Would you carry me to the end??
Dark Lady: blu
NENACHAN:verde
Note
personali di Nenachan: questa storia scritta con la mia amica Dark
Lady, non è come le altre storie scritte fino ad ora.
Come
certamente noterete, il prologo è diviso in due parti, e
queste non sembrano avere apparentemente alcun collegamento se non
gli MCR, bene per un po' di tempo i capitoli saranno strutturati in
questo modo, fino a quando decideremo di far incontrare le due
protagoniste...Lo so è una cosa strana, ma spero cmq che vi
piaccia.... commentate e fateci sapere buona lettura!!!
prologo parte uno
I’m Was Good Girl... but I’m Gone Bad!
April:
Ci sono momenti nella vita in cui credi che è arrivato il momento di strappare pagina e guardare avanti, perché semplicemente voltarla, quella fottuta pagina che chiami Presente, non basta.
Che dire di me?
Io ero una ragazza abbastanza normale. Dico abbastanza perché, a parere mio e perciò insindacabile, nessuno al mondo è davvero normale. La mia vita era costellata di giornate di una noia da fare invidia a Pascoli, e mi lamentavo sempre con i miei amici, con i miei genitori e con i miei fratelli. Due ragazzi per l’esattezza, uno più grande di tre anni e l’altro di cinque. Ora come ora penserete “ma che c***o ce ne frega a noi dei tuo fratelli?”, che dire, è per colpa loro se poi ho cambiato aria.
Dal Montreal a New York sola andata.
Ma pensiamo un attimino a me, per favore. A diciassette anni ero la più alta dei pigmei, in senso ironico ovviamente, capelli lunghi e biondo scuro, cenere, occhi azzurri e magra. Molto magra, una vera cassapanca, senza culo e con poche tette. Colpa della ginnastica artistica credo.
Vivevo in una famiglia di bacia pilette, o più comunemente chiamati ferventi cattolici. Tanto da farmi vedere il tanto odiato portone della chiese ogni domenica mattina…
La mia migliore amica Mariam, era strana forte. Si isolava dagli altri, non usciva mai, e pian piano mi ha passato questa sua empatia come un morbo contagioso.
Con in tempo infatti sono diventata più psicopatica, tanto da trovarmi sempre più spesso per le strade del modesto cimitero del paesello dove vivevo.
La morte per me era… affascinante. Edgar Allan Poe è diventato il mio guru a tal punto da addormentarmi ricordando le sue parole…
I vestiti neri e il cascetto sfilacciato nero sono arrivati in seguito, verso i miei quindici anni. In paese giravano voci su un mio possibile disturbo mentale, ma ovviamente erano solo cazzate… o almeno credi.
Poi a sedici anni la sciagura.
Mio fratello Thomas ha contratto la leucemia, e a causa di una serie di sfigate circostante non fu possibile prelevare il midollo per salvarlo, ne da me ne da Pierre, l’altro fratello. Mi sono sentita molto in colpa, perché non solo non ero compatibile, ma anche perché potevo vagamente immaginare la sua sofferenza.
Sospiro, alcuni ricordi fanno male…
Era autunno, una calda sera di una delle ultime belle giornate di autunno quando morì.
Certe disgrazie uniscono le famiglie, ma questo non è il nostro caso…
Da allora tutto andò, se permettete il linguaggio scurrile, a puttane.
Mia madre si consolava svuotando le riserve di alcool che avevamo in casa, al punto che una sera…
“mamma?” chiamai entrando dopo la solita uscita con gli amici.
La trovai per terra, con la testa appoggiata al braccio. Feci per toccarla, aiutarla ad alzarsi ma lei si mise a sedere respingendomi.
“Non mi toccare!” il suo fiato toccava terribilmente di tequila, me lo ricordo come se fosse ieri… “vattene! Uccellaccio del malaugurio!!”
Quelle parole ancora mi rimbalzano nel cranio, e mi fecero così male…
“mamma,
dai vieni ti porto a letto…”
“Non mi toccare! È colpa
tua se è morto!! È solo colpa tua!”
Come potevo avere colpa? Infondo mica gli avevo attaccato la leucemia! Manco fosse infettiva “mamma non sai quello che dici” dissi io chinandomi e ingoiando le lacrime che premevano per uscire.
E lei che fece? Mi mollò uno schiaffo, forte. Con la fede, che rimase impigliata nel pearcing al labbro, mi ferì anche.
È uno dei molti ricordi che mi perseguitano, come quando Pierre a diciotto anni se ne è andato, alla volta della California…
“ti prometto che ti torno a prendere sorellina” mi aveva detto abbracciandomi prima di prendere l’aereo…
Bhè, l’ho rivisto sette anni dopo, a Los Angeles, mentre il lavoro di mio marito ci aveva portati li. Mi ha lasciata sola, come avevano fatto i miei amici.
