stanza era grande, ma lo spazio sembrava restringersi, chissà per quale assurdo motivo. Forse perché aveva riempito la parete di poster, o forse perché c’erano cianfrusaglie ovunque. Qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, poteva ottenerla e racchiuderla in quel suo pezzo di mondo. Chiunque avrebbe detto fosse una ragazza fortunata. Forse materialmente non le mancava nulla. La sua stanza, così come l’intera casa, era piena di oggetti, ma sembrava non avere un’anima. Lei stessa, ce l’aveva, l’anima? Forse sì, ma non la mostrava a tutti. Si limitava ad aderire all’immagine che suo padre aveva costruito per sé stessa. Lui la chiamava "principessa". L’aveva sempre definita così, sin da bambina. Gli piaceva accarezzare i suoi boccoli biondi e sorriderle dolcemente. Era come se l’amasse. O, meglio, amava quel che c’era di costruito in lei. Ma cosa ne sapeva lui? Cristina era inquieta. Le sembrava di impazzire, non poteva mai mostrare le sue debolezze. A volte pensava che sarebbe morta. Così, d’improvviso. Pensava che tenere dentro troppe emozioni l’avrebbe uccisa. A livello metaforico, probabilmente ciò sembrava già in atto. Era come se procedesse lungo un cammino verso il buio, e ne fosse consapevole. L’oscurità l’avrebbe traviata ed assorbita. Cosa ne sarebbe stato dei suoi ricci biondi e della sua pelle vellutata?

A scuola la vedevano come un’eroina. Era la prima negli studi, la prima in bellezza, la prima in simpatia, la prima in eleganza. Che strazio dover essere sempre la prima! Avrebbe voluto fallire di proposito, ma non poteva. Tutti avevano delle aspettative nei suoi confronti. Gli insegnanti s’aspettavano che fosse la guida della sua classe, che fosse una studentessa modello, la migliore dell’Istituto. I suoi compagni di classe sembravano fissarla in ogni suo gesto. I suoi genitori volevano che fosse la ragazza femminile, aggraziata, intelligente e tenera, così com’era da bambina. Non poteva rilassarsi un attimo, era come se non respirasse mai sul serio. Ogni azione compiuta era ben ponderata. Per non parlare del suo comportamento con i ragazzi. Doveva fingere di provarci con tutti e con nessuno. Doveva fare sorrisi falsi, solo per compiacerli. Doveva accarezzarsi i capelli per simulare interesse nei loro confronti. Doveva dare loro baci sulla guancia per mandarli in confusione. Inoltre, doveva essere il punto di riferimento delle sue compagne di classe. Tutte dovevano guardarla ammirate e sentirsi in soggezione quando rivolgeva loro la parola.
Se Denise non fosse mai esistita nella sua vita, sarebbe morta davvero. L’aveva salvata, facendo emergere la reale parte di sé. Almeno, quando erano sole, Cristina poteva comportarsi in modo naturale. Denise era un’amica, una sorella, di più. Il cavaliere che l’aveva liberata. Un padre, una madre, una sorella. Era tante cose messe insieme, difficile definirla. Con i suoi occhi cristallini pieni di brio le aveva ricordato quanto valesse la pena vivere e, soprattutto, essere sé stessa. Cristina non era ancora pronta a mostrare completamente il suo io, ma sapeva che la presenza di Denise nella sua vita era un bene. Spesso pensava al suicidio. Si diceva che sarebbe stato meglio lasciar tutto, abbandonare quella vita che non desiderava, liberarsi di ogni responsabilità. Qualche volta aveva tentato davvero il suicidio, ma poi aveva riflettuto e aveva abbandonato l’idea. Nonostante la pesantezza dell’esistenza, riusciva a trovare ancora qualcosa per la quale il suo cuore potesse continuare a battere. Pensava a Denise, quando si sentiva sconvolta e senza forze. Spesso la telefonava e lei accorreva. La consolava, la teneva stretta e le permetteva di sfogarsi. Cristina si sentiva una bambina, un essere privo di forze e totalmente sbagliato. Ma Denise continuava a stringerla e la esortava a dire la verità ai suoi compagni di classe. Non c’era cosa più giusta. Doveva iniziare a non aver paura di ciò che era realmente. Ma si limitava a tacere e ad ascoltare, non ribatteva a quelle parole. Le passava una mano fra i capelli nerissimi e corti e singhiozzava. Avrebbe voluto essere brutta e stupida, vivere una vita mediocre come tante altre persone. A quest’ora, forse sarebbe felice. Si accontenterebbe di poco per vivere. Invece no, era insoddisfatta. Non faceva che tormentarsi e maledirsi, perché non riusciva a trovare il coraggio di esternare il suo lato debole alla moltitudine di persone che conosceva.

