Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Kary91    12/09/2013    16 recensioni
Quando avrò diciotto anni mi offrirò volontaria” aggiunse la ragazzina, inginocchiandosi di fronte al coetaneo. “Sono certa che vincerò: così tutta Capitol City conoscerà il mio nome. È il mio sogno da sempre.”
“Vincerò io.” La smontò rapidamente Cato, scuotendo il capo. “E sarà il mondo intero a conoscere il mio nome. Non solo Capitol City.”
-
“Cato!” lo chiamò ancora Clove, sforzandosi di tenerlo sveglio.
“Clove” rispose il ragazzino, cercando di recuperare il controllo su se stesso. “Se sto morendo non dirmelo”
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Much worse games to play.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premessa: le prime due parti della storia sono collegate tra loro e ambientate al passato, quando Clove e Cato sono ancora due ragazzini di nove e dieci anni. La seconda è ambientata durante la morte di Clove.

 

Partecipa alla challenge [Multifandom & Originali ] con il prompt 35. Morte .

Partecipa alla quarta prova della challenge [Pentaistoriomachiia] con la traccia 5: song-fiction.

Partecipa alla challenge [500themes_ita] con il prompt 16. Sole Morente .

Partecipa alla tabella Sad della challenge [Prompt a … sentimento!] con il prompt #ferita .

 

 

A Martina.

Buon compleanno, Piccoiattola!

 

 

Don’t tell me if I’m dying.

Do you dream that the world will know your name?

So tell me your name

Angels on the Moon. Thriving Ivory

 

“Chi è là?”

La voce decisa di un ragazzino echeggiò nella palestra. Cato abbassò il braccio che reggeva la spada e si mosse rapidamente in direzione della postazione dei coltelli. Aveva udito distintamente il rumore delle lame cozzare contro una parete ed era intenzionato a scoprirne la fonte, irritato al pensiero di essere stato costretto a interrompere il suo allenamento. Alla postazione poteva esserci chiunque: da anni in quella palestra si allenavano clandestinamente ragazzi di tutte le età, sfruttando il piccolo centro di addestramento costruito dal padre di Cato. C’erano diverse strutture simili al distretto 2 ed erano costantemente riempite dal vociare vivace dei giovani abitanti della zona. Chiunque faceva del suo meglio per sentirsi sufficientemente preparato ad affrontare gli Hunger Games, sperando di uscirne indenne. Molti attendevano con impazienza di offrirsi volontari alla mietitura, portando così onore e prestigio alla propria famiglia in caso di vittoria.

Quel particolare pomeriggio Cato aveva esplicitamente richiesto al padre di tenere libero il loro centro di addestramento, in maniera da potersi allenare da solo assieme all’uomo. Aveva impiegato poco più di un quarto d’ora ad accorgersi di avere compagnia.

Affrettò il passo, facendo roteare annoiato la spada. Non appena raggiunse la postazione dedicata al lancio dei coltelli il suo sguardo si scontrò con quello di una ragazzina in apparenza poco più piccola di lui. Si stava esercitando con un bersaglio a forma di sagoma umana e gran parte dei suoi tiri sembravano essere andati a segno, a giudicare dalle condizioni del cartonato.

“Non puoi stare qui” annunciò a quel punto Cato, senza sforzarsi di nascondere lo sdegno nel suo tono di voce. “Il centro di addestramento è chiuso, oggi".

La bambina gli rivolse un’occhiata divertita, inarcando appena un sopracciglio.

“Chi l’ha deciso?” ribatté, strofinando la lama di uno dei coltelli con un lembo della sua maglietta.

“L’ho deciso io” ribatté il coetaneo, squadrandola fiero.“Sono il figlio del proprietario” aggiunse, con una nota di arroganza nel tono di voce.

La ragazzina lo osservò in silenzio per qualche istante, apparendo insolitamente pensierosa. Il suo sguardo si mosse poi in direzione della spada di Cato: un insolito sorriso sornione corse ad increspare gli angoli delle sue labbra. “Alleniamoci assieme” propose infine, voltandosi verso il bambino “Sarebbe un combattimento alla pari: uno contro uno. La tua spada contro i miei coltelli.”

Cato esibì un sorrisetto borioso. Suo padre gli aveva rigidamente proibito di esercitarsi contro gli altri in sua assenza. Il figlio aveva disobbedito spesso a quel divieto e gli era già capitato più volte di tornare a casa ammaccato, dopo essersi esercitato nel corpo a corpo con i suoi compagni di Accademia. Quegli scontri, terminati quasi sempre con la vittoria di Cato, avevano contribuito ad alimentare la fiducia cieca che il bambino riponeva da sempre nelle sue abilità.

Sapeva di essere il migliore: il migliore del suo anno all’Accademia, il migliore fra i promettenti futuri volontari per gli Hunger Games, il migliore in tutto. E di certo non poteva permettersi di declinare una sfida.