A causa del mio comportamento sempre più chiuso avevo perso tutto. Inizia a covare anche una strana e perversa inclinazione verso il sadismo, tanto che adoravo vedere gli altri soffrire. Lo so è una cosa che fa schifo, ma non potevo farci nulla, godevo nel vedere la sofferenza altrui per scordare la mia. Ero attratta dalle cose cattive, ma non ne commettevo. Sono sempre stata troppo passiva…
Un anno dopo mio padre divorziò e se ne andò, lasciandomi da sola ad occuparmi di mamma, sempre ubriaca… ma mancava poco, solo tre mesi e con i miei diciotto anni me ne sarei andata a fanculo da quel posto che mi aveva portato via la mia adolescenza.
Ho lavorato per mesi e mesi per mettere da parte abbastanza soldi per avviare la mia nuova vita, e ce l’ho messa tutta.
Il mio compleanno l’ho festeggiato da sola, al concerto degli Smashing Pumpkins, rispecchiandomi nelle parole di Zero, la mia canzone preferita di quel mitico gruppo.
Sette ore dopo ero davanti al cancello di casa mia, con il borsone sulle spalle e per l’ultima volta (o almeno credevo) guardavo il giardino nel quale ero cresciuta con i miei fratelli, l’albero a cui papà aveva attaccato quel copertone da usare come altalena.
Il piccolo gazebo dove mamma ci guardava giocare…
Addio, posto dove sono cresciuta fino a sedici anni felice.
Addio, luogo che mi hai portato via i migliori anni della mia vita.
Penserete che sia stata una stronza a lasciare li mia madre… vi sbagliate, ho fatto alcune chiamate e l’hanno internata in una clinica.
Dopo, so solo che dalla disintossicazione è passata al reparto psichiatrico. La sono andata a trovare solo una volta, ma adesso non mi pare il caso di ricordare.
Veniamo a me a New York.
Abitavo con un paio di ragazzi in un appartamento carino, non era malaccio, era pulito (Jesse, un ragazzo molto simpatico e preciso si occupava di fare da mangiare e di tenere pulito), caldo e vicino al luogo dove speravo di lavorare: gli uffici della Skeleton Crew.
Mi ricordo ancora il mio colloquio di assunzione…
Ero in una saletta di attesa e avevo addosso un’ansia assurda. I fogli erano stati messi alla buona in una cartellina sbiadita e non avevo un’aria molto professionale: jeans strappati, anfibi neri aperti, maglione a righe bianche e nera, giacca di pelle, cascetto sparato… stonavo con tutti gli altri pretendenti al posto, in giacca e cravatta, con i disegni plastificati…
Io ero li per un motivo, sapevo fare bene solo una cosa, disegnare. Era una di quelle cose che mi sono sempre venute naturali, un dono. Come suonare il basso.
Eccoli i miei due doni.
Stop.
Non sono mai stata brava a parole, o particolarmente seducente, io ero un’artista e basta.
La porta si aprì e uscì dal suo ufficio un figurino interessante. Basso, nano, tanto da sembrare un ragazzino, con i capelli neri rasati hai lati e un ciuffo che gli copriva parte del bel viso.
“non ho molto tempo, quindi sceglierò due di voi per il breve colloquio… tu” disse indicando una ragazza vestita con un completo elegante. Roteai gli occhi, era la classica bonazzona, con la camicetta slacciata per far vedere le tette rifatte, la minigonna cortissima e i tacchi vertiginosi, tanto che quando si alzò in piedi il ragazzo rimase colpito dai trenta centimetri che li separavano… le strinse la mano appena dentro al ufficio, senza dare segni di grande interesse, apparte la guardatina nella scollatura “e tu” aggiunse poi indicando me. Ci rimasi di merda, sgranando i miei grandi occhi azzurri tanto da sembrare disturbata. Mi alzai, e la differenza era evidente anche nel nostro caso: lui ero cinque centimetri buoni più di me.
Sorrise allegro mentre si chiudeva la porta del ufficio alle spalle. Era una stanza molto grande ma così vuota. Apparte la scrivania con sopra un portatile, uno stereo nel angolo e una libreria semi vuota non c’era niente. Mi fece una strana impressione, come se quel ragazzo effettivamente se ne fregasse di quello che aveva attorno, oppure non ci stava molto fra quelle quattro pareti…
“allora io sono Frank Iero” disse sedendosi sulla sedia, e appoggiando i gomiti al tavolo.
“oh, ma si sa” disse la Rifatta, come l’avevo etichettata, a quello che si chiamava Frank “lei è molto famoso signor Iero…” aggiunse poi sbattendo le palpebre.
“è anche famoso il fatto che detesto le lecchinate” disse lui ironico facendo incupire la tizia e facendo sorridere me “allora voi siete?”
“io sono-“ risposti io, ma venni interrotta.
“Caroline Forests” disse la tipa con un sorriso troppo grande, per essere umano.