Per adesso si accontentava di Denise. Era il suo angelo custode e lo sarebbe stata ancora per molto. Cristina ne era convinta. Se l’avesse lasciata sola, sarebbe finita in manicomio o sarebbe scappata di casa.

Continuava a guardare il paesaggio fuori la finestra, conscia del tedio delle sue giornate. E se fosse uscita di nascosto? Dopotutto, la loro abitazione era al piano terra, era facile calarsi giù dalla finestra.

Valutò per un paio di secondi l’idea e non le sembrò poi così male. Si diresse all’enorme specchio fisso al muro di fronte al letto e si ravviò i capelli. Poi si truccò in fretta e furia, ma con grande maestria. Ormai era abituata a truccarsi, per lei era semplice come bere un bicchier d’acqua o accendersi una sigaretta. Agguantò il cellulare e se lo mise in tasca, dopo di che lasciò l’abitazione nella modalità sulla quale aveva riflettuto in precedenza. Si rivelò un’operazione molto semplice, che concluse in pochi secondi. Il problema era non far notare che era uscita di nascosto. Bel guaio, direi. Ma lei riuscì ugualmente a non essere vista e percorse una delle strade principali del suo paese. Non incrociò nessuno che conoscesse e ne fu felice. Sembrava che il freddo distogliesse numerose persone dal proposito di uscire. Si fermò ad un bar, entrando senza prestare attenzione a ciò che la circondava. Si recò alla cassa ed ordinò un caffè macchiato. Dio solo sa quanto amasse il caffè! Il barista gli lanciò qualche occhiata, mentre lo preparava.

<< Buon pomeriggio, signorina >> disse con dolcezza, << ecco il suo caffè. >>

Glielo porse, abbozzando un sorriso. Aveva i capelli unti, probabilmente non li lavava da giorni. Nonostante questo piccolo particolare, poteva essere definito un bel ragazzo. Era scuro di carnagione e aveva dei lineamenti molto delicati. Mentre Cristina apriva la sua bustina di zucchero e la versava nella tazzina, il ragazzo ricominciò a parlare.
<< Com’è che ti chiami? >> fece.
<< Cristina. >>
Di solito mentiva sul suo nome, non le piaceva rivelare la sua identità a sconosciuti che, come al solito, ci provavano spudoratamente con lei. Purtroppo, però, ormai si era lasciata sfuggire quella parola e non c’era modo di rimediare. Si maledì, mentre girava il caffè con il cucchiaino che le era stato fornito.
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< Io mi chiamo Massimiliano, per gli amici Max >> spiegò, << lavoro in questo bar da una settimana, più o meno. Vieni spesso qui? >>
<< È il primo bar che ho trovato e mi ci sono fermata. Mi andava di bere un caffè, tutto qui. >>

Parlò con tono piuttosto scortese, non le andava affatto di mostrarsi gentile. Insomma, ogni occasione era buona per attaccare bottone con lei. Si era stufata. Era di malumore e voleva solo bere il suo caffè senza essere disturbata. Tuttavia, Max non era stato maleducato con lei, per questo non poteva mandarlo a quel paese senza motivo.
<< Capisco. >>

Cristina finì di sorseggiare il suo caffè e posò la tazza sul piattino. Stava per voltarsi, ma lui ricominciò a chiacchierare.

