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Autore: Do_Not_Touch_My_Patria    10/09/2013    6 recensioni
Jean Prouvaire è un bravo ragazzo.
Ama i fiori, passa il suo tempo a scrivere poesie e ama gli uomini.
Di tutte le sue caratteristiche, sembra che quest'ultima proprio non possa essere accettata.
Jean Prouvaire ha cercato di essere forte, di resistere, ma non è mai riuscito a superare l'odio delle persone, la cattiveria gratuita, le botte e la vergogna.
Almeno finchè non ha incrociato per la prima volta lo sguardo di Courfeyrac, giovane studente universitario che è stato capace di cambiargli la vita.
Ma l'amore è spesso un'arma a doppio taglio...
[Modern!AU Courfeyrac x Jehan
ATTENZIONE! Tematiche forti: bullismo, suicidio.]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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~The Stars Are Not Wanted Now














Era passato quasi un anno, ormai, da quando aveva conosciuto Courfeyrac.
Ricordava ancora com’era la sua vita prima.
Fin da piccolo, Jean Prouvaire, aveva imparato a conoscere il sapore dell’odio, fin dalla più tenera età aveva imparato a conoscere il suono del rifiuto.
Che i bambini siano maligni per natura è risaputo, ma Jehan sembrava non volerci credere; con un cuore buono e generoso come il suo gli sembrava impossibile che qualcuno potesse desiderare l’altrui sofferenza. Era per questo che, all’inizio, non aveva dato un gran peso agli insulti che i suoi coetanei gli rivolgevano.
Forse era perché a lui non piaceva giocare a calcio, forse era perché anziché fare gli scherzi alle bambine preferiva rimanere seduto in un angolo, ai piedi della grande quercia in cortile, a scrivere poesie.
Era diverso, Jehan, e lo sapeva.
Eppure, per quanto fosse vero, ai suoi genitori non piaceva quel termine. Loro preferivano definirlo un bambino sensibile.
A undici anni aveva finalmente capito cosa fosse a renderlo così diverso dai suoi compagni, ma anche i suoi compagni sembravano averlo compreso.
Quelli che prima potevano sembrare solo scherzi fastidiosi e piccole malignità si erano trasformati in veri e propri atti di bullismo.
Jehan, studioso e intelligente, aveva incominciato ad andare a scuola malvolentieri, e i suoi genitori si erano subito impensieriti.
Ci era voluto poco tempo affinchè il loro bambino mostrasse i segni delle percosse.
Era stata una scelta difficile e ponderata, ma alla fine i Prouvaire avevano deciso di trasferirsi dalla Provenza e avevano comprato casa a Parigi. Jehan aveva pensato che sarebbe stato meglio, che avrebbe dimenticato, che lì la sua vita sarebbe potuta ricominciare, ma sbagliava.
Sbagliava, e lo sapeva benissimo.
La prima volta che lo avevano chiamato frocio a Parigi aveva cercato di far finta di niente, ma presto era ricominciato tutto daccapo.
I compagni avevano ripreso ad accerchiarlo durante la ricreazione e a sfondarlo di botte, finchè non aveva incominciato di nuovo a marinare.
Era stato al secondo anno, quando era arrivata quella misteriosa ragazza da un’altra scuola, che le cose avevano preso ad andare un po’ meglio.
Lo sguardo di ghiaccio di Cosette Fauchelevent aveva zittito per la prima volta dopo anni i bulli che lo stavano massacrando in un angolo del cortile.
- Se vuoi tenere i capelli in una treccia, tieni i capelli in una treccia. Se vuoi scrivere poesie, scrivi poesie. – gli aveva detto con il sorriso più dolce che Jehan avesse mai visto.
- E specialmente se vuoi amare un uomo, ama un uomo. Nessuno al mondo è perfetto abbastanza da poter giudicare un suo simile… -
Da quel giorno erano diventati amici per la pelle.