Lui la guardò con sufficienza poi si rivolse uno sguardo a me e mi spinse a presentarmi “April Evans” dissi io abbozzando un sorrisetto.
“piacere” disse guardando solo me “allora come sapete, c’è solo un posto libero e voi siete due. Stiamo facendo i progetti per il cd nuovo e ci servono idee interessanti, posso vedere i vostri schizzi?”
Lei ovviamente fu la prima a passarglieli, e lui li guardò, in silenzio. La sua espressione era seria e distaccata, opposta a come mi era sembrato prima, mentre i suoi occhietti verde-castani saettavano su quelle tavole. Alla fine chiuse il tutto e restituendolo disse una sola parola che però ne vale mille: “banale”
Dentro di me esultai, forse avevo chance, mentre la tizia sgranava gli occhi incredula “avanti il prossimo” disse prendendo la mie tavole. Mi vergognai come una ladra mentre le guardava come aveva guardato le altre, perché gli angoli erano piegati, alcuni fogli erano addirittura sporchi di cioccolato…
Alla fine sorrise e disse “bene, già molto meglio… hai studiato arte?” mi chiese poi tenendo davanti a se un foglio in particolare.
“No” risposi io affranta “Non ne ho avuto la possibilità…”
“capisco…”
“Io
invece” si intromise la Rifatta “ho fatto l’istituto artistico
di-“
“-non mi interessa” disse Frank annoiato “i tuoi disegni sono monotoni e ripetitivi, privi di anima e non sono vissuti… quindi arrivederci, quella è la porta” disse facendo un cenno verso l’uscita.
Lei stizzita prese i disegni e se andò sbattendo la porta.
Guardai Frank in attesa, ma lui guardava affascinato un mio disegno. Lo teneva sollevato davanti a se, e lo fissava come incantato. Volevo tanto sapere che cavolo fosse, doveva essere uno di quelli venuti meglio, se catturavano tanto la sua attenzione.
“è… è… perfetto” disse appoggiando la tavola sulla scrivania. Io invece non ero molto d’accordo con lui, era sono un bozzetto, e venuto anche maluccio, chissà che cavoli ci faceva li dentro… “che cosa è?” mi chiese a un certo punto con una strana luce negli occhi.
“uno
scheletro…” dissi io ovvia “uno scheletro vestito da…”
“da?”
mi chiese tutto contento. Era davvero strano questo tipo.
“da
parata” dissi io “ho preso spunto da un sogno che ho fatto un
paio di notti fa, lo so non ha senso però-“
“-oh, ha
moooolto
senso invece” disse alzandosi e sedendosi sulla scrivania davanti a
me “è quello che noi volevamo che un artista facesse, ma tu
lo hai già fatto…”
Io lo guardai senza capire “In che
senso?”
“questo coso” disse indicando il mio disegno “sembra uscito dalla mente perversa di Gerard, è simile a quello che ha disegnato lui, è perfetto per la nostra parata nera!”
“parata nera?”
“Il nuovo album. The Black Parade. Quando pensi di iniziare a fare la copertina e le divise che noi indosseremo?” mi chiese con un sorriso prendendo una chiave dal cassetto.
“questo vuol dire che sono assunta?” chiesi incredula.
“senza di te siamo fottuti” mi disse lui passandomi la chiavetta che io presi fra le mani incredula “ufficio quindici… ti dispiace se tengo i tuoi disegni? A Gerard farà piacere vederli…”
“certo” disse alzandomi e feci per stringergli la mano, ma lui inaspettamente mi abbracciò lasciandomi di sasso “bhè… io… inizio subito se per te va bene” dissi tutta rossa.
“perfetto! Allora tra un po’ passo a vedere come te la cavi!”
“ok” feci per uscire ma volevo togliermi la curiosità “scusa ma chi è questo Gerard?”
Lui mi guardò stupito “il cantante della band” lo guardai perplessa, ok che si era parlato di un album, ma quale band? “non sai chi sono vero?” mi chiese divertito.
Figura di merda.
“no” dissi io un po’ imbarazzata, così lui mi passò un cd.
“Nel tuo ufficio c’è uno stereo, ascoltatelo per benino, poi mi sai dire!”
“Ok” dissi arrossendo di più.
“comunque io sono il chitarrista” mi disse compiaciuto “hai davanti una star!” mi fece ridere il suo tono e il sorriso non mi abbandonò fino al mio ufficio.
Quando entrai rimasi perplessa. Una scrivania era di un certo James, così andai a posizionarmi su quella vuota. Scrissi il mio nome e il cognome e mi guardai intorno in cerca dello stereo.
Andai verso quel impianto immenso e presi il cd dalla borsa.
“Three Chears for the Sweet Revenge…” lessi sovrapensiero. Nome interessante, tre urrà per la dolce vendetta.
