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Autore: Chemical Lady    11/09/2013    4 recensioni
Gli eroi non hanno né super poteri né calzamaglia.
Non indossano maschere colorate e non sanno volare
Un vero eroe si distingue per il suo coraggio e per l’amore che dà agli altri.
Grazie, Blaine…
Tu sei il mio eroe.
***
Avevo già postato questa one durante la Klaine Week indetta da Flan, un anno fa. La ripropongo in memoria di questo giorno di lutto, riletta e sistemata.
We’ll never forget.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Titolo: Better Heroes
Rating: Giallo.
Avvertimenti: Tematiche delicate; Eventi riconducibili alla strage dell’undici settembre 2001 a New York.
Prompt: Heroes!Blaine.
Pairing: Klaine, accenno di Finchel e Bram alla fine.
Note: Avevo già postato questa one durante la Klaine Week indetta da Flan, un anno fa. La ripropongo in memoria di questo giorno di lutto, riletta e sistemata.
We’ll never forget
 
Buona lettura e grazie a tutti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non tutti gli eroi sono invulterabili.
Non tutti gli eroi sono immuni alla paura.
Un eroe però sa come andare avanti,
affrontando il buio…
 
 
 
 
Aprire gli occhi fu davvero doloroso.
Una sofferenza, un crimine contro l’umanità e, in particolare, contro la sua povera testa, che batteva forte come una grancassa durante una parata.
Si sentì disorientato, perso, come mai in vita sua.
Tutto, attorno a lui, sembrava sfocato e informe.
Non avvertiva la luce del sole entrare dalle grandi vetrate, né sentiva il rumore del traffico metropolitano in strada…. Il che era strano, contando che viveva a New York ed era mattino.
Si rese conto di essere steso contro una superficie fredda e dura solo nel momento in cui tentò di muoversi. Che fosse sul pavimento? Non riusciva a tenere gli occhi aperti a causa dell’emicrania, quindi non aveva idea di cosa aspettarsi. Non ricordava nulla.  
Doveva essersi addormentato sulla sedia durante il turno di lavoro e poi forse era caduto in terra, dannazione!
Strano però, non gli era mai successo….
Tendeva ad essere stranamente zelante nel suo lavoro.
Sentiva già la vocetta da oca di Stacy, l’addetta al marketing internazionale, che blaterava alle macchinette di quanto ‘Hummel del settore sette’ fosse troppo giovane e inesperto per lavorare lì, gomito a gomito con i migliori finanzieri del mondo….
Che poi, a dirla tutta, lui era l’equivalente di una segretaria part time, non pretendeva di passare per un grande economista. Non sarebbe mai riuscito a studiare quella roba, voleva solo riuscire ad arrivare a fine mese, nell’attesa di venir chiamato per uno spettacolo.
Non la avrebbe tollerata ancora per molto, in un certo senso aveva già la risposta pronta, ma dall’atrio non proveniva nessuna voce….
La sensazione di totale immobilità si rivelò essere più reale del previsto. Non sentiva la parte inferiore del corpo, come se le sue gambe fossero sparite. Provò quindi ad alzarsi seduto mentre, con uno sforzo altrettanto disumano, spalancava gli occhi. Li richiuse subito appena tirò una discreta capocciata contro qualcosa di basso, sopra di lui.