<< Senti, abiti nei paraggi? Come ti sembra il posto? Io, in realtà, sono di Napoli ma ho trovato lavoro qui. Con questa crisi è difficile trovare un impiego, persino in città. Per fortuna mio zio è di qui e mi ha saputo indirizzare. Attualmente vivo da lui, mi trovo abbastanza bene. Mi sembra un paese tranquillo. Tu che ne dici? >>

L’aveva riempita di frasi inutili e di domande, l’una dopo l’altra.

"Che scocciatura" pensò, ma doveva pur dirgli qualcosa. Qualsiasi cosa, purché gli desse una risposta prima di andarsene. Optò per una frase secca.

<< Vivo qui, ma questo posto mi fa schifo. >>

Poi aggiunse, recandosi verso la porta:

<< Arrivederci. >>

***

Camminava svelto per i corridoi della scuola, con un quaderno sottobraccio, dove di solito scriveva poesie e frasi per Cristina. Gli si avvicinò Tommaso, guardingo. Aveva un’espressione strana dipinta sul volto.

<< Ehi! >> esclamò.

<< C-cosa vuoi? >>

<< Devo confessarti una cosa. >>

Parlò a voce bassa, ma c’era un pizzico di allegria in quella frase. Luca la notò e, chissà per quale assurdo motivo, iniziò a preoccuparsi.

<< Ci sono riuscito, alla fine. Cristina è mia. Ci siamo fidanzati ieri. >>

L’occhialuto si sentì sprofondare. Era come se qualcosa stesse penetrando nel suo stomaco e gli stesse facendo fuoriuscire tutto. Respirò a fatica e si sentì sudato. Quando aprì gli occhi, si chiese per un momento se fosse vero. Poi si ricordò che l’evento era stato creato dalla sua stessa mente, durante il sonno.

Durante l’intervallo, tentò di evitare lo sguardo di Tommaso. Dopo quella sorta di incubo, nutriva ancor di più antipatia nei suoi confronti. Tuttavia, lo vedeva sempre accanto a Cristina. Lei, inoltre, sembrava fargli di tanto in tanto gli occhi dolci. Che strazio, doverli vedere insieme. Non era giusto. La ragazza più bella della classe, anzi, della scuola, con il più stronzo della scuola. Tutto questo non era affatto ciò che auspicava. D’un tratto, Tommaso si avvicinò al suo banco. Rosaria, la sua compagna di banco, sbuffò.

<< Eccolo che arriva >> lo avvisò, << sembra ancor più determinato a renderci la vita un inferno, a quanto pare. >>

<< Salve! >> li salutò entrambi, con l’aria di chi ha voglia di disturbare. Fu subito seguito da Cristina, che lo teneva per mano. Luca notò quell’insolito gesto e iniziò a farsi domande su domande.

E se non fosse stato un sogno? No, non aveva senso. Mai Tommaso gli si sarebbe avvicinato per raccontargli una cosa simile. Insomma, lui amava soltanto dargli fastidio. Era solo un bullo. Che motivo aveva di dirgli che era riuscito a conquistare Cristina? Erano solo pensieri assurdi e privi di logica, probabilmente. La sua passione per Cristina lo stava facendo ammattire.

<< Vediamo, vediamo, chi abbiamo qui? >> esclamò, << la coppia più bella dell’anno: Rosaria e Luca. Ragazzi, fate un applauso ai nostri cari compagni di classe! >>

Cristina fu la prima ad applaudire, seguita dagli altri. Si sentì un fragore senza precedenti, c’era chi urlava, chi fischiava, chi applaudiva più forte che poteva. D’altronde, chiunque avrebbe fatto ciò che facevano Cristina e Tommaso. Erano i personaggi di spicco della classe. Ciascuno li guardava con sospetto e con ammirazione al tempo stesso.

