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Autore: GioTanner    11/09/2013    5 recensioni
'Ogni addio era eterno per lui.
Per lui, lui che aveva tutto il cosmo e tutta la vita del mondo davanti e poteva vivere ere intere, mentre tutto intorno semplicemente sbiadiva e invecchiava, ingrigiva e si logorava, cambiava o scompariva definitivamente. [...]
Eppure si era ritrovato a pensare che gli addii, alla fine, erano giusti. Era meglio dire addio -così come aveva fatto con Sarah Jane- che andarsene lasciando speranze.
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«Ehi, dico a lei! Non può stare qui.»
«Sì che posso.- rispose lui ovvio, aprendo le braccia e scrutando a destra e manca -Io posso stare dovunque e, se permetti, non parlo al vento. Fatti vedere!» perse la pazienza. Non riusciva ancora a frenare l'ira nonostante le cause del suo dolore fossero così lontane.'

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Fan fiction ambientata dopo l'addio a Donna [4x13]. Il Dottore parte con il TARDIS e si ritrova in un circo. Non sarà un clown a tirarlo su di morale, forse una funambola, forse no.
Genere: Avventura, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angeli Piangenti, Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buildings In The Sky


Ogni addio era eterno per lui.

Per lui, lui che aveva tutto il cosmo e tutta la vita del mondo davanti e poteva vivere ere intere, mentre tutto intorno semplicemente sbiadiva e invecchiava, ingrigiva e si logorava, cambiava o scompariva definitivamente.

E quando era l'ora di dire addio ad una persona, ad un essere umano, i suoi occhi non riuscivano a celare, dietro l'età e l'orrore e la meraviglia della storia, tutto il dolore che provava. Non aveva tutti i sentimenti umani, questo era vero, però sapeva... sapeva che quando arrivava il momento dell'addio, esso sarebbe stato definitivo.

Per sempre.

Lui sarebbe potuto tornare nel giro di tre secondi dallo spazio, lui che non aveva la cognizione del tempo come l'uomo che passa tutta una vita a contare quanto manca alla morte, ma sulla terra sarebbero passati cent'anni, senza che se n'accorgesse, e niente delle persone che aveva amato sarebbe rimasto.

Niente sorrisi, niente cappelli di paglia, niente braccialetti tintinnanti, niente accento del nord, niente di niente di quella persona, se non una tomba gelida e piena di fiori freschi dove il Dottore non sarebbe mai andato a trovarla.

C'era passato così tante volte che avrebbe dovuto farci l'abitudine, si diceva. Doveva conviverci con gli addii, era il destino dei sopravvissuti.

Il guaio era che aveva imparato a metterci l'anima in tutto ciò che faceva e, la sua decima rigenerazione, era pure particolarmente emotiva. Questione di carattere, o qualcosa del genere.

Era dura dire addio, ancor di più lo era lasciare quelle persone che avevano fatto di lui Il signore del tempo, e l'uomo, che era adesso.

C'era una canzone terrestre che una volta aveva sentito e che gli aveva scaldato tutti e due i cuori, perché non era neanche troppo illogico quel che cantava. O almeno a quel tempo gli era piaciuta. Non parlava d'amore, non solo almeno.

«...Nothin' lasts forever.» si ritrovò a sussurrare mentre rivangava al momento esatto in cui aveva ascoltato quel pezzo: era un pomeriggio di fine settembre, sicuramente non di domenica, in una stazione spaziale che collegava Plutone al satellite Notte.

Se niente dura per sempre, allora neanche gli addii.

Peccato che l'ultima volta che aveva rincrociato due volte la stessa persona a cui aveva detto addio non solo era scritto e destino che loro si rincontrassero, per la guerra contro i maledetti Dalek, ma alla fine aveva dovuto dire addio ancora una volta a Donna Noble e nel modo più crudele e spietato possibile.

