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Autore: Francesco4    10/09/2013    1 recensioni
"Fisso quelle lettere, che così bene conosco, ormai, per quante volte le ho pensate e ho immaginato di pronunciarle e ho tentato di dimenticarle. Anche loro mi fissano, ma non mi conoscono, come potrebbero!" un amore inespresso, una dolorosa rassegnazione, uno scherzo del destino che fa riaffiorare la sofferenza, solo col potere di un nome mai pronunciato
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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È uno scherzo, vero? Vorrei poter urlare queste parole, ma restano trattenute, soffocate tra i denti e la lingua. Immobile non posso far altro che guardare la bianca superficie del mio banco. Bianca, se non per quell’incisione.

Era l’ora di religione quando, ieri, si è celebrato il rito mensile del cambio dei posti. L’estrazione, una volta tanto, mi aveva concesso una buona sistemazione: terza fila centrale, abbastanza nascosta per potersi concedere qualche distrazione, ma allo stesso tempo vicina a sufficienza alla cattedra per seguire le lezioni più interessanti. Tutto sommato ero soddisfatto, quasi felice, per quella nuova sistemazione, fino a stamattina. Entrato in classe e tolta la cartella, mentre appoggiavo il libro di testo sul banco la mia attenzione fu catturata da alcuni segni neri nell’angolo in alto a destra. Non posso crederci. Sul banco che la sorte mi aveva consegnato, incisa da chissà quale mano, è riportato un nome, quel nome. Puro e semplice, senza epiteti, senza insulti, il vuoto intorno ad esso, ma tra tutti i nomi possibili è proprio quello.

Fisso quelle lettere, che così bene conosco, ormai, per quante volte le ho pensate e ho immaginato di pronunciarle e ho tentato di dimenticarle. Anche loro mi fissano, ma non mi conoscono, come potrebbero! Sento salire in me una strana sensazione, una sofferenza lancinante; ripenso alla mia incapacità e inettitudine. E il dolore si trasforma in rabbia, apro l’astuccio e ne tiro fuori un portamine, rapida come la lama di un pugnale a serramanico ne estraggo la punta: la scura grafite coprirà quelle lettere, nascondendole al mio cuore infranto.

Ma la mia mano resta sospesa, la tensione dei muscoli va scemando e la presa si allenta. Le lettere mi fissano, impaurite dal mio scatto improvviso. Non posso far loro questo, mi dico, non hanno colpa. Non posso fare questo al suo nome. Abbasso il mio braccio, mi arrendo. La mia faccia si stende in una sorta di sorriso. Anche loro mi sorridono.

Grazie per la lettura; spero che questo racconto, seppur breve, vi sia piaciuto, se volete lasciare commenti, anche negativi, fate pure, saranno suggerimenti utili a migliorarmi! Grazie ancora
 

N.B.: nella descrizione è indicato come tipo di coppia "nessuna" per il semplice motivo che non ho sentito, immaginandomi la vicenda, di esplicitare alcuna caratteristica dei personaggi coinvolti, mantenendomi il più possibile sul vago;
  
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