“Oh, ma che…” si portò una mano alla fronte e ci provò ancora.
Tanto, ormai, aveva perso chissà quante cellule cerebrali, il dolore sarebbe passato solo dopo averlo ucciso.
Aprì gli occhi e si guardò attorno.
Ciò che vide lo lasciò del tutto agghiacciato, senza forze e senza respiro.
Attorno a lui non c’era più il grattacielo in cui lavorava da quasi quattro mesi, ma un cumulo di lamiere ritorte e cavi scoperti che lanciavano scintille. Sobbalzò quando, uno di essi, illuminò meglio la scena attorno a lui. Tutto attorno a lui si propagava un fumo nero che pareva parecchio tossico e che, grazie a Dio, non lo raggiungeva, in quanto era parzialmente schermato da un grosso blocco di cemento e da una scrivania. A pochi passi, sotto quelli che sembravano i resti di una fotocopiatrice aziendale, vide Stacy. O meglio, quello che ne rimaneva….
Lanciò un grido strozzato, tentando di muoversi. Peccato che, anche volendo, non sembrava esserci nessuna via d’uscita.
Sentiva gemiti e lamenti in lontananza, sentiva donne gridare e voci di uomini affrettarsi sopra alla sua testa. La domanda era: quanto in basso era, sotto ai detriti?
Tentò di muovere le gambe, schiacciate sotto un pesante pilastro di acciaio, -sembrava uno di quello portanti, non poteva saperlo con precisione- ma non ci riuscì. Una pozza di sangue quasi del tutto rappreso sotto di lui gli fece capire che, forse, non le aveva nemmeno più le gambe. Provò a muoversi con più decisione e una fitta lancinante annebbiò la sua vista.
Le gambe c’erano ancora, erano messe malissimo, ma dal dolore che provava capì che erano quanto meno attaccate.
Una cosa era certa, non c’era assolutamente nessuna possibilità di togliere quel pilastro dalle sue gambe.
Doveva rimanere fermo.
Un altro lampo illuminò un altro corpo, steso di spalle rispetto a lui. Era Stanley, delle risorse umane. Con la voce rotta dal pianto Kurt provò a chiamarlo una, due, dieci volte con la speranza nella voce.
Era morto.
Erano tutti morti, tranne lui.
Kurt se lo sentiva, era rimasto solo.
Prese a piangere silenziosamente, terrorizzato. Cosa ne sarebbe stato di lui?
Perché la torre era crollata?
Tentò di ricordare, ma una sensazione, seguita dal brutto taglio che aveva sulla fronte, gli fece presagire che doveva aver battuto molto forte la testa.
La poca luce che filtrava dall’alto si spense definitivamente, in modo graduale, ma i colpi che sentiva sopra alla sua testa e le voce degli uomini no.
Forse lo avrebbero salvato, chissà, forse sarebbe sopravvissuto. Doveva tenere duro, suo padre non lo avrebbe mai perdonato se si fosse lasciato morire senza lottare.
Con la mente lontana chilometri, a Lima, si stese, tenendo gli occhi fissi sopra di sé, mentre calde gocce salate continuavano a cadere dei suoi occhi, bagnandogli le tempie e l’attaccatura dei capelli.
Doveva solo aspettare, quindi….
Chiuse gli occhi, senza però riuscire a dormire. Senza nemmeno provarci, per paura di non svegliarsi più.
 