Cancellarle ogni momento felice della sua esistenza insieme a lui, quella felicità pura e genuina, autentica che nella donna non c'era mai stata. E mai, mai nessuno avrebbe dovuto dirle niente. Niente Dottore, niente gioia, niente orgoglio. Solo una precaria disoccupata e stupida, col cuore spezzato da una lama invisibile che avrebbe sentito all'altezza del cuore senza mai sapere chi fosse a procurarle tutta quella tristezza.

Così si era ritrovato a pensare che gli addii, alla fine, erano giusti. Era meglio dire addio -così come aveva fatto con Sarah Jane- che andarsene lasciando speranze; o lasciando il vuoto, vuoto mai compensato da ricordi sbiaditi a cui dare spiegazioni.


Fuori la pioggia non faceva più rumore. Il TARDIS aveva lasciato Londra, e per l'ultima volta la sua agguerrita compagna Donna, pronto a viaggiare nel tempo e nello spazio insieme al suo impavido -ma mai troppo- Signore solitario.

Quando il Dottore fu fuori dalla cabina, una volta atterrato chissà dove, il suo cappotto scuro e i suoi capelli zuppi di pioggia stonavano con l'ambiente festante e primaverile circostante.

Gli ci volle un po' per capire bene dove si trovava, ma un giornale o un manifesto attaccato qua e là in giro per la città non erano mai troppo difficili da trovare.

«16 Marzo 1871.- lesse a voce alta -Sono nell'Europa del diciannovesimo secolo.» alzò il capo dal volantino che un inquietante clown dal sorriso violaceo gli aveva appioppato in mano e, naso all'insù, guardò con crescente interesse gli stand e il principale grande tendone situato nel centro dell'ampio spazio occupato.

«Un circo! Un circo equestre...- tornò a puntare gli occhi sull'opuscolo -“16 marzo 1871, una data da ricordare! Per la prima volta nella vostra città! Ore 21.30, vi aspettiamo!” Beeh, perché no!?» si disse mettendo su un sorriso che assomigliava più ad una smorfia, ancora non riusciva a sorridere veramente.

Mise le mani in tasca, e con esse il volantino, avviandosi poi verso le varie attrazioni ancora chiuse, ma in cui tanta gente si era riversata nella giornata solo per curiosità e per i reparti aperti di dolciumi e giochi a premi.

Raramente si fermava a guardare gli spettacoli circensi -quando beccava i giorni in cui in qualche cittadina essi approdavano-, ma non per una reale ragione, più che altro perché ogni qualvolta il Dottore arrivasse i guai lo seguivano a ruota.

Fra i tanti appartenenti a quel mondo fatto di fantasia e illusione aveva visto quattro volte il Cirque du Soleil e i suoi rocamboleschi show, Charlie Chaplin, i fratelli Price ovvero i primi clown cantanti, ed era stato alla Prima della rappresentazione del grande Decimo Laberio, ove per la prima volta le donne dell'antica Roma recitarono fra lo scompiglio dei presenti... Ah, come era euforico quel giorno!

Ma ciò che gli si presentava davanti era solo una compagnia medio-piccola, buona per divertire ed intrattenere il pubblico... e non chiedeva di meglio. Uno svago.

Pochi metri distante da lui tre giocolieri facevano le loro prove a telo scoperto sorridendo alla piccola folla che si era radunata ad osservarli. A turno si lanciavano birilli e palline colorate senza farne cadere manco una, in più uno del trio era su una specie di bicicletta colorata in equilibrio sul posto. Un sorriso generoso brillò sul volto del Dottore, senza volerlo. Vedere l'umanità felice, serena e affascinata lo rendeva contento ed esagitato come pochi.

Solo si domandò che cosa facessero tre statue coperte da un drappo color verde scuro nel fondo del palchetto, considerando che non servivano certamente ai giocolieri. L'unica cosa visibile era il panneggio in pietra dei vestiti mentre tutta la parte superiore del corpo era celata. Sorpassò quello stand e proseguì bighellonando altrove dicendosi che i circhi erano pieni di roba scenica inusuale.