Jehan non aveva mai capito appieno per quale motivo gli studenti del Liceo temessero tanto Cosette; si vociferava che suo padre fosse una strana persona, ma francamente il giovane poeta non riusciva a immaginare come un bruto potesse allevare un essere tanto buono e aggraziato come lei.
Cosette era il motivo per cui era tornato a sorridere, Cosette era la ragione per cui non aveva più paura di sé stesso. Grazie a Cosette, adesso, Jehan non nascondeva più i segni delle botte. Grazie a cosette, adesso, Jehan era felice.
Eppure avrebbe dovuto immaginare che la felicità sarebbe stata effimera.
Un giorno, senza addurre spiegazioni, Cosette se n’era andata, e Jehan era rimasto solo.
Di nuovo.
Era stato di nuovo dolore, erano state di nuovo lacrime soffocate nel cuscino e lividi nascosti sotto la sciarpa.
Il mondo di Jehan, che per un paio d’anni era tornato a tingersi dei freschi colori della sua Provenza, era ripiombato nel buio con la violenza di un pugno alla bocca dello stomaco.
Era una giornata di Settembre, una di quelle belle giornate dal cielo limpido e terso perfette per scrivere un paio d’ore al parco.
Jehan aveva avvisato i suoi che quel giorno avrebbe mangiato fuori e, dopo scuola, si era preso una crepe da asporto ed era andato a mangiarsela in santa pace alle Tuileries.
Sdraiato sul prato, poco distante da lui, un ragazzo sembrava starsi dannando l’anima per risolvere chissà quale equazione matematica.
Era un bel ragazzo, i ricci castani gli incorniciavano un viso abbronzato increspato ogni tanto da un sorriso luminoso quando rusciva nel suo intento.
Ogni tanto si grattava la testa con la punta della matita, i soi occhi color muschio incupiti da qualche problema, ma tutto sembrava svanire quando, con un’alzata di spalle, girava la pagina del suo librone universitario e dava un’occhiata distratta al cellulare.
Senza nemmeno accorgersene, Jehan aveva già scritto un sonetto.
Quello che era successo dopo era stato tutto molto rapido e confuso.
Dall’altro lato del sentiero era apparso un gruppetto di compagni di scuola di Jehan. Si erano avvicinati a lui apostrofandolo come al solito, ma quando il ragazzo aveva stretto i denti pronto a ricevere il primo calcio una voce sconosciuta si era fatta sentire al di sopra delle altre.
- Hey, non avete niente di meglio da fare? Lasciatelo stare e girate al largo! –
Il ragazzo di prima si era intromesso, ma non aveva calcolato con quali individui aveva a che fare.
Erano volati insulti, poi si era passati alle mani, qualcuno aveva strattonato Jehan per la treccia e un coltello era apparso dal nulla.
C’era stato un momento di black out durante in quale il ragazzo aveva agito d’istinto senza pensare.
Quando era tornato in sé la sua treccia era a terra, recisa da un colpo di coltello, e lo sconosciuto era seduto per terra, un occhio nero e lo sguardo ammirato.
- Wow! Se avessi saputo che te la saresti cavata così bene da solo mi sarei risparmiato questa faccia da panda! – aveva esclamato con una risata rimettendosi in piedi. Si era tolto la terra dai jeans con un paio di pacche svogliate e aveva abbassato il tono, rivolgendogli un’occhiata confidenziale.
- Comunque sia stai alla larga da quella gente, sono degli idioti. –
Jehan aveva annuito, troppo stupito per replicare.
Era dai tempi di Cosette che nessuno si prendeva la briga di difenderlo.
Mai, prima di allora, lui stesso si era sentito così forte di fronte a qualcun altro.
- A proposito, io mi chiamo Courfeyrac! Tu sei? – aveva domandato lo sconosciuto con un gran sorriso, incurante dell’occhio nero sempre più evidente.
- Jean Prouvaire… - aveva risposto arrossendo nello stringergli la mano.
Da quel giorno il suo mondo era cambiato.
 