Le canzoni erano bellissimi, soprattutto la prima mi colpì molto “Helena…” una canzone così sofferta e così vissuta da penetrarti nelle ossa. Senza contare che la voce del cantante aveva quel no so che, che mi colpì. La catalogai come bella musica.
Il tempo fra quelle quattro pareti non passava mai, ma io la trovavo una cosa positiva. Mi piaceva perdere delle ore a disegnare ‘la parata nera’ per Frank, che passava spesso a tenermi compagnia. Avevo anche un collega, James, che si occupava delle scenografie e delle luci.
Passava delle ore attaccato al computer a decidere angolazioni e cose che io davvero non capivo. Aveva ventitré anni e un giorno Frank mi disse che era considerato una sorta di genio tecnologico. E aveva ragione, senza contare la simpatia che provavo nei suoi confronti. Avvolte non facevano niente di costruttivo, eccetto lanciare le palline di carta (ottenute dai miei schizzi a vuoto, come ero solita chiamarli) dentro un piccolo canestro posto sopra al cestino.
Avevo molta simpatia anche per Jamia, la ragazza di Frank, una persona molto semplice che però mi faceva morire dal ridere! Lei era così, spensierata e vivace, un po’ come il suo ragazzo. Erano i miei capi, diciamo, ma dentro quel palazzo tirava una bella aria, sembravamo tutti molto amici e infondo lo eravamo.
Era quasi natale e io lavoravo li da sei, sette settimane quando Frank mi chiamò in ufficio “ehy, April, potresti venire nel mio ufficio? Porta anche tutto quello che di buono hai fatto fino ad ora” e buttò giù. Frank era così per le conversazioni spicciole.
“il grande capo chiede udienza?” mi chiese sarcastico James facendo canestro.
“si” risposi, mentre racimolavo una sessantina di tavole “vuole vedere il mio lavoro…”
“allora ci vediamo domani” mi disse sempre più ironico “Frank è così lento che stacco prima che lui finisca”
“ma sono le due!”
“appunto!”
Uscì sbuffando, odiavo quella battutine idiote che tendeva a fare.
Passai davanti alla sala comune, dove di solito c’era la fila alla macchinetta del caffè, e adocchiai il calendario… io ventitré di dicembre. La sera della vigilia si organizzava anche una festa, li nella saletta comune, dove tutta la crew era invitata. Sorrisi, era la prima volta che festeggiavo il natale da due anni. Due anni fa ero in ospedale da Tom e l’anno seguente in camera mia da sola…
Avrei comunque passato il giorno di natale da sola, ma almeno la vigilia! La sola regola era niente regali, il fare un regalo, a detta di Frank, costava la pena di morte.
Forse era giusto, perché eravamo tanti e tutti che fanno regali a tutti… povere le mie tasche!
“ciao!” mi salutò Jamia mentre usciva dal corridoio che portava al ufficio del suo ragazzo assieme a Gina, un’altra ragazza che lavorava con noi “attenta, tira una brutta aria li dentro” mi disse mentre mi passava vicino e proseguiva per la sua strada. Brutta aria? Ottimo…
Entrai e mi bloccai sulla soglia. Frank era seduto sulla scrivania, sulla sedia davanti a lui sedeva una figura incappucciata con le gambe appoggiate alla scrivania. Su un’altra sedia un uomo con una pettinatura afro da fare impressione. Tutti e tre avevano delle carte in mano e stavano giocando a… poker?
“io passo” disse il capellone lanciando le carte. Frank e la strana figura si lanciarono una occhiata poi Frank prese il portafogli e disse “facciamo cinquanta?”
La figura si rizzò sulla sedia e disse “cento, direi” disse mettendo i soldi vicino a Frank.
“e
cento siano… cosa hai?”
“tu?”
Frank scoprì le carte “poker d’assi” disse tronfio.
Ma
la figura non si scompose, semplicemente prese i soldi, li intascò
e dissi “ scale reale.”
Se Frank fosse stato uno dei miei
fumetti in quel momento la sua mascella avrebbe toccato terra
“cazzo…”
“è tattica…”
“ma che tattica! È
tutto culo il tuo!”
“si, si, però ho vinto, intanto…”
Frank sbuffò e poi mi vide, ancora impalata sulla porta “April aiutami tu! Qui mi spennano come un pollo!”
Sorrisi avvicinandomi cauta, come per paura di essere morsa. Notai una batteria montata in un angolo e un omaccione biondo seduto sullo sgabello dietro di essa. Mi guardava inespressivo, con i grandi occhi azzurri, poi prese le bacchette e iniziò a farle roteare fra le dita.
Nella penombra, seduto sul davanzale, c’era poi un quinto uomo, magrissimo, con una sigaretta fra le labbra, che spense appena mi vide e chiuse la finestra. Si mise poi a sedere sulla sedia di Frank, dietro alla scrivania.
Il capellone fu il primo a salutarmi, con un sorriso simpatico, seguito poi dalla figura incappucciata che si voltò a guardarmi.