«Aah, la patria del bizzarro e del singolare! Brillante! Da quant'è che non vagavo per un circo! La patria di chi è diverso e fra le righe, di quelli eccentrici, pazzi e pieni di idee, di quelli che non hanno casa o l'hanno abbandonata tempo fa!» schioccò la lingua sul palato, immedesimandosi senza volerlo nella sua descrizione. Non che avesse mai voluto fare il clown, proprio no, insomma... era leggermente più sobrio, lui.

Girò più volte le bancarelle riuscendo anche a farsi regalare una crepe e qualche caramella sedendosi poi sui gradini della piazzola rialzata che affacciava sul grande tendone nel mezzo. Una moltitudine di persone gli passò davanti mentre lui mirava il telo che copriva a occhio e croce due grandi statue poste al centro della piazza. Inforcò gli occhiali per niente convinto: altre statue ne aveva avvistate alla fontana della città, due sull'erba alta dei giardini dove affacciava il terzo stand e un'altra ancora all'inizio dei box dove si trovavano i cavalli del circo. Non era sicuro che fossero un abbellimento e senz'altro non erano monumenti della città vista la casualità dei posti in cui erano posizionate. In più erano tutte coperte dalla vita in su e non v'era motivo alcuno.

Alzò un sopracciglio mangiando una caramella alla menta e con un scatto s'alzò dalla scalinata, peccato che la sua attenzione fu presto spezzata dal suono di una musica che si diffuse nell'aria: la banda cittadina stava contribuendo a quel clima di festa, iniziando a provare gli inni e le canzoni popolari del luogo.

Due minuti dopo, mentre la gente canticchiava allegra, lo stesso clown che gli aveva dato il volantino insieme ad altri pagliacci stava caricando le statue coperte dentro il tendone principale. Non ci pensò poi molto prima di seguirli, più perché era un ficcanaso di professione che altro, e quatto quatto si ritrovò dentro al tendone illuminato nella penombra da piccole lampade alimentate a gas. Tolse gli occhiali e si abituò al tenue colore della luce. Dei clown però, nessuna traccia.

«Ehi!»

Il Dottore udendo qualcuno parlare si guardò intorno, girando persino su se stesso, ma non vide nessuno.

«Ehi, dico a lei! Non può stare qui.»
«Sì che posso.- rispose lui ovvio, aprendo le braccia e scrutando a destra e manca -Io posso stare dovunque e, se permetti, non parlo al vento. Fatti vedere!» perse la pazienza. Non riusciva ancora a frenare l'ira nonostante le cause del suo dolore fossero così lontane.

«Sono qui, signore!- le disse ancora quella voce, ridacchiando -Sopra di lei, sulla corda. Non c'è bisogno di scaldarsi.»

Il Dottore guardò verso l'alto e vide una ragazzetta dai vestiti stravaganti ergersi in equilibrio sulla corda legata a dei trampolini posti agli estremi del tendone parecchi metri sopra di lui. La salutò con la mano agitandola più volte e le sorrise, lei ricambiò il saluto rimanendo comunque ferma sul posto con un piede dietro e uno avanti sulla fune.

«Non può stare qui, le dico. Ho da fare le mie prove e mi serve concentrazione, signore!»

«Sono il Dottore e... - smise di risponderle e abbassò la testa -Senti, puoi venire giù? Mi sta venendo il torcicollo parlandoti da qua.»

«Perché dovrei scendere? Non so neanche chi lei sia. »

«Beeh, hai perso la concentrazione, no? E poi neanch'io so chi tu sia, siamo pari, non ti sembra?»