<< Quand’è previsto il vostro matrimonio? >> domandò Tommaso.

Né Luca né Rosaria risposero. Pensavano che trattarlo con indifferenza l’avrebbe fatto prima o poi allontanare, ma si sbagliavano.

<< Come siamo maleducati quest’oggi! >> fece, tra una risata e l’altra, << cosa c’è? Problemi di coppia? Oppure, vi siete lasciati? No, vi prego, ditemi che non è vero. Siete troppo carini insieme! >>

Luca strinse forte i pugni. Avrebbe voluto picchiarlo, tuttavia tacque. Sapeva che, se avesse parlato, gli si sarebbe rivolto in modo molto violento e Tommaso era un tipo aggressivo, che avrebbe potuto reagire anche con la forza. Rosaria, però, non riuscì a trattenersi.

<< Vai via, sei ridicolo >> disse a denti stretti.

Calò il silenzio, ma soltanto per qualche secondo. Era come se Tommaso non avesse voluto credere alle sue orecchie. Gli sembrava un insulto lasciarsi dire quelle cose.

<< Cosa hai detto, racchia di merda?! >> urlò.

<< Devi andartene, coglione. >>

<< Ha ragione >> commentò Luca, cercando di mantenere la calma, << faresti meglio a lasciarci in pace. Non sei il benvenuto, qui. >>

L’espressione di Tommaso mutò: il suo volto si fece paonazzo ed il suo sguardo assunse un tocco di perfidia. Per un momento, Luca si spaventò a morte. Pensava che lo avrebbe menato e tremava solo all’idea, ma poi lo sentì ridere. Con quel ghigno beffardo aveva voluto trasmettere tutto il suo disappunto.

<< Insomma, una cessa e una checca osano parlare male di me. Siete gli esseri viventi peggiori su questo pianeta, dovreste vergognarvi. Anche Dio ride di voi. Siete due scherzi della Natura. >> osservò. Poi si avvicinò a Luca e lo strattonò.

<< Tu! >> tuonò, << sei solo un frocio rottoinculo. Lo so che ti piace succhiarlo, razza di checca malriuscita. Perché tu e la tua amichetta cessa non moderate i toni, eh?! >>

<< Lascialo stare. >>

Fu Cristina a parlare.

<< Non usare più queste parole contro di lui, sono offensive. Non è bello sentirsele dire. >>

Luca non credeva alle sue orecchie. Lo stava difendendo per davvero? Cristina aveva assunto un’aria seria e severa al tempo stesso, sembrava come una vera paladina della giustizia. Era la prima volta in quasi cinque anni che si schierava contro Tommaso così apertamente. Non sembrava reale. Questo sì che era un sogno!

Tommaso capì di aver esagerato e lasciò perdere Rosaria e Luca, reagendo istintivamente agli ordini della ragazza dai capelli biondi. Le rivolse uno sguardo, quasi in segno di scuse. Poi parlò.

<< Che ti prende? >> le chiese.

<< Nulla >> replicò lei, << semplicemente non tollero quei toni. Anche se lui fosse omosessuale, non meriterebbe quel trattamento. E Rosaria non deve essere presa di mira solo perché tu non la trovi carina. >>

<< Ma che cazzo ti prende, Cri? Hai sempre trovato divertente che prendessi in giro quei due sfigati. Sei impazzita, forse? >>

<< Stai esagerando >> obiettò lei, << tutto qui. Questo è quello che penso. Ogni persona merita rispetto e sono anni che tormenti questi due ragazzi senza motivo. >>

<< Non hai mai avuto nulla in contrario. Pensavo lo trovassi divertente. >>

<< Adesso sai che lo trovo ridicolo. >>

A quella parola, Luca scoppiò a ridere e dovette soffocare la risata con una mano.