*
 
- Sai a cosa pensavo? – esordì al’improvviso Courfeyrac, sdraiato sul letto a giocare alla play mentre Jehan, il capo appoggiato sul suo ventre, rileggeva con attenzione gli appunti di Letteratura.
Non si prese nemmeno la briga di rispondergli, sapeva che l’aver alzato gli occhi dal quaderno sarebbe stato sufficiente ad incoraggiarlo a proseguire con il suo discorso.
- Fra un mese sarai diplomato. Bisogna festeggiare! –
Questa volta Jehan si mise a sedere.
- Cos’hai in mente di fare? – domandò, presagendo chissà quale follia ideata da Courf.
Il ragazzo si profuse in un ghignetto soddisfatto.
- Una bella vacanza, io e te. Scegli tu il posto! –
Ma all’ ”io e te” Jehan aveva già smesso di ascoltare e gli era saltato addosso, stringendolo in un abbraccio soffocante.
- Hey, hey! Piano! Guarda che vorrei arrivarci vivo al giorno del tuo diploma, eh! – scherzò Courfeyrac scompigliandogli i capelli.
- Scusami, è che sai… questa sarebbe la mia prima vacanza con un amico e… sì, insomma, sono emozionato all’idea… - spiegò avvampando dall’imbarazzo.
La verità, però, era un’altra.
Fin dal primo momento Jehan si era sentito in pace, con Courfeyrac.
Mai, in tutta la sua vita, aveva provato un sentimento simile, mai, in tutta la sua vita, era stato così felice come da quando aveva incrociato per la prima volta quello sguardo sveglio e sempre allegro.
Dopo qualche tempo che si conoscevano, Courfeyrac l’aveva presentato ai suoi amici, due ragazzi seri e studiosi con i quali aveva subito fatto amicizia.
Non avevano fatto una piega quando erano venuti a conoscenza del suo orientamento sessuale, e l’avevano accolto nel loro gruppo come se fosse stato un fratello.
Tutto andava bene, finalmente.
Jean Prouvaire, adesso, era completo.
- Allora? Dove ti piacerebbe andare? – sussurrò Courfeyrac a un soffio dal suo viso.
Jehan deglutì, la gola improvvisamente secca e i battiti accelerati.
- Mi… mi piacerebbe Venezia… - balbettò senza riuscire a staccare gli occhi da quelli di Courf.
Rimasero qualche secondo in quel modo, i respiri che si mescolavano, leggermente affannati, poi Coufeyrac sorrise e gli diede un buffetto sul naso.
- E Venezia sia! – esclamò, alzandosi in piedi e spegnendo la play, ormai inutilizzata.
- Vedrai, sarà la vacanza più bella della tua vita! – gli promise, gonfiandogli il cuore di speranza.
Mezz’ora dopo, quando uscì dall’appartamento di Courfeyrac, la speranza era già scomparsa, uccisa dall’amichevole pacca sulla spalla che gli aveva dato il ragazzo.
Sistemò meglio la borsa a tracolla, si incamminò a passo spedito verso la metropolitana e, quando fu abbastanza lontano, scoppiò in lacrime.
Jehan non avrebbe saputo dire per quale motivo si sentiva così male.
Forse era per via dell’enorme livido bluastro che il colletto alzato della camicia nascondeva con cura e che Courf aveva accidentalmente colpito in quel gesto affettuoso, forse era perché, ancora una volta, Jehan si era illuso di poter essere salutato dalle labbra di Courfeyrac premute dolcemente sulle sue.
In ogni caso, adesso, il suo cuore era gonfio di morte.
 