“Va bene” acconsentì, facendole cenno di seguirlo fuori dall’area dei coltelli. “Se sarai fortunata, quando avrò finito con te, ti sarà rimasto almeno un braccio.”

La ragazzina gli rivolse un sorriso di sfida, per nulla impressionata dalle sue parole.

Lo scontro fra i due coetanei durò meno di quindici minuti. Cato era decisamente più forte e più pratico nell’utilizzare la spada di quanto non lo fosse la bambina con i suoi coltelli, ma era anche meno agile. Più volte spostò un affondo per evitare di assestare alla sua avversaria colpi che sarebbero stati letali, ma le ferì superficialmente la mano e un ginocchio. Per un attimo la gamba della ragazzina cedette, facendole allentare la guardia. L’occhiata tronfia e arrogante che le riservò il coetaneo la spinse a rialzarsi dolorante. Sollevò con rabbia uno dei coltelli. Spinta dalla collera lo lanciò contro Cato, mirando all’orecchio. Il tiro un po’ incerto scaraventò la lama all’altezza della testa del ragazzo, ferendogli la tempia. Cato digrignò i denti, gettando a terra la spada. Si tastò il lato destro del capo e osservò i propri polpastrelli inumidirsi, sporcandosi di rosso.

Alla vista di tutto quel sangue l’espressione di Clove cambiò.

“Vado a chiamare tuo padre” dichiarò ferma, lasciando perdere i coltelli ed arretrando di qualche passo. Cato si affrettò a scuotere il capo, ma il movimento lo stordì di dolore.

“Sto bene” ribatté un po’ bruscamente, facendo pressione sulla ferita con la mano. Clove gli si avvicinò, per analizzare con maggiore attenzione la ferita. Per un attimo sembrò quasi sollevata: doveva essersi accorta che non sembrava molto profonda. Non riuscì comunque a trattenere un sorrisetto compiaciuto nel costatare di essere riuscita cancellare l’arroganza dal volto di quel ragazzino.

“Sei brava a tirare i coltelli” osservò a quel punto Cato, sfilandosi la maglietta per tamponare il taglio.

La bambina si mise a braccia conserte e annuì.

“È la cosa che so fare meglio” spiegò. “Mi aiuterà nell’arena. Quando avrò diciotto anni mi offrirò volontaria” aggiunse poi, inginocchiandosi di fronte al coetaneo. “Sono certa che vincerò: così tutta Capitol City conoscerà il mio nome. È il mio sogno da sempre.”

“Vincerò io.” La smontò rapidamente Cato, scuotendo il capo. “E sarà il mondo intero a conoscere il mio nome. Non solo Capitol City.”

“Allora dimmi come ti chiami” lo incalzò la ragazzina, sistemando i suoi coltelli in una delle tasche interne della giacca. Il coetaneo sorrise altero.

“Sono Cato” dichiarò, tendendole la mano macchiata di sangue. La bambina non si impressionò. La strinse con un vigore piuttosto insolito per una persona così esile.

“Clove” si presentò lei, abbozzando un sorriso. In quel momento a Cato incominciò a girare la testa

“Cato?”

L’espressione interdetta di Clove fu l’ultima cosa che il bambino distinse con chiarezza, prima che i suoi occhi smettessero di funzionare. La sua vista sembrò annebbiarsi e il peso del suo corpo diventò improvvisamente troppo difficile da sostenere. Cadde all’indietro, avvertendo le forze affievolirsi. Incominciò a temere che quella ferita alla tempia fosse più grave di quanto pensasse. D’un tratto si accorse di avere paura.

“Cato!” lo chiamò ancora Clove, sforzandosi di tenerlo sveglio.

“Clove” rispose il ragazzino, cercando di recuperare il controllo su se stesso. “Se sto morendo non dirmelo” mormorò poi ingenuamente, aspettandosi il peggio. Perse coscienza prima ancora che la bambina avesse il tempo di rispondergli.

 

-

Quando Cato rinvenne si accorse di non essere più in palestra. Era stato adagiato su un letto che non era il suo e non impiegò molto a riconoscere la figura di Clove acquattata su una sedia di fianco a lui: stava rimirando con attenzione un paio dei suoi coltelli. Poco distante Cato riconobbe suo padre che dava loro le spalle, occupato a conversare con un medico. Riusciva a sembrare forte e imponente persino visto di schiena. Un debole sorriso incurvò le labbra del ragazzino. Solo in quel momento Cato ricordò cosa fosse successo in palestra. La sua mano destra corse a tastarsi la tempia: doveva essere stata medicata e ripulita, perché le sue dita entrarono in contatto con un morbido strato di garza.

“Non sei morto” lo rassicurò a quel punto Clove, accorgendosi che fosse sveglio. Gli rivolse un sorrisetto di scherno che suscitò l’irritazione del coetaneo. Cato fu tentato dal pensiero di alzarsi e di strangolare quella ragazzina a mani nude.