Cazzo se era bello… si abbassò il cappuccio, mostrando una zazzera di capelli così biondi da sembrare bianchi, ma la cosa che mi rapì furono gli occhi, di un verde strano, appariscente, con delle pagliuzze dorate attorno all’iride che si insinuavano come piccole venature dentro a quel verde puro.
Ci scambiammo uno sguardo, e il suo equilibrio precario sulle gambe posteriori della sedia cedette. Stava per cadere, ma con una strana prontezza di riflessi appoggiò a terra la mano, salvandosi appena in tempo. Tutti scoppiarono a ridere.
“le donne ti fanno questo effetto quando le vedi, Gee?” chiese malizioso il capellone, mentre il biondo si rialzava.
“muori, testa di cazzo” disse diventando rosso l’uomo, mentre si metteva accanto a Frank sulla scrivania.
Io mi misi sulla sedia lasciata libera dal biondo poi rivolsi uno sguardo significativo al capo.
“ah giusto! Ragazzi lei è April, la nostra piacente disegnatrice!” l’omaccione biondo intanto si era avvicinato con lo sgabello e aveva appoggiato la testa sulle braccia incrociate sulla scrivania, guardandomi curioso “questi essere repellenti sono Bob” disse indicando il biondone, che con un sorrisetto mi fece ciao con la mano “Ray” il capellone sorrise complice “Mikey” disse spostandosi un po’ per permettermi di vedere il ragazzo dietro di lui che non si scompose nemmeno un po’ “ e lui che fa sempre figure di merda è Gerard” disse allegro ricevendo in cambio un coppino “ahia! Bastardo!”
“taci, testina di cazzo, parli tu che fra tutti sei il più imbecille” ribattè saccente il biondino facendomi ridere.
“sei
due cretini, contenti?” li appianò Bob, per poi rivolgersi a
me, con il suo viso buono “preso ci farai il callo a queste
cazzate…”
“si, è tutta questione di abitudine”
disse Ray non curante “tutto sta nel saperli prendere…”
“avete finito di parlare come se noi non ci fossimo?” replicò acido Gerard, facendomi ridere. Erano… forti. Mi stavo già affezionando a quei cinque matti e non me ne accorgevo.
Gerard sorrise, come sentendosi realizzato per avermi fatto ridere.
“veniamo a noi” disse Frank “vediamo i disegni”
I quaranta minuti successivi li passarono studiando i miei disegni accuratamente, per poi fermarsi sul alcuni in particolare. Il primo era il mio scheletro da parata, perfezionato e reso carino. Vicino ci avevo fatto una scritta, con il nome della band, i My Chemical Romance, e la stavano guardando attentamente.
“questo
lo mettiamo al centro” disse Gerard indicando il mio scheletrino “e
sopra la scritta il nero, con il fondo bianco…”
“si” annuì
concentrato Frank “magari potremo dire a Gina di farlo di un bianco
sporco, quasi macchiato…”
“lo sfondo dici?” chiese Ray e
Frank annuì “ok per me può andare, mi piace”
“Bob?” chiese Gerard guardando il biondone che annuì energicamente “si è una figata…”
“Mikey?” chiamò ancora il biondino e da dietro di lui emerse la figura scarna del ragazzo. Vi sembrerà scemo però la sua apparizione la paragonerei a l’entrata in scena di Jack Skeleton in Nightmare Bifore Chrismas, quando emerge dal pozzo. Ecco, Mikey è emerso appoggiando la mano sulla spalla di Gerard e osservando il tutto “si, certo” aggiunse poi scomparendo di nuovo.
“Poi questo” disse Frank passando un foglio a Gerard. La divisa che avevo disegnato per lui, cercando di rispettare le misure, come l’altezza e… la pancetta!
“bella…”
disse Gerard osservandola per bene “Però non le voglio tutte
uguali, ognuna deve essere particolare…”
“Ok” dissi io
“Però avrei bisogno di una foto vostra o qualcosa di
simile…”
“Io ho fatto da modello in persona” disse Frank fiero “sono rimasto nel suo ufficio per un paio di ore e poi ecco il risultato!”
“allora facciamo così anche noi” disse Ray “sempre se per te va bene”
“per me? Certo si può fare!” dissi io allegra, l’idea di avere Gerard nel mio ufficio per un paio di ore… dovevo stare calma!
Passai il resto del pomeriggio e il mattino successivo con i miei modelli. Il ventiquattro c’ero ovviamente solo io in ufficio, il giorno della vigilia, e mi sono scusata con tutti quelli della band perché li dovevo tenerli in piedi per un po’ mentre magari avrebbero preferito stare con le loro famiglia.
“prima
il dovere e poi il piacere” mi aveva detto Ray mentre lui e Bob mi
accompagnavano a casa la sera precedente “Prima quelle divisa
saranno pronte meglio sarà!”
