Il
silenzio
spaventoso che aleggiava nella sala d’attesa riusciva
impeccabilmente a far
crescere l’ansia chiunque vi mettesse piede. Pareva
che il destino mi avesse
scelta per quella prova così difficile da affrontare; e non
c’era scampo: o ne
uscivo viva o mi lasciavo distruggere.
Con gli
occhi sfiorai ognuna delle lettere che componevano il cognome del
medico, nella
targhetta affissa sulla porta. Un connubio di vocali e consonanti che,
tutto
sommato, suonavano quasi bene in un Charleston, che era uno di quei
nomi da
saper mettere sicurezza. Dovevo
solo
poggiare la mano sulla maniglia, fare un po’ di pressione ed
entrare. Poche
mosse, semplici, per sapere, capire ed avere quella risposta.
Bofonchiai
qualcosa a voce troppo alta ed un eco proveniente dalla stanza mi
rispose “prego,
avanti”. Ero gelida nel mio sangue torbo e acido, le gambe
non volevano
muoversi, i muscoli delle braccia sembravano paralizzati, e il mio
finto
sorriso scheletrico s’era trasformato in un ghigno
d’angoscia e disperazione.
Ma poi, spinta da una qualche forza invisibile, entrai.
-
Salve
dottor Charleston . -
-
Buongiorno, lei dev’essere la signorina Smith. –
Il
sorriso
che gli si stampò in volto non era portatore della stessa
sicurezza che mi
aveva trasmesso il suo cognome, ma non potevo più fuggire a
quel punto, perciò
tirai la sedia verso di me, allontanandola il più possibile
dalla scrivania e
da quell’omone calvo e con gli occhiali e mi sedetti. Era
robusto ed un filo di
barba gli copriva il mento e le guance rossissime, poi il naso si
affacciava
imperfetto e con la punta all’insù tra due occhi
di un azzurro intenso, per
nulla sbiadito dal tempo. Quei due buchi come il mare lo rendevano
attraente,
nonostante l’età.
-
Si
tranquillizzi però, altrimenti finisce per svenirmi in
ambulatorio.-
La
sua
risata fu dolce, compassionevole e leggera. E così anche la
sua voce morbida.
Era come se mi volesse preparare a ricevere quello che sarebbe stato
l’esito dei miei
esami, e la sua esasperante tranquillità poteva solo far
crescere il mio
timore. Già mi immaginavo un bel
‘positivo’ stampato a caratteri cubitali sulla
carta bianca, seguito dalle sue parole, roba del tipo “ma
stia tranquilla, ci
sono cose peggiori”. E invece no, quello era proprio il
peggio per me, ed era
tremendamente doloroso realizzarlo.
-
Sono
tranquilla, dottore. Vorrei solo sapere in fretta il risultato.-
-
Non la
vedo particolarmente entusiasta però…-
Trattenni
una risata, come potevo esser entusiasta del peggio? Io, io nemmeno me
l’ero
sognato di reagire con felicità ad un esito positivo.
-
Sarò più
entusiasta quando mi avrà detto il risultato, se
sarà come deve essere.-
-
Come deve
essere? Perciò lei ha già una pretesa,
insomma… Non lo so nemmeno io come è,
non li ho aperti gli esiti ancora, guardi lei stessa…-
La
busta
sigillata era proprio sopra alla scrivania, di fronte ai suoi occhi, di
fronte
ai miei. La strinse tra le dita solo per avvicinarmela e rimase in
attesa che
io la prendessi, facendola volteggiare impercettibilmente
nell’aria. Io
indugiai, e lo feci per parecchio perché le mani si erano
bloccate di nuovo,
poi scossi la testa.
-
No, no, la
prego. Apra la busta e mi dica il risultato.-
-
Ha paura,
signorina?-
Mi
guardò
con occhi inquisitori, ed allo stesso tempo mi inondò di una
dolcezza tremenda,
come se volesse dirmi che in quel momento mi stava vicino
più che mai. Allora
sospirai arresa e presi la busta tra le mie mani. La aprii e tirai
fuori il
foglio piegato, con il coraggio necessario per aprirlo avrei saputo il
risultato in pochissimi secondi.
-
Lei
nemmeno immagina in che guaio potrei finire. Ho una tremenda paura,
sì.-
-
Si ricordi
di restare calma.-
Positivo.
C’era
scritto positivo. Ed era scritto enorme, ed era nero
d’inchiostro lucido.
Chiusi gli occhi e sentii l’anima crollarmi fino in fondo
allo stomaco. Sentii
i crampi assalirmi i muscoli e farmi quasi svenire per il dolore. Mi
strinsi
entrambe le labbra tra i denti, mordendole come se volessi svegliarmi
da quell’incubo,
poi aprii gli occhi ed il medico era ancora di fronte a me,
così come sotto i
miei occhi se ne stava in tutta la sua tranquillità quel bel
“positivo”. Intercettai
lo sguardo dell’uomo che attendeva una mia reazione. Lo
fulminai con uno
sguardo pieno di risentimento, d’ira, di frustrazione e
disperazione.
-
Perfetto,
sono incinta.-
Un
soffio al
cuore m’attraversò da parte a parte. Mi
strappò il foglio dalle mani e lasciò
scorrere gli occhi sull’esito, poi tornò su di me.
-
Congratulazioni signorina, lei è incinta di quattro
settimane.-