Un'altra leggera risata provenne dalla ragazza, che fece altri diciannove passi in avanti sulla corda per poi scendere dalla scaletta all'estrema destra del palco raggiungendo in fine l'uomo al centro: «Cosa vuole? Frank non ama le distrazioni e se sa che non mi alleno avrò una bella strigliata! Devo esibirmi questa sera!»

«Chi è Frank?»

«Il capo di questo circo!- rimase spiazzata lei -Non è qui per lui? Anche se... non lo vedo da questa mattina, ora che ci penso. Doveva fissare meglio le due corde del trapezio insieme a Dandén...» rimuginò, dondolando una gamba avanti e indietro.

«È Scomparso?»

«Non ho detto questo, anche Dandén non si è fatto più vivo da ieri pomeriggio, magari non serviva più sistemare... E poi chi sei, si può sapere?» si spazientì lei, rivolgendosi all'uomo in modo più confidenziale e mettendo le mani su i fianchi.

«Il Dottore, te l'ho detto.» Alzò le spalle lui, osservando le varie uscite del tendone.

«“Il Dottore”, ceerto... - le sorrise, sebbene il tono dell'acrobata fosse abbastanza sarcastico - Potrei anche crederle, visto come è ben vestito, però “il Dottore” chi?»

«Il Dottore, solo e soltanto il Dottore. Cosa c'è di strano in questo?- controbatté lui, ogni volta era la stessa storia -Oh, e grazie! Adoro il mio cappotto, è di Janis Joplin!» si premurò di specificare.

«Allora piacere “soltanto il Dottore”, -si morse le labbra la ragazza- io sono la funambola! Così va bene?»

«D'accordo, funambola; dimmi un po' hai visto per caso dei clown prima che m'incontrassi? Hanno attraversato il palco e sono andati da qualche parte, avevano due statue con loro e io li seguivo, poi...-

-Fai sul serio? Comunque sì, li ho visti e dall'alto ho potuto notare che andavano verso il retro. Portavano con loro quelle pesanti statue che non centravano niente con il nostro spettacolo, né con la compagnia.» indicò una delle uscite laterali.

«Quindi non sono del circo le statue?» le chiese il Dottore.

«Assolutamente! Forse un regalo dei cittadini, non sarebbe la prima volta...» alzò gli occhi al cielo.

«Non penso proprio, funambola.- sospirò l'uomo assottigliando gli occhi, segno che stava pensando e raccogliendo le idee. Aveva solo ipotesi e istinto. E l'istinto di un Signore del tempo rare volte sbagliava, anche perché dovunque andava davvero accadevano le cose più folli e pericolose possibili.

«No, senti, chiamami Maria. Questo è il mio nome, capito? Io ho un nome e un cognome come tutte le persone normali.» si rassegnò Maria, sciogliendosi il grande fiocco argentato che aveva sul fondo schiena.

Era piuttosto strambo il suo abito: blu con delle righe argento e un fiocco legato dietro, non troppo corto e molto appariscente. Sul volto aveva steso un trucco perlaceo e argento e sulle unghie aveva il medesimo colore. Aveva delle sottili scarpe da danza ai piedi e delle lunghe calze color viola spento dalla caviglia in su per tenere al caldo le gambe da eventuali dolori dati dallo stare troppo in piedi. I capelli castani erano raccolti in un piccolo fermaglio che non faceva andare le ciocche sul viso, ma il capo era comunque coperto da un insolito cappello di paglia dal nastro blu.

«Maria...“Maria La funambola”? Oh, aspetta, 1871... pensa, pensa, pensa..! Il tuo cognome! Dimmi il tuo cognome! » altri pensieri gli piombarono nella mente, si frizionò i capelli allontanandosi di pochi passi da dov'era; la sua testa in quel momento era come una centrifuga piena zeppa di informazioni e doveva fare ordine per trovare quella corretta.