Doveva essere passato almeno un giorno visto che il sole era salito e stava scendendo di nuovo. I colpi si facevano sempre più vicini, ma Kurt si sentiva così debole….
Sarebbe stato più semplice abbandonarsi del tutto e morire, no? Perché doveva faticare tanto?
Se l’era chiesto spesso, in tutte quelle ore.
Aveva fatto di tutto, per non impazzire.
Si era anche ricordato cosa ci faceva lì e si diede immediatamente dello stupido. Pensare che era uscito e poi rientrato….
Idiota.
Quando l’aereo si era schiantato contro la torre Nord era corso fuori per vedere quella scena agghiacciante. Che razza di pilota idiota poteva aver fatto una cosa del genere?
Aveva guardato assolutamente stupefatto la scena prima di prendere l’ascensore e tornare verso gli uffici per recuperare il suo cellulare e contattare suo padre. Gli sarebbe certamente preso un infarto sapendolo al lavoro e, se conosceva i giornalisti, erano accorsi da tutto lo Stato a Lower Manhattan, per filmare l’accaduto.
Aveva iniziato ad avere a che fare con quel mondo sin dal momento in cui aveva preso a lavorare al World Trade Center, nel cuore del Financial District. Un posto che a lui nemmeno piaceva, tra l’altro.
Aveva recuperato il cellulare e aveva fatto per uscire ma….
Era rimasto bloccato.
Un boato e tutto il palazzo aveva tremato. Era quasi caduto in terra….
Poi la notizia: un aereo si era schiantato contro la torre Sud. La ‘sua’ torre, solo una quarantina di piani sopra alla sua testa e tutti correvano per le scale, intasandole…
Gli ascensori non funzionavano….
Era corso alla finestra, dove la maggior parte dei suoi colleghi  erano ammassati e lo aveva visto. Un uomo, si era lanciato dalla torre Nord, davanti a loro, ed era precipitato nel vuoto fino a terra. Sembrava l’apocalisse, non poteva essere vero.
Era un incubo, un incubo senza precedenti….
…. E senza dubbio non era un incidente.
Quante possibilità c’erano che ben due aerei trovassero divertante impattare contro le due torri, nello stesso giorno, a un’ora di distanza?
Era tornato alla sua scrivania, ancora disperato, cercando di chiamare suo padre….
Poi più nulla. Nessun colore, nessun suono.
Il vuoto.
Aveva ricostruito più volte ogni istante, anche il più insignificante, ma si era sempre fermato a quel punto, come se il suo cervello avesse volutamente cancellato il grattacielo che collassava e crollava su se stesso. Forse era un bene.
Aveva provato a cantare, piano, con la voce spezzata dalle lacrime che incessantemente cadevano dai suoi occhi ormai stanchi troppo stanchi per stare aperti.
Ad un certo punto, aveva persino pregato.
Non voleva morire, aveva ancora così tante cose da provare, persone da conoscere….
Voleva sfondare ed essere il migliore in qualcosa, voleva sposarsi con un uomo fantastico e avere dei figli.
Voleva vivere così tanto che quelle convinzioni lo tennero aggrappato alla vita stessa.
Aveva ancora tanto per cui ridere, tanto per cui piangere…. Molte persone da amare e molti momenti da assaporare.
Aveva speranze.
Non si sarebbe mai arreso.
Spalancò gli occhi di nuovo e li fissò verso l’alto.
‘Nessuno mette i piedi in testa ad un Hummel.’ disse la voce decisa di suo padre nella sua testa.
Nessuno, nemmeno la Morte.
 