<< Hai fatto ridere la checca, brava. Oggi vi siete coalizzati contro di me per mettermi in ridicolo? Vaffanculo. >> Sembrava seriamente offeso, ma Cristina non ci badò. Non replicò neanche alla sua parolaccia. Piuttosto, si avvicinò a Luca e gli rivolse la parola.

<< Come ti senti? Mi dispiace che quel coglione debba provocare sempre disastri. >>

Parlò a bassa voce, quasi per timore di essere ascoltata dagli altri. Luca aveva il batticuore. La donna dei suoi sogni non gli era mai stata così vicina e non gli aveva mai parlato con tanta franchezza. Non avrebbe mai pensato che considerasse Tommaso un coglione. Gli stava sempre attorno, sembrava quasi morire dalla voglia di dargli attenzioni e farlo sentire importante. La luce che penetrava dalle finestre dell’aula metteva in evidenza lo sguardo di Cristina, limpido ed innocente. Neanche nelle sue fantasie era così bella. I capelli del color del miele discendevano morbidamente sulle sue spalle e mettevano in evidenza i lineamenti fini del suo volto. Per la prima volta la ragazza gli sembrò sincera. Non notò nulla di artificioso nelle sue parole e nei suoi gesti. Il lieve strato di trucco che copriva i suoi occhi la rendeva ancor più desiderabile. Se avesse potuto, l’avrebbe fatta sua in quello stesso momento, ma era troppo preso dalla smania. Immaginò lei, distesa su un prato a prendere il sole, con una veste tipicamente estiva, che metteva in risalto le gambe sottili. La vide, intenta a fissare l’indaco del cielo, persa nel groviglio di pensieri, che parevano ottundere la sua memoria. Immaginò vedesse una serie di figure contorte, sfocate, apparentemente sgombre di significato.

Luca, trovandosi Cristina di fronte, ormai non riusciva più a discernere la realtà dal sogno.

<< Sto bene >> si affrettò a dire, << v-va tutto okay. >>

<< Menomale >> rispose lei con un pizzico di gioia.

Lo lasciò solo, dopo avergli rivolto uno sguardo apprensivo e avergli sorriso timidamente.

***

Quattro anni prima

 