Il mattino della vigilia lo
dedicai tutto a Mikey e Gerard, che scoprì essere fratelli, e
chi lo avrebbe mai detto? Sono così diversi, apparte gli occhi
non mi sembrava avessero molto in comune.
“finito” dissi a Mikey dopo venti minuti che era li impalato.
“già finito?” mi chiese stupito, effettivamente avevo fatto presto, e mi piaceva molto il risultato. Se per Bob avevo usato una giacca con le maniche larghe per consentigli di suonare meglio la batteria, Ray avevo la giacca leggermente più elegante e Frank aveva le righe sulle braccia, per Mikey adottai una giacca lunga.
“ti
piace?” chiesi facendogli vedere il modello e lui annuì con
un sorriso.
“si, molto…” Gerard entrò in quel momento
buttando la giacca su una sedia e sbuffando “io vado” mi disse
Mikey lanciandomi uno sguardo eloquente.
“vai a prendere il settimo caffè della mattinata?” gli chiesi sarcastica. Ancora non mi capacito di come il suo fegato e i suoi reni riescano a reagire con quel abuso di caffeina!
“simpatica” mi disse lui roteando gli occhi e uscendo dalla stanza.
Adesso però mi dovevo concentrare su Gerard. Lui si era messo in piedi, gambe leggermente aperte e teneva il suo sguardo su di me.
Mentre io lo fissavo attentamente per studiarne i particolare, arrossivo sempre più, soprattutto quando arrivai alla zona della vita e del cavallo… perché facevo tanta fatica? Perché stava sudando? Per gli altri non era stato così…
Ma scoprì presto che Gerard era diverso dagli altri.
Fottutamente diverso.
Soprattutto per me…
prologo
parte due :
My
brother need a help
Tutto
sommato penso di aver avuto una vita tranquilla e felice, la mia
adolescenza non è stata mai tormentata o infelice, andavo bene
a scuola ed avevo tanti amici, non credo di aver mai abusato di
alcuna sostanza pericolosa, non ero certo una ragazza che combinava
guai, ero sempre stata una persona tranquilla che rifletteva prima di
agire in qualsiasi cosa, a pensarci bene penso di essere stata una
ragazza normale che viveva una vita normale, per quanto essere la
vita della sorella di Bert McCracken, cantante degli Used, possa
essere stata tranquilla e normale....
Dio voglio bene a mio
fratello da piccola ero la sua ombra ma con il tempo, crescendo ho
capito che il mio caro fratellone tende a sfruttare le persone, no
sfruttare sembra brutto meglio utilizzare, ecco lui utilizza le
persone quando gli fa comodo.
Lo dimostra il fatto che nel
momento del bisogno il fratellone si ricorda di avere una sorella,
come quella volta...
Il telefono squillava ed io ero ancora persa
nel mondo dei sogni, non capivo molto di quello che stava
succedendo, fatto sta che afferrai il telefono per
rispondere.
“Pronto?”
“Ma ciao sorellina bella
bella!!”
“...”
“Che c'è non saluti il tuo
fratellone?”
“Bert? Lo sai che ore sono?”
dissi io ormai
sveglia, se mio fratello mi telefonava c'era sotto qualcosa.
“non
non ne ho idea, ma scometto che tu adesso me lo dirai vero'”
“Esatto
brutto cretino che non sei altro !! ti rendi conto che sono le 3 di
notte!! Dico io le tre di notte!!”
“calmati non c'è
bisogno di agitarsi tanto...”
Cercai di calmarmi, infondo non
sentivo mio fratello da tanto tempo.
“Allora? Cosa vuoi?”
“Io??
ma uno non può chiamare la propria sorella se non per
chiederle qualcosa?”
“conoscendoti Bert? Direi proprio di sì
è il tuo stile...”
“Ma che persona
malfidata...”
“perfavore risparmiami le tue lamentele e
spicciati... dimmi cosa vuoi...”
“Allora se proprio
insisti...volevo parlare e sapere un po di te tipo.... che ne so come
stai o come va con il tuo fidanzato, come si chiamava? Luke?, o cose
così...”
“Bert io stavo con un Luke alle medie... sei
rimasto in dietro...”
“Che sarà mai, comunque tornando
a noi ho bisogno di un favore...”
“Questo l'avevo capito
sai...”
“Ecco ti ricordi di Matt? Il mio manager?”
“Il
tipo strano? Sì me lo ricordo...”
“Ecco noi stavamo
conversando amabilmente, con noi intendo io e i ragazzi, stavamo
parlando tanquillamente e discutendo come ti ho detto di una
possibile risoluzione della fame nel mondo, quando lo sventurato, con
lo sventurato intendo Matt, è accidentalmente inciampato e
caduto per le scale rompendosi la gamba in tre punti...”