*
 
Giugno era arrivato con una rapidità soprendente, portando con sé i colori dei fiori e i canti degli uccelli.
Courfeyrac non aveva mai dato importanza al mutare delle stagioni, eppure, da quando conosceva Jehan, qualcosa era cambiato.
Aveva incominciato ad apprezzare le cose semplici, la rugiada sulle piante alla mattina, le nuvole che si rincorrevano nel cielo…
Jehan aveva saputo infondere un po’ di poesia nella sua mente matematica e razionale, e da quel momento Courfeyrac si riteneva una persona nuova.
Enjolras e Combeferre avevano accettato Jehan nel gruppo come se fosse stato uno di famiglia, e questo lo riempiva di gioia; non riusciva più a immaginare un giorno senza il suo ingenuo poeta.
Ultimamente si era accorto che qualcosa lo impensieriva, così aveva escogitato di trascorre qualche giorno all’estero, dopo il suo diploma.
Se non altro l’avrebbe aiutato a distendersi e liberarsi dei suoi mille pensieri…
Da quando Jehan aveva approvato la sua idea aveva passato interi pomeriggi su internet a consultare quintali di pagine web. Voleva che il loro viaggio fosse sì, economico, ma al meglio delle loro possibilità.
Inoltre, per quel soggiorno a Venezia, Courfeyrac aveva anche un altro progetto…
Emozionato e un po’ in imbarazzo, stava appunto andando al Musain a chiedere consiglio ai suoi migliori amici quando il suo cellulare prese a vibrare con insistenza nella tasca dei jeans.
- Pronto, Jehan! – salutò con la sua solita voce squillante.
Qualcosa dall’altra parte della cornetta, però, smorzò il suo sorriso con una violenza inaudita.
- Jehan… Stai bene? –
Silenzio.
Poi un singhiozzo.
Sottile, leggero, quasi trasparente.
Per un momento Courfeyrac pensò di averlo solo immaginato, ma la voce dell’amico confermò ogni dubbio.
- Mi dispiace… -
Il ragazzo cercò di comprendere cosa potesse essere successo, ma in quel momento nella sua mente regnava il vuoto più totale.
- Cosa c’è? Jehan, cos’è successo? –
Altri singhiozzi, questa volta più chiari, raggiunsero le sue orecchie.
- Mi dispiace, non ce l’ho fatta… -
Le sopracciglia di Courfeyrac si incurvarono, mentre le pupille rimpicciolivano, ferite dalla luce del pomeriggio.
- Jehan. Parla. Cosa ti è successo? – domandò con fermezza, le mani che però tremavano già.
Sapeva cosa era successo. Lo sapeva e lo aveva capito troppo tardi.
- Hanno… hanno ricominciato… Io non… non ce l’ho fatta… -
Courfeyrac diede un calcio a un bidone della spazzatura facendo voltare alcuni passanti.
Come aveva potuto essere così cieco? Come aveva potuto non accorgersene? Si erano fatti furbi, avevano smesso di colpirlo dove si sarebbe potuto notare, e infatti non l’aveva notato.
Lo avevano picchiato di nuovo, e lui non era stato in grado di proteggerlo.
- Quei bastardi… Perché non mi hai detto niente? – sibilò nella cornetta mentre i suoi piedi lo conducevano automaticamente verso casa dell’amico.
Altro silenzio, ma questa volta la debole voce di Jehan aveva un tono che gli fece venire i brividi.
Era… era rassegnazione?
- Non volevo che pensassi che sono una persona debole… Volevo essere forte… Non ce l’ho fatta… Scusami… -
Courfeyrac fece per replicare, ma la voce di Jehan lo zittì di nuovo.
- Ma non ti preoccupare, ormai è tutto passato… -
Una frase che, invece di rassicurarlo, gli fece rizzare i peli sulla nuca.
Cos’era quel freddo che si era improvvisamente impadronito di lui? Perché aveva la pelle d’oca, adesso?