«È impazzito, forse? Cosa farfuglia? -dichiarò avvicinandosi cautamente al giovane Dottore - Sono Maria Spelt...-

-SPELTERINI! Maria Spelterini*! -spalancò gli occhi lui, improvvisamente raggiante- Ma certo, certo! Ah, sto invecchiando come poteva essermi sfuggito di mente! Che meraviglia, che immensa fortuna! “Vestiti stravaganti, italiana, funambola di professione e gran donna”! Quanti anni puoi avere in questo tempo? Diciassette, diciotto?» saltellò sul posto il Dottore.

«Diciassette e mezzo. Perché è così euforico? Mi conosce, allora? È italiano, forse?» chiese Maria con un po' di preoccupazione nella voce.

«Quante domande, Maria, quante domande! Allora vuoi cercare il tuo capo e Dandén, oppure restare qui nella penombra?- pronunciò sbrigativo -Già, nella penombra... Uhm, dovreste accendere più luci, dovreste vedere Tesla che farà fra un paio d'anni! Ahh!»

«Veramente io... mi stavo allenando!» provò a ribadire lei, lasciando da parte metà dei discorsi senza senso che quell'uomo esaltato diceva. Restò ferma dov'era a braccia conserte.

«Non fare la pignola! Tanto sei brava lo stesso, ah se sarai brava lo stesso! La più brava e la più grande! Nessuno arriverà in alto quanto te. Hai intenzione di andare sul fiume Moscòva* quest'anno, veeero?!» e non lo diceva a caso, no. Sembrava quasi che egli fosse matematicamente sicuro di ciò che affermava, notò la ragazza.

«Maaa mi serve il tuo aiuto. -continuò poi con tono serio -Mi serve qualcuno che conosca le quinte, qualcuno che conosca chi lavora nel circo. Devo trovare quei clown e devo trovare quelle statue, perché potremmo sparire tutti e non sarebbe divertente, se è ciò che penso. E poi... beh, se non trovi il tuo capo non potrai esibirti. Non ci sarà lo spettacolo!»

«Hai perso il senno, questo è chiaro. Non so di cosa tu stia parlando! -sbuffò lei sorridendo, conscia però che il Dottore l'aveva convinta a seguirlo facendo leva su ciò a cui teneva- Ma hai ragione su una cosa: se non trovo Frank Derrie Pavlov lo show non ci sarà e io amo il mio lavoro.»

«Bene, ottima decisione. Prendi la mia ultima caramella... è all'arancia. Ti piace l'arancia? Spero ti piaccia l'arancia! -le lanciò il dolciume tirato fuori dalle larghe tasche del suo cappotto e poi la prese per mano- Allons-y!»

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*Maria Spelterini= Famosa funambola italiana. La prima e forse l'unica che pochi anni dopo riuscì ad attraversare le CASCATE DEL NIAGARA su una fune. Realmente esistita, dunque.

*Moscòva= Forse la Prima delle sue imprese famosissime, circa fine 1871. Riuscì la Spelterini a stare su una corda e attraversare il fiume di Mosca, “Moscòva”.



'Sera Gente.

Oggi c'è stata la 4x13 su Rai4 e io era da un po' che covavo questa fan fiction. :') Volevo pubblicarla esattamente oggi, anche se ho solo appena finito il capitolo due. Maria Spelterini esiste, già. Alcuni accenni come 'lo stile stravagante, il cappello di paglia, l'essere italiana, e alcuni accenni storici sono reali. Altri no, vado di fantasia. [la TARGHETTA è DAVVERO Maria, una delle rare foto.]

Sarà breve, comunque, questa storia. 4-5 capitoli non di più. Ho già in mente tutto, devo solo scriverlo. Non sarò troppo lenta, spero di farcela. Spero vi piaccia e spero, se volete, che commentiate per farmi sapere se Ten riesco in qualche modo ad 'interpretarlo' oppure se è OOC ;; giacché è la mia prima fan fiction in questo fandom, che amo, per altro.


Enjoy,

Giò.







   
 
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