“Sei più forte di me” osservò poi la bambina, sedendosi a bordo del letto. “Molto più forte. Ma io sono più veloce. Potremmo allenarci assieme.”

Cato le rivolse un’occhiata sprezzante.

“È impossibile che tu sia più veloce di me” ribatté. Si guardò bene, tuttavia, dal rifiutare la sua proposta. Rimase a chiacchierare con Clove per il resto del pomeriggio, discutendo con lei di tributi, edizioni passate degli Hunger Games e tecniche di combattimento.

Fu solo quando il cielo incominciò ad annerirsi che la bambina si decise ad alzarsi.

“Ci vediamo in Accademia” lo salutò, prima di ritirare i suoi coltelli e sgusciare fuori dalla sala d’ospedale.

Il sole stava morendo, sconfitto dall’ora tarda. Presto scomparve per lasciare il posto alla luna.

E Clove se ne andò con lui.

 

***

Don't tell me if I'm dying

'Cause I don't wanna know

If I can't see the sun, maybe I should go

Angels on the Moon. Thriving Ivory

“Cato!”

L’urlo di Clove gli rimbombò con violenza nelle orecchie, più affilato e letale delle lame dei suoi coltelli.

“Cato!”

Il giovane rispose al grido, scattando in avanti con uno slancio quasi violento. Incominciò a correre in direzione della cornucopia, dimenticando ogni prudenza.

“Clove!”

Quando la raggiunse ebbe appena il tempo di dare una rapida occhiata alla sua ferita, prima di crollare a terra di scatto, per difendersi dalle frecce della ragazza di fuoco.

La rabbia gli strattonò con prepotenza lo stomaco e il panico lo trattenne ancorato al terreno, rendendolo incapace di alzarsi o anche solo di muoversi.

Clove aveva gli occhi chiusi e le labbra già sporche del sangue che stava colando dalla sua fronte. Riuscì a pronunciare il nome di Cato e il ragazzo le strinse la mano, dapprima con forza e poi con più garbo, munendosi di una delicatezza che nemmeno ricordava di possedere.

“Resta con me” la incitò, guardandosi freneticamente attorno, come se si aspettasse di trovare qualcosa che potesse salvarla. Clove continuò a tenere gli occhi chiusi. Il petto della ragazza si sollevava a malapena e le sue dita allentarono subito la presa, abbandonando quelle di Cato.

“Resta con me!” gridò ancora l’amico, questa volta con tono di supplica. Il petto di Clove tornò ad alzarsi leggermente, permettendo alla giovane di immagazzinare aria.

“Cato” riuscì a mormorare a mezza voce la ragazza, continuando a tenere gli occhi chiusi.

Smise di parlare e Cato le strinse più forte la mano, come se volesse incoraggiarla a proseguire.

“Se sto morendo non dirmelo.” lo pregò infine, con un filo di voce.

“Non morirai, resta con me” ribadì il ragazzo, chinandosi su di lei. “Clove!” la chiamò ancora, assestando un pugno al terreno duro.

Clove mosse appena un dito, prima di interrompere un sospiro a metà. In quel momento il silenzio venne mutilato da un violento colpo di cannone.

“Clove!”

Cato rimase immobile a terra, stringendo la mano esangue della ragazza. Il rombo di un motore si insinuò nell’aria, suggerendo l’arrivo di un hovercraft.

Quando alla fine il corpo della giovane venne prelevato dall’arena il cielo aveva appena incominciato ad annerirsi.

Il sole stava morendo, lasciandosi dietro la sagoma di un ragazzo in ginocchio con gli zigomi rigati di lacrime.

Presto scomparve per lasciare il posto alla luna.

E Clove se ne andò con lui.

Don't wake me 'cause I'm dreaming

Of angels on the moon

Where everyone you know never leaves too soon

Angels on the Moon. Thriving Ivory

 

Nota dell’autrice.

Non vado pazza per Cato, Clove o le Clato in generale, quindi ho il terrore di essere andata pericolosamente OOC. Ma la persona a cui ho dedicato questa storia li adora e ci tenevo a scriverle una Clato come regalino di compleanno. In fondo nel primo pezzo della storia i due protagonisti hanno si e no 9/10 anni, quindi immagino che si siano induriti un po’ caratterialmente crescendo. Li immagino entrambi un po’ sfrontati e molto “tecnici” nel modo di parlare sin da piccoli per quanto riguarda l’arte del combattimento e le sfide. Molto maturi per l’età che hanno come la maggior parte dei ragazzini che abbiamo osservato nelle varie edizioni degli Hunger Games. Se non sbaglio Clove non si è offerta volontaria come Tributo, per questo le ho fatto dire che si sarebbe proposta una volta compiuti i diciotto anni.

 

Un abbraccio!

Laura

   
 
Leggi le 16 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Kary91