Si svegliò in quella stanza avvolta nella semioscurità. Un lieve bagliore proveniva dalla finestra e, grazie ad esso, riuscì a togliersi il pigiama e a infilarsi gli abiti del giorno precedente. Lanciò un’occhiata a Davide, che dormiva profondamente. Aveva l’aria rilassata e il corpo disposto in maniera bizzarra. I suoi capelli scuri facevano risaltare la carnagione chiarissima e le grandi mani strette alle lenzuola, nel posto dove prima c’era Cristina. Avrebbe trovato la notte precedente spassosa, se fosse stata una ragazza come le altre. Invece, almeno così credeva, non lo era per niente. Aveva rifiutato di fare l’amore con lui. Dapprima pensò di accettare, poiché dopo qualche mese di fidanzamento era normale che lui volesse avere un rapporto sessuale. Gli disse di non essere pronta, ma non era così. Il problema era che non l’amava. Probabilmente non l’aveva mai amato. Ma non poteva dirglielo, no. Non riusciva neanche ad ammetterlo a sé stessa. Non stava bene con sé stessa. Davide era il ragazzo perfetto, desiderato dalla maggior parte delle ragazze della scuola. Eppure, lei, non se ne era innamorata. Sembrava che il suo corpo non gradisse i suoi tocchi., che le sue labbra non apprezzassero i suoi baci, che la sua pelle rifiutasse le sue carezze. Il corpo si ribellava alla mente. Lei aveva calcolato tutto. Era diventata la ragazza di Davide, perché doveva andare così, non perché lo volesse. Era convinta che ciò avrebbe giovato alla sua immagine e, in effetti, la sua previsione si rivelò esatta. Da quel momento in poi, acquisì sempre più notorietà. Chiunque guardava loro come una coppia eccezionale, come se fossero destinati a sposarsi e a vivere insieme per sempre. Nessuno poteva eguagliare la loro bellezza, nessuno poteva essere in grado di copiare la loro avvenenza. Erano irripetibili, mitici, fantastici, meravigliosi nella loro artificiosità. Almeno da parte sua, non c’erano sentimenti. C’erano solo menzogne su menzogne. In un primo tempo, pensò di provare per lui una sincera attrazione, ma ciò si rivelò inesatto. Capì di provare irritazione quando lui la toccava. S’accorse di non desiderarlo e di trovarlo fastidioso. Ciò era preoccupante, perché Davide era un ragazzo meraviglioso. Chiunque, al suo posto, pur non amandolo, avrebbe amoreggiato con lui con piacere. Invece, Cristina compiva ogni azione meccanicamente, come se le fosse imposto. Sembrava fare qualsiasi cosa soltanto per farlo contento. La sera precedente, difatti, dovette fare sesso orale con lui. Un’esperienza da incubo, a dir poco. Dovette accogliere fra le labbra qualcosa di viscido e succhiarlo di volta in volta, con convinzione, finché non diventava più grosso e duro. Il problema è che dopo un po’ dovette fermarsi, perché provava disgusto e temeva che di lì a poco si sarebbe messa a vomitare. Dunque, lui decise di leccarle la vagina, ma anche in questo caso lei non provò piacere. Sentiva soltanto un lieve solletico alla zona pubica ed un brulichio alle gambe. Finse, comunque, che per lei fosse stata un’esperienza entusiasmante e convolgente, dopodichè gli strinse il pene fra le mani e lo fece venire, masturbandolo velocemente. Solo così il giovane si decise a riposare. Cristina si ritrovò dello sperma sul palmo della mano ed anche questa volta lo trovò orripilante. Corse a sciacquarsi le mani, dopo averle insaponate per bene, anche se faticò a trovare il bagno. Quella casa era peggio di un labirinto. Quando si liberò di quella sostanza appiccicosa, tirò un sospiro di sollievo e si mise a dormire.

Era stato orribile. Avrebbe preferito dover essere alle prese con un fantasma o uno zombie. Si sarebbe sentita molto più soddisfatta, anche se il solo pensiero le faceva tremare le gambe. Non avrebbe mai più dormito a casa di Davide, se significava fare quelle cose sconce che non aveva intenzione di compiere. Da qualche mese, quando si guardava allo specchio, si chiedeva se desiderasse realmente quella relazione. C’era qualcosa che la turbava, con la quale doveva fare i conti, qualcosa che risiedeva in lei e che non accennava ad andar via. Talvolta, le capitava di trovarsi con il viso rigato dalle lacrime ed il bello era che non c’era un motivo ben preciso. Semplicemente, era scossa. Si sentiva sola, incompresa, inadeguata. Stava male e non aveva un appoggio, non aveva qualcuno al quale rivolgersi che lenisse il suo male di vivere. A volte, le bruciavano gli occhi. Piangeva troppo e troppo a lungo. Ogni volta che fissava la sua immagine riflessa nello specchio non vedeva altro che il timore di proseguire in quel cammino colmo di pericoli che è la vita. Sentiva l’angoscia divorarle il petto e cibarsi di lei. Era come se avesse delle grosse fauci in grado di spappolarla in men che non si dica.

Era come se nel suo io ci fossero due schieramenti: l’uno voleva continuare a recitare, a mostrarsi come una persona brillante, capace, anche se superficiale; l’altro voleva unicamente essere sé stessa, lasciando Davide ed iniziando a comportarsi in modo più spontaneo.

In quella stanza scura e priva di vita, dopo una notte da incubo, probabilmente avrebbe optato per la seconda ipotesi. Tuttavia, poteva portare a numerosi risvolti negativi. Prima di tutto, avrebbe deluso qualsiasi persona la circondava. Genitori, parenti, compagni, insegnanti. Inoltre, probabilmente nessuno si sarebbe più ricordato il suo nome. Non avrebbe avuto più tutte quelle attenzioni, sarebbe stata una qualsiasi, una del popolo, una che non ha nulla in più rispetto agli altri.