“Ora
uno, potevi risparmiarti sulla risoluzione
della fame del
mondo...
non puoi usare questo per pararti il culo, due parafrasando il tuo
discorso, voi stavate facendo i cretini e avete fatto cadere Matt
giusto? Allora dimmi cosa c'entro io in tutto
questo?”
“EccomiservechetuprendailpostodiMattperunpò”
Aveva
parlato talmente tanto veloce che non avevo capito nulla.
“Eh
come? Cosa diavolo hai detto?”
“ Ecco mi serve che tu prenda
il posto di Matt per un po'.. ecco tutto, ci stai?”
“Ma sei
scemo o sei scemo... ti rendi conto della cazzata che hai detto??!! E
poi io lavoro, ho una vita, non posso mollare tutto per te!!”
“Ma
sorellina bella io non ho trovato nessuno disposto a fare il manager,
sei la mia ultima speranza..”
“No io non accetto mi spieghi
come dovrei fare con il mio lavoro?”
“non ti preoccupare
risolverò tutto io se accetti...”
“per quanto
tempo?”
“cosa?”
“per quanto tempo devo stare con
voi...”
“ mah
, 3,4,5,6 mesi...”
“come sei mesi?!”
“beh non è
mica colpa mia...”
“Hai detto sei mesi come faccio con il
lavoro e po non ci vuole tanto per una gamba rotta..”
“no
ma Matt ha deciso di andare a trovare la sua famiglia in
Alaska..”
“In Alaska? Le tue scuse sono poco
credibili...”
“non sto scherzando ha veramente la famiglia in
Alaska... “
“Vabbè ma io ci credo poco...”
“Allora
è si o no?”
“non lo so devo vedere per il
lavoro...”
“Allora è sì... bene ti vengo a
prendere domani...”
“Ma il mio lavoro?”
“Già
fatto... sei in vacaza per un tempo ondeterminato...”
“Come
hai fatto?”
“Una telefonata qua e là..”
“Semto
odore di bruciato...”
“Allora corri a spegnere il
fuoco...”
“No cretino, dicevo che qui qualcosa puzza...”
“Devi
forse fare la lavatrice?”
“Ma lo fai apposta?”
“non so
può darsi..”
“lasciamo perdere va...”
“É
meglio a domani...”
Il giorno dopo, o meglio qualhe ora dopo la
notra telefonata, mio fratello venne a prendermi.
Passai le prime
settimane a giostrarmi fra interviste e piccoli concerti locali,
niente che mi desse preoccupazioni, infondo prima di Matta ero stata
io la loro manager, e il lavoro non mi risultava difficile.
Passavo
molto tempo con mio fratello che non rivedevo da tanto e questo mi
rendeva felice, insomma dopo anni di lontanaza in cui ci vedevamo si
e no tre volte all'anno, quella era un occasione per poter
partecipare ala vita di mio fratello di nuovo.
Ricordo che
quella mattina al mio risveglio avevo avuo una strana sensazione come
se qualcosa di bello stesse per capitare, insomma ero contenta, la
sera prima avevo passato il tempo a diverirmi con i ragazzi, non
avevo mai riso così tanto in vita mia, Quinn era proprio
simpatico da sobrio e fuori di testa da ubriaco.
“Giorno!!”
scendendo
le scale incontrai mio fratello, strano che già a quell'ora
fosse sveglio.. erano le sette del mattino, non era da lui..
Io
mi ero svegliata presto perchè avevo del lavoro da fare, ma
lui non ne aveva motivo.
“come mai già sveglio?”
“Chi
io? Non son mai andato a letto per svegliarmi...”
“Vuoi dire
che non hai dormito? “
“Certo che no... ora vado a dormire
notte...”
lo guardai salire le scale per andare in camera sua,
io ero a casa sua da qualche settimana, perché abitando a
Boston non potevo certo seguire bene il lavoro...
Ma non ero
ancora abituata al loro stile di vita...
Andai in cucina per
preparare la colazione, il telefono però squillò quella
mattina la colazione non s'aveva da fare...
“Pronto? Posso
parare con Bert sono Brian...”
“Mi dispiace ma dorme, posso
sapere il motivo della sua chiamata?”
“Senti
bella non sono affari che ti riguardano...”
“Ma come siamo
carini...”
“Mi
svegli il tipo? Devo dirgli una cosa importante...”
“Ti ho
detto che dorme... non ha dormito tutta la notte ha bisogno di
riposo....”
“Ah certo capisco... sei la tipa na notte e
via...”
“Cosa!!! ma come si permette...”
“L'hai
fatto intendere tu no?”
“Ma come cazzo ti permetti brutto
stronzo di chiamarmi a casa mia e di insultarmi!!”
“Casa tua?
Vivi con Bert?”
“Sì qualche problema a rigurdo?”
“No
ma è strano....”
“Orta mi dici che vuoi che quando si
sveglia lo avverto?”
“Digli
che non trovo Matt da nessuna parte e che dobbiamo organizare il tuor
con i MCR...”