Quando qualcosa iniziò a muoversi sopra di lui, si spaventò a morte. C’erano stati parecchi crolli, uno molto più vicino a lui di quanto si fosse augurato, ma quello era diverso. Sentiva scavare, sentiva le pale che graffiavano i detriti e gli scarponi dei soccorritori sopra di lui. Così si schiarì la voce e riempì i polmoni, tossicchiando per la polvere e quel fumo che mai si era placato.
Poi urlò.
Urlò più forte che poté e fino a che un grosso, enorme pezzo di cemento e calcestruzzo venne levato da sopra di lui. Una luce artificiale lo accecò e subito portò le mani al viso, per schermare i suoi occhi abituati all’oscurità.
“C’è un uomo qui!”
“Chiamate un paramedico, portate una barella!”
Uno di loro scese nel buco, mettendosi accanto lui “Sam! Portami dell’acqua!” disse concitato e Kurt abbassò le mani per guardarlo nel viso. Lo osservò mentre reggeva con una mano la mascherina bianca che teneva sulla bocca e lo guardava “Siamo qui.” Disse semplicemente allungando una mano, permettendo a Kurt di aggrapparsi con tutta la forza che gli era rimasta al suo braccio. “Sono qui e ti tirerò fuori da questo posto.”
Fu tutto quello che servì per far sì che Kurt riprendesse a piangere, molto più forte di prima.
Era piuttosto certo di non aver pianto così in tutta la sua vita.
Quel pompiere si chinò meglio si di lui, lasciandolo libero di stringere tra le mani tremanti e sporche di sangue e polvere la sua giacca. Lasciando che potesse aggrapparsi a lui come alla sua stessa vita.
Kurt lo fece, lasciò che quei grandi occhi color miele che lo stavano fissando con sollievo e preoccupazioni lo aiutassero a riemergere dall’apnea che aveva vissuto in tutte quelle ore.
Un altro pompiere scese nel buco, passando una bottiglia al collega che subito lo aiutò “Come ti chiami?” domandò con premura, mentre un medico asiatico si avvicinava a sua volta, controllando lo stato del sopravvissuto e soffermandosi sulle gambe.
“K-Kurt…” sussurrò il ragazzo, senza staccare gli occhi dal suo salvatore.
“Piacere di conoscerti, Kurt” rispose questi sorridendo “Io sono Blaine.”
Oh.
Kurt era assolutamente convinto che mai e poi mai si sarebbe dimenticato quel nome, per il resto della sua vita, visto che sarebbe stato in grado di viverla grazie a lui.
“Anderson, la situazione è pessima.” disse il biondino, alzando il casco solo per poter portare via una sottile patina di sudore e sporco dalla fronte, “Questo pilastro va spostato con una gru, ma non credo ce ne siano di disponibili ora….”
Kurt rimase in silenzio.
Significava che lo lasciavano lì….?
A mente lucida non lo avrebbe mai pensato, ma in quel momento non era molto in sé.
“Sei sicuro, Sam? Nemmeno vicino alla base della torre Nord?” domandò Blaine mantenendo la calma, tenendo un a mano sul braccio di Kurt.
Il biondo scosse il capo “No. Dobbiamo aspettare. Intanto andiamo a spostare quell’ammasso di fili di ferro che-”
Kurt non ci avrebbe mai scommesso, ma era ancora in grado di urlare. Interruppe il biondo e si aggrappò ancora di più a Blaine, tirando la sua giacca e facendolo quasi sbilanciare mentre il panico che aveva esorcizzato fino a quel momento si riproponeva “N-no! Non mi l-lasciate qui! Vi prego!”
Il medico risalì, aiutato da un poliziotto che assisteva impotente alla scena.
Blaine scosse il capo “Non vado da nessuna parte” disse deciso, prima di far appoggiare la schiena di Kurt a terra “Stai così o aggraverai la tua situazione.”
Il ragazzo tremò più forte mentre lo guardava alzarsi e passare la radio al collega, che era uscito da quella voragine, “Resto con lui, appena c’è una gru correte qui. Voglio portarlo in ospedale subito o potrebbe perdere le gambe.”
Sam annuì, prima di prendere la radio e andare via. Dedicò un ultimo sguardo preoccupato al collega, prima di allontanarsi.
Blaine, invece, tornò a sedersi accanto a Kurt, tossendo così forte che il suo arrivò forte e rauco, come da dentro ad una profonda caverna. Si sfilò il casco e lo appoggiò a terra, mettendoci poi dentro la mascherina bianca. Sorrise al ragazzo e disse con tono sicuro ma dolce “Andrà tutto bene”, prima di sfilarsi il guanto e porgergli la mano.
Kurt non attese nemmeno un istante per afferrarla, sentendola calda nelle sue. La sua stretta era forte quasi quanto quella del pompiere.
“T-ti prego, non lasciarmi…” ripeté.
“Mai….” Fu la sola risposta dell’altro, prima di passarsi una mano sul viso. Sembrava distrutto, poteva semplicemente lasciare Kurt con un medico o con un poliziotto, ma non lo aveva fatto. Aveva promesso di rimanere con lui e a questo si era attenuto.
Il ragazzo non lo sapeva, ma Blaine aveva finito il suo turno  sette ore prima e avrebbe dovuto cedere il cambio, per potersi riprendere.
Kurt era steso a terra e agli occhi di Blaine era una persona che non andava abbandonata. Glielo aveva letto negli occhi azzurri, disperati e arrossati, che aveva solo bisogno di una mano da stringere.
Non si sarebbe mosso.
I turni non esistevano più, dopotutto.
Alzò gli occhi verso il cielo, ma le stelle non si vedevano. Il fumo e le fiamme avevano bruciato anche la speranza.
Era bastata meno di un’ora e il mondo era cambiato per sempre, anche se loro non lo avevano ancora realizzato.
Sorrise ancora, incoraggiante, prima di sospirare “Allora, Kurt… Che fai di bello nella vita?”
Il ragazzo tentò a sua volta un sorriso “Beh, lavoravo qui…”
“Ahia. Mi dispiace”, fu il solo commento del pompiere, che lo fece quasi ridere “Beh, non sembri molto convinto però. Sbaglio?”
Da quel momento Kurt prese a parlare, a macchinetta, di tutto e di più. Parlo di cose che pensava di aver dimenticato e di altre che non credeva nemmeno di aver mai preso in considerazione.
Parlò così tanto che si dimenticò del dolore.
Si dimenticò di tutto, perso in quelle iridi calde.
 