Come mai aveva iniziato a correre?
- Jehan, ti prego… - si ritrovò a balbettare.
Dall’altro capo della linea giunse un rumore strano, il rumore di un sighiozzo soffocato da un sorriso.
- Courfeyrac, ti prego, perdonami… - e non era più che un sussurro.
- Ma certo che ti perdono, anche se non hai nessuna colpa, ma ti per… -
La voce morì in gola a Courfeyrac.
Una sola frase, due sole parole, e il ragazzo si inchiodò in mezzo alla strada, il telefono premuto così forte contro la guancia da lasciare il segno.
- Ti amo. –
Poi fu solo silenzio.
Courfeyrac rimase qualche frazione di secondo immobile, ad assorbire il significato di quelle parole, poi, come percorso da una scossa elettrica, si riscosse.
Prese a correre lungo il boulevard come un forsennato, senza badare ai semafori o alle persone che gli intralciavano la strada.
Cadde un paio di volte, ma si rialzò e proseguì la corsa finchè non giunse al portone di Jehan.
Si attaccò al citofono e premette spasmodicamente il pulsante.
- SONO COURFEYRAC, FATEMI ENTRARE! – gridò, fuori di sé, quando rispose la voce della signora Prouvaire.
Nel frattempo, l’acqua scorreva decisa nella vasca.
Courfeyrac correva, correva più veloce che poteva, saliva i gradini a quattro a quattro.
Nel frattempo, Jehan aveva smesso di piangere.
- Courfeyrac, cosa succede? – domandò la donna, ma il ragazzo entrò in casa senza nemmeno attendere l’invito.
- Dov’è Jehan? Dov’è? – domandò, in viso l’espressione di un folle.
- In camera sua, sta  ascoltando la musica… -
Nel frattempo, la canzone ovattava gli altri rumori.
Courfeyrac aprì di slancio la prota della stanza di Jehan, trovandola vuota. Il lettore cd era acceso e cantava a tutto volume.
Courfeyrac si precipitò  verso la porta del bagno, mentre la madre di Jehan lo seguiva, sconvolta da quel comportamento.
- JEHAN, APRI QUESTA PORTA! JEHAN! – gridò, scagliandosi sull’uscio e strattonando la maniglia.
Niente, era chiusa a chiave.
Nel frattempo, l’acqua nella vasca si faceva torbida e pesante.
- CRISTO, JEHAN, TI PREGO, APRIMI! TI PREGO! –
Aveva preso a piangere come un bambino, forti singhiozzi scuotevano il suo corpo in preda all’angoscia, in preda alla paura.
Non poteva essere vero. Non poteva starlo facendo per davvero.
- Alla fine sei venuto… - sussurrò Jehan un momento prima che Courfeyrac sfondasse la porta del bagno.
Nel frattempo, Jehan sorrideva.
Lo aveva amato più di ogni altra cosa al mondo, lo aveva amato più di se stesso. Si era aggrappato al suo sorriso come se fosse stata l’unica salvezza rimasta.
Ma Courfeyrac non era come lui, e il suo amore sarebbe rimasto per sempre nell’ombra.
Courfeyrac gli aveva mostrato la luce del sole solo per renderlo cieco in un secondo momento.
No, non avrebbe potuto farcela.
- Jehan, cosa? Jehan, no! Dio mio, no! JEHAN! –
Courfeyrac attraversò il bagno di corsa.
Il ragazzo giaceva nella vasca da bagno, un braccio venato di rosso pendeva inanimato oltre il bordo di piastrelle bianche.
- No, Jehan… Ti prego… No… No… - singhiozzò mentre il signor Prouvaire accorreva e afferrava la moglie per le spalle prima che crollasse a terra svenuta.
- Jehan… Cristo, ti prego… Jehan… No… No… - non riusciva a dire altro, non riusciva a pensare ad altro mentre, i vestiti macchiati del suo sangue, lo stringeva a se e gli baciava il viso.
Nel frattempo, Jehan era morto.
 