Con la mente colma di pensieri contraddittori, uscì dalla stanza buia e s’avviò verso la cucina. Almeno, secondo i suoi calcoli, doveva essere dove lei si dirigeva. Con sua grande sorpresa, notò che la stanza era ariosa e luminosa, il che era un sollievo per lei. Inoltre, il fratello di Davide era seduto a far colazione con latte e biscotti. Quando la vide, le rivolse un timido sorriso e le diede il buongiorno.

<< Buongiorno >> rispose Cristina, con una voce un po’ tesa. Era del tutto insolito per lei doverlo vedere di prima mattina, in pigiama e con i capelli arruffati.

<< Ti va di fare colazione? >> le chiese. Lei annuì, così lui si alzò e prese dal frigo un po’ di latte.

<< Lo preferisci caldo o freddo? >>

<< Freddo, grazie. E versato in un bicchiere, se puoi. >>

Tommaso si mosse repentino. Dopo aver versato il latte, lo pose di fronte a lui. Cristina si sedette e lo fissò per qualche secondo, prima di parlare.

<< Hai dormito bene? >>

<< Bene, grazie. E tu? Sempre se hai dormito, ovviamente. >>

<< Ho dormito male, direi >> ammise, senza però accorgersi del tono ironico nella voce del ragazzo.

<< Avrete avuto da fare, suppongo. >>

<< Nulla di particolare, direi >> minimizzò, iniziando a sorseggiare il suo latte mentre Tommaso sgranocchiava un biscottino. Per qualche istante, calò il silenzio.

<< Non somigli per niente a tuo fratello >> osservò Cristina, per spezzare la quiete.

<< Dici? >> fece lui, ancora con il boccone in bocca.

<< Assolutamente. Tu sei un tipo ribelle, aggressivo, pungente, probabilmente un irresponsabile. Lui è una persona pacata, gentile, ma senza il minimo senso dell’umorismo. >>

<< Vedo che ci riservi delle belle parole >> commentò, scoppiando poi a ridere.

<< Guarda che ero seria, vi ho osservati molto quest’anno. >> Assunse un’espressione fra il serio e il faceto. << I fratelli Monfelchi attirano l’attenzione di mezza scuola, direi. >>

<< La scuola è più interessata a te e mio fratello, piuttosto. Io sono trattato come un coglione qualunque >> ribatté lui.

Ormai Cristina aveva finito il suo latte da un pezzo e non vedeva l’ora di andarsene. Tuttavia, decise di aspettare che Tommaso finisse la sua colazione. Quando egli ebbe finito, gli chiese l’ora.

<< Sono le nove e mezzo >> rispose il giovane, passandosi una mano nei capelli.

<< Caspita! >> esclamò Cristina, << devo proprio andare. >>

Tommaso accennò un sorriso, ma parve più una smorfia distorta.

<< Puoi rimanere un altro po’, se vuoi >> le comunicò, << i miei genitori saranno di ritorno all’ora di pranzo. >>
<< Non preoccuparti >> s’affrettò a dire l’altra, << non è che non voglia rimanere. È semplicemente tardi, per i miei standard. >>
Tommaso sembrò smettere di preoccuparsi. Forse non gli importava se fossero scuse o meno. Gli bastò scambiare quelle poche battute con lei, evidentemente anche perché la vedeva tutti i giorni, era abituato alla sua immagine. Cristina, dopo essersi ammirata a lungo allo specchio, lasciò l’abitazione. Sapeva che doveva troncare quella relazione e l’avrebbe fatto, senza alcun dubbio. Ma non poteva farlo adesso. Doveva trovare il coraggio, doveva rifarsi una vita, lasciandosi alle spalle l’immagine che voleva dare di sé. Avrebbe detto addio a quel modo di comportarsi così innaturale. Il primo passo era privarsi di Davide. Al più presto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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