Con quella mano grande e calda stretta nella sua, non ebbe più paura.
 
 
***
 
 
Come ogni anno, da dodici anni, Kurt Hummel si svegliò dopo aver dormito poco o niente, la mattina dell’undici settembre.
Fece colazione con suo fratellastro e la sua migliore amica, si preparò per bene, vestendosi elegante e pettinando i capelli con più cura del solito, prima di chiamare un taxi e farsi portare a Brooklyn.
Non a Lower Manhattan.
Non era lì che doveva andare.
Assistette alla commemorazione tenendo lo sguardo basso, senza riuscire a piangere. Di lacrime ne aveva versate molte quella notte e si sentì grato per quello che aveva.
Per essere un sopravvissuto.
Attese che il capo della Polizia finisse il suo discorso, prima di farsi avanti nella folla per avere un buon posto.
Ci teneva davvero a salutare Blaine, anche se cercava di andarlo a trovare più spesso che poteva.
Quello, però, era un giorno importante.
Erano dodici anni dal loro primo incontro.
Dodici anni dal momento in cui gli aveva salvato la vita.
Doveva fare – come al solito – molta pena, visto che tutti si scostarono, sorridendogli un po’ tirati, con le lacrime sul viso e i cuori infranti.
Lui ringraziò e si fermò solo una volta che riuscì ad arrivare in prima fila. Alzò gli occhi, cercando il viso di Blaine ed eccolo, bello come sempre, sorridente.
Blaine Anderson, Firefighter.
Peccato che quel quadretto di granito non rendesse comunque giustizia al suo viso perfetto.
Kurt strinse tra le mani la rosa bianca che aveva portato, uguale alle undici precedenti, e sporgendo il busto si fece giusto di qualche centimetro più avanti.
“Ciao, Blaine” Disse sorridendo, nonostante gli occhi lucidi e la voce rotta, appena sussurrata “Eccomi qui, anche quest’anno. Il lavoro va bene, presto consegnerò la nuova collezione e sono terrorizzato….” Prese un respiro “Tutto va bene, però.” esalò poi, allungandosi e cercando di appoggiare la rosa sopra al quadretto.
Perché lo avevano messo così in alto??
Tutte le volte la stessa storia.
Una mano gentile gli prese la rosa, sistemandola per lui prima di sorridergli “Ciao, Kurt.” Disse, sembrando quasi allegro.
Il ragazzo ricambiò il sorriso “Ciao Sam, come stai? Brittany e la bambina?”
“Stiamo tutti bene” rispose lui, prima di guardare il quadretto e sospirare malinconico “Sei passato a salutarlo anche quest’anno?”
“Per sempre.”
I loro occhi si incontrarono, e non ci fu bisogno di dire altro.
Il biondo si congedò, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla, prima di svanire tra la folla.
Kurt tornò a guardare Blaine.
Sarebbe tornato lì ogni singolo undici settembre della sua vita, fino al momento in cui lo avrebbe incontrato di nuovo.
Si concesse qualche istante, prima di voltarsi appena e vedere Finn e Rachel che lo aspettavano. Poi, con un ultimo sorriso, salutò Blaine, appoggiando le mani sulle ruote della sedia a rotelle e voltandosi.
 
Gli eroi non hanno né super poteri né calzamaglia.
Non indossano maschere colorate e non sanno volare
Un vero eroe si distingue per il suo coraggio e per l’amore che dà agli altri.  
Grazie, Blaine…
Tu sei il mio eroe.
 
 
 
 
 
  
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