“Matt non c'è e per qualsiasi cosa
riguardo alla band devi rivolgerti a me...”
“Sei
la nuova manager?”
“Si temporaneamente...”
“Allora
dobbiamo vederci,che ne dici di oggi?”
“Ok.. dove vuoi che ci
incontriamo?”
“Allora che ne dici bar sulla quinta strada,
quello vicino al negozio di dischi?
“ok per me va bene...”
“Bene
ci vediamo oggi alle quattro e scusa per prima...”
E riattaccò,
quella strana telefonata fu l'inizio di tutto.
Il pomeriggio
mi diressi verso il locale che Brian mi aveva indicato. Mio fratello
era ancora addormentato, gli lasciai un biglietto nel caso di fosse
alzato prima del mio ritorno.
Indossava un paio di jeans scuri e
una maglia bianca con la scollatura a v, le mie solite scarpe da
ginastica e uno zainetto con tutti i documenti di cui avrei voluto
bisono, con le informazioni sui MCR, non li conoscevo, quindi avevo
fatto una ricerca per sapere chi erano.
Non riuscii però a
trovare delle foto della band, il mio computer aveva qualche strana
avversione per le immagini di qualsiasi tipo.. Era una cosa veramente
strana...
Il locale non era molto grande, ma era carino e
accogliente... C'erano pochi tavolini distanziati l'uno dall'altro,
con sedie di un rosso vivo, alle pareti erano attacati poster e foto
dei grandi della musica, c'erano appese addirittura due chitarre
dietro il bancone, le tonalità delle pareti rivestite di
immagini di ogni tempo erano di un tenue rosso, che creava una calda
atmosfera.
Era un locale strano ma mi piaceva...
Non c'era
molto gente a quel ora, e non sapendo nemmeno che faccia avesse Brian
mi diressi al bancone, per ordinare un caffè prima di
telefonare aL Mnager degli MCR.
Mi sedetti al balcone e ordinai
iol mio caffè, poi presi il cellulare per chiamare Brian,
avevo trovato il numero fra le cose di bet mentre cercavo
informazioni....
“pronto ciao sono Hope la sostituta di Matt,
io sono al locale tu dove sei?”
“Al locale sono seduto
infondo, mi vedi?”
mi guardai intorno per cercarlo, vidi un
ragazzo seduto infondo al telefono.
“indossi una maglia
blu?”
“Siì sono io, tu sei la bionda?”
“si son
io...”
Spensi il cellulare e con il mano il mio caffè
fumante mi diressi verso di lui.
“ciao...io sono Hope..”
“E
io Brian scusa per stamattina...”
“non fa niente,l'importante
è che non capiti mai più...”
“scusa il ritaro
Braian ma frank non mi lasciava più andare..”
Mi voltai
verso la voce che eraa arrivata da dietro di me...”
“oh ciao
Mikey ce l'hai fatta all fine... lei è Hope...di cognome?””
“McCracken, e se stai per chiedermi se sono parente di Bert è
sì sono la sorella...”
“Bene lui invece e Mikey Way
bassista dei mychem...fatte le presentazioni veniamo al lavoro...”
Note di fine prologo: come al solito i MCR non ci appartengono (o per lo meno non ancora) e non scriviamo a scopo lucro (perché mai nessuno ci pagherebbe per la cazzate che diciamo!).
Speriamo che vi sia piaciuto, lasciata tanti commenti per favore!
Note personali di Dark Lady: eccoci qui, con la mia prima ff dei MCR su questo sito. Spero vi piaccia, a me piace molto scrivere in prima persona, mi sono divertita a scrivere anche se mette un po’ di angoscia questo prologo… spero di non avere deluso nessuno, e di trovarvi numerosi alla lettura del primo capitolo! Siccome io adoro pubblicare molto materiale, ci vorrò un po’, ma appena avrò pubblicato avrete da leggere per in pezzo! Sto scrivendo con la mia ex compagna di banco NENACHAN perché in tutta onestà, non sono capace di usare il sito! Sono una fan sfegatata dei MCR, ( e questo si era capito) The Used, Sex Pistols, Nightwish, Bullet for my Valentine, Lafee e Nevada Tan. Pur non amando molto i Tokio Hotel a livello musicale mi piace molto scrivere su di loro e ne abbiamo una, su di loro, in corso adesso chiamata Ich will ein Engel… Fur Immer im mein Hertz.
Inoltre,mi piace moltissimo leggere i vostri commenti quindi lasciatene tanti! Vanno bene anche le critiche ovviamente, e mi piacerebbe molto sapere l’opinione di certe scrittrici come Poetic Tragedy o Elfo Mikey, perché adoro le loro storie e come scrivono!
Quindi, fatevi avanti e scrivetemi! Queste erano solo note informative per farvi capire più o meno chi sono (una povera bassista con il pallino per la parata nera…)
Un bacio grande, immenso e smisurato da Dark Lady!!
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