*
 
Quel mattino a Parigi il cielo era coperto di nuvole.
Combeferre e Enjolras erano passati a prendere Courfeyrac e lo avevano accompagnato dai genitori di Jehan, poi fino in chiesa, e anche al cimitero.
Era stato Enjolras a rispondere al cellulare, qualche pomeriggio prima.
- Pronto? Courfeyrac, non sai proprio cosa sia la puntualità, eh! – aveva esordito, ma si era fatto serio di colpo.
- Ah. Io… Arriviamo subito. – aveva replicato, bianco come un cencio.
Aveva infilato il cellulare in tasca e si era voltato verso Combeferre, serio come mai nessuno l’aveva visto.
- Jehan si è ucciso. –
Nessuno dei due aveva mai visto Courfeyrac in quello stato.
Enjolras si era incaricato di porgere le loro condoglianze alla famiglia, e Combeferre era andato ad assistere l’amico, riverso per terra in preda a forti singhiozzi.
Lo abbracciò stretto mentre Courfeyrac si aggrappava alla manica della sua camicia.
- Non è giusto, Ferre… Non è giusto… - singhiozzava.
- Lo so, Courf… lo so… - ma Combeferre non era preparato alla frase che l’amico aveva pronunciato in mezzo ai singulti.
- Io lo amo… lo amo… -
Adesso, di fronte alla terra fredda e muta, la bara di Jean Prouvaire sembrava troppo piccola perché potesse contenere un cuore grande come il suo.
Non era rimasta molta gente al cimitero; qualche parente, qualche amico di famglia, e loro tre.
Spirava un leggero vento da Sud, e nell’aria c’era profumo di fiori, quando Courfeyrac tirò fuori dalla tasca dei jeans un foglio tutto stropicciato.
Non capirono di cosa si trattava finchè non ebbe incominciato a leggere.
- Stop all the clocks, cut off the telephone, prevent the dog from barking with a juicy bone… -
Quella era una poesia.
Courfeyrac aveva sempre disprezzato le Lettere, preferendo alla dolcezza dei versi la razionalità dei numeri.
Eppure, da quando aveva incontrato Jehan il suo mondo era cambiato, scosso da una ventata primaverile che gli aveva insegnato ad amare.
- He was my North, my South, my East and West, my working week and my Sunday rest… -
Mai, in tutta la sua vita, Courfeyrac aveva creduto che si sarebbe potuto innamorare davvero. Mai, in tutta la sua vita, aveva creduto che un paio d’occhi color dell’orizzonte sarebbero stati in grado di fargli cambiare opinione su tutto, persino su se stesso.
- My noon, my midnight, my talk, my song; I thought that love would last for ever: I was wrong.
E mentre parlava il dolore gli sfigurava il viso.
Combeferre e Enjolras rimasero immobili, sconvolti, dilaniati da tutta la sofferenza che lacerava il loro cuore e quello del loro più caro amico.
-The stars are not wanted now: put out every one; pack up the moon and dismantle the sun; pour away the ocean and sweep up the wood…-
Si interruppe, scosso da un singhiozzo più forte degli altri.
Si morse le labbra, strinse i pugni, accartocciò il foglio di carta gettando alla terra nera e fredda a cui consegnava la sua vita uno sguardo d’odio e di preghiera.
Che lo prendesse con sé, che se lo portasse via, che potesse chiudere gli occhi per sempre, e riaprirli accanto a Jehan!
Courfeyrac trasse un profondo sospiro, e recitò a memoria l’ultimo verso della poesia.
La sua voce scivolò fuori dalle sua labbra densa di una dolcezza amara, di un risentimento rassegnato.
Quella era la voce dell’amore strappato alla vita.
Il suo amore.
L’amore che Courfeyrac aveva tenuto in serbo per Venezia, e che a Venezia non sarebbe mai giunto.
- For nothing now can ever come to any good. -
 
 
 
 



 
 
 
 Note:

Non lo so, mi sento un mostro e probabilmente lo sono.
E’ che a trattenere troppo i feels si finisce così.
Mi odio. Non avrei mai dovuto scrivere questa cosa. Però ormai è andata, e giusto per essere stronza fino in fondo la condivido con voi.
La poesia che recita Courfeyrac alla fine è Funeral Blues di Auden, una delle nostre pesie preferite.
Riporto la traduzione in italiano mettendo tra parentesi i versi che non ho utilizzato.
 
Fermate gli orologi, il telefono sia rimosso,
Tenete buono il cane con un succulento osso,
[Fate tacere i pianoforti e con un rullio smorzato
Esponete la bara, ricevete chi è addolorato
Fate che gli aerei volteggino alti con sconforto
scrivendo nel cielo il messaggio: Lui è Morto,
Adornate di crespo il collo dei piccioni metropolitani,
Fate indossare guanti neri ai vigili urbani. ]
Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Oriente e il mio Occidente,
La mia settimana di lavoro e la mia domenica a far niente,
Il mio mezzogiorno, la mia mezzanotte, il mio discorso, il mio canto,
Credevo che l'amore fosse eterno: mi sbagliavo tanto.
Non servono più le stelle: spegnetele una a una;
Smantellate il sole e imballate la luna;
Svuotate l'oceano, sradicate le piante.
Perchè ormai più nulla sarà importante.

 
E ora vado a nascondermi prima che qualcuno mi linci.
Che poi mi starebbe anche bene…
 
Ps: l’idea è stata di Koori, Ame si è solo limitata a piangere, odiarla e darle qualche consiglio.
Quindi vi prego, lasciatela stare. Lei è innocente… (?)

Pps: volete farvi male? Leggete questa storia ascoltando "If Only" degli Hoobastank, la canzone che mi ha dato l'ispirazione. Ve la consiglio caldamente...
 
Au revoir,
Koori&Ame
  
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